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Autore: Lilylovesbones    31/07/2008    1 recensioni
Terzo tentativo di caricarla. Speriamo di riuscirci e che vi piaccia:
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Hope Cullen -Dove stai andando?-
-Mi dispiace devo andare via. Non è colpa tua, ma io non posso più rimanere-
-Adesso mi dici dove hai intenzione di andare. E non credere che non lo scoprirò!-
-Lo vuoi sapere. Me ne vado da te, dalla tua famiglia e da questa vita. Ho capito quello che dovevo capire: non ne vale la pena. Adesso lasciami andare-
Dopo aver sentito quelle parole, l'uomo lasciò il polso della donna, permettendole di andare via, se avesse potuto, sarebbe scoppiato a piangere.

17 ANNI DOPO
Conoscevo la storia a memoria: i miei si erano conosciuti a scuola, colpo di fulmine e poi ero nata io. Mio padre non aveva preso bene la notizia del mio arrivo e aveva deciso che non eravamo abbastanza importanti per lui. Se ne era andato lasciando mia madre incinta di due mesi nella città di Jacksonville, ma continuava a mantenere il contatto con me via lettera, o così mia madre mi voleva far credere. Sapevo benissimo che era la sua migliore amica Angela a spedirle e a fingersi mio padre. La mamma mia ha sempre voluto troppo bene.
-Hope, muoviti o farai tardi a scuola!!!-Mia madre è bravissima a farmi prendere infarti alle sette del mattino.La cosa assurda è che vivevamo a neanche 500 metri dalla scuola, quindi mi sarei potuta benissimo svegliare tardi.
-Arrivo mamma. Hai mica visto la mia felpa verde?-
-L'ho messa da lavare. Era lurida-rispose lei prima di inciampare per la millesima volta nel tappeto.
-Guarda dove vai. A volte aiuta (nd. questa è una delle battute che Edward dice nel film)-le dissi io riacchiappandola per i fianchi, cosa a cui ero abituata sin dall'età di dieci anni, età in cui mi ero resa conto che mia madre non sarebbe mai stata capace di camminare su di una superficie liscia senza rischiare danni permanenti.
-Lo farò. Assomigli a tuo padre ogni giorno di più:dite sempre le stesse cose-mi disse lei guardandomi con una faccia triste che conoscevo bene.
-Non è vero. Se gli assomigliassi inimamente sarei già andata via-le dissi con il tono che utilizzavo solo quando parlavo di lui
-Adesso vai, o farai tardi!-mi disse. Ero consapevole di aver appena detto una cosa che l'aveva ferita nel profonod, ma quando tirava fuori l'argomento "papà" non rispondevo più di me.
Andai a scuola come ogni giorno, al solito seguii le lezioni con interesse e come al solito mi isolai in biblioteca durante tutta la pausa pranzo. Da quando avevo iniziato il liceo era la mia routine: squillata la campanella di mezzogiorno mi prendevo la roba in mensa e andavo a sedermi in biblioteca a leggere, ascoltando la musica sul'Ipod sparato a palla. I libri e la musica: la mia droga!
L'unico motivo per cui mi rifugiavo in biblioteca era per non sentire le voci. A sei anni avevo infatti scoperto di essere capace di leggere nella mente degli altri, riuscivo ad esplorare ogni minimo pensiero di qualunque persona, tranne mia madre. Non ho mai capito come mai.
La fine delle lezioni era una liberazione: tornavo a casa, preparavo la cena per me e la mamma, conversavamo della nostra giornata e poi mi rifugiavo in camera ad ascoltare la musica. Sennò mi esercitavo al pianoforte, mia segreta passione sin dall'infanzia: mia madre si divertiva e farmi suonare musiche a piecere per poi fargliele indovinare, anche se la nostra preferita rimaneva "Claire de Lune" di Debussy.
Ma la mamma quel giorno arrivò più tardi del solito e fu così che scoprì la verità. Come al solito, prima di entrare in casa, presi la posta dalla cassetta. Il problema di vivere in una casa con due Sig.ne Swan era che non sapevi mai a chi fosse destinata la lettera finchè l'aprivi. Mia madre smise di usare il cognome da sposata subito dopo che mio padre ci lasciò.

