Serie TV > Numb3rs
Segui la storia  |       
Autore: y3llowsoul    22/05/2014    3 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sì, sono ancora là :)
Grazie mille a BlackCobra ed ewan91 e grazie a tutti che seguono ancora la storia. Divertitevi!

 




37. La volontà per sperare

Claim your right to science.
Claim your right to see the truth.
Though my pangs of conscience
will drill a hole in you.
(Aqua, Turn Back Time)
 

Il cervello di Charlie era ancora una sigma-algebra di caos quando venne accompagnato nella sua cella. Lavorava ancora febbrilmente, sempre confrontando le possibilità, analizzando le conseguenze, per capire se non avesse fatto un errore dopotutto.

Si accorse appena che la porta si bloccò dietro di lui, e non fece neanche attenzione al come i suoi sequestratori avessero reagito al suo rifiuto. Ricordava vagamente il lungo silenzio che era seguito alla sua risposta e alla voce calma di Rosenthal. Deplorevole. Davvero, deplorevole, aveva detto, adesso Charlie ricordava, e solo allora le parole riuscirono a far correre brividi lungo la sua schiena. Aveva fatto un errore quindi...?

Non aveva veramente avuto una scelta. Certo, non aveva letto il contratto che Rosenthal gli aveva dato – non aveva avuto i nervi per farlo –, ma non aveva nessun dubbio che la sua firma sotto quel contratto avrebbe significato la sua totale distruzione. Si sarebbe consegnato nelle loro mani, sarebbe caduto una volta per tutte nelle loro grinfie senza speranza di esser liberato e nel farlo loro non avrebbero nemmeno commesso un crimine. No, no, no, era fuori questione; non doveva firmare questo contratto.

E inoltre... Se avesse acconsentito a collaborare con loro, prima o poi sarebbe probabilmente di nuovo stato costretto a fare calcoli che avrebbero significato la morte di numerose persone innocenti. E non poteva portare altri omicidi sulla coscienza. Non poteva. Perché questa volta l'avrebbe fatto consapevolmente... Stette male al pensiero.

Dunque la cooperazione con i terroristi non era un'alternativa. Eppure... Aveva riconosciuto la macchina di Larry, riconosciuto con certezza, e i numeri della targa che aveva potuto leggere erano davvero quelli della vecchia volpe di Larry. Ma non poteva essere, giusto? Larry.... non poteva –

Charlie credette di essere sul punto di vomitare, ma invece gli vennero solo le lacrime agli occhi. Tentò di trattenerle con il palmo della mano, ma questo rinforzò solo la nausea e il mal di testa. Gli sembrava come se il suo cranio stesse per scoppiare. Non poteva più sopportarlo, era talmente tanto...

Era proprio come tempo prima, con Don.

Charlie si costrinse a respirare profondamente. Anche durante l’interrogatorio, questo aveva funzionato molto bene. L'unica possibilità di spiegare le cose successe era che i suoi sequestratori gli avevano, di nuovo, mentito. Non ci doveva essere un'altra possibilità. Allora, avevano affermato che Don era morto, ma non era stata la verità, era stata una bugia, e anche questo doveva essere una bugia...

Forse era solo un fotomontaggio? Oppure avevano solo rubato la macchina di Larry e l'avevano lasciata andare contro un albero senza che Larry fosse stato dentro? Perché semplicemente non poteva credere, non voleva credere che quegli uomini sarebbero arrivato al punto da fare una cosa del genere, di avere Larry sulla coscienza... No, l'avevano già imbrogliato una volta ed erano pronti a farlo di nuovo in ogni momento, tutte le loro azioni erano un gioco crudele di menzogne e intrighi con cui volevano confonderlo fino al punto che non sarebbe più riuscito a distinguere il vero dal falso. Ma non si sarebbe dato per vinto, non avrebbe considerato ancora la partita persa, perché era talmente sicuro che tutto questo era solo show...

Ma poteva essere del tutto sicuro?

Avevano minacciato di fare qualcosa ad Amita. E con questo, non era più solo un gioco di menzogne e intrighi, ma un gioco tra la vita e la morte. Certo, era relativamente sicuro che tutto era solo una messinscena – ma cosa sarebbe successo se si sbagliava? Cosa se i terroristi avessero davvero realizzato la loro minaccia – cosa? Certo, con il suo rifiuto a collaborare, Charlie aveva usato un asso dalla manica che non si aspettavano; aveva ancora delle buone carte. Ma adesso capiva che aveva puntato troppo alto. La posta della vita di Amita era troppo alta, anche con una certezza di vincere del 99 per cento.

