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Autore: Silver Shadow    22/05/2014    0 recensioni
Okay questa è la mia seconda fanfiction e io sono tipo "aiuto" (?) La scrivo per tutti gli appassionati di Percy Jackson che è un pezzo della mia vita. E' ambientata fra La maledizione del titano e La battaglia del labirinto, ed è incentrato sul dolore dei ragazzi dopo ciò che è successo in quella vecchia discarica degli dei. In quanto a Percabeth non attiene del tutto alla storia del libro ma a me piaceva così; spero piaccia anche a voi. Chu! >
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’intensissima guerra di cuscini durò decisamente più del dovuto dato che, quando eravamo finalmente esausti, ci rendemmo conto che erano le 6 passate. Talia diede di matto perché continuava a urlare che non ce l’avrebbe fatta a prepararsi e a preparare anche Annabeth e fuggì e più non posso – portandosi dietro anche la mia ragazza.
Dopo aver fatto una doccia per levarmi di dosso il sudore causato dalla battaglia appena finita, misi la classica tenuta del campo Mezzosangue e uscii a fare una passeggiata. Il sole cominciava a toccare le morbide colline che delimitavano il campo, tingendo il cielo di rosa, arancio e oro. Attraversai tutto il cortile principale e diedi uno sguardo alla mensa, notando alcune ninfe che addobbavano il posto per la sera. Mentre passeggiavo, assorto nei miei pensieri, sentii un grido provenire da qualche parte, ma un grido ovattato, come se provenisse da molto lontano. Mi fermai ad ascoltare ancora, ma non sentii nulla, così sollevai le spalle credendo di essermelo immaginato. Mi ricredetti nell’istante stesso in cui venni travolto da qualcosa di indistinto ma enorme. E molto, molto pesante.
Rotolai (anzi, rotolammo) lungo tutto il fianco della collina che stavo risalendo, sbattendo sui sassi e spargendo le foglie cadute dappertutto. Quando arrivammo a valle, mi mancava il fiato.
- Fratello!! – esclamò una voce gioiosa e profonda proprio sopra di me.
Quando riuscii ad aprire gli occhi, una sagoma dai lineamenti confusi si presentò al mio campo visivo. Lentamente, man mano che mi riprendevo dalla caduta, distinsi un corpo massiccio ed enorme, una faccia tonda e rossa, capelli castani arruffati e due occhi.. No, un occhio. Un enorme occhi completamente castano senza la pupilla. Accanto a lui, un’enorme macchia nera punteggiata di rosso che si rivelò essere la signora O’Leary, che sbavava su una pallina rosa shocking che faceva uno sgradevolissimo rumore ogni volta che veniva toccata. Non so se ero troppo ammaccato per farlo, ma sorrisi, o comunque pensai di farlo.
L’espressione di incontenibile felicità di Tyson si trasformò in un’espressione di orrore e preoccupazione quando finalmente si rese conto di avermi investito in pieno e che avevamo appena rotolato per mezza collina (proprio quando mi stavo per riprendere dalla battaglia sulla Principessa Andromeda).
- Fratello! Stai bene? Ti sei fatto male? Tyson non voleva fare male! – esclamò disperato,mentre il suo occhio si riempiva di lacrime. Fantastico. Mi sollevai, mettendomi seduto e controllando di non aver riportato altre ferite o botte, poi gli diedi una pacca sulla spalla.
- Ehi, è tutto ok Tyson. Sono felice di vederti. Ma come sei arrivato fin qui? – gli chiesi, visto che non l’avevo visto arrivare dall’ingresso sulla collina dell’albero di Talia. Il suo sorriso a 47 denti gialli e scheggiati si riaprì in un’espressione nuovamente contenta.
- Tyson ha viaggiato nell’ombra con la signora O’Leary. Ci siamo divertiti! – battè le mani e io scossi la testa divertito, sinceramente contento di averlo di nuovo lì con me. Guardai con affetto il segugio infernale che in tutta risposta scodinzolò, e notai un pacco legato alla sua schiena.
- Tyson, cos’è quel pacco appeso alla schiena della signora O’Leary? – domandai di nuovo, incuriosito, mentre lui mi aiutava a rimettermi in piedi.
- Oooh! Quelli sono i vestiti di Percy e Tyson per la grande festa di stasera! – mi rivelò lui con tono fiero, come se gli fosse stata affidata la missione di riportare la folgore a Zeus o qualcosa del genere. Non ebbi tempo di aggiungere nulla, perché subito mio fratello mi agguantò per il braccio e mi tirò, dirigendosi, seguito dal segugio,verso la mia – la nostra – cabina.
- E ora andiamo a prepararci! Tyson vuole essere bellissimo! – cantilenò trotterellando, mentre il mio stomaco cambiava completamente direzione per gli strattoni di Tyson.

- Le ragazze non scherzavano quando mi chiamavano pinguino – gemetti, guardandomi di spalle allo specchio e cercando di sistemare la giacca in modo che non sembrasse il manto di un qualche animale artico. La camicia bianca era troppo grande sul collo e sistemare la cravatta blu scuro (lo stesso colore del resto del vestito) era stata un’impresa.