                                                                                                                                                                                                                  Helena, 10 Dicembre 2024
Cara Isabella
mi rendo conto che la nostra corrispondenza è terminata bruscamente diciassette anni fa', ma mi piecerebbe riprenderla. Sono consapevole che probabilmente non vorrai rendere noto a Edward del nostro precedente scambio di lettere e ti assicuro che non ne verrà mai a conoscenza.Se non vorrai riprendere a scrivermi, comprenderò, ma ti prego di rispondere solo ad una mia domanda: perchè 17 anni fa' te ne andasti? Me lo sono sempre chiesto e cos' Edward, Alice e gli altri. Ti abbiamo fatto qualche cosa di male? Se si, cosa? Ti prego di rispondere a queste semplici domande e spero che vorrai riprendere la nostra conversazione da dove si interruppe molti anni fa.

Con Affetto, Carlisle Cullen


Cosa intendeva l'uomo della lettera quando diceva che era mia madre ad essersene andata? Lei mi aveva sempre detto che mio padre non se la sentiva di diventare padre così giovane e che quindi se l'era data a gambe. Che mia madre mia avesse mentito in tutti quegli anni? Non credo ne fosse capace, anche se le mie certezze si erano infrante grazie a quella lettera. Chi era Alice? E Edward? Perchè mia madre non mi aveva detto la verità, perchè non avevo mai sentito parlare di nessuna delle persone citate nella lettera?
Mi fiondai in camera di mia madre e tirai fuori la sua scatola dei segreti, quella che mi era stat proibito di aprire si da quando avevo ottenuto la capacità di caminare. Mia madre l'apriva ogni tanto e io la spiavo sempre,ma non ero mai riuscita a scorgere un elemento di quella scatola. Era arrivato il tempo di rompere le promesse: tirai giù dall'armadio la scatola e l'aprì.
All'interno c'erano un sacco di foto, pezzi di carta, libri e CD. Presi la prima foto che mi capitò tra le mani: ritraeva mia madre a diciotto anni, probabilmente l'anno in cui era rimasta incinta di me. Insieme a lei c'erano le persone più belle che avessi mai visto, ma quello che mi colpì di più fu quello che stava abbracciando mia madre: capelli color del bronzo, occhi color del miele, alto all'incirca uno e ottantasette. Fissava mia madre con uno sguardo da innamorato e la stringeva forte, le stava posando un bacio tra i capelli.
Con loro c'era anche un folletto: veramente era una ragazza, della loro età, che assomigliava ad un folletto. Lei stava abbracciando un ragazzo dalla chioma leonina che la fissava come se fosse stata l'unica cosa esistente in tutto il globo. C'era anche un altro ragazzo, che i fece venire i brividi. Era il più grosso di tutti ed era venuto sfocato, mentre tentava di tirare nell'obbiettivo una ragazza dai capelli color del grano. Come sfondo avevano una casa fatta interamente di finestre.
Un'altra foto ritraeva mia madre abbracciata al ragazzo dai capelli bronzati, vestiti da matrimonio. Il loro. Sembravano davvero innamorati e glielo si vedeva in faccia.
Ma perchè allora mia madre mi aveva sempre raccontato di essersi sposata con lui per colpa della gravidanza?
C'era un'unica possibilità: mi fiondai al mio computer e prenotai un biglietto per il primo aereo disponibile diretto a Helena. Ringraziando Dio, mia nonna ci si era trasferita con il marito quando quest'ultimo aveva smesso di giocare a baseball. Le telefonai e le chiesi se mi avesse potuto ospitare per qualche giorno: fortunatamente mi adorava e mi disse si senza fare domande, ma mi sentivo in dovere di trovare una scusa. Le dissi che da noi le vacanze di Natale erano iniziate prima e che avevo voglia di passare le vacanze con lei. Magari poi gli ultimi giorni li avrei passati con nonno Charlie a Forks, non ci vedevamo da qualche mese ed iniziava a mancarmi tanto. Gli volevo davvero un mare di bene.
A mia madre non scrissi niente, l'avrei fatta preoccupare e questo mi dava una sensazione piacevole.In fondo mi aveva mentito per tutta la mia vita, era un mio diritto cercare di scoprire cosa fosse realmente successo tra i miei genitori.
Presi un taxi sino all'aereoporto e aspettai pazientemente l'arrivo dell'aereo per Helena cercando di cancellare le voci dei passeggeri dalla mia testa.
  
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