Bring
me to life.
Un paio di
giorni dopo il matrimonio, eravamo tornati in Italia, e come promesso
Cristine
e Daniel erano venuti con noi. Alloggiavano ad un paio di isolati da
casa dei
ragazzi, in un hotel. Appena tornata, avevo trovato Tabitha sul
balcone. “Amore
mio perdonami!” l’avevo implorata. Lei, in tutta
risposta, mi era salita sulle
spalle. Perfetto, amiche come prima.
Tutto era
ricoperto di polvere. Sul mio letto avevo trovato un ragno enorme,
appena lo
avevo visto avevo cacciato un urlo terribile. “Cosa
c’è?!” aveva chiesto
Manuela. Io le avevo indicato il ragno. Eravamo in due ad urlare. Era
stato
grazie all’intervento di Carol, se quel ragno era stato
eliminato.
“Ragazze,
mi sono stancata di pulire!” esclamai io, crollando esausta
sul divano. Era
tutto il giorno che lavoravamo, e io non ne potevo più.
“Dai, pensa questo:
dopo ci sarà anche il negozio!” fece Carol
fingendosi entusiasta. Io
piagnucolai un qualche tipo di lamento non ben definito.
“Quando hai finito di
farti possedere dagli alieni, vieni qua che ci manca poco” mi
rimbeccò Manuela.
“Gne” risposi io, alzandomi di peso e trascinandomi
come uno zombie fino alla
cucina. Circa mezz’ora dopo, avevamo finito. “Cosa
mangiamo?” chiesi subito.
“Io non cucino. Si chiama una pizza” rispose Carol,
perentoria, quasi fosse per
noi un gran sacrificio. “Facciamo venire i
ragazzi?” chiese Manuela,
speranzosa. In quel mese, il rapporto fra lei e Michael era diventato
stupendo,
passavano un sacco di tempo insieme, abbracciati, a riempirsi di baci,
come
qualsiasi coppietta romantica degna di questo nome. Erano davvero
adorabili.
Carol
compose il numero di Ashton. Pure loro erano troppo carini, molto
simili a
Michael e Manuela.
Io,
invece, ero single, ma non mi creavo problemi a baciare Luke.
Non capivo
il rapporto fra noi. Non ci eravamo mai detti le fatidiche due parole e
questo
mi riempiva di dubbi. Io ne ero innamorata, certo, ma forse per lui non
ero
altro che un passatempo, oppure era già fidanzato con
qualcun’altra a mia
insaputa. Aiuto, che disastro.
“Arrivano
fra cinque minuti” disse Carol. Ci demmo una mano a preparare
la tavola a tempo
di record e andammo a cambiarci: eravamo rimaste in pigiama tutto il
giorno. Mi
misi in fretta la mia camicia di seta, color avorio, e dei leggins neri
pesanti.
Completai con la mia amata cravatta di paillettes nere, che essendo
corta era
adatta ad una ragazza. Una volta mi ero provata quella di mio padre, e
mi
arrivava al bacino, quindi no grazie. Mi misi un cardigan nero, faceva
comunque
freddo. Mi truccai in poco, tentando di mascherare le occhiaie, e
scesi. Mi
sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per cinque secondi, prima che i
ragazzi
suonassero. Sbuffai. “Non c’è un attimo
di riposo” mi lamentai, andando ad
aprire la porta. “Genio, il cancello!” mi
richiamò Ashton ridacchiando,
indicando la cancellata di ferro battuto color bronzo, ancora chiuso.
“Scavalcate!”
risposi io, svogliata.
“Accidenti, che accoglienza” mi fece il verso
Ashton. “Ragazzi, ho sonno,
capitemi” dissi torva, aprendo il cancello. “Calum
è con Maddy” mi informò
Michael, mentre andava al piano superiore per salutare Manuela.
“Occhio,
bussa!” lo avvertii. Lui annuì, sparendo su per le
scale con Ashton, che aveva
chiuso la porta. Luke, invece, mi fece sparire fra le sue braccia.
