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Autore: Silinka    19/05/2014    1 recensioni
«Tu sarai fiore, io sarò uccello, amici per sempre, un po’ come noi da adesso insomma!».
«Facciamo a gara a chi arriva prima su nel cielo?» domandò.
E avrebbe voluto rispondergli Harry, dirgli che non avevano più bisogno di rincorrersi come due bambini sulle altalene per vedere chi arrivava più in alto nel cielo con le farfalle nello stomaco che li faceva volare o, per lo meno, lui non ne aveva bisogno, perché il suo cielo, quello personale, quello solo suo, quello dove sempre avrebbe brillato il sole, già l’aveva trovato ed era rinchiuso in quegli occhi che ora lo stavano guardando pieni d’amore.
***
Larry
AU!kids
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Green

Parto con una piccola precisazione, due righe appena senza rubarvi troppo tempo,

allora, questa storia è stata scritta per il compleanno di Francesca, (FraAcida o Thepurpledoor per intenderci o completa estranea, non so come voi la conosciate, per me è il mio Fiorellino),
e quindi le seguienti parole sono dedicate unicamente a lei. Come sua è la storia del Girasole di cui leggerete poi, io ho solo cercato di darle un corretto e più adatto background.
Solo questo, per il resto della sbrodolata ci si becca a fine capitolo, per chi ci arriva e avrà la pazienza di leggere cioè.
Ah, sì, se cliccate sul titolo della canzone sotto i versi riportati a destra potrete ascoltarla, fatelo, a me piace particolarmente.
Buona lettura!

     ***






A Francesca, un Girasole speciale, perché lei il sole lo ha dentro,
e per ricordarle che nessuna nuvola è impossibile da scacciare,
e nessuna ferita è impossibile da rimarginarsi.
Spero ti piaccia.



