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Autore: Ranyadel    20/05/2014    5 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bring me to life.

Un paio di giorni dopo il matrimonio, eravamo tornati in Italia, e come promesso Cristine e Daniel erano venuti con noi. Alloggiavano ad un paio di isolati da casa dei ragazzi, in un hotel. Appena tornata, avevo trovato Tabitha sul balcone. “Amore mio perdonami!” l’avevo implorata. Lei, in tutta risposta, mi era salita sulle spalle. Perfetto, amiche come prima.

Tutto era ricoperto di polvere. Sul mio letto avevo trovato un ragno enorme, appena lo avevo visto avevo cacciato un urlo terribile. “Cosa c’è?!” aveva chiesto Manuela. Io le avevo indicato il ragno. Eravamo in due ad urlare. Era stato grazie all’intervento di Carol, se quel ragno era stato eliminato.

 

“Ragazze, mi sono stancata di pulire!” esclamai io, crollando esausta sul divano. Era tutto il giorno che lavoravamo, e io non ne potevo più. “Dai, pensa questo: dopo ci sarà anche il negozio!” fece Carol fingendosi entusiasta. Io piagnucolai un qualche tipo di lamento non ben definito. “Quando hai finito di farti possedere dagli alieni, vieni qua che ci manca poco” mi rimbeccò Manuela. “Gne” risposi io, alzandomi di peso e trascinandomi come uno zombie fino alla cucina. Circa mezz’ora dopo, avevamo finito. “Cosa mangiamo?” chiesi subito. “Io non cucino. Si chiama una pizza” rispose Carol, perentoria, quasi fosse per noi un gran sacrificio. “Facciamo venire i ragazzi?” chiese Manuela, speranzosa. In quel mese, il rapporto fra lei e Michael era diventato stupendo, passavano un sacco di tempo insieme, abbracciati, a riempirsi di baci, come qualsiasi coppietta romantica degna di questo nome. Erano davvero adorabili.

Carol compose il numero di Ashton. Pure loro erano troppo carini, molto simili a Michael e Manuela.

Io, invece, ero single, ma non mi creavo problemi a baciare Luke.

Non capivo il rapporto fra noi. Non ci eravamo mai detti le fatidiche due parole e questo mi riempiva di dubbi. Io ne ero innamorata, certo, ma forse per lui non ero altro che un passatempo, oppure era già fidanzato con qualcun’altra a mia insaputa. Aiuto, che disastro.

“Arrivano fra cinque minuti” disse Carol. Ci demmo una mano a preparare la tavola a tempo di record e andammo a cambiarci: eravamo rimaste in pigiama tutto il giorno. Mi misi in fretta la mia camicia di seta, color avorio, e dei leggins neri pesanti. Completai con la mia amata cravatta di paillettes nere, che essendo corta era adatta ad una ragazza. Una volta mi ero provata quella di mio padre, e mi arrivava al bacino, quindi no grazie. Mi misi un cardigan nero, faceva comunque freddo. Mi truccai in poco, tentando di mascherare le occhiaie, e scesi. Mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per cinque secondi, prima che i ragazzi suonassero. Sbuffai. “Non c’è un attimo di riposo” mi lamentai, andando ad aprire la porta. “Genio, il cancello!” mi richiamò Ashton ridacchiando, indicando la cancellata di ferro battuto color bronzo, ancora chiuso. “Scavalcate!”  risposi io, svogliata. “Accidenti, che accoglienza” mi fece il verso Ashton. “Ragazzi, ho sonno, capitemi” dissi torva, aprendo il cancello. “Calum è con Maddy” mi informò Michael, mentre andava al piano superiore per salutare Manuela. “Occhio, bussa!” lo avvertii. Lui annuì, sparendo su per le scale con Ashton, che aveva chiuso la porta. Luke, invece, mi fece sparire fra le sue braccia. “Hai tanto sonno?” mi chiese con tono tenero, come se si stesse rivolgendo ad una bambina. Io annuii, mugolando piano. “Andiamo sul divano, allora” mi disse. Io misi i piedi sui suoi e ci dirigemmo verso il centro della sala, dondolando da un piede all’altro come pinguini. Ridacchiai, mentre cadevamo sul morbido. Mi scoccò un bacio a stampo sulla fronte, sul naso, sulla guancia, ovunque, facendomi ridere. Prese il plaid e ci avvolse in esso. Io appoggiai la testa sulle sue gambe, mentre lui mi dava l’ennesimo bacio, stavolta sulle labbra. Questo fu il primo cui mi diede la possibilità di rispondere, gli altri erano durati una frazione di secondo. Iniziò a giocherellare coi miei capelli, mentre io facevo le fusa come un gatto. Si mise a ridere. “Meow” risposi io. Avevo troppo sonno per rimanere sveglia, così chiusi gli occhi, stendendomi su un fianco. Lui mi carezzò piano la schiena, per poi risalire fino al collo e scendere lungo il braccio. Al caldo, sul morbido, coccolata da Luke, ci misi poco a scivolare in uno stato di dormiveglia senza nemmeno accorgermene.

