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Autore: fourty_seven    23/05/2014    2 recensioni
Se vi state chiedendo chi io sia... beh lasciate perdere non ne vale la pena. Tuttavia per coloro che sono ugualmente interessati posso dire che sono un ragazzo con dei "problemi".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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“Corri! Scappa!”.
Comincio a correre accecato dalla pioggia che riesce addirittura a filtrare attraverso il fogliame. Corro nel buio della notte senza sapere dove andare, cercando solo di allontanarmi dagli spari.
Corro, inciampo in qualcosa, cado a terra, qualcuno mi risolleva.
“Via, via!” grida Tom, poi sento delle raffiche vicino a noi. Abbasso la testa e riprendo a correre.
“Qui! Da questa parte!”.
Tom mi spinge verso le voci.
Un tuono squarcia l’aria. Dopo il tuono altri colpi d’arma.
“Giù!”.
Tom mi spinge a terra, poi lui e qualcun altro cominciano a sparare contro qualcuno davanti a noi.
Un fulmine cade vicinissimo; vedo, per un istante, tre figure, poi arriva il tuono
 
 
Mi sveglio urlando.
Rimango immobile, seduto sul letto con gli occhi spalancati, mentre all’esterno infuria un violento temporale.
Mi alzo dal letto ansimando.
Ho freddo, un gelo incredibile mi invade il corpo, ma al tempo stesso sto sudando; sento le gocce di sudore colarmi dalla fronte. Me le asciugo con una manica della maglietta.
Un tuono risuona facendo vibrare i vetri delle finestre di camera mia.
Vado alla finestra: nero; non si vede altro che buio, lo stesso buio di quella volta.
Con uno scatto mi allontano dalla finestra, tremando. Ritorno nel letto, ma non riesco a prendere sonno: ad ogni lampo spalanco gli occhi, ad ogni tuono il mio corpo ha un tremito involontario.
Non riesco a stare qui.
Scendo dal letto ed esco dalla camera dirigendomi al piano inferiore. Vado in cucina prendo un bicchiere e lo riempio d’acqua.
Un lampo e un tuono fortissimo; con un grido lascio cadere il bicchiere e mi porto le mani alle orecchie, rannicchiandomi a terra.
Rimango in questa posizione per quelle che mi sembrano ore aspettando che il rombo del tuono si esaurisca, poi mi rialzo e ritorno immediatamente in camera mia. Prendo l’iPod, infilo le cuffie e faccio partire la musica a tutto volume.
Non sono mai stato così tanto contento di averlo come in questo momento.
Appoggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi, senza sentire più i rumori del temporale.
 
 
“La mano! Dammi la mano!” mi urla Jen.
“Non riesco!”, non riesco, non posso, se lasciassi la presa verrei trascinato via, verrei trascinato a fondo. Jen si sporge ancora di più, un’altra onda mi colpisce sommergendomi; mi ritrovo nell’oscurità, nel buio ancora più nero di quello che c’è fuori. L’acqua, quest’acqua scura e fredda mi invade la gola, mi entra nei polmoni. Urlo e quando riemergo comincio a tossire.
“Maledizione! Non ci arrivo!”.
“Via!” grida qualcuno, poi una mano afferra la mia; immediatamente lascio la presa e mi aggrappo a questa nell’esatto istante in cui un’onda mi investe. Prima vengo spinto in alto con violenza, perdo la presa sulla mano, poi cado sbattendo contro qualcosa e finisco sott’acqua
 
 
Grido. Grido mentre mi dimeno per cercare di tornare in superficie, poi apro gli occhi e mi accorgo di non essere sott’acqua, di non essere in mezzo alle acque scure di uno sconosciuto fiume indiano.
Mi metto seduto, cercando di uscire dalle coperte che si sono attorcigliate attorno al mio corpo.
Rimango per qualche minuto immobile ansimando; mi passo una mano sulla fronte è bagnata come se fossi stato veramente sott’acqua.
La pioggia e l’ululato del vento, assieme ai tuoni, sono gli unici suoni che si sentono; il temporale sembra essere diventato ancora più violento.
Provo a sdraiarmi nuovamente. Chiudo gli occhi ma i ricordi ritornano. Spalanco nuovamente gli occhi.
No, non posso continuare così; li devo affrontare.
Mi alzo dal letto e, sempre respirando a fatica, vado alla finestra e la spalanco. Una folata di vento gelido entra con violenza nella mia stanza: respiro a pieni polmoni.