“Hai tanto sonno?”
mi chiese con tono tenero, come se si stesse rivolgendo ad una bambina.
Io
annuii, mugolando piano. “Andiamo sul divano,
allora” mi disse. Io misi i piedi
sui suoi e ci dirigemmo verso il centro della sala, dondolando da un
piede
all’altro come pinguini. Ridacchiai, mentre cadevamo sul
morbido. Mi scoccò un
bacio a stampo sulla fronte, sul naso, sulla guancia, ovunque,
facendomi
ridere. Prese il plaid e ci avvolse in esso. Io appoggiai la testa
sulle sue
gambe, mentre lui mi dava l’ennesimo bacio, stavolta sulle
labbra. Questo fu il
primo cui mi diede la possibilità di rispondere, gli altri
erano durati una
frazione di secondo. Iniziò a giocherellare coi miei
capelli, mentre io facevo
le fusa come un gatto. Si mise a ridere. “Meow”
risposi io. Avevo troppo sonno per
rimanere sveglia, così chiusi gli occhi, stendendomi su un
fianco. Lui mi
carezzò piano la schiena, per poi risalire fino al collo e
scendere lungo il
braccio. Al caldo, sul morbido, coccolata da Luke, ci misi poco a
scivolare in
uno stato di dormiveglia senza nemmeno accorgermene.
Fui
svegliata da Luke, che mi scuoteva leggermente. “Coco, sono
arrivate le pizze”
sussurrò. Io mugugnai una risposta, sbadigliando e
alzandomi. Lui mi guardò e
si mise a ridere, guadagnandosi una mia occhiata interrogativa.
“Hai tutta la
guancia rossa” mi disse. “Solo dettagli. Tutto il
mondo è fatto di dettagli che
ci vogliono distrarre da ciò che è
importante” dissi. “Wow, filosofa appena
sveglia!”
mi schernì Ashton, passando lì di fianco.
“Ma quanto sei simpatico, Ash?”
chiesi io, ironica. Lui ridacchiò. “Venite a
tavola, innamorati” ci disse. Io e
Luke diventammo paonazzi, abbassando lo sguardo. “Wow, non
pensavo di mettervi
in crisi, scusate” ci disse lui, sgranando gli occhi e
andando in cucina. Io e
lui rimanemmo qualche istante sul divano, incerti, poi lui si
alzò e mi porse
una mano, come per aiutarmi a rialzarmi. Io l’afferrai e mi
issai, sorridente.
Andammo in cucina, dove gli altri ci aspettavano. Notai che Manuela si
era già
presa metà della mia pizza, lasciandomi una metà
della sua. Sorrisi, pensando alle
nostre piccole abitudini che ci accumunavano.
Una volta
seduti a tavola, Carol accese la tv. Trasmettevano Ghost.
“No, ti prego, piango!” esclamò Michael.
Lo guardammo
sorpresi. “Ehi, anche io sono un essere umano. Le lacrime
sono normali!” si
difese. Io annuii. “L’ho sempre detto”
sostenni. Ashton guardò ancora un
secondo il film, poi chiese: “Voi che ne pensate, della vita
dopo la morte, o
cose del genere?”
“Non
so.
Credo nella reincarnazione. In una vita precedente sono stata una spia,
un
serpente e un’aquila, ne sono sicura” disse Carol.
“E da dove viene questa
certezza?” fece Manuela. “Non so. Credo che il
comportamento di questa vita
dipenda da quello che sono stata in passato”
spiegò. La conversazione strava
prendendo una piega molto culturale e la cosa era strana, per noi.
“Sono
d’accordo con te” fece Michael. “Io
invece credo nella vita dopo la morte.
