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Autore: Harmony394    20/05/2014    9 recensioni
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.
Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì.
(...)
«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».
Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto.
Loki ghignò. «Vi sono mancato?».

[SEQUEL DI: LA VOLPE E IL LUPO] [LokixNuovopg] [Accenni al film THOR:TheDarkWorld]
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Volpe e il Lupo.'
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~Lokasenna
Life’s too short
To be such an oblivious fool
So reckless that I couldn't see
Life’s too short to be so desperate to be loved
That I only ever thought of me
 
 
Emily protese una mano verso i fantasmi dei suoi genitori. Voleva toccarli, abbracciarli, baciarli sulle guance e sussurrare loro quanto le fossero mancati, quante volte aveva sognato di rivederli. Aveva paura che potessero scomparire da un momento all’altro, che fossero solo l’ennesima allucinazione, e d’istinto mosse un passo verso di loro, incurante del suo fianco sanguinante che supplicava cure e riposo. Voleva toccarli. Solo per un secondo, solo per una volta. Non aveva mai desiderato tanto in vita sua, ma adesso ogni piccola parte di lei, anche la più recondita e nascosta, supplicava di potersi beare di quella vista ancora un po’.
 
Oh, Antichi Dèi, se questo è un sogno vi prego – vi prego! – fatemi dormire ancora un po’, solo un altro po’…
 
Sua madre protese le mani verso di lei, un sorriso affabile e gentile le incurvava le labbra. Emily sfiorò le sue dita, ma quelle le passarono attraverso. Le lacrime le pizzicarono gli occhi. Che destino crudele, pensò con amarezza, vederli e non poterli toccare.
 
«Emily» Il cuore di Emily fece un balzo. Quante volte aveva desiderato udire la voce di sua madre? Quante volte l’aveva immaginata mentre le sussurrava all’orecchio e le accarezzava i capelli? Si sentì struggere: lo stomaco le si strinse in una morsa di ferro e una lacrima rigò il suo volto sporco e graffiato. Quanto desiderava abbracciarla, sentire il suo calore, baciarle le guance…
 
«Madre…», era appena un sussurro quello che le uscì dalla bocca, poco più di una supplica. Resta con me, avrebbe voluto dirle, Non andartene mai, mai più, ma la voce le rimaneva bloccata in gola, incastrata fra il cuore e le labbra.
 
«Sei stata molto coraggiosa» Le disse sua madre, posando una mano sulla sua guancia. Emily non sentì il suo tocco leggero, il profumo della sua pelle, il calore delle sue dita. Non sentì nulla, solo un leggero brivido freddo accarezzarle il viso. Eppure per lei era quanto di più bello potesse accaderle.
 
«Ora però sei con noi, bambina mia. Non ti lasceremo mai più» Era stato suo padre a parlare. La sua voce era profonda e un po’ rauca, ma Emily la trovò bellissima. «Lascia stare tutto il resto, non c’è più nulla per cui valga la pena lottare».
 
Non seppe spiegarsi il perché, eppure Emily provò uno strano senso di malessere, come se avesse inghiottito uno sciroppo troppo amaro. Non voleva abbandonare Jane Foster e deludere Thor, ma in cuor suo desiderava rimanere laggiù, con i suoi genitori. Si sentiva un mostro per ciò che stava pensando, per la codardia che le faceva tremare le dita e le labbra, ma non le importava. Era stanca, troppo stanca. Suo padre aveva ragione: doveva lasciar andare la presa, rimanere laggiù per sempre. Cosa aveva da perdere, in fondo? Vàlì era morto, Loki era andato via, Asgard era sotto assedio e Thanos il Titano era invincibile. A che pro continuare a lottare? Forse un giorno Thor l’avrebbe perdonata. Forse anche lei, un giorno, si sarebbe perdonata per quello che stava per fare.
 
«Tieni, piccola mia» Emily alzò lo sguardo. Dinanzi a lei, sua madre le tendeva un pugnale che risplendeva di una luce sinistra e argentea. A differenza delle figure dei suoi genitori, esso era solido e tangibile. «Non c’è nulla per cui valga la pena lottare, ormai. Lo sai bene, bambina».
 
