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Autore: Love Your Sin    20/05/2014    2 recensioni
Conteggio: 1.1K
[Martina aveva sempre amato le favole. Credeva nelle favole. E conosceva l'amore.
Martina aveva definitivamente cancellato la parola amore dal vocabolario. E aveva strappato tutti i libri di favole che aveva. Perché le favole erano solo frutto dell’immaginazione di qualcuno. E la vita, o almeno la sua, non era affatto una favola.]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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MARTINA...

Martina aveva sempre amato le favole. Si ricorda benissimo i momenti in cui, da piccola, prima di andare a dormire, sua mamma si fermava a leggerle una delle storie dal libro delle favole.
Credeva nelle favole.  E conosceva l’amore, perché sua mamma si soffermava a rimboccarle le coperte e a darle un bacio sulla fronte.

Martina aveva iniziato la scuola, poi. E quasi nessuno giocava con lei. Lei, sempre seduta, sotto le fronde di un  grande albero del giardino, con la schiena appoggiata al tronco, a guardare i suoi compagni divertirsi. E una volta, ancora ricorda, aveva pensato che, prima o poi, quella bambina che arrivava tutti i giorni con due treccine legate da fiocchi rosa, che sembrava molto simpatica, avrebbe giocato con lei. Ma non era mai successo.
Aveva conosciuto l’amore, guardando i suoi genitori scambiarsi un leggero bacio quando papà tornava dal lavoro. E, nelle favole, ci credeva ancora.

Alla medie, Martina non parlava con nessuno. Perché nessuno voleva farlo. Si sedeva tutti i giorni in un banco solitario, in ultima fila, e si perdeva sempre a guardare fuori dalla finestra, costringendo i professori a richiamare la sua attenzione.
E Martina la mattina non aveva mai voglia di alzarsi dal letto e non voleva mai andarci, a scuola. Perché tanto nessuno sarebbe arrivato a salutarla, salutandola e sorridendole.
Martina non conosceva gli abbracci.  Ma aveva scoperto l’amore, perché c’era quel suo compagno di classe che le piaceva tanto, quel ragazzo che aveva gli occhi coperti da un velo di mistero e che le faceva sempre battere forte il cuore. E quando gli passava accanto sentiva le farfalle nello stomaco che impazzivano e le sue guance tingersi di un rosso accesso. Ma neanche lui le parlava, proprio come tutti gli altri.
E Martina, nelle favole, non ci credeva più molto. Dov’era il suo principe azzurro?

Martina non credeva più tanto nemmeno nell’amore, perché i suoi genitori non si baciavano più quando papà rientrava dal lavoro. E lui beveva sempre, e sua mamma piangeva. E sua sorella non era mai a casa. E nonostante i suoi quattordici anni, Martina sentiva di dover diventare già adulta. Ma non voleva.
E a scuola la prendevano in giro, i suoi compagni. Perché papà era un “ubriacone”, come lo chiamavano. E le dicevano che era colpa sua, se aveva iniziato a bere. Colpa sua, perché non era una figlia perfetta. Perché a scuola andava discretamente, perché non usciva mai, si trascurava, non aveva amici e leggeva troppo.
E Martina non ci dava troppo peso, non ci credeva a quelle cose.
E non credeva più nemmeno nelle favole. Perché, nelle favole, gli altri non ti dicono cose cattive.
Ma Martina si sentiva ancora così bambina e nelle favole voleva crederci.