Fui svegliata da Luke, che mi scuoteva leggermente. “Coco, sono arrivate le pizze” sussurrò. Io mugugnai una risposta, sbadigliando e alzandomi. Lui mi guardò e si mise a ridere, guadagnandosi una mia occhiata interrogativa. “Hai tutta la guancia rossa” mi disse. “Solo dettagli. Tutto il mondo è fatto di dettagli che ci vogliono distrarre da ciò che è importante” dissi. “Wow, filosofa appena sveglia!” mi schernì Ashton, passando lì di fianco. “Ma quanto sei simpatico, Ash?” chiesi io, ironica. Lui ridacchiò. “Venite a tavola, innamorati” ci disse. Io e Luke diventammo paonazzi, abbassando lo sguardo. “Wow, non pensavo di mettervi in crisi, scusate” ci disse lui, sgranando gli occhi e andando in cucina. Io e lui rimanemmo qualche istante sul divano, incerti, poi lui si alzò e mi porse una mano, come per aiutarmi a rialzarmi. Io l’afferrai e mi issai, sorridente. Andammo in cucina, dove gli altri ci aspettavano. Notai che Manuela si era già presa metà della mia pizza, lasciandomi una metà della sua. Sorrisi, pensando alle nostre piccole abitudini che ci accumunavano.

Una volta seduti a tavola, Carol accese la tv. Trasmettevano Ghost. “No, ti prego, piango!” esclamò Michael. Lo guardammo sorpresi. “Ehi, anche io sono un essere umano. Le lacrime sono normali!” si difese. Io annuii. “L’ho sempre detto” sostenni. Ashton guardò ancora un secondo il film, poi chiese: “Voi che ne pensate, della vita dopo la morte, o cose del genere?”

“Non so. Credo nella reincarnazione. In una vita precedente sono stata una spia, un serpente e un’aquila, ne sono sicura” disse Carol. “E da dove viene questa certezza?” fece Manuela. “Non so. Credo che il comportamento di questa vita dipenda da quello che sono stata in passato” spiegò. La conversazione strava prendendo una piega molto culturale e la cosa era strana, per noi. “Sono d’accordo con te” fece Michael. “Io invece credo nella vita dopo la morte. Sapete, no? Paradiso, cose del genere. E anche la storia delle anime che hanno qualcosa in sospeso sulla Terra, per me non fa una piega” disse Luke. Ashton e Manuela furono d’accordo. “E tu, Coralie?” mi chiese Luke. Io riflettei un attimo. “Per me non ci sono altre vite. Si sopravvive nel ricordo di chi ci ha amati” dissi. Mi guardarono qualche secondo, come ad assimilare le mie parole. “È un pensiero molto profondo, Coco” mi disse Ashton. “Molto stile Foscolo” aggiunse Luke. “Può darsi. Mi piaceva molto, come convinzioni” spiegai. Passò qualche secondo. “Poeta preferito?” chiese Manuela. “Pascoli” dicemmo subito io e Luke, per poi guardarci e metterci a ridere. Gli altri snocciolarono nomi di poeti, fra cui Manzoni, Leopardi e altri poeti che non ricordo. La pizza finì fra discorsi più o meno seri. Il pomeriggio, io e Luke andammo in camera mia. Avevo una dormita in sospeso e non ci avrei rinunciato facilmente. “Ragazzi, adesso riposatevi, poi andiamo al cinema a vedere qualche film con Calum e Madison!” ci avvertì Manuela. “Ok, ok, chiamateci quando dobbiamo andare” feci. Ci chiudemmo in camera e mi sdraiai sul letto, caldo per via dei raggi del Sole. Lui tirò le tende, immergendo la stanza in una penombra rilassante, e si sdraiò accanto a me. Io mi accoccolai contro il suo petto, con un mugolio di gola. Lui ridacchiò. “A che ora ti sei svegliata?” mi chiese. “Alle sei meno un quarto.”