A Charlie cominciò a scorrere sudore freddo. Non importava se i terroristi della CIA l'avevano imbrogliato o meno – in ogni caso aveva fatto un errore, un errore gigantesco, e poteva solo sperare che non fosse ancora troppo tardi per revocarlo.

Saltò alla porta della sua cella e martellò contro il metallo duro come se la sua vita ne dipendesse – e in un certo senso era così, perché senza Amita, Charlie non avrebbe avuto più alcuna possibilità di riavere la vita che aveva avuto prima.

«Aspettate!» gridò. «Aprite! Aprite la porta! Acconsento! ACCONSENTO!»

Quando finalmente aprirono la porta, i rovesci dei pugni di Charlie erano già colorati in modo brutto, ma non sentiva nemmeno il dolore. Sentiva solo la paura, quella paura tremenda dentro.

Respirando forte, Charlie si trovò davanti un uomo biondo che era, almeno secondo il suo gusto del momento, un po' troppo allenato e un po' troppo duro nelle fattezze. Era relativamente sicuro che si chiamasse Cedric, ma siccome nelle loro "conversazioni" era stato la persona di fronte a lui a fare le domande, questo era tutto che sapeva di lui.

«Vuoi aiutarci?» La voce era fredda e asciutta, senza la più minima indicazione di sentimenti.

Il cuore di Charlie batté in gola. «Sì» la parola sembrò affannarsi all’altezza della laringe, e la voce che uscì non sembrò essere la sua. Stava facendo un errore?

«Ehì, Dan!» chiamò Cedric, e all'altra fine del corridoio apparve Rosenthal con un viso interrogativo. Cedric sogghignò. «Il professore ha cambiato idea».

Charlie vide un brillio quasi diabolico negli occhi di Rosenthal. E forse lo immaginò soltanto – attualmente non poteva far affidamento sui suoi sensi –, ma la voce di quell’uomo sembrò quella folle di un scienziato impazzito. «Guidalo nel suo ufficio».

- - -

Quasi un’ora dopo Don e Megan, insieme a David e Colby arrivarono alla centrale provvisoria della squadra investigativa. Si trattava di un rifugio di legno al confine nord-ovest del parco nazionale, in Montana. I due nuovi arrivati vennero, come Megan e Don prima di loro, aggiornati in poco tempo: non sapevano esattamente con quanti criminali avessero a che fare nel parco; la squadra investigativa sapeva solo che Wellman si era incontrato con altri due uomini lì, e che questi probabilmente erano anche membri del gruppo di sequestratori. In ogni caso si trattava di due agenti della CIA che – e questo era ciò che aveva trovato la squadra di Don, era perché si trovavano lì – erano in comunicazione con John Doe. Avevano tentato di contattare i due agenti, ma o la CIA non sapeva dove si trovassero o non voleva dirlo. I due agenti, un uomo di 38 anni di nome Daniel Rosenthal e uno di 36 anni di nome Wayne Taccone, erano irreperibili. Ciò che dava nell'occhio però era il fatto che – almeno questo l'altra squadra era stata in grado di trovarlo, in una specie di guerra burocratica – stavano lavorando insieme da nove mesi.

«Da nove mesi... vuol dire che potrebbe essere lo stesso gruppo che ha tenuto Charlie sei mesi fa» rifletté David.

«A che cosa stanno lavorando?» volle sapere Megan.

«Questo la CIA non ha voluto dircelo» rispose Jeffrey Blake, il capo della squadra incaricata della ricerca di Clifford Wellman. «E non ci hanno voluto dire neanche chi altro collabora al progetto. Hanno detto che non ha niente a che fare con il nostro caso».

«Forse adesso sì» osservò Colby. «Non so che ne pensate voi, ma io trovo che non sia improbabile che questi tizi – non importa a che cosa stanno lavorando – abbiano usato Charlie perché li aiutasse».

Megan scosse la testa. «Questo è più che improbabile, Colby. Non importa a quale progetto stanno lavorando, ma stanno lavorando per ordine della loro agenzia».

«Sì, e quest'agenzia è la CIA» disse David che ovviamente aveva deciso di difendere la teoria del suo partner.