Emily osservò il pugnale con occhi vitrei e labbra serrate. Non avrebbe riaperto gli occhi mai più. Non avrebbe più respirato, odiato, amato e sofferto. Non avrebbe provato più niente. Sarebbe stata libera da quel nodo che le stringeva il petto da quando Vàlì era morto, non avrebbe più rivisto Loki, pianto la sua assenza e maledetto gli Dèi per il destino ingiusto che le avevano riservato. Per un momento, giusto un battito del cuore, Emily desiderò davvero morire; lo desiderò con tutta se stessa. Solo quando la lama del pugnale riflesse il suo sguardo – sporco, esausto, sanguinante e vivo –, il pensiero della morte la spaventò più di ogni altra cosa.
 
«No… io… io non–».
«Saremo con te per tutto il tempo, Emily. Fino alla fine. Non sentirai più alcun dolore, alcuna tristezza. Sarai libera da ogni emozione negativa…».
 
E anche positiva, pensò Emily. Ma, anche se faticava ad ammetterlo, stentava a credere di poter mai più tornare a sorridere, o anche solo sognare. Non ricordava più l’ultima volta in cui aveva riso di gusto, l’ultima volta in cui era stata davvero felice. Forse non lo era mai stata davvero, o forse il dolore era così devastante da nascondere tutti quei bei ricordi a cui si era aggrappata con le unghie e con i denti durante quegli anni. Non lo sapeva. Al momento, la sua unica certezza era che non voleva più soffrire.
 
Strinse il pugnale. Era freddo come la morte.
 
«Resterete con me?» Chiese in un sussurro. Nella sua testa, bruciante più del fuoco, tornò l’immagine del sorriso malinconico di Loki. Sarebbe stato male, quando avrebbe saputo della sua morte?
 
I suoi genitori sorrisero melliflui. «Per sempre», risposero. Ed Emily alzò il pugnale.
 
Accadde tutto con rapidità: la lama luccicò come vetro lattiginoso riflettendo ciò che accadeva attorno a lei, ed Emily li vide: due feroci occhi rossi, paurosi e demoniaci che la fissavano. Appartenevano ai fantasmi dei suoi genitori.
 
Soffocò un grido per lo spavento e si tirò indietro di slancio, il cuore in gola e gli occhi sbarrati. I fantasmi dei suoi genitori mutarono forma, divenendo simili a mostri. Emily non riusciva a parlare. La paura le impediva di muoversi, di urlare e di respirare. La sagoma deformata e mostruosa di suo padre aprì le enormi fauci ricolme di denti aguzzi e si slanciò verso di lei. Spronata dalla paura stessa, Emily si scansò appena in tempo per evitarlo, ma nella fretta cadde a terra e rotolò giù dal cunicolo, finendo distesa su un cumolo di polvere e macerie. Terrorizzata e dolorante, corse il più velocemente possibile lontano da quel luogo. Non aveva idea di dove andare, tutto attorno a lei era buio e polveroso e ombre grottesche la seguivano passo dopo passo. Sentiva il fiato venirle meno, il fianco dolerle più del dovuto. Morirò, pensò mentre incespicava nei suoi stessi passi, Morirò e non vedrò mai più la luce del sole…
 
L’elsa fredda del pugnale premeva forte sul palmo della sua mano. Emily lo teneva stretto a sé come se fosse la sua unica ancora di salvezza, ciò che le garantiva una possibile via d’uscita. Ad un tratto, la grotta cominciò a franare ed enormi coltri di polvere si sollevarono in aria, soffocandola.
 
Uscire… devo uscire…
 
Gli occhi vuoti e iniettati di sangue del fantasma che aveva preso le sembianze di sua madre le si parò dinanzi all’improvviso. Emily impugnò forte il coltello e senza pensare a ciò che stava facendo affondò la lama nel petto della donna. Si aspettava che sarebbe passata attraverso, che il suo gesto sarebbe stato inutile, ma quando le sue dita si macchiarono di scuro e denso rosso sangue, capì che quelli non erano semplici fantasmi. La donna cacciò un urlo disumano, alto parecchie ottave, che sembrò perforarle i timpani, ed Emily tirò fuori il coltello giusto in tempo per tagliarle la gola e impedirle di toccarla. Non ebbe il tempo di vederla dissiparsi nel vento come cenere che riprese la corsa. Si aspettava di veder comparire il fantasma di suo padre da un momento all’altro. Poteva sentirlo. Era lì, dietro di lei, e la voleva morta. Se prima la morte le era parsa il più delicato dei balsami, adesso l’unica cosa che voleva era uscire da lì il prima possibile.
 