Mi appoggio al davanzale e rimango immobile ad occhi chiusi mentre la pioggia, spinta dal vento, entra nella mia stanza bagnando tutto ciò che tocca.
Dopo qualche minuto apro gli occhi e scavalco il davanzale, sedendomi sulla tettoia che si trova sopra la porta di ingresso. Appoggio la testa al muro e chiudo nuovamente gli occhi, respirando a fondo la fredda aria notturna.
La pioggia ha ormai lavato via tutto il mio sudore e la mia paura; ora non temo più i tuoni, non sussulto più vedendo un lampo, ma gli aspetto, aspetto che cadano e ogni volta che li vedo, ogni volta che li sento, un pezzo di me torna a galla, un pezzo di me torna indietro
 
 
“Ragazzi guardate là!” esclama Philip indicando il cielo. Alzo lo sguardo, sul subito non vedo nulla, a parte le nuvole grigie che si stanno ammassano sopra la nostra testa, poi noto un particolare strano: qualcosa, anch’esso grigio, sta salendo dagli alberi di fronte a noi.
“Fumo. Fumo di un fuoco da campo” dice Marco.
“Probabilmente si tratta di un villaggio di nativi” continua George.
“”Sia ciò che sia, l’importante è che ci sono altre persone! Finalmente! Non ne potevo più di vedere solamente le vostre brutte facce, soprattutto la tua!” esclama ancora Philip rivolgendosi a Marco, che gli risponde con un pugno sulla spalla.
“Coraggio continuiamo. Se George ha ragione, magari riusciremo a trovare un riparo sicuro per la notte” dice Tom mettendosi in marcia.
Io e Philip rispondiamo con dei versi di protesta, ma non veniamo presi in considerazione.
È da questa mattina che camminiamo senza sosta, finalmente eravamo riusciti a trovare un buon posto in cui riposare!
Invece ci dobbiamo rimettere in marcia solo dopo pochi minuti di riposo.
Rientriamo nel fitto della vegetazione, cercando di muoverci il più possibile in linea retta verso il punto da cui dovrebbe provenire il fumo.
“Speriamo di non ritrovare una situazione simile a quella della volta scorsa” dice ancora Philip, dando voce ai pensieri di tutti.
“No, non penso. Questa volta non si sente odore di bruciato” ribatte George. Io lo guardo, sconvolto dalla tranquillità con cui ha parlato. Come può non essere rimasto scioccato da quell’esperienza!?
“Ehi tu! No! Aspetta!” dice Tom ad alta voce, poi fa un paio di passi di corsa prima di fermarsi.
“Che succede?” chiede Jen.
“Un ragazzino, c’era un ragazzino ma è corso via”.
“Sicuro?” chiede ancora Phil, Tom in risposta lo incenerisce con lo sguardo.
“Okay, scusa! Non volevo mettere in dubbio la tua parola, volevo solo...”.
“Se hai visto un bambino, allora è quasi sicuro che il fumo provenga da un villaggio qui vicino” constata George.
“Allora forza, in marcia” e riprendiamo nuovamente a camminare.
Non dobbiamo fare molta strada prima di scoprire la fonte del fumo e il luogo di provenienza del bambino.
Infatti dopo pochi minuti gli alberi si diradano nuovamente e ci ritroviamo in una radura, più grande della precedente, al cui centro si trova un gruppo di persone intente a discutere fra loro.
Mi guardo velocemente attorno: ai lati della radura sono state costruite delle capanne, ne conto una decina, mentre al centro, non molto distante dal gruppo di persone, c’è un grande fuoco: l’origine del fumo che abbiamo visto.
Prima di essere notati passa qualche istante, durante il quale noi avanziamo di qualche passo. E forse sbagliamo, perché quando ci vedono siamo piuttosto vicini e non sembrano gradire la cosa.
Gli uomini scattano in avanti, alcuni con in mano delle armi, altri senza, e si piazzano di fronte a noi, mentre le donne e i bambini si riparano dietro di loro.
“Calma” dice Tom, mentre lentamente alza le mani e lascia cadere a terra il fucile.
“Calma, non vogliamo farvi del male” dopodiché si volta verso di noi e facciamo cadere a terra tutte le nostre armi per poi alzare le mani sopra la nostra testa.
“Eravamo nei dintorni e abbiamo visto uno dei vostri bambini, così lo abbiamo seguito” continua Tom, con un tono di voce calmo e rassicurante.
