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Autore: Aleu    23/05/2014    1 recensioni
"Avevano ucciso, ingannato, manipolato ed erano sopravvissuti... ma non si erano salvati.
Come un incendio che inizia in sordina per poi divampare mortale, le lingue di fuoco di ricordi aberranti li avevano avvolti e bruciati vivi, lentamente, con una flemma malsana che ancora si trascinavano dietro.
E, così, loro erano sopravvissuti, ma non erano vivi."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era troppo presto.
Peeta allungò l'indice verso la folta chioma carbone di Katniss che ancora riposava in una coltre di vergini coperte, sì, scomposte e ribelli, ma non meno avvolgenti di un soffice baccello protettivo, seta sulla sua pelle.
Baccello.
Spostò di lato la testa per non farsi afferrare dalla spirale dei suoi incubi.
Non di nuovo, non ora.
Cercò di soffermarsi su un ricordo intenso e reale nella speranza di alleggerire il suo cuore in tumulto. Inspirò profondamente richiamando alla mente l'espressione di Katniss sotto la pioggia, quel giorno in cui lo vide per la prima volta, lui che le lanciava quel tozzo di pane ammollato, consumato dal fuoco.
Consumato dal fuoco.
Peeta sospirò così forte che ebbe paura di svegliare la serena figura che giaceva al suo fianco.
Quasi ritirò la mano, di nuovo terrorizzato dall'idea che potesse trasformarsi in tenaglia e che il suo timido tocco lasciasse nuove cicatrici su quella pelle già così tormentata.
Consumata dal fuoco.
Come lei.
Come noi.
No, non doveva succedere ancora, non poteva permetterselo.
Le nocche della mano sinistra sbiancarono mentre teneva fermo il polso della destra.
Sentì le unghie sottili conficcarsi nella pelle e strinse ancora più forte mentre temeva di lasciarsi inghiottire dal veleno.
Non sono in pericolo, non sono in pericolo.
Chiuse gli occhi per avere un po' di tregua della visione di quella donna che popolava i suoi incubi.
È Katniss, è solo Katniss. Non mi può fare del male.
Si concentrò sulla volta in cui le aveva implorato di ucciderlo, rendendosi conto della minaccia che lui stesso presentava e di come lei, con la testardaggine della disperazione, gli aveva negato questa scappatoia, contro ogni logica, liquidando anche la possibilità di avere un nemico in meno, di fare un altro passo verso la salvezza.
Non mi vuole fare del male. Katniss é innocua, io sono pericoloso. Io. Io sono in perico... no!
Io sono il pericolo!

Lo sentiva sempre più vicino, quel buio che partiva dalle sue iridi e che lo risucchiava.
Era come se potesse percepire il veleno che ribolliva caustico nelle vene portando con sé quel senso di panico e furore che precedeva la sconfitta.
Si irrigidì fino a sentire i muscoli bruciare e si lanciò a capofitto in un ultimo disperato tentativo di ritrovarsi.
Guardavo Katniss quand'era ancora bambina. Bellissima. Aveva due trecce. Ora i suoi capelli sono sciolti... potrebbe essere che sia diventata un ibri...no! È sempre lei.
Non è più una bambina. È sempre più bella. Ma è innocua, come allora. Non è la donna degli incubi, quella ha due grandi occhi e...
Katniss ha gli occhi grigi.
Determinati.
Ombrosi.
Spietati.
No!

Un urlo straziante echeggiò nella stanza come quello di un animale ferito risuona negli oscuri anfratti in cui cerca protezione.
L'istinto di Katniss ebbe la meglio e si ritrovò seduta sul letto, con un braccio alzato a proteggere il viso, prima ancora di realizzare d'esser sveglia.
Sentiva i battiti del cuore rimbombarle nella gola mentre i suoi occhi da cacciatrice e preda saettavano alla ricerca di minacce incombenti.