La grotta continuava a franare. Una parte di Emily era certa che sarebbe rimasta schiacciata sotto le macerie, l’altra continuava a gridare di andare avanti, di non fermarsi per alcuna ragione. Arrivò dinanzi a un’altra grotta; questa volta, però, poteva vedere uno spiraglio di luce filtrare da sopra la cima di un cumolo di rocce. La fine del percorso.
 
Una mano fredda, appiccicosa e reale le afferrò la caviglia nel momento stesso in cui stava per arrivare in cima. Reggendosi con forza alla sporgenza di una roccia, Emily si voltò: il fantasma di suo padre era lì, gli occhi scarlatti e le unghie delle mani affilate e marce. Dell’uomo dai bellissimi riccioli rossi che aveva visto poc’anzi non era rimasto più nulla, solo una mera, grottesca somiglianza.
 
«Vieni… bambina…» Anche la sua voce era diversa: stridula come lo starnazzare dei corvi. «Lasciati abbracciare… tuo padre ha desiderato a lungo poterti riabbracciare… tuo padre ti ama, piccina… ti ama così tanto…».
 
«Tu non sei mio padre!», gridò Emily, il viso paonazzo di rabbia. «Sei solo un mostro! Muori… muori!», e con un calcio sul volto lo fece precipitare giù dal lungo cumulo di rocce. Con lui, anche l’ultimo briciolo di speranza di aver visto i suoi veri genitori scivolò nell’abisso.
 
La terra cominciò a cedere. Questa volta, grossi massi rotolavano giù per il pendio di rocce dove era aggrappata. Emily digrignò forte i denti e, con unghie sanguinanti e braccia nere di polvere ed ematomi, tentò di arrivare in cima. Tutto tremava: la terra sotto i suoi piedi, la grotta, la sua vita che penzolava sopra il filo di un rasoio. Non pensava, Emily, non ne aveva il tempo. Doveva solo salire, tenere duro, andare avanti. Un altro masso rotolò giù dalla discesa, dritto verso di lei. Emily se ne accorse appena in tempo per spostarsi dalla sua traiettoria.
 
Avanti… devo andare avanti… avanti!
 
Una luce. Flebile, bianca, bellissima, le ferì gli occhi. Mancava poco… era vicina all’uscita! Poteva quasi sentire il vento fresco del palazzo di Hela, l’abbraccio stretto di Thor, le lacrime pizzicarle gli occhi. Era così vicina… così vicina!
 
La grotta tremò più forte, le dita sanguinavano copiosamente, la testa sembrava esploderle. Vi fu un rumore sordo, come di qualcosa che sbatte a terra, le orecchie le fischiarono come mai prima d’allora, l’uscita era lì… proprio lì…
 
«Emily!».
 
Vi fu un fascio di luce accecante. Il fiato le si spezzò in gola, i polmoni inalarono quanta più aria possibile, gli occhi bruciavano come tizzoni ardenti. Fece appena in tempo a capire di essere fuori, di essere viva, di sentire il tocco caldo delle dita di Thor addosso, la sua voce possente che la chiamava, che le ginocchia le vennero meno e crollò a terra. In un ultimo guizzo di lucidità, Emily colse lo scintillio di due lampeggianti occhi di ghiaccio, quelli del lupo di Hela, che la fissavano da lontano. Durò un solo istante, appena prima di sbattere la testa, qualcosa di caldo si fece largo dentro il suo petto, come se quel lupo la stesse avvolgendo in un abbraccio dolce, affettuoso, familiare.
 
Un drappo nero calò sui suoi occhi, lo sguardo dorato del lupo svanì e con esso anche il resto del mondo. Alla fine, rimase solo il silenzio.
 

 
C’erano tre certezze nella vita di Clint Barton: essere un arciere perfetto, un ottimo agente dello S.H.I.E.L.D e all’occasione anche un cuoco straordinario. Quello che però non sapeva, ma che avrebbe scoperto presto, era di essere anche un ottimo RovinatoreDiMomentiRomantici, perché era già la terza volta che beccava gente mentre pomiciava. La prima era stata durante una missione segreta: doveva recuperare un oggetto per lo S.H.I.E.L.D, uno di quei soliti manufatti che servivano per proteggere il mondo e blablabla, si era infiltrato nei condotti di aerazione della reggia dove viveva il mafioso che possedeva l’oggetto in questione e, proprio quando era stato certo di essere riuscito ad arrivare alla stanza esatta, si era lasciato cadere fuori dall’impianto metallico.
 