Sapete, no? Paradiso, cose del genere. E anche la storia delle anime
che hanno
qualcosa in sospeso sulla Terra, per me non fa una piega”
disse Luke. Ashton e
Manuela furono d’accordo. “E tu,
Coralie?” mi chiese Luke. Io riflettei un
attimo. “Per me non ci sono altre vite. Si sopravvive nel
ricordo di chi ci ha
amati” dissi. Mi guardarono qualche secondo, come ad
assimilare le mie parole.
“È un pensiero molto profondo, Coco” mi
disse Ashton. “Molto stile Foscolo” aggiunse
Luke. “Può darsi. Mi piaceva molto, come
convinzioni” spiegai. Passò qualche
secondo. “Poeta preferito?” chiese Manuela.
“Pascoli” dicemmo subito io e Luke,
per poi guardarci e metterci a ridere. Gli altri snocciolarono nomi di
poeti,
fra cui Manzoni, Leopardi e altri poeti che non ricordo. La pizza
finì fra
discorsi più o meno seri. Il pomeriggio, io e Luke andammo
in camera mia. Avevo
una dormita in sospeso e non ci avrei rinunciato facilmente.
“Ragazzi, adesso
riposatevi, poi andiamo al cinema a vedere qualche film con Calum e
Madison!”
ci avvertì Manuela. “Ok, ok, chiamateci quando
dobbiamo andare” feci. Ci
chiudemmo in camera e mi sdraiai sul letto, caldo per via dei raggi del
Sole.
Lui tirò le tende, immergendo la stanza in una penombra
rilassante, e si sdraiò
accanto a me. Io mi accoccolai contro il suo petto, con un mugolio di
gola. Lui
ridacchiò. “A che ora ti sei svegliata?”
mi chiese. “Alle sei meno un quarto.”
“E
sei
andata a letto alle…?”
“Due
e
mezza.”
“Coco!”
“Non
riuscivo a dormire!” mi difesi. Lui mi circondò
con le braccia, affondando il
viso nei miei capelli e lasciandomi tanti piccoli baci. “Non
ti dà fastidio se
dormo, vero?” chiesi quasi dispiaciuta. “No,
cucciola, tranquilla” mi disse
sorridendo e dandomi un lieve bacio sulla fronte.
“Sicuro?”
“Sì.
E poi,
sei così tenera mentre dormi” aggiunse con un
lieve sorriso, cui io risposi
subito. Appoggiai la testa contro il suo braccio.
“Coco?”
“Sì?”
“Mi
stai
bloccando la circolazione” mi disse, come fosse imbarazzato.
Io mi alzai
subito, con mille scuse, facendolo ridere. Mi fece stendere di nuovo,
accanto a
lui, e mi carezzò piano il collo, facendomi rilassare. In
poco, come era
successo prima di pranzo, scivolai nel sonno. Stavolta,
però, sognai.
Sognai il
suo sorriso, i suoi occhi, i suoi baci.
Sognai
lui.
Sognai noi.
Mi
svegliai qualche ora dopo, al caldo fra le braccia di Luke, sotto la
coperta.
Era tanto dolce, quando dormiva. E quando faceva qualsiasi altra cosa.
Gli diedi
un lieve bacio sul naso, attenta a non svegliarlo. Non servì
a niente: nello
stesso momento, un tonfo assordante provenne dal piano di sotto. Lui si
svegliò
di scatto, spaventato, e fece scontrare le nostre fronti. Gemetti,
portandomi
una mano alla testa, mentre lui faceva lo stesso.
“Ahi!” feci. “Tutto ok?” mi
chiese preoccupato. “Sì, sì. Ma che
è successo?” ribattei. Ci guardammo un
attimo, prima di fiondarci al piano di sotto. “Che
succede?!” domandai.
“Niente. Non è successo niente, vero
ragazzi?” fece subito Manuela. Gli altri
le fecero eco. Stavano facendo da scudo con il corpo a qualcosa ed io
ero
decisa a scoprire a cosa. Io e Luke cercammo di aggirarli, senza
successo.