“E sei andata a letto alle…?”

“Due e mezza.”

“Coco!”

“Non riuscivo a dormire!” mi difesi. Lui mi circondò con le braccia, affondando il viso nei miei capelli e lasciandomi tanti piccoli baci. “Non ti dà fastidio se dormo, vero?” chiesi quasi dispiaciuta. “No, cucciola, tranquilla” mi disse sorridendo e dandomi un lieve bacio sulla fronte. “Sicuro?”

“Sì. E poi, sei così tenera mentre dormi” aggiunse con un lieve sorriso, cui io risposi subito. Appoggiai la testa contro il suo braccio. “Coco?”

“Sì?”

“Mi stai bloccando la circolazione” mi disse, come fosse imbarazzato. Io mi alzai subito, con mille scuse, facendolo ridere. Mi fece stendere di nuovo, accanto a lui, e mi carezzò piano il collo, facendomi rilassare. In poco, come era successo prima di pranzo, scivolai nel sonno. Stavolta, però, sognai.

Sognai il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi baci.

Sognai lui.

Sognai noi.

 

Mi svegliai qualche ora dopo, al caldo fra le braccia di Luke, sotto la coperta. Era tanto dolce, quando dormiva. E quando faceva qualsiasi altra cosa.

Gli diedi un lieve bacio sul naso, attenta a non svegliarlo. Non servì a niente: nello stesso momento, un tonfo assordante provenne dal piano di sotto. Lui si svegliò di scatto, spaventato, e fece scontrare le nostre fronti. Gemetti, portandomi una mano alla testa, mentre lui faceva lo stesso. “Ahi!” feci. “Tutto ok?” mi chiese preoccupato. “Sì, sì. Ma che è successo?” ribattei. Ci guardammo un attimo, prima di fiondarci al piano di sotto. “Che succede?!” domandai. “Niente. Non è successo niente, vero ragazzi?” fece subito Manuela. Gli altri le fecero eco. Stavano facendo da scudo con il corpo a qualcosa ed io ero decisa a scoprire a cosa. Io e Luke cercammo di aggirarli, senza successo. Manuela e Carol erano davanti a me, Michael e Ashton davanti a Luke. Ad un certo punto, mi stancai: mi buttai di peso fra di loro, aprendomi a forza un varco. Quando vidi cos’aveva generato quel tonfo, mi coprii una mano con la bocca. “Oddio” dissi. La chitarra di Luke era a terra, un paio di corde rotte. Anche Luke la vide e divenne bianco. “La mia bambina!” urlò, gettandosi in ginocchio di fianco alla chitarra. “Come è successo?” chiesi. “Ehm, io stavo, come dire, camminando velocemente, e l’ho urtata per sbaglio” fece Ashton, cauto. Luke si voltò verso di lui, stavolta rosso in viso. “Ashton!” gridò, alzandosi in piedi e avventandosi su di lui, che lo schivò. Iniziò a correre, inseguito da Luke. Non avevo dubbi: se l’avesse preso, l’avrebbe ucciso. “Luke, tranquillo, ti ho detto che mi dispiace!” esclamò Ashton, dietro al divano. “Hai fatto cadere la mia chitarra!” rispose lui. “Perché reagisce così?” chiesi a bassa voce a Michael. “Quella chitarra è un regalo di suo nonno, che adesso è passato a miglior vita. Ci tiene davvero tanto” mi spiegò. Io non dissi niente, mentre osservavo l’istinto omicida di Luke all’opera. Carol prese la chitarra, per evitare che uno dei due la calpestasse. Nel giro di qualche minuto, suonarono alla porta. Erano Calum e Madison, che appena videro la scena, sbuffarono. “Scommetto che Ashton ha fatto qualcosa alla chitarra di Luke” disse Calum. “Hai vinto” rispose Manuela. Ad un certo punto, mi stancai. “Luke!” urlai, quando passò vicino a me. Lui mi guardò. “Non ora, Coralie” mi rispose, mentre Ashton riprendeva fiato. “Luke, le corde si possono sostituire! Non è una tragedia!” dissi. Lui sospirò. “Lo sa che deve farci attenzione!” disse, duro. “Non l’ho fatto apposta!” si difese Ashton, ancora dietro il divano. Luke si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. Io, mentre Luke non guardava, mi passai le dita sotto la gola in un gesto secco, come se me la volessi tagliare, facendo gesto ad Ashton di stare zitto. Lui non disse niente, mentre io, con lo sguardo, chiamavo Carol. Manuela e Michael, invece, si misero ai lati del divano, pronti a bloccare un altro eventuale attacco di Luke. “Luke, se vuoi ho io le corde. Non le uso, te le regalo, anzi, vado a prenderle subito, però calmati. Non puoi ucciderlo solo perché ha sbagliato!” disse Carol.