Ovviamente, si era ritrovato nella stanza da letto del TizioCattivo in questione, che si stava dando da fare con almeno tre puttane – anche piuttosto gnocche, doveva ammettere. Il tutto si era concluso con  una sparatoria che gli aveva fatto saltare la copertura e recato almeno dieci punti di sutura su per il fianco destro, e il recupero del dannatissimo manufatto, anche grazie a Natasha. La seconda volta era stata quando aveva sorpreso Tony Stark con il professor Banner che, oddio, non stavano facendo nulla di male, sul serio, anzi parlavano di un argomento piuttosto noioso – scienza e numeri e pianeti non erano proprio l’apice dell’erotismo, a parer suo – ma erano così affiatati che per un momento Clint si era sentito, oltre che un perfetto idiota, un terzo incomodo di dimensioni epocali e quindi aveva girato i tacchi e aveva lasciato Stark e Banner ai loro isterismi scientifici, tornandosene in camera a chiedersi perché diavolo dovessero capitare a lui, certi momenti. Infine, la terza e ultima volta la stava vivendo proprio in quel momento.
 
Quando Fury aveva lanciato l’appello di massima urgenza, urlando a un codice rosso di Livello Sette perché gli Oscuri avevano fatto breccia nelle loro fortezze, il suo primo pensiero era stato trovare Steve. Insomma… era lui quello che di solito aveva in mano la situazione, che diceva loro come muoversi e… e per Dio! Era Capitan America! A chi diavolo avrebbe dovuto rivolgersi se non a lui? Per questo quando aveva fatto irruzione nella sua stanza e lo aveva visto avvinghiato a Darcy Lewis – Proprio quella Darcy Lewis con gli occhiali quadrati e la maglietta di Batman! – mentre si scambiavano saliva, lingua e altra roba disgustosa, si era ammutolito di colpo. Clint era sempre stata un ottimo arciere, agente e cuoco, ma in quel momento era ridotto a poco più che un vegetale che non riusciva a capacitarsi di quello che vedeva.
 
Cristo, è proprio quella Darcy Lewis, l’aiutante della Foster. Quella che indossa sempre un capellino di colore diverso e che… oh… OH! E CHE HA UN GRAN BEL PAIO DI TETT—
 
«Clint! Ma che diavolo stai facend— oh» La voce di Natasha si arrestò di colpo. Clint si voltò a guardarla – non l’aveva vista arrivare – e notò che anche lei aveva dipinta sul volto un’espressione basita. D’altro canto, Steve e Darcy erano rimasti immobili, avvinghiati l’un l’altra, a guardarli con lo sguardo di chi voleva essere inghiottito dal pavimento per sempre.  
 
«Già, oh. Le fortune migliori capitano sempre agli altri…», sospirò Clint, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal petto di Darcy. Natasha se ne accorse e gli rifilò uno spintone e una gomitata alle costole, dopodiché si avvicinò a Darcy in fretta e in furia, il volto rosso d’imbarazzo, e le diede la prima cosa che trovò: un camicione a quadretti tipico degli uomini di mezza età, appartenente a Cap, il quale si riscosse all’improvviso da quello stato catatonico, divenne rosso fino alla punta dei capelli e si alzò dal letto incespicando fra le lenzuola alla ricerca di vestiti puliti. Il tutto mentre mormorava frasi sconnesse del tipo “Non posso credere di averlo fatto” e “Sono un idiota, uno stupido, stupidissimo idiota!”.
 
Darcy provò a boccheggiare qualcosa. «Io… lui… cioè noi…».
 
«MA SI PUÓ SAPERE COSA DIAVOLO STATE FACENDO IN UN MOMENTO DEL GENERE?!» La voce di Darcy venne sovrapposta da quella di Nick Fury, e Clint capì che quel cognome gli calzava a pennello. Solo in quel momento si ricordò che, in effetti, lì fuori c’era una guerra in corso. La guerra può anche aspettare quando ci sono due tette del genere nei paraggi, pensò. Ma qualcosa gli suggerì che era meglio non dirlo. «TU!» Nick Fury puntò un dito verso Darcy, che sussultò. «COSA DIAVOLO STAI FACENDO AL MIO SOLDATO MIGLIORE?!».
 
«Io veramente—».
 