Ci mise un po' a rendersi conto che un fantasma, sul suo stesso letto, si nascondeva dietro a tremule dita, uniche disperate prove di vita d'un corpo rigido che pareva scolpito nel marmo.
Ed ecco che il suo cuore perse un battito, come l'improvviso inciampo d'un purosangue al galoppo.
Subito fu su di lui, ancora una volta contro ogni logica.
Sembrava che il suo istinto di sopravvivenza, che tanto l'aveva aiutata negli anni passati, desse forfait ogni qual volta i suoi occhi incontravano quel ragazzone dai riccioli biondi e le labbra che sapevano di casa.
Gentile, gli scostò le mani dal viso.
«Peeta, sono qui, sono Katniss» sussurrò al suo orecchio.
Le spalle del ragazzo si irrigidirono ancora di più, rivoli di sangue iniziarono a scendere dai suoi polsi deturpando il candore del lenzuolo su cui s'inchiodavano rigidi.
Una morsa allo stomaco attanagliò Katniss che, come tutte le volte, provò a trattenere le lacrime che lottavano contro la diga della sua determinazione.
Non poteva permettersi di cadere nello sconforto in quei momenti, probabilmente, se lo avesse fatto, sarebbe costato la vita ad entrambi.
«Non è reale, Peeta, non è reale» accolse quelle mani forti tra le sue con dolcezza, tentando inutilmente di sciogliere la morsa delle unghie.
«Non è colpa mia, Peeta...»mugugnò reprimendo i singhiozzi.
In realtà non pensava, Katniss, che le parole appena uscite dalla sua bocca fossero del tutto vere.
Col tempo stava imparando a convivere con il senso di colpa, aiutata da chi credeva davvero che lei fosse stata solo un'altra pedina di un gioco ancora più grande dell'unico che, fino a pochi anni fa, le incuteva timore, ma nel suo profondo quel sentimento sfibrante aveva messo radici, garantendosi un posto fisso nell'animo della Ghiandaia.
E da allora non aveva cantato più.
Non sapeva se mai quel dolore sarebbe scemato. Di sicuro, adesso era troppo presto.
«Non è colpa mia, ma mi dispiace, mi dis...» un singhiozzo le sfuggi dalle labbra e si maledì quando si accorse delle lacrime che, ormai, avevano sfondato ogni difesa.
Non riusciva a sopportare la vista di Peeta in quelle condizioni. Questa era una cosa alla quale non si sarebbe mai abituata.
D'un tratto Peeta liberò con facilità una mano sollevandola all'altezza del viso di Katniss che strizzò immediatamente gli occhi nell'attesa del sordo bruciore che lo schiaffo le avrebbe procurato.
Ma quello che sentì subito dopo, la portò ad aprirli, quegli occhi, sgomenti.
Le dita di Peeta scorrevano leggere sulla sua guancia, nonostante il ragazzo avesse ancora gli occhi serrati. Morbide, calde e gentili, iniziarono ad accarezzare le gote di Katniss con movimenti circolari mentre lei, impietrita da quel gesto inaspettato, osservava l'espressione di Peeta addolcirsi.
Non era mai successo in un momento come quello.
«Tranquilla, Katniss. Non è molto intenso» bisbigliò, la voce ancora arrochita.
Non seppe quanto tempo passarono così, lei sulle sue gambe a guardarlo rasserenarsi e lui a disegnare tramonti sulle guance di lei, ma quando Peeta allontanò la mano per issarsi meglio, a Katniss sembrò che fosse ancora troppo presto.
Gli occhi del ragazzo si schiusero, rivelando le iridi cerulee, non intaccate dal nero lucente della pupilla.
Tuttavia, non appena il suo sguardo esaminò la figura che, ancora scossa, sedeva sulle sue cosce, l'espressione si incupì fino a diventare uno specchio di fastidio e rammarico.
