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Autore: londra555    23/05/2014    6 recensioni
In un mondo di cavalieri, magia e leggenda, Santana si troverà a dover scegliere tra il suo destino e i suoi desideri.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
 
Il castello ribolliva di attività anche dall’esterno. Santana lasciò il cavallo al primo garzone di stalla che incontrò, ignorando gli sguardi infastiditi e accusatori di Puck e si diresse verso le sue stanze. Alcune giovani serve erano già in movimento per prepararla per presentarsi nella sala grande. Le portarono acqua fin troppo calda che arrossò la sua pelle olivastra e la strigliarono per bene. Quando finalmente ebbero finito poté indossare uno dei suoi abiti lunghi per poi lasciare che le acconciassero i capelli.
Alla fine Puck bussò alla porta per informarla che era ora di scendere per la cena. Santana si limitò ad annuire e lo seguì per prendere il suo posto nel tavolo centrale, tra i vassalli più importanti che si erano riuniti prima della partenza.
Una parte di lei sapeva che era inutile ma non poté fare a meno di scrutare ogni volto presente nella sala alla ricerca, quasi disperata della giovane che aveva incontrato nella radura poche ore prima. Una parte di lei sapeva che non sarebbe stata lì, ma non poteva fare a meno di cercarla.
-Che ti prende?
La voce di Puck la riportò alla realtà e le ricordò dove si trovava in quel momento.
-Niente – borbottò in risposta.
-Chi stai cercando?
Santana sollevò un sopracciglio. Possibile che fosse così facile leggere le sue intenzioni?
-Nessuno.
Puck la fissò per un attimo.
-Sei strana. E dovresti smetterla di sparire nei boschi, si suppone che io sia il tuo scudiero e che dovrei proteggerti. Finirà che tuo padre mi farà frustare!
Santana mosse la mano come a voler scacciare un insetto fastidioso.
-Sai benissimo che non corro pericoli.
-Siamo alla vigilia di una guerra. Ci potrebbero essere spie ovunque. Non ti fidare di nessuno, potrebbe esserci un pugnale destinato a te nascosto dove meno te l’aspetti.
Santana roteò gli occhi.
-Non essere infantile. Gli alberi non possono stringere lame, come pensi che possa capitarmi qualcosa nel mezzo di un bosco?
Puck scosse la testa.
-Non sai chi puoi incontrare. Non ti sentire mai sicura – insistette testardamente.
Santana aprì la bocca e la richiuse di scatto. Non doveva fidarsi. Non di sconosciuti. Nemmeno di strane fanciulle, tantomeno se sembravano apparire dal nulla.
Scosse la testa e riprese a guardarsi intorno, come se si aspettasse di ritrovare un paio di occhi cristallini che la fissavano. Lo desiderava ardentemente.
Ma ovviamente non era in quella sala. Da lontano vide solo Quinn, con il suo abito verde scuro da sacerdotessa che la distingueva dal resto dei commensali, che la fissava a sua volta con una coppa di vino tra le mani. Santana le fece un gesto con il capo. Non aveva mai capito la sua scelta di indossare quell’abito e scegliere quella via: sin da giovane si era dimostrata tanto abile con la spada come con i libri, ma Santana non avrebbe mai pensato che la sua amica avrebbe mai scelto la seconda via. Continuava a pensare che sarebbe stata molto più utile in un campo di battaglia che in una biblioteca. Quinn le aveva sempre detto che spesso per vincere una guerra era più utile la mente che il braccio, ma Santana, pur sapendo che c’era un fondo di verità nelle sue parole, si limitava a scuotere la testa.
Quando vide che sembrava volersi avvicinare a lei si alzò per ritirarsi nelle sue stanze, come se avesse qualcosa da nascondere. Quinn era sempre stata fin troppo brava a leggerle dentro e lei non sapeva bene cosa dirle, né perché si sentisse come se avesse un segreto inconfessabile da proteggere. Del resto non era successo niente.
Fu una notte agitata in cui nei suoi sogni si rincorsero radure, sicomori, acqua che scorreva come seta e occhi azzurri. Alla fine si svegliò con la luce dorata del primo sole che illuminava la sua stanza e un nome sulle labbra. Nome che non pronunciò ma che l’accompagnò durante tutta la mattinata di esercizi con la spada. E poi mentre mangiava un boccone davanti alle mappe del regno. E poi ancora mentre sellava lei stessa il suo cavallo nel sole caldo del primo pomeriggio.
-Dove stai andando?
Puck apparve alle sue spalle mentre finiva di stringere la cinghie. Non che non se l’aspettasse. C’erano sempre occhi su di lei. Puck si occupava di controllarla anche quando sembrava non ci fosse. Lei montò con un movimento fluido sul cavallo e sorrise innocentemente.
-Faccio un giro nel perimetro interno del castello.