«FUORI DA QUI! SUBITO!» Darcy non se lo fece ripetere due volte. Lanciò un ultimo sguardo a Steve, il quale la osservò quasi con rammarico, sgusciò fuori dalla stanza e mormorò una roba simile a “Ma qui dentro non si usa bussare?!”. «E TU!» Tutti trasalirono. Il dito di Fury si puntò minaccioso verso Cap, che s’irrigidì di colpo come un soldatino di piombo. «FARAI MEGLIO A INDOSSARE QUELLA DANNATA DIVISA E CORRERE FUORI DA QUI A FARE NERI I CULI DI QUEI FIGLI DI PUTTANA, SE NON VUOI ESSERE PRESO A CALCI IN CULO! E ADESSO FUORI DI QUI!».
 
«Ehi, ho visto la Lewis in mutandine coi gattini e i capelli spettinati qui fuori; ora, non vorrei dire nulla, ma… mi sono perso qualcosa? Ehi, Fury, perché così Furyoso?» Tony Stark, armatura rossa e dorata e visiera alzata per mostrare al mondo il suo ghigno beota, era entrato in scena in compagnia di Bruce Banner, il quale continuava a dirgli di tacere, che Fury lo avrebbe ammazzato e che fuori era in corso una guerra e quello non era proprio il momento esatto per fare dell’ironia.
 
Le sopracciglia di Fury si aggrottarono così tanto che per un momento Clint faticò a capire dove iniziasse il volto e dove finissero le sopracciglia. Se lì fuori c’erano un centinaio di Oscuri pronti a farli fuori, questo sarebbe stato il momento migliore per loro di irrompere nelle mura dello S.H.I.E.L.D.
 
«Fuori. Di. Qui.» Fury fece una pausa. Clint era certo che fosse lì per lì per esplodere e d’istinto agguantò una freccia dalla propria faretra. «SUBITO!».
 
E tutti, compreso Cap che stava ancora incespicando per alzare la cintola dei pantaloni, si diressero verso il clou della battaglia. Prima di varcare la porta che li avrebbe condotti fuori dalla base, Clint udì Stark mormorare a Steve: “E così alla fine il ghiacciolo si è sciolto, eh?”, che gli procurò un pugno dritto sul naso da parte sua. Clint non poté scoppiare in una grassa risata perché, d’un tratto, il cielo divenne nero come petrolio e gli uccelli iniziarono a pigolare spaventati e volare via dagli alberi. Nel cielo si era aperto un grosso varco, simile a quello di New York, dal quale fuoriuscirono un centinaio di Oscuri e Chitauri in sella alle loro navicelle spaziali. Erano in centinaia, Clint non riusciva a contarli. Cercò gli occhi di Natasha e costatò che quella lo stava già guardando. Riconobbe quello sguardo. Resta vivo, diceva mentre ricaricava una Magnum calibro cinquanta, la sua preferita. Clint non disse nulla, i suoi occhi parlavano per lui: Puoi contarci.
 
Ma quando dal varco uscì una navicella più grossa delle altre – più spaventosa delle altre –dalla quale sbucava la testa di quel figlio di puttana di Loki, una tizia dai capelli neri come ali di corvo, un alieno con una maschera di ferro, Malekith e un enorme, terribile e grottesco gigante alto circa il triplo di ognuno di loro, muscoloso quanto l’Hulk e con un terribile ghigno sul volto rude, Clint temette di doversi ricredere.
 
«Che diavolo è quello?  La voce di Tony Stark risuonò metallica all’auricolare. Vi fu un momento di silenzio, come la calma che precede la tempesta, e infine la voce di Fury riecheggiò nelle orecchie di ognuno di loro, simile ad una sentenza di morte.
 
«È Thanos».
 

 
La battaglia imperversava.
 
Le legioni di Oscuri si battevano contro i Vendicatori, i Chitauri razziavano le abitazioni e i sobborghi degli umani in cerca di qualcosa da uccidere, le forze armate dei terrestri insorgevano contro gli attacchi nemici. Loki, dall’alto della sua postazione, restava in silenzio. Aveva imparato da tempo a chiudere gli occhi di fronte a ciò che non desiderava vedere, e da quando Eris gli aveva mostrato quelle immagini di Emily sola e in preda ad un mostro con la quale non aveva speranze di vincere, aveva abbandonato ogni rimorso. Erano passate intere settimane da quel giorno, eppure non era ancora trascorsa una notte senza che la sognasse.
 