Non credo che capiscano ciò che sta dicendo, ma penso che l’importante sia non spaventarli.
“Americani?” chiede qualcuno all’improvviso, qualcuno nascosto dietro la fila di uomini.
“Conoscono la nostra lingua!?” esclama stupito Phil.
“Solo io, ma poco” fa ancora la voce, poi dallo schieramento emerge un ragazzo, non molto più piccolo di me.
“Cosa fate...” e indica il suo villaggio.
“Come ho detto, stavamo passando vicino a questo villaggio quando...”.
“Non siete venuti per portarci via?” chiede con un tono quasi di sorpresa.
“No, certo che no! Perché dovremmo?” esclama Jen, al che il ragazzo si rilassa e si rivolge brevemente agli altri abitanti i quali, a loro volta, abbassano le armi e ci vengono in contro sorridenti.
“Che cambiamento!” esclama Phil sottovoce.
“Se hanno reagito in quel modo, una ragione c’è sicuramente” gli risponde Marco che si china a raccogliere la sua arma, per poi incamminarsi assieme agli altri.
 
Queste persone si rivelano molto, molto più gentili e accoglienti di quanto potessimo immaginare.
Ci fanno sedere acconto al fuoco assieme a loro e condividono con noi la loro cena che, tranne qualche eccezione del tipo larve di insetti, si rivela ottima, soprattutto perché non consumo un pasto caldo da giorni.
Mentre mangiamo il ragazzo ci spiega la loro situazione.
A quanto pare questo è un piccolo insediamento, ma abbastanza trafficato, soprattutto dai ribelli, cioè i tipi contro cui siamo stati mandati a combattere, i quali ogni tanto vengono a prendersi qualcuno, o uomini per farli combattere, oppure donne per un altro scopo. Anche lui era stato preso, ma è riuscito a scappare; l’americano l’ha appreso al campo dei ribelli da alcuni soldati tenuti prigionieri.
“Sei stato nel loro campo base!” esclama George, molto interessato all’argomento, appena il ragazzo lo menziona; dopotutto trovare questo campo è la nostra missione.
“Penso di sì. Non sono sicuro che sia quello più importante però”.
“In che senso?” continua George.
“Là sentivo che parlavano di altri posti come quello in cui ero io”.
“Sapresti comunque dirci dove si trova questo posto?” chiede Tom.
Il ragazzo scuote la testa: “Non molto bene, ci portavano via dentro...” e mima qualcosa, facendo il rumore di un motore.
“Dentro dei camion?” suggerisce Jen, lui le sorride.
“Sì, camion! Dentro camion, chiusi e bui, e quando sono scappato sono tornato qui dopo molto girare senza sapere dove andavo”.
“E ti pareva!” esclama Phil, immediatamente Jen gli rivolge un’occhiataccia, mentre Marco gli da una gomitata nel fianco. Il ragazzo lo guarda e poi parla ancora: “Però mi ricordo che vedevo le montagne da lì perché era in alto, sopra gli alberi” e mentre lo dice indica una direzione alle nostre spalle.
George lo guarda interessato: “Montagne? Ci sono delle montagne alle nostre spalle?”.
Il ragazzo annuisce, ma sembra un po’ titubante.
“Sì, ma montagne basse, non ricordo come le chiamate voi”  dice un po’ imbarazzato.
“Ne sei sicuro?” chiede ancora George. Lui annuisce convinto questa volta. George guarda Tom, che ricambia lo sguardo.
“Sì, finalmente abbiamo uno straccio di indizio su dove andare” commenta Tom. A queste parole io, Phil e Marco scattiamo all’unisono.
“Aspetta un attimo...”
“Vuoi dire...”
“Abbiamo trovato il nostro obbiettivo?” parliamo uno dopo l’altro.
“No, sta solo dicendo che forse abbiamo una buona probabilità di trovarlo” ci chiarisce Jen.
“Ah, mi sembrava troppo strano!” commenta Phil.
“Quindi ci  dobbiamo dirigere in quella direzione?” chiedo indicando la parte opposta rispetto a dove si dovrebbero trovare le montagne.
“Esatto ragazzo” mi risponde Tom.
Okay, ora ho capito.
“Perché state cercando quel posto?” chiede ancora il ragazzo.
“Mi spiace ma non lo possiamo dire” risponde immediatamente Phil per prenderlo in giro.