If you can hear me now
I’m reaching out
To let you know that you’re not alone

      Lullaby; Nickelback       



Seduto sull’altalena il piccolo Louis Tomlinson, vivace bambino di 5 anni e mezzo come ci teneva a precisare lui, stava cercando di sconfiggere – ancora una volta – la forza di gravità spingendosi sempre più in alto, dandosi poderose spinte con i reni ogni volta che il seggiolino retrocedeva per poi riportarlo verso il cielo. Gli era sempre piaciuta l’altezza, nella sua breve vita l’aveva sperimentata diverse volte, facendo venire a più riprese i capelli bianchi alla povera madre. Che questo si trattasse di sporgersi dal parapetto di casa, dal far ciondolare nel vuoto le gambe oltre la ringhiera del balcone o affacciarsi alla finestra arrampicato su una sedia.
Quel pomeriggio stava spingendo il più lontano possibile le All Star colorate nel cielo limpido, avrebbe spiccato il volo, ne era certo, quel pomeriggio sarebbe stata la volta buona. Sapeva che, se avesse lasciato andare le catene attorno alle quali erano ben ancorate le piccole manine, sospinto dalle mille farfalle che gli inondavano lo stomaco e gli facevano il solletico, avrebbe solcato l’azzurro, e assaggiato lo zucchero filato con cui erano fatti i batuffoli di nuvole che si rincorrevano, e parlato con gli uccelli che pigramente gli passavano davanti delle mille avventure vissute, e sentito libero accarezzato dalla brezza mentre scappava lontano ridendo allegro e spensierato.
I mignoli scattarono all’insù abbandonando gli anelli che avevano stretto. Poi toccò all’anulare destro, seguito con più titubanza dal medio, il pollice volò via, e quando fu il turno di staccare completamente l’arto delle risa provenienti alle sue spalle lo distrassero costringendolo, spinto da quella curiosità che più di una volta l’aveva cacciato nei guai, a girarsi e tornare saldamente attaccato alla catena.
Di solito non si intrometteva nelle faide degli altri bambini, non si metteva in mezzo né tanto meno cercava di fare il paladino della giustizia, per quello c’era il tenero Liam – un anno in meno di lui che sembrava già risentire della sindrome della crocerossina – che si prodigava per soccorrere tutti i bambini che piangevano per le più svariate ragioni e regalar loro sorrisi smaglianti. Eppure, quando i suoi occhietti azzurri come il cielo che cercava invano di raggiungere, saettarono verso la fonte di tutto quel divertimento sentì il bisogno di andare da quel nanerottolo tutto capelli e tenergli la mano.
Guardando in alto con rammarico rallentò la sua corsa fino a fermarsi. Pace, a volare ci avrebbe provato un’altra volta. Le nuvole non avrebbero perso il loro dolce sapore e gli uccellini, nel frattempo, avrebbero potuto catturare altre storie da raccontargli in seguito.
Saltato giù dall’attrazione preferita corse verso il gioco in cui aveva visto sparire il cespuglio marrone con le lunghe gambe. Non prima, però, d’essersi fermato davanti ai compagni che ancora stavano ridendo nel punto in cui avevano spinto e fatto cadere il bambino.
   «Sei davvero uno stupido Niall!» sputò in faccia, con il suo vocino acuto, al biondino che era stato la causa del rovinoso incontro con il terreno. «E tu anche!» aggiunse spostando lo sguardo irato sul compare di Niall dai capelli scuri e gli occhi color del fango, Zayn. Pappa e ciccia erano quei due, dispettosi come una serpe malmostosa avrebbe detto la nonna di Louis.
Non perdendo altro tempo con loro si affrettò a raggiungere il tubo colorato nel quale la sua missione si era intrufolata. E lo trovò lì, tutto ricci, rannicchiato su se stesso, con il volto nascosto tra le ginocchia, di cui uno sbucciato notò Lou. Rimase in silenzio ad osservarlo per un poco, non sapeva cosa dirgli né come poterlo consolare; lui, quando cadeva, più che piangere per il male, rideva sulla ferita, la sciacquava con un po’ d’acqua, recitava una – ridicola ma carinissima – filastrocca e tutto tornava come prima.
   «Cosa vuoi?» borbottò il bimbo dai ricci facendo sobbalzare Lou, che si immerse e rimase muto a fissare le annacquate distese verdi che lo stavano studiando ed ispezionando da capo a piedi.
   «Ho visto che sei caduto, ed io… Loro, Zayn e Niall fanno sempre così! Sono stupidissimi non devi ascoltarli!» rispose aprendosi in un immenso sorriso smagliante, con un buco esattamente nel centro per quel dente che il Topino si era portato via due sere prima.
   «Sto bene, puoi pure andare anche te a ridere con gli altri» mormorò tornando nascosto dietro la foresta di ricci che gli cresceva in testa. Sbuffando si asciugò, con il bordo inferiore della maglietta gialla, il naso sgocciolante. Ma Lou non si mosse, la caparbietà aveva il suo nome.
   «La mia mamma mi racconta sempre una storiella quando piango per mandar via il male e le lacrime. Vuoi ascoltarla?» propose arrampicandosi all’interno del tubo arancione per andare a sedersi spalla contro spalla accanto al bambino dagli occhi verdi. Quello scrollò le spalle senza spostare lo sguardo dai suoi piedi, tirando nuovamente su con il naso producendo un fastidiosissimo suono di risucchio.
   «Bene, allora lo prendo come un sì!» esultò il castano apprestandosi a fare da cantastorie. «Allora, sei pronto? Questa è una delle più bellissimissime eh! Devi sapere che il Girasole non è sempre esistito. Sì lo so può sembrare una cosa strana ma è davvero così! Prima era solo una Margherita, una Margheritona grande grande!, troppo grande rispetto alle altre tutte piccole e fragili che la prendevano sempre in giro. Un po’ come succedeva al Brutto Anatroccolo, la sai questa storia? Beh, magari poi ti racconterò anche questa un’altra volta!