Nei suoi incubi, terribile, rimbombava ancora quella domanda: Che cosa hai fatto?
 
Era colpa sua se Emily era morta, se Vàlì era morto. Era sempre stata colpa sua: per essere un Gigante di Ghiaccio, un mostro, un assassino. Loki lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma in tutto quel tempo la presenza di Emily aveva alleviato quel peso, rendendolo un po’ più leggero da trasportare. Ma quando sei tu a spegnere l’ultima luce che ti rimane, cosa ti resta se non una profonda e soffocante oscurità?
 
«Non ti unisci alla festa, Loki?» La voce di Malekith era strascicata come un lungo sospiro. Il suo volto non era più coperto da una maschera e Loki poteva vederlo in tutta la sua malvagità. «Sembrerebbe quasi che la conquista di Midgard non ti entusiasmi più di tanto. Al contrario, pare affliggerti».
 
Loki gli rivolse un’occhiata in tralice. «Provare piacere per un libro di cui conosci già il finale è impossibile, Malekith. Che divertimento ne trai, se sai già come andrà a finire?».
 
«Be’, amor mio», Eris si avvicinò a loro e prese la parola. «Credo dovrai ricrederti. C’è ancora una sorpresa per te. Credimi, ne sarai lieto… oh, guarda! Sta per arrivare».
 
Nel cielo si aprì un’immensa voragine da cui entrarono un centinaio di guerrieri asgardiani capitanati da Odino, l’armatura dorata che rifletteva il cielo plumbeo e Slepinir come destriero. Loki rimembrò quel giorno di tanti anni prima, quando era giunto a Jötunheimr per salvare lui e Thor. Ironico come le cose fossero mutate in quegli anni: ora era lui il nemico da combattere, non più il figlio da trarre in salvo.
 
Che ne pensi, Padre? Sono abbastanza degno per te, adesso?
 
«Vai a dargli il benvenuto, Loki. Sono certa che Odino frema dalla voglia di vedere quanto sei cambiato in questi anni…» Sussurrò Eris al suo orecchio. Loki ghignò mentre un’irrazionale frenesia gli schiacciava il petto e i polmoni, pompando forte nelle vene. Afferrò il manico del suo pugnale, freddo come la morte, e si leccò le labbra. Non aveva più niente da perdere, in fondo. Quello era il suo momento. Forse, alla fine, poteva ancora vincere.
 
«No».
 Loki si voltò, Eris e Malekith fecero lo stesso. Alle sue spalle, l’Altro gli rivolgeva uno sguardo privo di espressione. «Loki deve venire con me. Thanos chiede di lui», fece una pausa, come a voler dare un tono alle sue parole. «Si tratta del patto che avete stipulato».
 
«E col vecchio orbo come la mettiamo? Qualcuno deve pur pensarci» Rispose Eris scocciata. Era evidente che fosse delusa dal non poterlo vedere in azione contro Odino. Da parte sua, anche Loki si sentì piuttosto scocciato, ma la rabbia passò in secondo piano non appena pensò al motivo per cui Thanos voleva parlargli. Il patto… aveva dunque deciso di rendergli la vita di Vàlì, alla fine?
 
«A lui penserà Malekith. Tu, donna, vedi di fare qualcosa per quei quattro imbecilli in calzamaglia. Uccidili, torturali, fai quello che più ti aggrada purché li levi di torno. Cominciano ad essere fastidiosi.».
 
Con evidente risentimento, Eris fece come le era stato detto e lo stesso valse per Malekith. Solo quando rimase solo con l’Altro, il cuore di Loki perse un battito. Stava per rivedere Vàlì? Thanos avrebbe mantenuto fede alla sua parola, dunque?
 
Camminarono per quella che parve un’eternità verso il punto più alto di un lungo corridoio. Più il tempo passava, più lo stomaco si restringeva. Cosa avrebbe detto a Vàlì, dopo averlo rivisto? Come gli avrebbe spiegato ciò che era accaduto ad Emily? Come avrebbe fatto a dirgli che tutto quello che stava accadendo era dovuto a lui? Che se ogni notte sognava gli occhi di Emily, il suo abbraccio, i suoi capelli ricci e rossi che non avrebbe mai più potuto sfiorare era solo colpa sua e della sua dannata ambizione?
 