Katniss non era mai stata veloce a decodificare i sentimenti degli altri, né ad individuarne le cause, quindi rimase lì, incapace di prendere una decisione sul da farsi finché non realizzò di trovarsi, letteralmente, a cavalcioni sulle sue gambe.
Ingenuamente scattò di lato sentendo imporporare il viso, decisa a mettere quanta più distanza possibile tra i due corpi, ipotizzando che, anche per Peeta, quella posizione fosse all'origine del fastidio.
Ma si sbagliava.
Lui la fissò per un attimo ed i suoi occhi divennero ancora più angosciati prima di distogliere lo sguardo.
Era consuetudine che fosse Peeta ad intavolare una qualsiasi discussione: dalle volte in cui chiedeva cosa volesse per cena alla profusione di scuse che le sue labbra lasciavano fluire dopo uno dei suoi “episodi”. Era il suo compito: riempire i vuoti che lei creava. Eppure, questa volta, non lo fece.
Restò in silenzio per minuti interi, con lo sguardo afflitto che vagava a disagio per la stanza, evitando accuratamente di incrociare gli occhi sbigottiti di Katniss, la quale, impaurita dal nuovo compito che le era stato silenziosamente affidato, non riusciva a trovare il coraggio di proferir parola. Quando alla fine si decise a parlare, non fece in tempo a strutturare una frase sensata prima di essere interrotta.
«Devi lavarti» sarebbe quasi sembrato un ordine se non fosse stato per la voce forzatamente controllata.
Katniss lo guardò interdetta.
Devo lavarmi? Dopo... dopo una delle sue crisi riesce solo a dirmi questo? Lavarmi, poi... è assurdo, è assurd...
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dal più atroce ed imbarazzante dubbio che le sembrava di aver nutrito da un bel po' di tempo, ormai.
Non si accorse di avergli dato voce finché la fragorosa risata di Peeta non la fece sussultare. «Puzzi?» le fece il verso continuando a ridacchiare e portando, finalmente, i suoi occhi sul volto imbarazzato di Katniss.
«No, no, Kat, tranquilla. È solo che... ehi!» ma la ragazza non gli diede il tempo di finire e balzò dal letto infastidita dirigendosi verso il bagno.
Il divertimento di Peeta la scaldava dentro, certo, ed ogni qual volta si stupiva di quanto anche lei potesse trarre giovamento dalla sua sonora risata, ma il suo effetto sanatorio era preservato finché essa non nasceva dallo scherno nei suoi confronti, come quella volta in cui aveva bruciato il tacchino perché troppo impegnata a troncare gli esasperanti scambi di battute telefoniche con Effie.
O come quando Haymitch le assegnò il compito di dar da mangiare alle sue oche e come risultato passò metà pomeriggio a rincorrerne tre per strada, tra le risate generali di quell'ubriacone ed addirittura di Peeta, per aver dimenticato di chiudere subito quel dannato cancelletto.
Con un moto di stizza, sbatté la porta del bagno tentando di chiudere fuori anche i risolini sempre più divertiti dell'altro Innamorato Sventurato e, incollerita, decise di voltarsi verso lo specchio.
Un urlo sorpreso proruppe dalla sua gola prima ancora di capire da dove provenisse quel sangue.
Aveva la guancia destra chiazzata d'un acceso vermiglio che lottava con i tratti di pelle cerea che le dita di Peeta avevano risparmiato.
La porta si aprì con tanta violenza che i cardini vibrarono rivelando la figura inquieta di Peeta.
«Scusami, io...» si guardò le mani sulle quali il sangue era già rappreso e fece un passo indietro.
«Non è tuo. Non è tuo il sangue. È il mio... credo sia il mio... è il mio, vero?» continuò mentre il panico ancora una volta montava in lui e lo faceva scivolare lentamente contro il muro.
Vedendo Peeta che si accasciava, Katniss ritrovò la lucidità necessaria per farsi avanti ed inginocchiarsi accanto a lui.