Manuela e Carol erano davanti a me, Michael e Ashton davanti a Luke. Ad
un
certo punto, mi stancai: mi buttai di peso fra di loro, aprendomi a
forza un
varco. Quando vidi cos’aveva generato quel tonfo, mi coprii
una mano con la
bocca. “Oddio” dissi. La chitarra di Luke era a
terra, un paio di corde rotte.
Anche Luke la vide e divenne bianco. “La mia
bambina!” urlò, gettandosi in
ginocchio di fianco alla chitarra. “Come è
successo?” chiesi. “Ehm, io stavo,
come dire, camminando velocemente, e l’ho urtata per
sbaglio” fece Ashton,
cauto. Luke si voltò verso di lui, stavolta rosso in viso.
“Ashton!”
gridò, alzandosi in piedi e
avventandosi su di lui, che lo schivò. Iniziò a
correre, inseguito da Luke. Non
avevo dubbi: se l’avesse preso, l’avrebbe ucciso.
“Luke, tranquillo, ti ho
detto che mi dispiace!” esclamò Ashton, dietro al
divano. “Hai fatto cadere la
mia chitarra!” rispose lui. “Perché
reagisce così?” chiesi a bassa voce a Michael.
“Quella chitarra è un regalo di suo nonno, che
adesso è passato a miglior vita.
Ci tiene davvero tanto” mi spiegò. Io non dissi
niente, mentre osservavo
l’istinto omicida di Luke all’opera. Carol prese la
chitarra, per evitare che
uno dei due la calpestasse. Nel giro di qualche minuto, suonarono alla
porta.
Erano Calum e Madison, che appena videro la scena, sbuffarono.
“Scommetto che
Ashton ha fatto qualcosa alla chitarra di Luke” disse Calum.
“Hai vinto” rispose
Manuela. Ad un certo punto, mi stancai. “Luke!”
urlai, quando passò vicino a
me. Lui mi guardò. “Non ora, Coralie” mi
rispose, mentre Ashton riprendeva
fiato. “Luke, le corde si possono sostituire! Non
è una tragedia!” dissi. Lui
sospirò. “Lo sa che deve farci
attenzione!” disse, duro. “Non l’ho fatto
apposta!” si difese Ashton, ancora dietro il divano. Luke si
voltò verso di
lui, fulminandolo con lo sguardo. Io, mentre Luke non guardava, mi
passai le
dita sotto la gola in un gesto secco, come se me la volessi tagliare,
facendo
gesto ad Ashton di stare zitto. Lui non disse niente, mentre io, con lo
sguardo, chiamavo Carol. Manuela e Michael, invece, si misero ai lati
del
divano, pronti a bloccare un altro eventuale attacco di Luke.
“Luke, se vuoi ho
io le corde. Non le uso, te le regalo, anzi, vado a prenderle subito,
però
calmati. Non puoi ucciderlo solo perché ha
sbagliato!” disse Carol.
Eravamo
una squadra infallibile, nel calmare le persone. Io tastavo il terreno
per
trovare le vie migliori, Carol le attraversava e abbatteva i muri sulla
sua
strada, Manuela conteneva eventuali altri attacchi.
Gli occhi
di Luke zampillavano di rabbia, ma anche d’indecisione. Carol
stava arrivando
al suo obiettivo. Gli strinsi la mano una volta: andava bene. Due
volte,
significava male. Lei annuì impercettibilmente, continuando
per la sua strada.
In pochi
minuti, Luke capitolò. Si voltò verso Ashton, lo
sguardo basso. “Mi… Mi
dispiace di averti assalito” disse. “E a me di aver
fatto cadere la tua
chitarra” rispose lui, mesto.
Sembravano
due bambini rimbeccati dalla maestra.
“Adesso,
ragazzi, possiamo andare a vedere il film, o dobbiamo rimanere in casa
a
deprimerci?” chiese Calum. “Cosa si va a
vedere?” chiesi. “È un film uscito da
un po’, ma questo cinema proietta dopo anni. L’amore
non va in vacanza, si chiama” spiegò
Madison. “Mai sentito”
dissi. “Ok, andate a prepararvi, avete – e
controllò l’orologio – cinque
minuti” ci disse poi. “Tu sogni, cara!”
rispose Carol ridacchiando.
