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Autore: Martu89    30/07/2008    1 recensioni
Edward, mio padre, amava i libri in maniera viscerale. Affermava spesso che non c’era nulla al mondo che venerasse o amasse di più dei libri, se non me e mia madre, forse. Pronunciava sempre quel “forse” con un sorriso canzonatorio dipinto sul volto; lo divertiva terribilmente vedere la mia faccia sconcertata quando diceva di adorare i libri più di me. La verità era che mi voleva un bene inimmaginabile e proprio per questo desiderava trasmettermi soprattutto il suo amore per i libri.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’educazione libraria

 

Edward, mio padre, amava i libri in maniera viscerale. Affermava spesso che non c’era nulla al mondo che venerasse o amasse di più dei libri, se non me e mia madre, forse. Pronunciava sempre quel “forse” con un sorriso canzonatorio dipinto sul volto; lo divertiva terribilmente vedere la mia faccia sconcertata quando diceva di adorare i libri più di me. La verità era che mi voleva un bene inimmaginabile e proprio per questo desiderava trasmettermi soprattutto il suo amore per i libri.

Ricordo che quando ero molto piccolo, mio padre mi metteva molta soggezione. Lo vedevo durante i pasti, e poi per il restante tempo rimaneva chiuso in una stanza, che solo qualche anno più tardi scoprii essere la biblioteca. Un giorno, credo avessi quattro, o forse cinque anni, raccolsi tutto il mio coraggio da bambino e provai ad entrare in quella stanza, nella quale mio padre trascorreva tutto il suo tempo. Ricordo di essere entrato di soppiatto, mi sentivo come un ladro in casa mia, appena varcata la soglia, rimasi terribilmente deluso. Cos’era quei grandi scaffali pieni di volumi? Forse mi aspettavo un paese dei balocchi, una sorta di mondo incantato, che spiegasse la motivazione per la quale lui rimanesse tanto tempo chiuso lì dentro. Mi aggirai tra gli scaffali per trovare mio padre, lo vidi seduto allo scrittoio chino su delle carte, e rimasi lì a spiarlo per un po’. All’improvviso alzò gli occhi dal suo lavoro e mi vide nascosto dietro uno scaffale.

“Charles,” disse stupito nel vedermi. “Ragazzo mio, ti pare il luogo dove stare?”

Il suo tono, a dispetto delle apparenze, non era di rimprovero; e forse proprio per questo che non scappai via. Mio padre si alzò in piedi e con un rapida falcata mi raggiunse. Senza che nemmeno me ne accorgessi subito, mi prese in braccio.

“Cosa ci fai qua, Charles?” ripeté, guardandomi negli occhi.

“Niente,” dissi in un soffio, vergognandomi da morire. “Volevo solo vedere cosa c’era qui dentro…”

Mio padre sorrise bonario, non ricordavo di averlo mai visto sorridermi con tanto affetto. Credo che sperasse nel suo cuore che questo manifestasse un certo mio attaccamento connaturato ai libri. Con un rapido movimento mi fece sedere sull’ immensa sedia dietro alla sua scrivania.

“Aspetta qui,” mi disse, scomparendo tra gli scaffali della biblioteca. Tornò due minuto dopo, stringendo tra le mani nodose un grosso volume: era rilegato in pelle verde bottiglia con intarsiature dorate, sulla copertina era scritto a grosse lettere d’oro “Fiabe” e poco sotto leggermente più in piccolo “Jacob e Wilhelm Grimm”.

“Questo dovrebbe fare al caso tuo,” disse mio padre, porgendomi il grosso libro. Io lo guardai titubante, poi allungai le mani per prendere il volume, che però essendo grande quasi quanto me, non permise alle mie braccia da bambino di reggerne il peso, cosicché cadde a terra con un pesante tonfo. Mio padre scoppiò a ridere, poi si chinò per raccogliere il libro, lo appoggiò sopra alla scrivania di modo che io lo potessi aprire e guardare. Ero estremamente curioso di scoprire cosa contenesse, visto che, a quanto pareva, mio padre rimaneva incollato a lungo ad oggetti simili ad questo, ma ancora un volta la mia curiosità venne delusa. Ero convinto di trovarvi magia, ma aperto il libro ciò che vidi erano solo segni neri impressi sulla carta. Mio padre vide la delusione dipinta sul mio volto.