 Però, allora, quindi la Margheritona, stanca di piangere per le prese in giro e i dispetti, se ne va via innamorandosi del Sole. Passano i giorni, e lei lo guarda senza stancarsi lasciandosi accarezzare e coccolarsi dai suoi raggi e il suo calore. Tu non farlo però! Io ci ho provato e mamma mi ha sgridato perché mi stavo cuocendo gli occhi» si lasciò andare ad una piccola risatina divertita. «Ed è così che inizia a cambiare, la Margherita eh! Poco alla volta senza rendersene conto. Il bianco diventa giallo, i petali da piccoli diventano grandi e forti e il pistillo marrone. La notte si chiude per non farsi vedere dalla notte che non le piace affatto, lei vuole solo il sole e sa, che ogni mattina, tornerà sempre a trovarla per stare con lei.
 Ecco, tu devi fare come la Margheritona, devi voltare le spalle a tutti quelli che ti fanno piangere e crescere per poi ridere sopra di loro. E tu sarai un bellissimo Girasole splendente ed io volerò assieme agli uccelli raccontandoti, la notte così non avrai paura, le storie che loro mi racconteranno dei loro viaggi. Tu sarai fiore, io sarò uccello, amici per sempre, un po’ come noi da adesso insomma!». Louis si fermò prendendo fiato. Aveva parlato tutto d’un fiato per non perdere il filo del discorso, per non essere interrotto e sbagliare qualche passaggio di quella storiella che tanto gli piaceva e lo faceva sorridere.
   «Ti è piaciuta? Non puoi dire di no! È bellissima vero? A me piace tanto!» trillò allegro combattendo il silenzio del suo strano interlocutore. Si era accorto che aveva smesso di piangere, e questo l’aveva reso felicissimo. «Dai adesso usciamo! Voglio farti vedere quanto so andare veloce con l’altalena! Nessuno può battermi! Vuoi provare?» chiese prendendo per mano il suo nuovo amico trascinandolo fuori senza ascoltare le sue sommesse proteste. Lo lasciò andare solo quando furono davanti al gioco e Lou prese posto sul suo seggiolino.
   «Io mi chiamo Harold, ma se vuoi tu puoi chiamarmi Harry» disse timidamente il bambino passandosi una mano tra i ricci, che sotto al sole risplendevano, sorridendo per la prima volta da quando Louis l’aveva intravisto nel cortile. Anche lui mostrò di essere stato visitato dal Topino dei denti con un buco che gli faceva fischiare le “s” ogni volta che apriva bocca.
   «Io sono Louis, ma se vuoi puoi chiamarmi, Lou!» rispose scoppiando a ridere il maggiore mentre si issava sul sellino nero pronto a tentare, ancora una volta, la sua conquista dell’infinito azzurro. 


   «Lou! Adiamo!» protestò Harry spazientito picchiando ancora una volta il pugno sulla porta chiusa dell’appartamento di Louis. Non che fosse meravigliato del suo ritardo anzi, si sarebbe preoccupato se al suo arrivo avesse trovato il castano pronto ad aspettarlo.
Dall’interno della casa si sentirono strani rumori: un tonfo, un’imprecazione, qualche borbottio e la voce di Louis che urlava qualcosa di incomprensibile in risposta ad Harry.
Il riccio sospirò scuotendo i capelli. Sempre il solito Louis, con la testa tra le nuvole, a rincorrere i suoi pensieri nell’infinito azzurro che aveva rinchiuso negli occhi. Il sole non glieli aveva bruciati nelle lunghe mattine che avevano passato assieme ad osservarlo anzi, aveva conferito loro il colore della volta celeste e la sua luce, quella luce che Harry si incantava sempre a guardare.
Con lo stomaco sottosopra Harry si fece rigirare tra le mani il fiore che quella sera aveva portato a Louis, piccolo regalo in ricordo della fiaba che anni addietro gli aveva fatto amare il sole. E continuò, rimirando quei grandi petali colorati, rispecchiandosi più che mai nel giallo che avevano acquisito rincorrendo il sole. Era sempre stato girasole lui, nascosto sotto le altre margherite magari, e Louis era il sole che l’aveva fatto innamorare e gli aveva dato la forza di cambiare per diventare ciò che ora era. Grazie a lui tutto era cambiato, grazie alla sua amicizia era cresciuto, con le sue storie aveva sognato, e con il suo sorriso respirava splendendo come mai fatto prima.
   «Facciamo a gara a chi arriva prima su nel cielo?» domandò Lou, una volta che si fu staccato dalle labbra del moroso, sorridendogli come gli aveva sorriso quel primo giorno nel tubo colorato.
E avrebbe voluto rispondergli Harry, dirgli che non avevano bisogno di rincorrersi come due bambini sulle altalene per vedere chi arrivava più in alto nel cielo con le farfalle nello stomaco che li faceva volare o, per lo meno, lui non ne aveva bisogno, perché il suo cielo, quello personale, quello solo suo, quello dove sempre avrebbe brillato il sole, già l’aveva trovato ed era rinchiuso in quegli occhi che ora lo stavano guardando pieni d’amore.