Venti
minuti dopo, eravamo in macchina. “Vi avevamo detto cinque
minuti, non un
quarto d’ora!” esclamò Calum, al
volante. Erano in ritardo. Luke fece
spallucce, con me sulle sue gambe. Mi cingeva dolcemente da tutto il
viaggio,
lasciandomi piccoli baci, di tanto in tanto, sul collo. Si era scusato
mille
volte per come si era comportato, sia con Ashton che con, soprattutto,
me.
Diceva che era stato uno stupido a perdere così il controllo
e se ne vergognava
tantissimo. Lo vedevo dai suoi occhi, quanto si sentiva male. Teneva lo
sguardo
basso e si torturava le mani.
Ad un
certo punto, mi stancai di vederlo così contrito. Gli presi
una mano e iniziai
a disegnarci sopra figure immaginarie, fino al polso. Sentivo che
cercava di
ritrarsi e che fremeva, probabilmente soffriva il solletico. Mi venne
da
sorridere quando, di scatto, si grattò la mano per placare
la sensazione di
prurito che quei miei gesti, lo sapevo, portavano. Mi voltai verso di
lui e gli
diedi un bacio a fior di labbra, cui lui rispose subito,
approfondendolo.
Sapeva di buono. “Ragazzi, mi dispiace interrompervi, siamo
arrivati” ci disse
Madison. Scendemmo dall’auto, alla ricerca degli altri, che
erano andati con la
macchina di Carol.
Prendemmo
in fretta i biglietti e ci sedemmo in sala. Era praticamente deserta,
segno di
quanto quel cinema era amato.
Il film
era bello, davvero, mi ripromisi di prenderlo o di chiedere a Carol se
ce
l’avesse in negozio. Mi misi a piangere in alcuni punti,
addirittura. Luke,
quando vide le mie lacrime, sorrise e mi strinse la mano, stretta a cui
risposi
subito. Alla fine, ero una fontana. “Non si può,
non posso avere le lacrime
così facili!” esclamai alla fine, esasperata. Luke
mi circondò la vita con un
braccio. “Non c’è niente di male
nell’essere sensibili” mi disse. La sua voce
mi fece venire un dubbio, così mi voltai verso di lui.
Sorrisi. “Hai pianto
anche tu?” chiesi. Lui ridacchiò prima di annuire.
“Siete fatti l’uno per
l’altra” ci disse Manuela con tono da melodramma
che voleva essere uno scherzo.
Risi sotto i baffi, sapevo cosa pensasse della questione
“sensibilità.” Luke mi
imitò, prima di sussurrare un lieve: “Lo
so” che mi fece avvampare. Manuela si
trattenne dal ridere nel vedermi così rossa e
saltellò via. Quella scena me ne
ricordò tanto un’altra.
Ero ad una
festa, di quelle in casa,
ma simile ad una in discoteca. Era la festa di carnevale, ma fatta
l’otto
maggio, quindi tutti i ragazzi avrebbero dovuto vestirsi da donna. Alla
fine,
su quindici, solo uno ne aveva avuto il coraggio. Stavamo aspettando
gli ultimi
due, che in teoria avevano rispettato la regola del costume, quando
suonarono
al cancello. Da lontano – la mia vista non è mai
stata messa bene – avevo visto
quelle che sembravano due, ehm, prostitute. “No, non possono
essere loro. Le
avranno chiamate i vicini.” Dissi alla padrona di casa, che
concordò con me,
dato che il cancello era uno per tutta la via. Magari quei due erano
rimasti
indietro.
Fu quando uno
si mise a saltellare e
a gridare: “Heidi! Heidi! Le caprette ti fanno
ciao!” che capimmo che sì, erano
loro.