«Peeta, non ti preoccupare» lo rassicurò, ma, vedendo che il ragazzo continuava a stringere i pugni convulsamente, si rese conto che sarebbe stato meglio stroncare sul nascere i suoi dubbi per prevenire un altro episodio.
Gli prese ancora una volta le mani cercando di non premere sulle ferite che pulsavano ancora.
«Guarda» lo costrinse a sollevare il mento.
«Ti sei ferito. Ti sei ferito da solo» continuò prudentemente. Negli incubi di Peeta, lei era la causa delle sue più atroci sofferenze e fargli notare che, questa volta, non era lei l'artefice del suo dolore le sembrò una mossa necessaria per calmarlo.
«Prima mi hai accarezzata, ecco perché sono sporca di sangue. Sono venuta nel bagno a lavarmi, ricordi? Mi hai detto tu di farlo. Ero arrabbiata perché stavi ridendo di me. Scusa se ho urlato, non volevo spaventarti...» Katniss cercò di aggiungere quanti più dettagli possibile per rendergli più facile accettare ciò che stava dicendo.
«Non ti ho ferita io, quindi» sospirò Peeta, con una nota interrogativa nel tono, quasi fosse una timida domanda.
«Vero» confermò ancora una volta Katniss.
Peeta la guardò ed un sorriso si fece largo sul suo volto.
«E tu pensavi di puzzare» ghignò divertito.
Lei sospirò di sollievo vedendo il sorriso malizioso del vecchio Peeta Mellark, ma preferì non rispondere. Perchè doveva farlo divertire a sue spese?
Lentamente si alzò e si diresse verso il lavandino eliminando le chiazze di sangue dal viso. Durante l'operazione stette bene attenta a non guardarsi allo specchio.
Peeta dovette accorgersene perché i suoi occhi divennero pensierosi e colpevoli come quando, poco prima, l'aveva vista sul letto china su di lui, con il viso imbrattato.
Nessuno dei due riusciva più a ben tollerare la vista del sangue.
C'erano troppi Finnick, troppe Prim, troppi Mitchell con cui fare i conti.
La osservò chiudere il rubinetto e tamponarsi a lungo il viso prima di darsi una fugace occhiata allo specchio.
Si sentì svuotato. Katniss si era accollata anche i suoi problemi, come se non avesse già abbastanza fantasmi da scacciar via. E lui riusciva solo a tentare di ucciderla o a desiderare ardentemente di farla soffrire.
Più e più volte aveva cercato d'allontanarla, nei momenti di lucidità, senza alcun successo.
Più le diceva di stare lontana, più Katniss gli si avvicinava per accoglierlo tra le braccia.
Più provava ad estrometterla dalla sua vita, più gli implorava di restare.
Più tentava di salvarla, più lei correva verso l'autodistruzione.
«Non ti lascerò solo, Peeta. È una cosa che non farò» gli disse un giorno di due mesi prima, lo stesso giorno in cui ancorò la sua vita a quegli occhi cerulei pronunciando con ardore un “Vero” che avrebbe cambiato la vita che restava ad entrambi.
«Dobbiamo disinfettare quei tagli» la ragazza lo ridestò dal suo torpore iniziando a pulire e medicare le sue mani.
Una volta finito ritornarono in camera. L'orologio puntava le sei del mattino.
Era ancora troppo presto.
Decisero di rimettersi a letto con la scusa di cercar di dormire ancora un po'. In realtà entrambi erano coscienti che non sarebbero riusciti a riprendere sonno.
Fu Katniss a scivolare accanto a Peeta cingendo le sue spalle e beandosi del suo calore.
Lui le baciò la fronte, soddisfatto per il sorriso sincero che gli regalò in risposta a quel gesto. Continuò, allora, da dove si era fermato. Prese a giocare con le sue ciocche, ad attorcigliare i capelli lungo le dita creando dei boccoli destinati a disfarsi dopo pochi secondi e Katniss iniziò ad accarezzargli il petto dietro il fresco cotone della sua maglietta.