«E allora? Per un momento tenete le vostre teorie cospiratorie per voi e pensate in modo un po' più ragionevole: la CIA non l'avrebbe mai rischiato di sequestrare un professore rispettabile».

«A meno che –»

«Questo non ci aiuta» interruppe Don Colby, conciso. Aveva ascoltato la conversazione dei suoi colleghi solo distrattamente e invece aveva diretto la sua attenzione sulla carta davanti ai suoi occhi. Questa mostrava una descrizione più o meno dettagliata del Parco Nazionale del Yellowstone. E se erano sulla pista giusta – e Don si rifiutava di dubitarne – Charlie si trovava da qualche parte in quell’area gigantesca. Dovevano solo trovarlo.

«Okay» disse David dopo un momento. «Cosa sappiamo?»

«Giusto» venne in mente a Megan, «Come avete saputo che Wellman e gli altri si trovano qui nel parco?»

«Non l'abbiamo saputo noi» osservò Mitchell O'Hara. Era un agente abbastanza giovane che insieme a due donne sul finire dei trenta, Karen Teeger e Juliet Disher, formava la squadra di Blake. «L'ha trovato lui».

Mitchell indicò un punto – oppure, come videro poi, una persona – dietro alla squadra di Don. I quattro si voltarono, e per un momento perplesso non furono sicuri di poter credere ai loro occhi.

Non si sarebbero mai aspettati di vedere Ian Edgerton lì.

- - -

Il sudore imperlava la fronte di Charlie. Non a causa di un lavoro molto faticoso. Piuttosto a causa della paura che a momenti avrebbero scoperto che non stava lavorando affatto.

Certo, stava dando l’impressione di essere intenzionato a dare davvero ai terroristi della CIA i dati che volevano. Gli avevano dato lo stesso incarico dell’ultima volta con le stesse menzogne, benché Charlie non sapesse perché si scomodassero ancora a fare tanto. Poi realizzò che loro non potevano sapere che cosa lui ricordasse malgrado la sua amnesia. Perché erano aumentati davvero di molto riguardo il numero e la chiarezza negli ultimi giorni. Se Charlie non sbagliava, la sua memoria era completamente - o almeno quasi completamente - ristabilita. Anche se avrebbe fatto a meno di alcuni ricordi. E anche se la cosa non l'aiutava nella sua attuale situazione.

Per esempio, ricordava piuttosto bene quali passi aveva seguito allora per giungere al risultato che gli era stato chiesto. Però sapeva che non poteva ripetere quelle azioni, non con la consapevolezza che tramite i suoi calcoli, persone innocenti sarebbero morte.

Dall'altro lato, non poteva neanche fare marcia indietro e esporre Amita e tutti gli altri al pericolo di un attentato. Il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere a tutti loro – soprattutto a Larry – lo faceva quasi impazzire. Doveva sapere come stesse Larry, doveva, ma nessuno intendeva dargli una risposta, anche se lui adesso si era mostrato collaborativo.

O almeno quasi collaborativo. Perché naturalmente, non aveva ancora dato loro dei risultati; questo avrebbe avuto quasi sicuramente come conseguenza altri attentati e morti. Per questo, Charlie tentava di guadagnare tempo. Finora era andato bene. Ma sapeva che non avrebbe potuto continuare per sempre. Doveva succedere qualcosa, il più presto possibile, doveva uscire da quella situazione. Da solo sembrava impossibile, anche se i suoi sequestratori avevano a quanto pareva allentato le loro misure di sicurezza da quando aveva acconsentito a collaborare; almeno non credeva di essere sorvegliato lì, nel suo "ufficio". Eppure non riusciva ad immaginare una possibilità di uscire senza un aiuto esterno. Poteva solo sperare, e si aggrappò fortemente a quel pensiero, che Don lo trovasse, che tutto finisse finalmente e che avrebbe potuto sapere come stava Larry...

Charlie sapeva che era irrazionale. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere ad un tale incidente. Eppure sperava talmente tanto che fosse tutto solo un trucco, che i suoi sequestratori avessero in qualche modo falsificato tutto, che Larry fosse ancora vivo. Si forzò di credere fermamente alla sua speranza. Non doveva di nuovo venir meno a causa del suo senso di colpa. Questa volta doveva essere forte, non importava quanto difficile gli sembrasse, doveva mantenere la calma.

Sperando che Don l'avrebbe trovato.