- Tyson dice che Percy sta bene! – esclamò col suo vocione mio fratello, dandomi una pacca sulla schiena talmente forte da farmi quasi sbattere contro lo specchio.
- Ooooff.. Grazie amico – borbottai tentando di non ingoiarmi i polmoni e riprendere fiato. Quando ripresi il controllo del mio respiro, controllai anche l’ora: le 7:45.
- Penso che dobbiamo andare, Tyson. Se non arrivo in tempo Talia mi scanna, e lo fa. – osservai, dirigendomi verso l’uscita della cabina, seguito da Tyson.
Quando uscimmo, trovammo diversi semidei vestiti elegantemente come noi davanti alle loro cabine, intenti ad uscire o ad aspettare altri loro fratelli o sorelle. Il caos maggiore era davanti alla cabina di quelli di Afrodite che quasi si prendevano per i capelli perché una aveva rubato il vestito all’altra o si era sistemata meglio dell’altra. Fuggimmo più velocemente possibile da quelle assurdità.
Arrivammo poco dopo nel luogo della mensa, allestito squisitamente: tavoli coperti da eleganti tovaglie dorate, con nervature che rappresentavano gli dei, imbanditi di ogni tipo di cibo disposto a formare i simboli degli dei stessi – ciliegie disposte a forma di civetta per Atena, prosciutto a forma di cinghiale per Ares e così via. Alle colonne erano appesi festoni e per aria fluttuavano lumini che diffondevano una soffusa luce bianca nel crepuscolo che precedeva il buio della notte. Già diversi semidei erano raccolti lì, parlottando del più e del meno. Vicino a una delle colonne, Chirone sfoggiava il suo miglior gilet.
Vagando con lo sguardo per la sala, cercavo Annabeth e Talia, ma non sembravano essere ancora arrivati, così io e Tyson ci sedemmo su uno dei tanti divanetti rossi disposti a quadrato con un delizioso tavolino di legno al centro, prendendo a chiacchierare con alcuni di Ermes.
Tempo 10 minuti di pace e relax, e poi mi sentii tirare da una mano ossuta ma forte, che mi fece quasi scivolare dall’altro lato del divano. Talia, appena dietro di me, mi guardava male. Mi rimisi in piedi facendo il giro del divano e mi posizionai davanti a lei, incrociando le braccia al petto, e guardandola. Indossava un abito bianco a tubino a giro, le spalle coperte da uno scialle sottile e dei sandali gioiello aperti col tacco. Una collana a girocollo di oro bianco spiccava per la pietra incastonatavi al centro, che sembrava catturare tutta la luce circostante. Gli orecchini, dello stesso materiale, mandavano un bagliore argenteo e oscillavano ogni volta che la sua testa si muoveva. I bracciali che aveva al polso – migliaia, probabilmente – scintillavano e tintinnavano in continuazione, i suoi capelli neri erano legati in una treccia che scendeva sulla spalla, ornati da strane forcine luminose, il trucco molto scuro.
- Sono arrivato anche in anticipo! Perché mi hai strattonato in malo modo? – le chiesi infastidito.
- Percy, io ti strattonerò sempre in malo modo, non importa come ti comporti – mi rispose lei, evasiva e piuttosto indifferente. Sospirai, cercando di mantenere la calma, o piuttosto di ritrovarla, mentre lei e abbracciava Tyson. Ero talmente nervoso che neppure notai Annabeth che mi salutava, appena di fronte a me. Quando alzai lo sguardo su di lei, tutta la mia rabbia si dissolse. In compenso, credo che ingoiai il cuore.
Indossava un meraviglioso vestito color indaco lungo fino ai piedi senza spalline, che le fasciava alla perfezione il corpo fino alla vita per poi scendere morbido dalle gambe in giù. Aveva uno spacco sul davanti della gonna, coperto da un sottile strato di stoffa più leggera, blu-trasparente con alcuni luccichini incastonati. La stessa stoffa formava una sorta di maglioncino sopra le sue spalle, lungo fino alle cosce, con le maniche terminanti a metà del bicipite e tenuto da una cintura a fasce oro e blu che le stringeva la vita; le scarpe erano dei tacchi classici, non troppo alti, dello stesso blu. Portava un bracciale spesso al polso sinistro e una sottile collana d’oro e degli orecchini uguali. I suoi capelli erano raccolti in un’elegante acconciatura alta che lasciava qualche ciocca ad incorniciarle il viso. Il suo trucco era leggero e piacevole e risaltava i suoi grandi occhi grigi, che sembravano risplendere in quella flebile luce.
Annabeth mi guardò preoccupata e divertita allo stesso tempo, sventolandomi una mano dalle dita sottili davanti al viso per farmi riprendere. Non mi ero nemmeno accorto che avevo spalancato la bocca e irrigidito tutti i muscoli.
- Sei bellissima – mormorai con voce soffocata, deglutendo a vuoto.
Lei rise, divertita dalla mia reazione, e mi prese delicatamente per mano come per farmi calmare.
- Okay Testa d’Alghe, ora richiudi quella bocca e recupera un’espressione umana – mi rimproverò sorridendo e trascinandomi sul divano accanto a Tyson e Talia.
  
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