Seguiva il profilo dei muscoli, la forma dei pettorali, ritornava a coccolare le zone dove lui sembrava più piacevolmente sensibile e, al termine di quest'ipnotica danza, Peeta la sentì ridacchiare.
«Ne sei uscito da solo, questa volta. Cioè... mi hai accarezzata!» cinguettò la Ghiandaia sfoderando il primo sorriso a trentadue denti che le avesse mai visto fare.
Peeta le rispose mesto, con un'espressione che sembrava studiata per non lasciare troppa speranza, ma neanche reprimerla.
«Era un flashback debole, Kat. Ed è stato comunque difficile...».
«Ma... è stata la prima volta! Peeta, significa che...».
«Significa che questa volta siamo stati fortunati, Katniss» tagliò corto più brusco di quanto volesse.
Sapeva che Katniss stava cercando di portare la conversazione a quel punto.
Ma era ancora troppo presto.
Lei lo guardò dritto negli occhi per poi arrossire vistosamente. Quando se ne accorse, repentina, gli voltò le spalle e si rintanò sotto le coperte.
«Kat...» scivolò sul materasso per abbracciarla, pentito per la risposta secca che le aveva rifilato, ma parlare o anche solo avvicinarsi a quell'argomento lo rendeva nervoso.
Si sentiva inadeguato, sbagliato, corrotto. Non poteva concedere all'unica donna che aveva mai amato quella felicità primordiale che alberga nell'essere amati in quel modo terribilmente istintivo, troppo istintivo, per lui, così istintivo che avrebbe potuto rivelarsi devastante.
«Perdonami» mugugnò sommessamente.
Katniss aprì gli occhi fissandolo determinata, senza abbandonare il suo cipiglio irritato.
Peeta sbuffò, incapace di reprimere quel moto di disagio.
Si buttò dalla sua parte del letto, distogliendo l'attenzione da quegli occhi che sembrava volessero giudicarlo aspramente per quella mancanza.
«Ne abbiamo già parlato, Katniss, è troppo presto».
Lei si mise a sedere scalciando la trapunta.
«Sono passati quasi due anni dal depistaggio e... quanti episodi hai avuto negli ultimi quattro mesi? Due!».
Peeta inarcò eloquentemente un sopracciglio.
«Okay, tre, con quello di poco fa. Ma... mi chiedo se questa volta non sia tu a non voler vedere i fatti con più ottimismo». Katniss prese un po' di tempo. Quella parola suonava così strana pronunciata dalle sue labbra che quasi non credeva di averla detta. Poi, prima che Peeta potesse interrompere il suo discorso mandandolo a monte, riprese.
«Solo tre episodi in quattro mesi e l'ultimo sei riuscito anche a fermarlo da solo! Non venirmi a dire che è troppo presto» e finì il suo insolito sermone con il broncio.
Peeta rimase steso, anche se una piccola parte del suo cervello si sentiva a disagio con Katniss che, in quella posizione, avrebbe potuto balzargli al collo per soffocarlo in qualunque momento.
Scacciò il pensiero e riprese a concentrarsi sulla conversazione.
«Non posso permettermi di essere ottimista nei riguardi di argomenti che concernono la tua incolumità, Katniss, perché in questo caso vorrebbe dire essere stupidi, non ottimisti. Non posso rischiare di ucciderti per “troppo ottimismo”» le spiegò lentamente, come se non l'avesse già fatto altre volte. Ormai non sperava troppo che comprendesse, visti i precedenti.
Ed infatti...
«Non mi faresti del male» ribattè lei mentre le guance ritornavano in fiamme.
«Non puoi saperlo» replicò Peeta irrequieto, chiudendo gli occhi, ancora una volta, per soffocare l'anomala rabbia che sentiva germogliare durante quei discorsi.