Puck la squadrò dal basso, un lampo di incertezza nei suoi occhi. Era evidente che non sembrava crederle, ma serrò la mascella. Annuì impercettibilmente e Santana ne approfittò per spronare l’animale e uscire al galoppo verso la collina che portava al bosco. Immaginare la smorfia di disgusto di Puck la fece sogghignare divertita.
Non aveva voglia di avere nessuno tra i piedi. Era stata una lunga giornata e voleva solo staccare un poco. Spronò il cavallo per assicurarsi di mettere abbastanza terra tra sé e un eventuale inseguimento di Puck e raggiunse il bosco infilandosi tra gli alberi. Mantenne una velocità costante abbassandosi per evitare i rami più insidiosi e osservò con attenzione i sentieri per essere sicura di imboccare quelli giusti.
Quando la radura si aprì davanti a sé smontò mentre ancora il cavallo era in movimento e si guardò intorno.
Era deserta. Ma non poteva essere altrimenti. Lo sapeva bene. Ovviamente quella fanciulla non poteva essere ancora lì, certo non poteva aver passato la notte all’addiaccio sotto le foglie del sicomoro.
Santana fece qualche passo sentendo l’erba che cedeva sotto i suoi stivali. Camminò verso il ruscello bagnandosi le mani e il viso e si rialzò. Fece una smorfia mentre fissava l’albero. Sbuffò ancora, incapace di capire perché avesse quella strana stretta di delusione che le serrava lo stomaco.
Si sentì frustrata ed estrasse la spada mulinandola nell’aria con più forza del necessario, perse il controllo e l’equilibrio e riuscì a mantenersi in piedi solo infilzando la lama nella terra. Soppresse un lamento mentre chiudeva gli occhi e digrignava i denti.
-Non mi piacciono le spade.
Santana si immobilizzò aprendo gli occhi lentamente e voltandosi piano verso il sicomoro. Aveva un lieve sorriso dipinto sul volto mentre fissava Brittany che stava tranquillamente appoggiata al tronco dell’albero, quasi fosse sempre stata lì.
-La prossima volta sii puntuale. Così non sarò costretta ad ingannare il tempo così.
-La prossima volta potresti venire senza spada – suggerì Brittany senza scomporsi.
Il sorriso di Santana si ampliò. Ci sarebbe stata una prossima volta? Forse avrebbe potuto davvero rinunciare alla spada, se davvero così fosse stato.
Fece qualche passo verso l’albero mentre Brittany si sedeva con lo stesso grazioso gesto del giorno prima. Santana rifoderò la lama, aprì il cinturone al quale era legato il fodero e lo lasciò cadere al suolo. Poi riprese ad avvicinarsi, studiando la giovane davanti a lei. Aveva la stessa aria perfetta e luminosa che ricordava. La stessa tonalità d’azzurro che aveva sognato. E i suoi capelli sembravano risplendere di luce propria come fossero oro.
-Posso sedermi? – le chiese quando giunse al suo fianco.
Brittany toccò la terra quasi fosse un cuscino e si stesse assicurando che fosse comodo.
-Certo.
Santana lo fece. Sentendosi decisamente meno aggraziata. Fissò per un attimo davanti a sé, improvvisamente indecisa e insicura: cosa avrebbe dovuto dire a questa sconosciuta che sembrava apparire dal nulla?
Un angolo della sua mente, il più pragmatico e razionale, continuava a ripeterle le parole di Puck. Continuava a dirle di stare in guardia. Non fidarsi. Mai. Neppure di una giovane che sembrava tanto perfetta.
Ma Santana non ci mise molto a far tacere quella parte di lei. Le bastò lanciare qualche rapida occhiata furtiva a Brittany che, invece, sembrava non avere nessun problema a guardarla e studiarla direttamente.
Santana si sentì avvampare e decise che doveva dire qualcosa per spezzare quel silenzio che, per lei, stava diventando sempre più incomodo.
-Chi sei? – le domandò a bruciapelo.
Brittany non si scompose. Non cambiò espressione, non parve sorpresa. Ma soprattutto non distolse lo sguardo neppure per un attimo.
-Brittany.
Santana annuì, pur non essendo una risposta sufficiente.
-Da dove vieni?
Brittany aggrottò le sopracciglia. Come se non capisse la domanda. Si strinse nelle spalle.
-Da nessun luogo.
Santana iniziava a trovarsi a corto di domande pur senza aver ottenuto risposte. Aprì la bocca per formularne una nuova ma ci ripensò. Si voltò appena per guardare bene Brittany. Studiarla a sua volta. Questa volta senza sentirsi a disagio e senza vergogna. A Brittany non sembrò dispiacere quell’attenzione.
-Come mai sei qui? – chiese improvvisamente.
-Perché qui devo stare.
La risposta non era davvero sufficiente questa volta. Così Santana non cedette.
-Perché? – insistette.