Solo quando un rumore metallico di un portone che si spalancava lo raggiunse lontano come un’eco, Loki rinsavì da quei pensieri. La stanza era poco illuminata, ma scorse perfettamente il profilo aguzzo di Thanos pochi metri distante da lui. Loki avanzò e subito il cancello si richiuse con un tonfo secco dietro di lui. All’improvviso, tutto divenne gelido.
 
«Loki…» Thanos si voltò. Loki incrociò il suo sguardo cattivo, gli occhi luccicanti, il volto marmoreo che riluceva appena di una luce argentea e violacea nell’oscurità. Fra le dita stringeva con forza il Tesseract… o ciò che ne era rimasto. «Ho un problema, Loki…» Thanos cominciò a muoversi per la stanza, parlando con voce misurata, lo sguardo fisso su di lui. D’istinto, Loki portò la mano al suo pugnale. Sangue freddo, niente emozioni. Non farti vedere debole. «Ho riflettuto a lungo e a fondo, in queste ore… sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?».
 
«Per il patto che avevamo stipulato» Rispose Loki mitigato. Lo sguardo di Thanos lo trapassava da parte a parte, lo stesso che gli aveva lanciato prima di uccidere Vàlì.
 
«Esatto» Thanos si arrestò. Gli occhi verdi incontrarono quelli azzurri, freddi come non mai. Un brivido attraversò la schiena di Loki. «Sei stato un servitore fedele, Loki, mi hai portato il Tesseract e ti sei unito a me, rifiutando persino l’affetto della tua donna. Cosa si prova a tradire la fiducia dell’ultima persona rimastati fedele, Laufeyson?».
La fitta d’angoscia che lo attraversò da parte a parte fu come un pugno in pieno volto per Loki. Digrignò i denti con violenza per impedirsi di urlare, di fare mosse avventate. Il ricordo di Emily era ancora vivo nella sua mente e le parole di Thanos bruciavano come vino su ferite ancora aperte.
 
«Sono il Dio dell’Inganno. Ho smesso da tempo di preoccuparmi di ciò che gli altri pensano di me, Thanos» Sibilò fra i denti. Thanos gli si avvicinò circospetto.
 
«Bene, bene… ho sempre saputo che eri come me, Loki. Noi siamo diversi dagli altri. Migliori. Non abbiamo bisogno di nessuno all’infuori di noi stessi, per questo riusciamo ad andare avanti. A sopravvivere. Eppure…», fece una pausa e il suo sguardo si posò sullo scintillio del Tesseract stretto fra le sue dita possenti. «Eppure come tutti gli altri anche tu ti sei fatto corrompere dalla passione, dall’amore. Potevi essere il migliore, Loki, il più grande di tutti. Insieme avremo potuto fare grandi, grandissime cose... Mi duole ciò che sto per fare, ma non credo di avere altra scelta. Ogni promessa è debito, ed io mantengo sempre la parola data».
 
Loki non fece in tempo a scansarsi che Thanos lo prese per il collo e lo sollevò da terra, mozzandogli il respiro. Il pugnale stretto fra le sue dita crollò a terra con un tonfo e il respiro gli si mozzò in gola. Loki tentò di liberarsi, di fare qualcosa, ma era tutto inutile. La testa gli martellava con violenza e il cuore batteva forte contro la cassa toracica, come se sapesse che quelli erano gli ultimi secondi rimastigli.
 
«Non posso riportare in vita tuo figlio, Dio degli Inganni, ma ad ogni modo... posso tener fede ad un’altra promessa».
 
L’impatto con il suolo fu brusco e doloroso. Quando aprì gli occhi, Loki non vide nient’altro che un caleidoscopio di figure sfocate e confuse. Thanos lo aveva lanciato contro qualcosa di freddo, ferroso. Con orrore, si rese conto che si trattava di un trono.
 
«Volevi un trono, volevi essere Re. Ebbene, adesso lo sei. Midgard è tua, Laufeyson, e lo sarà fino alla fine».
 