Eravamo una squadra infallibile, nel calmare le persone. Io tastavo il terreno per trovare le vie migliori, Carol le attraversava e abbatteva i muri sulla sua strada, Manuela conteneva eventuali altri attacchi.

Gli occhi di Luke zampillavano di rabbia, ma anche d’indecisione. Carol stava arrivando al suo obiettivo. Gli strinsi la mano una volta: andava bene. Due volte, significava male. Lei annuì impercettibilmente, continuando per la sua strada.

In pochi minuti, Luke capitolò. Si voltò verso Ashton, lo sguardo basso. “Mi… Mi dispiace di averti assalito” disse. “E a me di aver fatto cadere la tua chitarra” rispose lui, mesto.

Sembravano due bambini rimbeccati dalla maestra. 

“Adesso, ragazzi, possiamo andare a vedere il film, o dobbiamo rimanere in casa a deprimerci?” chiese Calum. “Cosa si va a vedere?” chiesi. “È un film uscito da un po’, ma questo cinema proietta dopo anni. L’amore non va in vacanza, si chiama” spiegò Madison. “Mai sentito” dissi. “Ok, andate a prepararvi, avete – e controllò l’orologio – cinque minuti” ci disse poi. “Tu sogni, cara!” rispose Carol ridacchiando.

 

Venti minuti dopo, eravamo in macchina. “Vi avevamo detto cinque minuti, non un quarto d’ora!” esclamò Calum, al volante. Erano in ritardo. Luke fece spallucce, con me sulle sue gambe. Mi cingeva dolcemente da tutto il viaggio, lasciandomi piccoli baci, di tanto in tanto, sul collo. Si era scusato mille volte per come si era comportato, sia con Ashton che con, soprattutto, me. Diceva che era stato uno stupido a perdere così il controllo e se ne vergognava tantissimo. Lo vedevo dai suoi occhi, quanto si sentiva male. Teneva lo sguardo basso e si torturava le mani.

Ad un certo punto, mi stancai di vederlo così contrito. Gli presi una mano e iniziai a disegnarci sopra figure immaginarie, fino al polso. Sentivo che cercava di ritrarsi e che fremeva, probabilmente soffriva il solletico. Mi venne da sorridere quando, di scatto, si grattò la mano per placare la sensazione di prurito che quei miei gesti, lo sapevo, portavano. Mi voltai verso di lui e gli diedi un bacio a fior di labbra, cui lui rispose subito, approfondendolo. Sapeva di buono. “Ragazzi, mi dispiace interrompervi, siamo arrivati” ci disse Madison. Scendemmo dall’auto, alla ricerca degli altri, che erano andati con la macchina di Carol.

Prendemmo in fretta i biglietti e ci sedemmo in sala. Era praticamente deserta, segno di quanto quel cinema era amato.

Il film era bello, davvero, mi ripromisi di prenderlo o di chiedere a Carol se ce l’avesse in negozio. Mi misi a piangere in alcuni punti, addirittura. Luke, quando vide le mie lacrime, sorrise e mi strinse la mano, stretta a cui risposi subito. Alla fine, ero una fontana. “Non si può, non posso avere le lacrime così facili!” esclamai alla fine, esasperata. Luke mi circondò la vita con un braccio. “Non c’è niente di male nell’essere sensibili” mi disse. La sua voce mi fece venire un dubbio, così mi voltai verso di lui. Sorrisi. “Hai pianto anche tu?” chiesi. Lui ridacchiò prima di annuire. “Siete fatti l’uno per l’altra” ci disse Manuela con tono da melodramma che voleva essere uno scherzo. Risi sotto i baffi, sapevo cosa pensasse della questione “sensibilità.” Luke mi imitò, prima di sussurrare un lieve: “Lo so” che mi fece avvampare. Manuela si trattenne dal ridere nel vedermi così rossa e saltellò via. Quella scena me ne ricordò tanto un’altra.