“Dobbiamo distruggerlo” risponde invece Tom. Il ragazzo annuisce, poi qualcuno del suo villaggio chiede qualcosa e lui si mette a parlare con loro, allontanandosi da noi.
Io riporto l’attenzione sul pezzo di carne che sto mangiando e lo finisco in un paio di morsi per evitare che si raffreddi troppo.
“Ehi! Piano non ingozzarti!” mi rimprovera Jen, al che Phil scoppia a ridere; io con uno spintone lo faccio cadere e lui risponde con uno scappellotto; allora io cerco di colpirlo con un pugno, ma vengo fermato ancora una volta da Jen: “Smettetela di fare i bambini!”.
Immediatamente mi fermo, Phil ridacchia ancora e mi dice: “Ubbidisci alla mammina!”.
“Guarda che ce l’ho anche con te!” gli dice Jen fulminandolo con lo sguardo. Io lo guardo sorridente e gli faccio una linguaccia; lui sbuffa, poi si sdraia con le braccia dietro la testa. Jen intanto ha ripreso a parlare con Tom.
Praticamente Jen mi ha adottato, poiché le ricordo suo fratello minore, che avrebbe la mia stessa età, se fosse ancora vivo. Erano orfani e sono stati adottati da una famiglia a cui non importava molto di loro, quindi lei si è sempre presa cura di suo fratello fin da bambini. Purtroppo è stato coinvolto in un incidente d’auto, assieme ai loro genitori adottivi, ed è stato l’unico a non salvarsi. Così, dal momento che ormai era maggiorenne, ha deciso di entrare nell’esercito per cambiare vita.
Io non riesco proprio e dirle di smetterla di trattarmi come se fossi lui, anche perché, e ciò mi costa molto ammetterlo, ho bisogno di un po’ di affetto. Se mi dovesse sentire Phil dire una cosa simile sarei morto, nel senso che continuerebbe a rinfacciarmelo ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, ma è la verità.
 
Restiamo accanto al fuoco ancora per qualche ora, cercano di chiacchierare, con l’aiuto del ragazzo, con le altre persone. Poi quando diviene veramente buio gli abitanti si alzano e cominciano a dirigersi verso le rispettive abitazioni.
“Seguitemi, c’è una casa libera che potete usare per dormire” e lo seguiamo verso una capanna ai margini del villaggio.
Non è molto grande, ma dovremmo starci tutti, magari non molto comodi. Lo ringraziamo ed entriamo.
Vado in un angolo e mi preparo per dormire, gettando lo zaino per terra e ci nascondo sotto la pistola. Poi mi sdraio.
“Ehi, che hai intenzione di fare?” mi dice Phil.
“Dormire!?”.
“A sì? E chi fa il primo turno di guardia?”. Io mi metto seduto e guardo Tom.
“Dobbiamo farlo anche questa notte? Non è un posto sicuro?” chiedo. Lui annuisce: “Sì, penso di sì. Fidiamoci di questa gente”.
“Mah, se lo dici tu” ribatte Philip.
“Se vuoi stare di guardia sei libero di farlo, penso che nessuno ti fermerà” commenta Marco. Phil sbuffa ma non aggiunge altro. Io sono così stanco che mi addormento subito.
 
“Hey kid! Hey wake up!”.
Apro gli occhi assonnato e mi trovo davanti al viso quello di Tom.
“Che succede?” chiedo con la voce impastata dal sonno.
“Dobbiamo andarcene. Subito. Ci hanno avvisato che sta per arrivare un gruppo di ribelli”, mi sveglio completamente all’istante.
Mi alzo, afferro lo zaino ed esco di corsa seguendo gli altri.
Ci inoltriamo nella vegetazione guidati dal ragazzo, che si nasconde anche lui assieme a noi.
Ci porta in una zona non molto distante dal villaggio da cui si può osservare ciò che accade senza essere visti.
“Di solito arrivano da quella direzione e poi vanno via da lì” risponde ad una domanda di Tom.
“Bene. Quando se ne andranno noi li seguiremo, è il modo migliore per scoprire dov’è il loro nascondiglio”, noi annuiamo.
Mi volto a guardare ciò che succede nel villaggio. Anche se è notte si riesce a vedere, poiché hanno nuovamente acceso il fuoco al centro della radura; c’è molta agitazione, ovviamente, e mi sembra che le persone agiscano come se seguissero un copione già recitato diverse volte; tutte le donne e i bambini si posizionano al centro accanto al fuoco; invece gli uomini, dopo aver spalancato la porte di tutte le case, le raggiungono e si posizionano tutti con lo sguardo rivolto verso un punto preciso.