Mi
ricordavo benissimo quante risate, quella sera, ci avevano strappato
quei due
matti. Ogni volta che vedevo qualcuno saltellare, mi veniva in mente
lui che
cantava Heidi. Mi misi a ridere da sola. “Perché
ridi?” mi chiese Luke. Manuela
mi guardò storta. “Tu pensi ancora a Svetly e
Uga?!” mi chiese. Io risi di
nuovo mentre annuivo. “Svetly e Uga?” Luke era
sempre più confuso. Manuela gli
spiegò tutto. “Poi quando abbiamo chiesto i loro
nomi uno ha fatto un piccolo
inchino e ha detto con voce tutta affettata e acuta: Svetlaaana!
L’altro ha
fatto lo stesso, poi ha detto con la voce di King Kong: Ugaaa! Dovevi
esserci,
erano una cosa fantastica, hanno fatto le cubiste per tutto il tempo,
era
troppo divertente!” spiegò. Luke era a
metà strada fra il divertito e
l’attonito. “Ridete, ridete, io intanto parlavo con
Sara. Sapete che fra sei
mesi c’è un’altra festa?”
chiese Carol. Io e Manuela ci illuminammo, Luke
aggrottò la fronte. “Fra sei mesi? E lo sapete
adesso?” chiese Ashton. “Sì, ci
dava sempre un larghissimo preavviso. Abbiamo saputo di quella della
fine della
scuola ad Halloween” spiegai. “Tema?”
fece invece Manuela. “Cantanti famosi” disse
Carol. Io esultai, aspettavo quella festa – avevo dato io
l’idea – dalla prima
liceo. “Mi dispiace di non poter venire, avrei voluto
vedervi” fece Madison.
Carol fece una faccia strana, quella di quando escogitava qualcosa.
“Peccato
che abbia già fatto carte false per cinque posti in
più…” disse con fare
diabolico. Esultammo. “Perfetto, allora sappiamo cosa faremo
fra sei mesi” disse
Calum. Ridacchiammo, la sua frase sapeva tanto di presa in giro.
Arrivammo
a casa nostra, dove Carol e Ashton si chiusero in cucina.
“Però preparate da
mangiare, non fate altro!” fece Madison, affamata.
“Certo!” fece Carol. La sua
parola venne soffocata da quello che con ogni probabilità
era un bacio.
“Mangeremo domani sera” dedussi io. Luke non disse
niente, stava sistemando le
corde della sua chitarra. Era davvero bella e la trattava con una cura
inimmaginabile. Non avendo niente da fare, andai al piano di sopra e
accesi il
computer. Andai subito su Internet, una playlist che avevo trovato
tempo prima.
“Come si chiamava?” mi chiesi da sola. Provai a
digitare “Gothic Metal”, senza
trovare ciò che cercavo. “Ascolti gothic
metal?” mi chiese Luke alle mie
spalle. Io sussultai, non mi ero accorta della sua presenza.
“Mi hai fatto
prendere un infarto” dissi, mentre si sentivano le prime note
di Bring me to life. “Mi
piacciono gli
Evanescence” dissi poi, chiudendo gli occhi.
“Sì, non sono male” fece Luke,
avvicinandosi alla tastiera. “Posso?” chiese. Io
annuii e lo vidi digitare: “Evanescence
– My Immortal”.
“Com’è
che
hai scoperto il Gothic Metal?” mi chiese. “Non so.
Ho avuto un periodo in cui
ascoltavo solamente canzoni tetre, e mi è passata fra le
mani la musica di Forgotten. Ero
ipnotizzata, quindi ho
cercato un genere che potesse assomigliarci. Su internet ho letto del
Gothic
Ambient e ho provato, ma non faceva lo stesso effetto, era troppo
tranquillo.