     ***
E' piccola, e semplice, tanto semplice, e forse fin troppo dolce sul finale, ma a me piace così e, intendo, di fluff non ce ne è mai abbastanza.
E quindi nulla, una piccola precisazione sul titolo che non avevo voglia di far sopra, a parte che è stato un parto trovarlo e ne ho vagliati una cosa come settordici e fino all'ultimo non mi sono decisa a metterlo, beh allora dicevo, "lullaby" è palesemente ripreso dalla canzone che ho citato la sopra (l'avete ascoltata vero? Se non l'avete fatto muovetevi ad andare su youtubo e farla partire, e intanto che ci siete ascoltatevi i Nickelback in generale che non fa mai male! (pubblicità mode on), se ne avete l'occasione guardate il video ufficiale di "Lullaby"e non il lyrics, io l'avrò visto minimo cinque volte, mi riempie il cuore, ma ora torno sul discroso di prima che mi sono persa dietro le mie parole, come al solito aggiungerei). Quindi, riassumendo, "lullaby" è duvuto alla canzone mentre "green" (ecco qua riparte l'ennesimo discorsone senza capo ne coda, perdonatemi), green o verde, è dato più per un concetto ideologico, la folgorazione delle tre di notte quando non riesci a dormire e non hai nulla da fare e inizi a divagare con te stessa su qualsiasi cosa capiti a tiro insomma: il verde nasce quando il pennello fa danzare assieme il l'azzurro e il giallo, così come l'azzurro del cielo e degli occhi di Louis si è andato a fondere con il giallo dei petali del Girasole (aka in questo caso il piccolo e paffutello Harry) dando origine a questo colore. Mi piaceva come idea, per esprimere la fusione e la necessaria presenza di entrambe i ragazzi per far nascere qualcosa di nuovo. E poi, intendo, se fosse tutto palese e già servito su un piatto d'argento... Non so bene dove sto esattamente andando a parare quindi mi fermo prima!
E nulla, forse ho detto tutto, probabilmente manca la metà della roba che avrei voluto dire e che in queste notti mi ero ripromessa di aggiungere man mano che i giorni passavano, ma sono le 7.30 di mattina capitemi! Devo ancora farmi la doccia e poi scappare a studiare che domani ho il primo esame della sessione estiva e, oddio morirò! T.T
Quindi penso che chiuderò qui questo strazio prima di umiliarmi ulteriormente e tediarvi troppo.
Grazie infinite per aver letto, grazie per aver avuto la pazienza di arrivare fino a qua, e grazie a te Francesca per essere un'amica meravigliosa che mi regala dolci sorrisi e delicati abbracci. Spero questa storia ti sia piaciuta, e di non aver deluso le tue aspettative, probabilmente ti saresti meritata qualcosa di più articolato e pieno di colore, anche senza probabilmente, ma penso che nella semplicità certe parole valgano il doppio,e poi sai già tutto quello che devi sapere! Quindi niente, ciao, auguri, ti voglio bene e nulla io me ne vado addio che sto arrossendo da sola come una pirla davanti allo scermo mentre le parole si consumano lo spazio bianco tramutandolo in colorate linee verdi piene di... Sì la smetto!
xx
Fee.

Io soggiorno da queste parti se voleste rintracciarmi e fare io non so cosa!
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