Non dobbiamo aspettare molto, poi comincia a riecheggiare per la giungla un rumore, un suono che fino a poco tempo fa avrei dato qualsiasi cosa per poterlo sentire nuovamente, ma che ora mi provoca solo rabbia. Qualche istante ancora e le luci dei veicoli, che stanno sopraggiungendo, bucano il buio della notte.
Dagli alberi sbucano un camion e tre jeep militari che si posizionano accanto al fuoco, ostacolando in parte la mia visuale; da questi scendono un po’ di uomini, mi sembra di contarne una ventina, tutti armati e si posizionano attorno agli abitanti. Per ultimo dal camion scende un altro uomo, non armato; rimango colpito soprattutto da come è vestito, giacca e pantaloni eleganti con una collana al collo, la noto perché cattura i riflessi del fuoco.
Scende dal camion e cammina fino al fuoco, entrando completamente nel mio campo visivo; qui rimane fermo in silenzio per qualche secondo, poi in modo molto plateale comincia a parlare rivolgendosi, suppongo, agli abitanti del villaggio. Ovviamente non capisco ciò che dice, ma dalle reazioni del ragazzo, stringe i pugni e digrigna i denti, posso immaginare il senso del discorso.
Parla per qualche minuto, poi si volta verso i suoi uomini e ordina qualcosa, penso che sia un ordine dal tono che usa. Infatti questi si dividono in piccoli gruppi e, con torce elettriche in mano, entrano nelle case.
Non so perché, ma quando entrano in quella che abbiamo occupato noi trattengo il fiato e non mi rilasso finché, dopo qualche istante, uno dei due uomini entrati esce tranquillamente. Tuttavia questo fa solo due passi poi un grido del suo compagno lo richiama dentro. Vi rimane solo pochi secondo, poi esce di corsa e si dirige verso il loro comandante, gli dice qualcosa ed entrambi tornano di corsa dentro la casa.
Non mi piace per niente il loro comportamento, e non sono l’unico dato che sento gli scatti delle sicure dei fucili dei miei compagni.
Dentro nella capanna ci rimangono qualche minuto, poi quando escono mi sembra di scorgere sulla faccia dell’uomo, fra le ombre create dal fuoco, una smorfia di piacere. Si posiziona ancora accanto a fuoco; vedo che in mano tiene un oggetto scuro, che tuttavia luccica quando viene colpito dal bagliore delle fiamme. Lo alza tenendolo solo con un dito e lo mostra a tutti gli uomini che gli stanno attorno, mentre grida qualcosa.
E quando lo vedo vengo preso dal panico.
Lentamente, incredulo, porto la mano al fianco dove c’è la fondina con la mia pistola, dove dovrebbe esserci la fondina con la mia pistola, dove c’è la fondina, ma è vuota.
“Merda la mia pistola” sussurro.
E adesso che succede? Adesso che farà quell’uomo? Ha trovato un’arma che sicuramente non si può trovare in uni sperduto villaggio in mezzo ad una giungla sconosciuta, che cosa ha intenzione di fare a queste persone?
Ottengo la risposta dal ragazzo, che dopo una frase gridata dall’uomo, scatta in avanti gridando.
Fortunatamente Jen lo ferma in tempo tappandogli la bocca con una mano, ma ormai è tardi, tardi per fare qualunque cosa.
Un soldato, che non vedo, spara; spara a qualcuno, qualcuno del villaggio e dal gruppo di persone si levano grida di disperazione. Ma mentre succede ciò, un altro soldato, il più vicino al posto in cui noi siamo nascosti, si volta nella nostra direzione, attirato dal grido del ragazzo; scruta le tenebre per qualche secondo, poi comincia ad avanzare. Mentre le grida non accennano a cessare.
Un movimento alla mia sinistra cattura la mia attenzione; mi volto e vedo che Tom si è messo in posizione per sparare, mirando al soldato, che nel frattempo si è fermato ed è tornato indietro, forse richiamato da un ordine del suo comandante.
Tom si volta velocemente verso il ragazzo; lo guardo anch’io: ha gli occhi sbarrati per il terrore e respira molto velocemente, le mani chiuse ad artigliare il terreno.