Brittany si strinse nelle spalle. Come se la risposta fosse ovvia senza bisogno che venissero pronunciate parole. Santana era quasi sul punto di ripetere la domanda perché lei sì che aveva bisogno di sentirle. Ma Brittany l’anticipò.
-Se non fossi qui non ci saremmo mai viste.
Stranamente questo sembrò avere senso alle orecchie di Santana. Come se fosse così naturale che non potesse essere altrimenti. Si ritrovò ad annuire.
-Dovevamo conoscerci.
Non fu una domanda, solo una semplice constatazione. Ma il sorriso di Brittany si allargò, come fosse felice che avesse capito perfettamente quello che le aveva detto.
-Certo – disse.
Fece una pausa prima di continuare.
-Io l’ho visto. Io lo sapevo. Per questo sono qui.
Santana socchiuse gli occhi. Adesso era di nuovo confusa. Quella sensazione di comprensione, sparita come nebbia che si dirada ai primi raggi del sole.
-Lo sapevi? – articolò a fatica – Chi te l’ha detto?
Brittany di nuovo aggrottò la fronte come se non capisse quella domanda. Allora sembrò ignorarla, allungò la mano e la posò sul volto di Santana. Questa si lasciò cullare e chiuse gli occhi. Per lunghi attimi dimenticò dove fosse e chi fosse. Poi Brittany allontanò la mano e Santana riaprì gli occhi. Una nuova domanda la colpì.
-Non potevi saperlo. Ieri mi hai chiesto chi fossi! – non c’era accusa nella sua voce, solo stupore.
Brittany sorrise come si sorriderebbe a un bambino a cui si cerca di spiegare qualcosa di estremamente semplice.
-Non sapevo chi sarebbe apparso. Solo sapevo che dovevo conoscere qualcuno qui. Qualcuno di importante. Adesso lo so.
-Parli di Destino?
Brittany si morse il labbro inferiore e a Santana quasi si fermò il cuore. Si sentì avvampare con forza e distolse lo sguardo.
-E cos’altro sai? – chiese rapidamente più per distrarsi da quella strana sensazione che per ottenere una vera risposta.
Improvvisamente l’aria sembrò farsi più fredda e l’atmosfera più pesante. Sollevò lo sguardo, dimentica dell’imbarazzo che le aveva procurato quell’innocente gesto. Non incontrò gli occhi di Brittany che si erano spostati verso un punto indefinito davanti a loro, ma li vide offuscati e seri. Anche il sorriso era sparito. Quando aprì la bocca per rispondere Santana desiderò non aver mai fatto quella domanda.
Ma era troppo tardi.
-So cosa mi aspetta.
Santana sentì il cuore stretto in una morsa d’acciaio. Desiderò non continuare a chiedere. Ma lo fece.
-Cosa ti aspetta?
Brittany la guardò, gli occhi ancora velati da quella consapevolezza che sembrava accompagnarla.
-Soffrire.
Santana aprì la bocca, incapace di pensare a nient’altro che a cosa avrebbe mai potuto far soffrire una creatura così dolce come quella che aveva di fronte. Lei non l’avrebbe permesso. A qualunque costo.
Era la sovrana, avrebbe fatto staccare la testa dalle spalle a chiunque anche solo ci provasse.
-Non lo permetterò!
La sua esclamazione risoluta sembrò quasi esplodere nella quiete della radura. Le foglie del sicomoro, sembrarono ritrarsi. Ma Brittany sorrise. Un sorriso così triste che congelò l’aria intorno. Come se sapesse cose che Santana non poteva neppure immaginare.
Allungò di nuovo la mano a sfiorarle il viso, accarezzandolo con le dita, questa volta Santana non chiuse gli occhi.
-Devi andare. Si sta facendo buio.
Santana si guardò intorno, le ombre si allungavano e tutto si faceva più scuro. Tutto tranne la fanciulla davanti a sé che sembrava continuare a risplendere.
Così si alzò obbediente.
-Ci rivedremo? – chiese.
-Sì – rispose semplicemente l’altra.
Santana montò a cavallo e si diresse al limitare della radura. Lanciò un ultima occhiata alle sue spalle. Brittany era immobile, quasi abbracciata dal sicomoro, la guardava sorridente ma con ancora quell’ombra che sembrava pesare su di lei.
Santana fece un gesto di saluto. Poi si voltò.
-Sarai tu la causa. Ma non potevo rinunciare a te. Anche se per poco.
Quella frase la fece fermare. Immobile come una statua. Quando trovò la forza per voltarsi di nuovo sotto il sicomoro non c’era più nessuno.
     
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Secondo capitolo. Grazie a tutti coloro che hanno letto e grazie a chi ha recensito! Come ho detto la storia sarà abbastanza breve, credo quattro capitoli (è stata pensata come shot ma poi ovviamente mi è sfuggita di mano!)
A presto!
P.s. scusate se insisto ma non vorrei delusioni in seguito… ricordate che l’avviso “angst” non è lì per caso.
Un abbraccio a tutti
  
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