E poi i suoi compagni avevano iniziato a farle stupidi scherzi. Le rubavano sempre la merenda, e le facevano cadere i libri dalla cartella. E Martina doveva sempre fermarsi a raccogliere tutto, quando la campanella suonava. E non c’era nessuno che si arrestava per aiutarla, o anche solo che gli chiedeva se gli servisse una mano. E Martina si sentiva più sola che mai. E quando tornava a casa, Martina piangeva. Silenziosamente, ininterrottamente. Chiusa nella sua camera, rannicchiata contro il muro. E le lacrime le scorrevano sul viso, e lei le raccoglieva velocemente con la manica della sua larga felpa quando sentiva papà arrivare.
E aveva iniziato a tagliarsi. Uno, due, tre tagli. E questo la faceva sentire peggio e meglio al tempo stesso.
Nemmeno lei, a dire il vero, sapeva come si sentiva. Era confusa. A volte triste, a volte non aveva nemmeno la forza di scendere dal letto. A volte, invece, si sentiva anche abbastanza felice. E Martina, non sapeva più dire cosa fosse l’amore. E le favole non le leggeva più.

Un giorno, poi, papà se ne era andato. Era tornata da scuola e aveva trovato la mamma in cucina, che piangeva. E c’erano dei vetri per terra. Sua sorella le aveva solo detto ‘se ne è andato’ con voce appena percettibile.
Martina si era chiusa in bagno, e si era sentita in colpa. Era colpa sua, non era una figlia perfetta, non aveva amici. E papà si era stancato di lei, anche papà. E con quegli orribili pensieri, e le voci dei suoi compagni e le loro parole che le danzavano nella mente, aveva inciso un altro piccolo taglio sul suo gracile polso. E ora le sue braccia erano piene di piccoli segni rossi indelebili. Le cicatrici delle sue battaglie.

Poi Martina aveva iniziato il liceo, ed era stato un incubo. E nessuno, il primo giorno, si era voluto sedere vicino a lei.
E le prime volte, tutti i professori volevano parlare con i suoi genitori. E dissero a sua mamma se sapeva cosa le stava succedendo. Perché Martina era strana. Era chiusa, troppo. Era spaventata, impaurita, davvero troppo per la sua età. E quella sera, a casa, sua mamma aveva cercato di parlarle, sedute sul divano rovinato del soggiorno. Ma lei le aveva solo detto ‘E’ tutto okay, mamma’ ed era scappata nella sua camera, mentre qualche stupida lacrima aveva iniziato a solcarle il volto. E alcuni tagli si erano riaperti, e facevano più male del solito. E Martina aveva definitivamente cancellato la parola amore dal vocabolario. E aveva strappato tutti i libri di favole che aveva. Perché le favole erano solo frutto dell’immaginazione di qualcuno. E la vita, o almeno la sua, non era affatto una favola.

E poi, al secondo anno, si era ritrovata accanto ad una ragazza, dai lunghi capelli biondi e ricci. Era nuova. E lei le aveva sorriso, e Martina aveva ricambiato debolmente. Nessuno le aveva mai sorriso. E Martina si disse che doveva solo essere un’eccezione. Ma il giorno dopo la ragazza si risedette vicino a lei, e le sorrise ancora. E la salutò. E Martina, per una cosa così stupida, si sentì invasa dalla felicità. E per una volta si disse che tutto sarebbe andato per il verso giusto. E poi, con quella ragazza, ci era diventata amica. E non si separavano mai. E tutti in classe non rivolgevano loro parola. Ma a Martina non importava, perché ora aveva lei, aveva un’amica. Ed era terrorizzata all’idea che questa l’abbandonasse. Ma poi la paura era sfumata. E le aveva parlato dei suoi problemi, e si era sentita a posto. Si era sentita bene e confortata. E la ragazza l’aveva abbracciata forte, così forte che quasi non riusciva a respirare. E Martina, tra le sue braccia, si disse che, questa volta, ci sarebbe riuscita, a rimettere a posto la sua vita.
Aveva ricominciato a credere nell’amore, perché ora aveva la sua fantastica, incredibile amica.  Aveva anche ripreso a leggere le favole, perché d’altronde, lei il lieto fine lo aveva avuto. 
 
Non so cosa sia questa cosa, precisamente, ma mi sono trovata a scriverlo, quindi..ecco qua il risultato di una serata noiosa:) 
  
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