Qualunque cosa abbia in mente di fare quell’uomo non si limiterà ad uccidere una sola persona.
“Damn it!” esclama a bassa voce Tom, poi sposta il fucile, appoggia l’occhio al mirino e nell’esatto momento in cui preme il grilletto risuona un tuono.
Il soldato cade a terra senza emettere alcun suono.
Per alcuni interminabili secondi nessuno si muove, per alcuni lunghissimi secondi i soldati rimangono fermi a contemplare il loro compagno a terra senza ben capire che cosa è successo.
Poi si scatena l’inferno.
I soldati corrono a ripararsi, mentre Tom avanza allo scoperto diretto verso gli abitanti del villaggio; io lo seguo correndo il più velocemente possibile, mentre Phil e Marco ci coprono rimanendo nascosti nell’oscurità. Altri due soldati cadono a terra; poi raggiungo il camion che è il riparo più vicino. Mi schiaccio contro una ruota, aspettando l’occasione per poter arrivare alla mia pistola, che l’uomo ha fatto cadere di fianco al fuoco nel momento in cui è scappato a nascondersi.
Tom, che si è riparato anche lui dietro al camion, si affaccia e spara un’altra raffica. Dalla parte opposta rispetto a dove siamo noi risuonano altri spari e altre grida di dolore si propagano nell’aria.
Jen e George hanno attaccato alle spalle i soldati.
Approfittiamo del momento di confusione per agire; Tom scatta verso gli abitanti, che non si sono ancora mossi dalle loro posizioni, mente io corro verso la mia arma.
Mi tuffo, la afferro e rotolo via dal cono di luce creato dalle fiamme per evitare di essere troppo visibile.
Però qualcun altro ha avuto la mia stessa idea.
Quando mi fermo e alzo gli occhi, vedo l’uomo di prima acquattato dietro una delle jeep, noto che ha una pistola in mano. Anche lui mi vede, alza l’arma e sparo.
Il suo corpo cade al suolo privo di vita.
Qualcuno mi afferra alzandomi da terra e mi spinge verso gli alberi, mentre i soldati cominciano a sparaci contro.
Seguo Tom nel buio della vegetazione; corro nell’oscurità cercando di restargli vicino, mentre lui a sua volta corre cercando di non sbattere contro gli alberi. Sento il rombo dei motori dei veicoli.
Ci vogliono inseguire con quelli in mezzo alla giungla?
Alla nostra sinistra risuonano altri spari; Tom si ferma all’improvviso, mi afferra e mi spinge a sinistra. Riprendiamo a correre nella direzione degli spari.
Improvvisamente gli alberi si diradano e sbuchiamo in quello che sembra un sentiero battuto e mi accorgo che sta piovendo. Altri spari giungono da qualche parte alla nostra destra, riprendiamo a correre in quella direzione seguendo il sentiero.
All’improvviso davanti a noi si stagliano le luci dei fari di una delle jeep.
Entrambi stupiti ed accecati ci fermiamo in mezzo al sentiero, poi un lampo cade dietro di noi e riusciamo a vedere bene ciò che abbiamo davanti, soprattutto mi accorgo che sulla jeep è montata una mitragliatrice.
Tom è il primo a riprendersi, mi afferra per un braccio e grida: “Corri! Scappa!”.
Comincio a correre accecato dalla pioggia che riesce addirittura a filtrare attraverso il fogliame.
Corro nel buio della notte senza sapere dove andare, cercando solo di allontanarmi dai colpi della mitragliatrice.
Corro, inciampo in qualcosa, cado a terra, Tom mi risolleva immediatamente.
“Vai! Vai!” grida Tom, altri colpi esplodono vicino a noi. Abbasso la testa e riprendo a correre.
Sento delle voci provenire da qualche parte.
“Qui! Da questa parte!”.
Tom mi spinge verso le voci. Un tuono squarcia l’aria. Dopo il tuono altri colpi d’arma.
“Giù!” Tom mi spinge a terra, poi lui e qualcun altro cominciano a sparare contro qualcuno davanti a noi. Un fulmine cade vicinissimo, vedo per un istante tre figure, poi arriva il tuono e con il tuono il dolore.
Fortissimo alla spalla, qualcosa di incandescente mi ha colpito, scavandosi un buco nella pelle.
Grido, grido con tutto il fiato che ho.
Qualcuno, non so chi, mi parla, ma sono completamente stordito dal dolore per capire ciò che dice.