- - -

Disinvolto, come sempre, Ian si avviccinò al piccolo gruppo. «L'agente Eppes e seguito!» esclamò da lontano. «Dove avete lasciato il vostro piccolo genio questa volta?»

I quattro lo fissarono come se venisse da un altro pianeta. In effetti, anche Ian era un po' sorpreso di vederli lì (anche se, naturalmente, non l'avrebbe mai dato a vedere). Era andato a fare un altro giro esplorativo e sinceramente non aveva idea che cosa stesse facendo la squadra di Don nel parco. Beh', non avevano fatto grandi progressi nella ricerca di Clifford Wellman, ma anche se il loro capo avesse voluto mandare loro come rinforzi – cosa che probabilmente avrebbe prima comunicato – non sarebbero andati a chiamare i rinforzi da Los Angeles, giusto?

Dunque doveva esserci sotto qualcosa, e pian piano un sospetto cominciò a formarsi nella mente di Ian. Perché non gli era affatto sfuggita l’espressione di Don alla sua domanda, che voleva essere un modo come un altro di salutarli.

Oh oh, pensò e il suo sospetto si manifestò, sembra esser stata una domanda stupida. «Cos'è successo?» chiese allarmato, ma sempre controllato.

Don lo fissò ancora con uno sguardo vuoto. E quando rispose, Ian capì perché. «Charlie è scomparso. Supponiamo che è stato rapito dalle stesse persone che state cercando voi».

Non succedeva spesso, ma quello era uno dei momenti in cui Ian Edgerton non sapeva che cosa dire. Certo, all'inizio lui ed il matematico avevano avuto problemi sostanziali nel far andare d’accordo le loro opinioni contrastanti, ma alla fine ce l'avevano fatta a giungere ad un compromesso. Rispettavano l'uno l'altro, e Ian era anzi incline a considerare Charlie un amico. E non c’erano tante persone che rientrassero in quella categoria.

Rimaneva solo da sperare che durante i giorni passati la lista non si fosse ridotta di uno.

«Okay». Bene. Almeno riusciva sostenere una facciata calma all'esterno. «Dettagli?» domandò.

Colby cominciò a spiegare. Si accorse troppo tardi che non sapeva dove cominciare. «Okay... Hai saputo che lo scorso ottobre Charlie non era morto?».

Ian annuì. «Certo». Essere corrente faceva parte del suo lavoro, e i progressi nel caso del decesso di Eppes li aveva seguiti con interesse particolare. Quel particolare progresso, poi, lo aveva reso davvero molto contento.

«Però non sembri aver saputo» continuò Colby, «che il lunedì della settimana scorsa è stato di nuovo rapito, presumibilmente dalle stesse persone che l'hanno preso allora. Almeno è ciò che supponiamo. Crediamo che si tratti del stesso gruppo a cui appartengono anche i vostri tre sospetti, Wellman, Taccone e Rosenthal. Dal suo incarico in autunno, Charlie è stato sorvegliato da un'infermiera. E' stata uccisa, probabilmente dallo stesso gruppo e probabilmente perché sapeva troppo. Era in contatto con uno dei sequestratori, che a quanto pare le si era presentato solo come John Doe e che, d'altra parte, è in contatto con Wellman. Abbiamo saputo che voi lo state cercando insieme ad altri due, anche erano in contatto con John Doe, Rosenthal e Taccone. E se siamo fortunati, tengono Charlie prigioniero da qualche parte in questo parco».

Ian inarcò le sopracciglia guardando uno dopo l'altro i presenti. «Questo vi ritenete fortunati?» chiese nella sua maniera secca «Sapete che questo parco è gigantesco, sì?»

Colby davvero riuscì a fare qualcosa simile ad un sorriso. «Per questo abbiamo il migliore segugio del Nord America nella squadra».

«Solo del Nord America? Mi stai offendendo, Granger». Ian non poteva nemmeno convincere se stesso della genuinità della sua calma. Era profondamente inquietato. Ma il panico non li avrebbe aiutati.

«Allora hai trovato qualcosa o no?» L'impazienza di Don si manifestò attraverso l’irritazione.