Il freddo dell’acciaio avvolse Loki come una corda, stringendolo al trono di ferro fino a fargli male. Non riusciva a muovere le braccia, le gambe… era paralizzato. Gridò e tentò di ribellarsi, ma più si contorceva e più le catene si stringevano al suo corpo. La risata metallica di Thanos riecheggiò nella sala come un macabro requiem mentre si allontanava senza voltarsi e Loki sentì una rabbia violenta percorrerlo in tutto il corpo mentre le parole di Arvedui gli tornavano prepotenti in testa: C’è sangue nel tuo destino, e non si tratta di quello dei tuoi nemici. Verrai odiato da chi già ti biasima e ingannato da chi ti ha già mentito una volta. Aveva avuto ragione. Thanos gli aveva mentito. Lo aveva soggiogato come il più stupido dei mocciosi e lui glielo aveva lasciato fare nella speranza che Vàlì tornasse in vita, che tutto tornasse com’era prima.
 
Ripensò ad Emily, a Thor, ad Odino e al tempo che aveva perso in tutti quei secoli per inseguire un capriccio infantile, un sogno egoistico; ripensò a Vàlì, alle sue piccole efelidi sul naso, agli occhi così simili a quelli di Emily, ai momenti che non avrebbe vissuto mai più, e una tristezza feroce gli lambì le viscere. Chiuse gli occhi. Nella sua mente, bellissimo come lo ricordava, vi era ancora il volto di Emily, i suoi occhi cerulei tanto simili a quelli di Vàlì, le sue labbra screpolate e sottili, le sue mani rese ruvide dal freddo...
 
Emily...
 
Non seppe mai quanto tempo trascorse seduto in quel trono, a sopportare quelle catene d’acciaio che lo stringevano fino a strozzargli il respiro, a contare i suoi ultimi respiri, ma ad un tratto Loki lo udì, chiaro e terribile: un sibilo.
 
Alzò lo sguardo e lo vide: lì, sopra di sé, troneggiava un serpente lungo circa due metri, di colore nero e con lunghe spire argentee. Loki lo riconobbe come quello che Malekith gli aveva mostrato tempo addietro, quando avevano stretto il patto. Il serpente aprì le fauci e il veleno prese a sgocciolare copioso dai suoi lunghi canini, finendogli sul volto. Fu come ricevere una sferzata di frusta. Tutto di lui iniziò a bruciare, a bruciare e a bruciare ancora; urlare era inutile quanto necessario, Loki non poteva farne a meno. Sì sentì stringere la gola, gli occhi lacrimare per il troppo dolore, le gambe irrigidirsi e il corpo inarcarsi fino allo spasmo. Il dolore era ovunque. Pregò gli dèi di ucciderlo, di risparmiargli quella sofferenza, ma come per la gran parte delle preghiere nella vita, la sua non venne esaudita.  
 
 
 


-Note dell’Autrice.
 

1) La canzone si intitola: “Life’s too short (reprise)”, e fa parte delle canzoni eliminate del cartone animato Frozen. Se non lo avete ancora visto: shame on you and your cow!

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Eeeeed eccoci qui! All’attesissimo (?) penultimo capitolo! Manca solo un capitolo più l’epilogo e questa storia sarà ufficialmente CONCLUSA. Sono due anni che ci lavoro, mamma mia… non ci credo ancora. E—Ehi, che avete da guardare? Queste non sono mica lacrime! Mi è solo andato qualcosa nell’occhio! I—in tutti e due, ecco! Dannata primavera, porta sempre troppo polline! ç\\\\ç
Come potete vedere le cose si sono messe DECISAMENTE male. E Thanos è uno stronzo, ecco. Riusciranno i nostri prodi eroi, sfigatissimi come sono, a ritrovarsi? Boh. Preghiamo.
 
Prima che me lo diciate: sì, sì e ancora SI. Ci sono mooolte citazioni ad Harry Potter, anche abbastanza evidenti. Un biscotto a chi le troverà tutte. :P
Il titolo, Lokasenna, prende spunto proprio dalla mitologia dove è raccontato questo famosissimo mito in cui Loki viene legato a una pietra e un serpente gli vomita veleno addosso (che espressione poco felice…). Povero Loki, povero. *passa Nutella a Lolò*
 
Ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato un parere allo scorso capitolo. Risponderò a tutti il prima possibile, purtroppo la scuola mi uccide. Finalmente siamo agli sgoccioli…
 
Un ringraziamento speciale va a
vannagio, che come al solito mi aiuta nel betare i miei e(o)rrori. Tanti cuori per lei. <3
 
Al prossimo capitolo! Che, se tutto va secondo i piani (mai dire mai…), sarà l’ultimo. Yei.
 
Tatty-bye! <3

P.S: Come al solito, vi lascio i miei link di FB e Ask.fm. :) 
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