 

Ero ad una festa, di quelle in casa, ma simile ad una in discoteca. Era la festa di carnevale, ma fatta l’otto maggio, quindi tutti i ragazzi avrebbero dovuto vestirsi da donna. Alla fine, su quindici, solo uno ne aveva avuto il coraggio. Stavamo aspettando gli ultimi due, che in teoria avevano rispettato la regola del costume, quando suonarono al cancello. Da lontano – la mia vista non è mai stata messa bene – avevo visto quelle che sembravano due, ehm, prostitute. “No, non possono essere loro. Le avranno chiamate i vicini.” Dissi alla padrona di casa, che concordò con me, dato che il cancello era uno per tutta la via. Magari quei due erano rimasti indietro.

Fu quando uno si mise a saltellare e a gridare: “Heidi! Heidi! Le caprette ti fanno ciao!” che capimmo che sì, erano loro.

 

Mi ricordavo benissimo quante risate, quella sera, ci avevano strappato quei due matti. Ogni volta che vedevo qualcuno saltellare, mi veniva in mente lui che cantava Heidi. Mi misi a ridere da sola. “Perché ridi?” mi chiese Luke. Manuela mi guardò storta. “Tu pensi ancora a Svetly e Uga?!” mi chiese. Io risi di nuovo mentre annuivo. “Svetly e Uga?” Luke era sempre più confuso. Manuela gli spiegò tutto. “Poi quando abbiamo chiesto i loro nomi uno ha fatto un piccolo inchino e ha detto con voce tutta affettata e acuta: Svetlaaana! L’altro ha fatto lo stesso, poi ha detto con la voce di King Kong: Ugaaa! Dovevi esserci, erano una cosa fantastica, hanno fatto le cubiste per tutto il tempo, era troppo divertente!” spiegò. Luke era a metà strada fra il divertito e l’attonito. “Ridete, ridete, io intanto parlavo con Sara. Sapete che fra sei mesi c’è un’altra festa?” chiese Carol. Io e Manuela ci illuminammo, Luke aggrottò la fronte. “Fra sei mesi? E lo sapete adesso?” chiese Ashton. “Sì, ci dava sempre un larghissimo preavviso. Abbiamo saputo di quella della fine della scuola ad Halloween” spiegai. “Tema?” fece invece Manuela. “Cantanti famosi” disse Carol. Io esultai, aspettavo quella festa – avevo dato io l’idea – dalla prima liceo. “Mi dispiace di non poter venire, avrei voluto vedervi” fece Madison. Carol fece una faccia strana, quella di quando escogitava qualcosa. “Peccato che abbia già fatto carte false per cinque posti in più…” disse con fare diabolico. Esultammo. “Perfetto, allora sappiamo cosa faremo fra sei mesi” disse Calum. Ridacchiammo, la sua frase sapeva tanto di presa in giro.

 

Arrivammo a casa nostra, dove Carol e Ashton si chiusero in cucina. “Però preparate da mangiare, non fate altro!” fece Madison, affamata. “Certo!” fece Carol. La sua parola venne soffocata da quello che con ogni probabilità era un bacio. “Mangeremo domani sera” dedussi io. Luke non disse niente, stava sistemando le corde della sua chitarra. Era davvero bella e la trattava con una cura inimmaginabile. Non avendo niente da fare, andai al piano di sopra e accesi il computer. Andai subito su Internet, una playlist che avevo trovato tempo prima. “Come si chiamava?” mi chiesi da sola. Provai a digitare “Gothic Metal”, senza trovare ciò che cercavo. “Ascolti gothic metal?” mi chiese Luke alle mie spalle. Io sussultai, non mi ero accorta della sua presenza. “Mi hai fatto prendere un infarto” dissi, mentre si sentivano le prime note di Bring me to life. “Mi piacciono gli Evanescence” dissi poi, chiudendo gli occhi. “Sì, non sono male” fece Luke, avvicinandosi alla tastiera. “Posso?” chiese. Io annuii e lo vidi digitare: “Evanescence – My Immortal”.