So che vengo rimesso in piedi a forza.
Mi costringo a camminare, mi costringo a muovere i piedi cercando di riprendermi dal dolore.
Attorno a me la situazione deve essere disperata; sono consapevole del fatto che la pioggia stia cadendo con forza sempre crescente, ne sono consapevole perché il suo tocco freddo allevia il dolore alla spalla.
Sono consapevole anche che siamo circondati, continuo a sentire le esplosioni delle armi, che spesso si confondono con i tuoni, ma non riesco a capire se sono gli altri che ci sparano contro o se siamo noi a sparare a loro.
So che ad un certo punto, dopo essere caduto a terra innumerevoli volte, dopo essere stato rialzato altrettante volte, qualcuno sbatte contro di me e poi mi abbraccia. Sento la voce di Jen sussurrarmi qualcosa nell’orecchio, ma, anche se è vicina, il rumore dell’acqua sovrasta ogni cosa e non riesco a capire le parole.
Altri spari di fronte a me, retrocedo, rimanendo sempre vicino a Jen. Poi però qualcuno grida, grida più forte del rumore della pioggia: “Indietro! Via correte!”.
Mi volto e mi metto a correre separandomi da Jen, da lei e da tutti gli altri.
Continuo per non so quanto tempo, poi sbatto contro qualcosa e cado a terra urtando il terreno proprio con la spalla ferita.
Mi scappa un altro grido di dolore.
Mentre sono a terra, che cerco di rialzarmi, vedo davanti a me delle luci, delle luci che puntano verso di me.
Stanno arrivando, mi hanno visto.
Questo pensiero mi attraversa la mente, ma, invece di cercare di alzarmi per scappare, mi arrendo; rimango a terra, tenendomi una mano sulla spalla ferita, a guardare le luci avvicinarsi.
Arrivano talmente vicini che io riesco a vedere le loro sagome dietro le luci delle torce, vedo le loro armi alzarsi e puntarsi verso di me. Poi un’altra sagoma sfreccia davanti a me e viene colpita al posto mio.
Il corpo cade a terra con il volto rivolto verso di me.
Riesco a vedere le labbra di Phil formare un’unica parola prima che si blocchino nell’immobilità della morte.
Go.
Con una spinta mi rimetto in piedi e comincio a correre nella direzione da cui è arrivato Phil; comincio a correre ignorando il dolore della ferita. E continuo finché non urto qualcosa, anzi qualcuno, per poi cadere in avanti, nel vuoto.
Cado in acqua, nell’acqua di un fiume in piena a causa del diluvio.
Non so come ma riesco ad afferrare qualcosa che emerge dalla superficie dell’acqua; mi ci aggrappo con tutte le mie forze e grido aiuto.
“La mano! Dammi la mano!” mi urla Jen, sporgendosi per raggiungermi.
“Non riesco!”, non riesco, non posso, se lasciassi la presa verrei trascinato via, verrei trascinato a fondo. Jen si sporge ancora di più, un’altra onda mi colpisce sommergendomi.
Mi ritrovo nell’oscurità, nel buio ancora più nero di quello che c’è fuori; l’acqua, quest’acqua scura e fredda mi invade la gola, mi entra nei polmoni.
Urlo e quando riemergo comincio a tossire.
“Maledizione! Non ci arrivo!”.
“Via!” grida qualcun altro, poi una mano afferra la mia; immediatamente lascio la presa e mi aggrappo a questa nell’esatto istante in cui un’onda mi investe. Vengo spinto in alto con violenza, perdo la presa sulla mano, poi vengo spinto in basso e sbatto la testa contro qualcosa e finisco sott’acqua.
Grido mentre affondo, grido mentre l’acqua mi invade i polmoni.
Provo a muovermi per cercare di riemergere, ma i miei arti sono immobili, pesanti e mi trascinano a fondo.
Sto per morire, sto per morire affogato e ciò non mi spaventa, non mi preoccupa.
Semplicemente chiudo gli occhi, o almeno credo di farlo, e mi abbandono all’acqua.
 
Qualcosa, come un peso, mi schiaccia il petto costringendomi ad aprire gli occhi e a respirare. Comincio a tossire, mentre sputo acqua dal naso e dalla bocca.
Un volto entra nel mio campo visivo: Jen. Allungo una mano ed è quella di Tom che la afferra.
Sono vivo, sono ancora vivo e non sono sicuro che sia ciò che veramente desidero.
  
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