Nami sapeva essere calda come il fuoco, ma in quel momento era gelida come la neve appena caduta da un cielo plumbeo e disinteressato di chiunque potesse esserci sotto di lui.

Zoro aveva cercato di spiegarle l’accaduto, ma lei si era limitata ad ignorarlo, come se a parlare fosse stato un invisibile ed inudibile fantasma agitato.

Dopo averlo sorpreso in uno scuro vicolo di quella cittadina, appartato con quella stregamanicodiscopa della Marina, così avvinghiati da far invidia ad un vecchio muro col suo ramo di edera, era rimasta impietrita; si era limitata ad uno sguardo che rasentava lo zero assoluto ed aveva voltato loro le spalle, tenendosi eretta e seria soltanto grazie allo smisurato orgoglio che possedeva.

Non avrebbe permesso ai suoi sentimenti di mostrare in pubblico la sua fragilità e il suo dolore. Che era immenso, perché aveva creduto in lui e al suo onore, donandogli tutto di sé.
Adesso sentiva di aver perso tutto, sentendosi svuotata come poche volte le era accaduto, in un lontano passato.

Non ci furono scenate, sulla Sunny, davanti ai compagni, ma lo aveva cacciato dalla camera che spartivano ormai da tempo, facendogli semplicemente trovare una sacca con le sue cose sul ponte.

Sorda all’ultimo tentativo del compagno di spiegarsi, non era neanche uscita a guardarlo, mentre gettava sulle ampie spalle la sacca, per poi scendere dalla nave, con la fronte aggrottata e lo sguardo duro come la pietra.

Erano costretti sull’isola da tre giorni e vi sarebbero rimasti per altri dodici: il log pose richiedeva quindici giorni di permanenza per magnetizzarsi.

Lo Spadaccino scelse proprio il penultimo giorno per tornare dai suoi compagni.

E da lei.

Ma non era solo.

E nemmeno in buone condizioni: medicato alla meno peggio un po’ ovunque, lacero e contuso, oltre alla solita sacca, portava, alla stregua di un pacco, una furente Marine, ben legata e, soprattutto, imbavagliata.
Da dietro gli occhiali incrinati incorniciati da scarmigliati capelli, osservava rabbiosa un indifferente Zoro come se fosse stato l’incarnazione della peggiore maledizione esistente sulla terra.

La Ciurma di Cappello di paglia li guardava, con gli occhi sbarrati quasi fuori dalle orbite, ma all’appello mancavano sia Sanji che Nami. Alla sua secca richiesta lo informarono che il primo si trovava come al solito in cucina, mentre lei era in camera, “dove passava gran parte del suo tempo”, aggiunse una fredda Robin che ostentava un sopracciglio alzato di disapprovazione per quanto lui aveva osato fare alla sua sorellina.

All’atipico silenzio sulla nave, normalmente più che chiassosa, curioso come un topo affamato, il Cuoco uscì a verificare cosa stesse accadendo.
Alla vista dello Spadaccino, ancora prima di notare la donna che così poco cavallerescamente portava, Sanji lo investì con tutto il repertorio che conosceva, giustificandolo alla fine con un: -Hai osato ferire la mia Nami-swan!

Sembrava aver esaurito gli improperi all’indirizzo dell’amico, ma non appena si accorse di Tashigi legata come un salame, il Mr. Prince in lui si svegliò e riprese ad inveire contro lo Spadaccino “Perché non si trattano così le signore!”