«Neanche tu puoi sapere cosa succederebbe».
«E credi che Gale sapesse che le sue bombe avrebbero ucciso Prim?» urlò alzandosi di scatto «No, non lo sapeva, né Prim né Gale lo sapevano, eppure è successo! Ed è la stessa cosa, Katniss, è la stessa fottutissima cosa! Gli ordigni hanno in potenza la capacità di uccidere, basta che qualcuno li inneschi... e con me funziona allo stesso modo e l'unica che mi può far “esplodere” sei tu! Le bombe di Gale hanno colpito indiscriminatamente, ma io ho un solo obiettivo e sei tu, Katniss, tu! E per questo dovresti odiarmi, starmi lontano, evitarmi, trovare un modo per difenderti più efficace rispetto a quello che usi con Gale e, invece, sei qui a torturarmi con la tua presenza, forse a sperare che io riesca ad ucciderti condannandomi ad altra sofferenza!» Peeta si fermò solo per riprendere fiato mentre sentiva l'ira bruciargli il corpo ed impennare negli occhi.
Pupille dilatate affinché si perdesse nel buio denso e melmoso d'una palude di veleno.
«E tutto questo perché sei solo una stupida egoista che pretende anche di essere sbattuta solo per...per placare le sue voglie, senza pensare... senza pensare ad un cazzo! 
Non alle mie angosce, non al fatto che lo faccio per te... non a come possa sentirmi uno schifo nel negarmi una delle cose che bramo da troppo, troppo tempo perché sono terrorizzato anche solo dalla possibilità di farti del male!».
Provò l'impulso di prenderle la testa tra le mani e fracassarle il cranio contro il muro.
E la scena iniziò a prendere forma.
Vide la chioma cenere di Katniss gocciolare sangue sul pavimento mentre una chiazza vermiglia lacerava il candore del muro tinteggiato e lui, con il capo della ragazza tra le mani, vittorioso ed estatico, pronto a sentire ancora una volta lo scricchiolio delle ossa sotto le dita.
Vacillò e la protesi cedette sotto il peso del suo tormento.
Neanche si rese conto del grido disperato che implorava a Katniss di scappare, nei suoi occhi c'era solo l'immagine di quelle iridi grigie e spente, nel naso l'odore metallico del sangue, lo stesso sangue che percepiva viscoso sotto i piedi mentre, trionfante e bestiale, ergeva in aria il corpo senza vita dell'ibrido che popolava i suoi incubi. 


NDA: Salve, popolo di EFP! 
Ecco qui, non potevo non scrivere niente in questo fandom fantastico del quale mi sto letteralmente drogando senza alcuna vergogna.
E chi meglio di questi due rottami ambulanti poteva ispirarmi? U_U
Bando alle ciance, ho scritto metà di questa storia in febbraio, nelle sere in cui ero sola col mio dolore per la perdita (leggete pure: ESTIRPAZIONE BRUTALE) dei miei cari e fedeli denti del giudizio inclusi. Quei monellacci.
Quindi ero in una situazione fisica ed emotiva ottimale per dare sfogo a tutta la felicità che avevo in corpo. Si vede che era tanta, vero? >.<
Poi cosa è successo? Ovviamente non sono riuscita a metterci più le mani sopra per mesi, finché nell'ultima settimana, con un po' più di forza di volontà ed una spettacolare posizione di Saturno, sono riuscita a finirla. Era nata come una OS, ma, sapete come sono capricciose le storie, non fanno mai quel che vogliono gli scrittori, è diventata più lunga del previsto ed ho deciso di dividerla in due capitoli. 
Lascio le mie considerazioni personali sulla storia e sui personaggi al prossimo, quindi ultimo, capitolo, nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate. Ogni recensione è ben accetta e vi premierei con dei biscottini al cioccolato se fossi capace di smaterializzarli, per adesso questo dono mi è negato! :( 

Ja ne!
  
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