«Non proprio, direi» disse Ian, lapidario, prima di vedere l'espressione di Don. «Scusa, Don». Si voltò di nuovo al gruppo intero. «Siamo qui da solo tre giorni. Ci abbiamo messo tempo per rintracciare tutte le loro mosse, e non abbiamo saputo di questo posto fino a lunedì. C'è anzi una bella prova video di uno dei supermercati della zona dove si può vedere Taccone. E sappiamo che Wellman voleva incontrare lui e Rosenthal qui nel parco. Da allora stiamo setacciando l'area il più vastamente possibile – niente, nessuna traccia. Sembra abbiano intenzione di starsene nel loro nascondiglio finché non si sentiranno sicuri di poter uscire».

«Okay...» disse Colby. «Ma hanno bisogno di rifornimenti, no? È per questo che vanno nei supermercati se ho capito bene, giusto? Allora non possiamo semplicemente sorvegliarlo?»

«Non funziona» interruppe Blake. «Abbiamo dato un'occhiata ai nastri dalle due settimane passate e abbiamo trovato Taccone solo una volta, nessun'altro. Supponiamo che cambino posto ogni volta».

«E se li sorvegliassimo tutti quanti?» chiese David.

«Scordatelo, Sinclair» disse Blake. «L'area è troppo vasta. Si tratta di un territorio di forse 1500 chilometri quadrati quello in possono essersi nascosti».

David corrugò la fronte. «E perché proprio 1500?»

«Un calcolo semplice, abbiamo preso numeri tendenzialmente abbastanza grande da essere sicuri: supponendo una velocità media di sei o sette chilometri orari, una persona in dieci ore può percorrere da sessanta a settanta chilometri, diciamo trenta da un lato, trenta dall’altro; questo è il raggio. Questo significa che, partendo dal supermercato, dobbiamo cercare la nostra talpa lungo un semicerchio di quasi 1500 chilometri quadrati».

Quando Ian vide le espressioni dolorose sulle fattezze dei suoi amici, non era sicuro che avessero quest'aspetto a causa della spiegazione di Blake oppure a causa del modo in cui l’aveva data e l'ovvio ricordo a Charlie. Eppure c'era una differenza notevole in confronto al vudù di Charlie: la spiegazione di Blake era comprensibile.

«Ma potremmo anche essere sfortunati» continuò Blake, «e sbagliarci: magari hanno il loro nascondiglio da qualche altra parte nel parco, perché tutto sommato, lo Yellowstone si estende per un'area di 9000 chilometri quadrati. Ma se partiamo dalla supposizione che possono andare dal nascondiglio a questo supermercato e indietro in un girono, dobbiamo essere comunque vicini».

«Ma non dovrete prendere la parola "vicini" troppo sul serio» li avvertì Ian. «A ciò si aggiunge che il territorio è per la maggior parte impervio. Questa non è la parte del parco che preferiscono i turisti pseudo-avventurieri; qui ci sono appena dei sentieri e i dintorni sono terribilmente confusionari».

«Okay» disse Don con tono di chi aveva avuto sufficienti notizie brutte per il momento, «e allora che cosa facciamo?»

Ian alzò le spalle. «Continuiamo a cercare».

- - -

Pian piano, una stanchezza di piombo calò su Charlie. L'orologio nel computer mostrava che era davanti allo schermo già da 18 ore facendo finta di essere attivo. E benché in realtà non stesse facendo alcun calcolo matematico complesso, comunque il suo corpo bramava il sonno...

Di nuovo si lasciò andare all'immaginazione: il computer doveva essere allacciato a una rete, una qualsiasi rete. Beh', non si aspettava che i suoi sequestratori fossero stati così stupidi da usare internet e così mettersi in pericolo tramite localizzazioni o hackeraggi, ma se solo avesse potuto hackerare un'altra rete da qui, qualsiasi... Ma il suo computer non era allacciato a niente, nemmeno ad un sistema interno. Sapeva perché. Quell’errore l'avevano già fatto lo scorso autunno. Anche allora erano stati isolati dal mondo esterno e Charlie non aveva nemmeno saputo dove si trovasse. Gli orologi segnalavano l'ora di Washington, ma Rosenthal gli aveva detto dall'inizio che non avrebbe dovuto farci attenzione; dopotutto non si trattava di orologi radiocontrollati e così potevano essere regolati in modo semplice. Però era riuscito ad entrare nel sistema interno allora, con qualche trucco da hacker che aveva copiato da Amita. E così aveva trovato la prova del suo terribile sospetto.

Adesso gli avevano chiuso anche quella strada. Davvero non aveva più altra speranza se non Don.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Numb3rs / Vai alla pagina dell'autore: y3llowsoul