“Com’è che hai scoperto il Gothic Metal?” mi chiese. “Non so. Ho avuto un periodo in cui ascoltavo solamente canzoni tetre, e mi è passata fra le mani la musica di Forgotten. Ero ipnotizzata, quindi ho cercato un genere che potesse assomigliarci. Su internet ho letto del Gothic Ambient e ho provato, ma non faceva lo stesso effetto, era troppo tranquillo. Poi ho visto una copertina degli Evanescence e ho indagato, ho visto che il loro genere è più che altro Gothic Metal e ho fatto ricerche. Ho letto ogni cosa che ho trovato e ho visto che corrispondeva perfettamente a quello che cercavo” spiegai. “Mi sono perso al Gothic Ambient” mi disse Luke dopo qualche secondo, leggermente imbarazzato. Io mi misi a ridere, mentre lui faceva partire My Immortal. Era davvero bella, quindi alzai il volume. Sentimmo dei passi frettolosi sulle scale e Manuela apparve da noi. “Oddio io vi amo, questa canzone la stavo cercando ovunque!” esclamò, lanciandosi di peso sul mio computer per leggere il titolo. Io mi misi a ridere. Luke mi fece cenno di andare e io lo seguii. Uscimmo di casa, attraversammo la strada e ci ritrovammo al parco. Uno dei tanti vantaggi di vivere di fianco ad uno spazio verde. In poco, ci ritrovammo da soli, al buio, in mezzo all’erba. “Sai che al matrimonio volevo proporti di ballare?” mi chiese. Io arrossii. “Ma poi sei sparita, e ci siamo ritrovati a giocare per i corridoi” disse con un sorriso. Divenni ancora più paonazza. Lui tirò fuori il cellulare e da esso uscirono le note di Bring me to life. “Quindi, ti va se proviamo ora?” chiese poi sorridendo speranzoso. Il suo sguardo così luminoso mi fece distendere in un sorriso. Accettai, mentre d’istinto le parole venivano fuori dalle mie labbra.

 

How can you see into my eyes

Like open doors?

Leading you down into my core

When I’ve become so numb

Without a soul

My spirit is sleeping somewhere cold

Until you find in there

And lead it back home.

 

Lui ridacchiò e mi prese una mano.

 

Wake me up.

 

Cantò solo. Sapeva bene che avrei continuato, e infatti fu così.

 

Wake me up inside

(I can’t wake up)

Wake me up inside

(Save me)

Call my name and save me from the dark

(Wake me up)

Bid my blood to run

(I can’t wake up)

Before I come undone

(Save me)

Save me from the nothing I’ve become.

 

Mentre cantavamo, ci eravamo messi a ballare quello che doveva essere un’imitazione di un misto fra valzer, tango e altri balli che non sapevo identificare. Ci venne da ridere. Finimmo la canzone con un casqué, che ci vide entrambi a terra. Cadde sopra di me, mozzandomi il fiato. “Stai bene?” mi chiese allarmato. Io annuii, rialzandomi. Era caduto proprio su un punto del petto non particolarmente simpatico, faceva male. Cercai di dissimulare il dolore per non farlo preoccupare. Lui mi abbracciò. “Scusami” mi disse, lasciandomi un piccolo bacio sulla curva del collo, dove sapeva che mi faceva impazzire. “Tutto ok, davvero” lo rassicurai. Lui rimase qualche secondo in silenzio, poi: “Guarda in alto” mi disse. Io obbedii e rimasi senza fiato: il cielo era nero, senza una nuvola, e le stelle si vedevano benissimo, chiare e luminose. Mi abbracciò più forte. Abbassai lo sguardo verso di lui e vidi che sorrideva, guardandomi. “Cosa c’è?” chiesi. “Le stelle si riflettono nei tuoi occhi, sembrano brillare insieme a loro” mi sussurrò. Io arrossi e abbassai lo sguardo. “È quando guardo il cielo che mi sento così… piccola” dissi poi. Lui rimase in silenzio qualche secondo e mi prese il viso fra le mani. “Tu non sei piccola. Sei la mia piccola, e sei bellissima” mormorò prima di baciarmi.

 

*Angolo autrice*

Mi scuso per il capitolo orribile

Ecco il cielo che vedono

Grazie a tutti quelli che recensiscono e mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate, grazie davvero <3 <3 <3

Ciao a tuttii

  
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