“Su, Charles, leggi,” mi incoraggiò, avvicinando a me il grosso volume. Evidentemente si era dimenticato che io, a 5 anni, non sapevo ancora leggere.

“Ma io non lo so fare,” mormorai timidamente.

Mio padre si batté il palmo della mano sulla fronte: si era ricordato che non sapevo distinguere una lettera da un’altra. Allora mi prese nuovamente in braccio, si sedette sulla sedia della scrivania e mi appoggiò con delicatezza sulle sue ginocchia, prese in mano il libro. Lo aprì ad un punto preciso, ma prima di iniziare a leggere, mi disse delle parole, che ancora oggi sono vivide nella mia mente. A quel tempo non le compresi a fondo, solo qualche anno più tardi, quando stavo per divenire un avido lettore, capii il loro significato recondito. Credo che mio padre sapesse che non avrei compreso subito, ma che invece avrei inteso solo tempo dopo.

“La magia dei libri, Charles, non sta tanto nell’oggetto in sé, quanto piuttosto nella reazione che essi producono sul lettore. C’è una strana alchimia che si crea tra libro e lettore, non è scientificamente provata, ma c’è. Non esiste un libro universale, che sappia incantare chiunque lo legga, ricordalo, quindi non ti dispiacere se un giorno incontrerai un libro che non ti piace, si vede semplicemente che non siete compatibili.

 “Ad ogni modo, io e te, Charles, siamo molto simili, quindi non mi stupirei se avessimo gusti letterari analoghi, cioè se non provassimo la stessa magia per il medesimo libro. Ecco, ciò che ti sto per leggere, mi aveva incantato alla tua età. È una fiaba dei fratelli Grimm, s’intitola Le tre piume, sono sicuro che ti piacerà. Ascolta, Charles, vai oltre alle lettere stampate sulla carta, vai oltre alle parole, fai entrare dentro di te la storia, fai scatenare la magia.”

Dopo aver detto questo, inforcò gli spessi occhiali e avvicinò ancor di più a sé il libro. Con voce ferma e rassicurante iniziò a leggere e io mi feci cullare dal racconto.

“C'era una volta un re che aveva tre figli: due erano intelligenti e avveduti, mentre il terzo parlava poco, era semplice, e lo chiamavano il Grullo. Quando il re diventò vecchio e pensò alla sua fine, non sapeva quale dei figli dovesse ereditare il regno dopo la sua morte. Allora disse loro: «Andate, colui che mi porterà il tappeto più sottile diventerà re dopo la mia morte.». E perchè‚ non litigassero fra di loro, li condusse davanti al castello, soffiando fece volare in aria tre piume e disse: «Dovete seguire il loro volo.»…”

*

Quel pomeriggio trascorso nella biblioteca, mentre mio padre mi leggeva le fiabe dei fratelli Grimm mi segnò profondamente. Rimasi entusiasta delle Tre piume, poiché sentii la storia. Iniziai improvvisamente a non sentire più la voce di mio padre, né tantomeno le parole che formavano il racconto, percepivo la storia, la vedevo davanti ai miei occhi, ed era un mondo talmente bello, talmente scintillante che nemmeno nei miei sogni più audaci avevo mai visto. E non era solo lo scenario, ma anche i personaggi, li sentivo più vicini a me, di quanto lo fosse mio padre, sulle cui ginocchia ero seduto. Provavo tutti quei sentimenti che si è soliti provare nella vita reale, odio, amore, gioia, tristezza, ma in maniera esponenziale; ciò che provavo era decisamente più intenso di quanto avevo mai sentito prima. Quando però mio padre smise di leggere, vidi davanti agli occhi crollare il mio castello di fiaba, impotente. Mi sentii smarrito, mi sentivo estraneo al mondo in cui mi trovavo.

“Ancora, ancora,” implorai mio padre con le lacrime agli occhi. Lui dal canto suo sorrise compiaciuto. C’era riuscito, il suo piano aveva sortito l’effetto desiderato.

“E se ti dicessi che puoi fare tutto questo da solo?” mi chiese, ancora sorridendo alla vista della mia impazienza.

“Come? Come?” chiesi concitato. Mio padre allora aprì l’ultimo cassetto dello scrittoio e ne trasse fuori diversi fogli bianchi.

“Beh, Charles, imparando a leggere!” E, incantato, lo guardai prendere in mano la stilografica e iniziare a tracciare grandi svolazzi sulla pagina.

  
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