Poi ho visto una copertina degli Evanescence e ho indagato, ho visto
che il
loro genere è più che altro Gothic Metal e ho
fatto ricerche. Ho letto ogni
cosa che ho trovato e ho visto che corrispondeva perfettamente a quello
che
cercavo” spiegai. “Mi sono perso al Gothic
Ambient” mi disse Luke dopo qualche
secondo, leggermente imbarazzato. Io mi misi a ridere, mentre lui
faceva
partire My Immortal. Era davvero
bella, quindi alzai il volume. Sentimmo dei passi frettolosi sulle
scale e
Manuela apparve da noi. “Oddio io vi amo, questa canzone la
stavo cercando
ovunque!” esclamò, lanciandosi di peso sul mio
computer per leggere il titolo.
Io mi misi a ridere. Luke mi fece cenno di andare e io lo seguii.
Uscimmo di
casa, attraversammo la strada e ci ritrovammo al parco. Uno dei tanti
vantaggi
di vivere di fianco ad uno spazio verde. In poco, ci ritrovammo da
soli, al
buio, in mezzo all’erba. “Sai che al matrimonio
volevo proporti di ballare?” mi
chiese. Io arrossii. “Ma poi sei sparita, e ci siamo
ritrovati a giocare per i
corridoi” disse con un sorriso. Divenni ancora più
paonazza. Lui tirò fuori il
cellulare e da esso uscirono le note di Bring
me to life. “Quindi, ti va se proviamo
ora?” chiese poi sorridendo
speranzoso. Il suo sguardo così luminoso mi fece distendere
in un sorriso.
Accettai, mentre d’istinto le parole venivano fuori dalle mie
labbra.
How
can you
see into my eyes
Like
open
doors?
Leading
you
down into my core
When
I’ve
become so numb
Without
a
soul
My
spirit is
sleeping somewhere cold
Until
you
find in there
And
lead it
back home.
Lui
ridacchiò e mi prese una mano.
Wake me up.
Cantò
solo. Sapeva bene che avrei continuato, e infatti fu così.
Wake
me up
inside
(I
can’t
wake up)
Wake
me up
inside
(Save
me)
Call
my name
and save me from the dark
(Wake
me up)
Bid
my blood
to run
(I
can’t
wake up)
Before
I
come undone
(Save
me)
Save
me from
the nothing I’ve become.
Mentre
cantavamo, ci eravamo messi a ballare quello che doveva essere
un’imitazione di
un misto fra valzer, tango e altri balli che non sapevo identificare.
Ci venne
da ridere. Finimmo la canzone con un casqué, che ci vide
entrambi a terra.
Cadde sopra di me, mozzandomi il fiato. “Stai
bene?” mi chiese allarmato. Io
annuii, rialzandomi. Era caduto proprio su un punto del petto non
particolarmente simpatico, faceva male. Cercai di dissimulare il dolore
per non
farlo preoccupare. Lui mi abbracciò.
“Scusami” mi disse, lasciandomi un piccolo
bacio sulla curva del collo, dove sapeva che mi faceva impazzire.
“Tutto ok,
davvero” lo rassicurai. Lui rimase qualche secondo in
silenzio, poi: “Guarda in
alto” mi disse. Io obbedii e rimasi senza fiato: il cielo era
nero, senza una
nuvola, e le stelle si vedevano benissimo, chiare e luminose. Mi
abbracciò più
forte. Abbassai lo sguardo verso di lui e vidi che sorrideva,
guardandomi.
“Cosa c’è?” chiesi.
“Le stelle si riflettono nei tuoi occhi, sembrano brillare
insieme a loro” mi sussurrò. Io arrossi e abbassai
lo sguardo. “È quando guardo
il cielo che mi sento così… piccola”
dissi poi. Lui rimase in silenzio qualche
secondo e mi prese il viso fra le mani. “Tu non sei piccola.
Sei la mia piccola, e sei
bellissima” mormorò
prima di baciarmi.
*Angolo autrice*
Mi scuso per il capitolo orribile
Ecco il cielo che vedono
Grazie a tutti quelli che recensiscono e mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate, grazie davvero <3 <3 <3
Ciao a tuttii