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Autore: Siranne    23/05/2014    0 recensioni
Lei soffriva per essere stata rifiutata da suo padre, ma aveva la fortuna –se così si poteva chiamare- di essere abbastanza adulta per vivere da sola, soprattutto aveva avuto la fortuna di conoscere l’amore dei genitori che molti bambini in quel posto nemmeno sapevano cosa fosse.
Non riusciva ad immaginare come potesse essere una vita del genere.
Quell'edificio l’angosciava.
Promise sulla sua stessa vita che suo figlio non avrebbe mai visto un orfanotrofio.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ryoushin 両親

Roger si preparava per assolvere l’ingrato compito. Doveva diventare il tutto fare di Near.
Nate River era il nuovo L, lui il nuovo Watari.
Non era affatto felice di andarsene. Snervarsi per mandare avanti un orfanotrofio era decisamente più piacevole che seguire un ragazzino apatico e ultra intelligente in lungo e in largo per indagare sulle morti più macabre.
“Ma perché non mi sono sposato, non ho avuto dei figli e non mi sono scelto un lavoro normale?”
Quando fondò l’orfanotrofio, Quillsh Wammy propose al suo giovane amico Roger di divenire suo braccio destro alla direzione della House.
Una grandissima opportunità, per avere una vita sicura dal punto di vista economico, ma l’impegno gravoso lo risucchiò sempre più fino a votare la sua intera esistenza -senza nemmeno rendersene conto- all’orfanotrofio.
Prese coscienza della sua condizione quando Wammy gli comunicò, quasi vent’anni fa, la decisione di seguire L e gli chiese di sostituirlo alla direzione.
Si rese conto di come la vita gli fosse sfuggita dalle mani, iniziò quasi a provare invidia per gli orfanelli che già a 15 anni potevano decidere di andare via, mentre lui, ormai, non aveva altro destino che restare chiuso in quelle quattro mura.
Adesso era arrivato ad una nuova conclusione: non era altro che l’ombra di Wammy, tutto ciò che lasciava toccava a lui prenderlo. Una vita miserabile insomma, vissuta per attrito senza mai prendere una volta una sua decisione.
Ancora una volta si rimproverò per i suoi pensieri, è facile piangere sul latte versato.
“Cosa fatta, capo ha”
Prese in mano la foto di Watari. Un tipico vecchietto inglese, dall’aspetto tenero e bonario.
Gli era grato. Il suo amico aveva fatto tutto in buona fede, la colpa era di Roger stesso. Lui poteva fermare tutto, eppure…
“E’ difficile lasciare il porto, anche se si vorrebbe navigare altrove.”
Eppure, essere l’ombra di Watari era l’unica sicurezza che aveva nella vita, come infondo l’unica sicurezza di Near era di essere il sostituto di L.
Un compito ingrato, ma che qualcuno doveva pur fare.
Infilò la foto nella valigia.
Lui era quasi costretto a farlo, mentre Watari lo fece di sua spontanea volontà.
Voleva accompagnare L, provava un affetto per quel ragazzo quasi come fosse un figlio.
Fece mente locale per ricordare il volto del più grande detective del secolo, erano passati parecchi anni dall’ultima volta che l’aveva visto.
Ricordava però il momento in cui era giunto in orfanotrofio. Stringeva la mano di Watari, impaurito…

 
***
Ormai al quinto mese di gravidanza Meiko si era abituata all’aria inglese.
A giugno il tempo era piacevole. Le piogge costanti diventavano meno frequenti e il tepore del sole si poteva percepire quasi ogni giorno.
Ormai la pancia era ben visibile, ma a dispetto di quanto immaginasse era riuscita a trovare un lavoro piuttosto facilmente. Lavorava come cuoca in un ristorante giapponese. Trovare propri connazionali in un paese straniero era la fortuna più grande che potesse capitare.
 «Come lo state chiamando?» chiese Sachi, una cameriera del piccolo ristorante, logorroica e pettegola.
Meiko ci rifletté un po’ su: «Non abbiamo ancora deciso» rispose sinceramente.
Sachi la guardò dall’alto in basso, quasi come se volesse darle della stupida.
«Capisco» prese la ciotola e uscì dalla cucina.
Meiko aveva sempre quell’impressione, ogni suo sguardo sembrava volesse insultarla o volesse dimostrare quanto insulsa fosse rispetto a lei.
Prese del pesce e cominciò a sfilettarlo. Effettivamente, ora che ci rifletteva, non aveva ancora pensato ad un nome. Ce ne sono così tanti in questo mondo, come si può scegliere il migliore per un figlio?
La scorsa ecografia aveva eliminato una buona fetta di nomi, perché finalmente si era venuto a sapere che il nascituro era maschio.
“Dovrebbe essere giapponese o inglese?....Jinta Lawliet. Non si può sentire” le sfuggì un sorriso a quell’assurdo accostamento. Si sarebbe dovuta rassegnare a trovargli un nome inglese.
Appoggiò il coltello.
Ancora una volta le girava la testa e sentiva le gambe cedere. Era questione di pochi secondi, poi tutto passava.
Questa volta però, la montagnetta di filetti di pesce non ne voleva sapere di stare ferma. Prima tremava, poi si sfuocava sempre più fino a diventare tutta nera. Poi il freddo del pavimento e niente più.
 
Gerard stava lavando il pavimento delle stanze. I ragazzi erano a lezione e la ditta di pulizie approfittava della loro assenza per svolgere il lavoro.
Non poteva dire di amare quella professione, ma al momento non gli era possibile ambire a niente di meglio.
Purtroppo all’età di 23 anni non aveva più l’appoggio dei genitori, morti quattro anni prima a causa di un incidente stradale. Doveva darsi da fare e tutto sommato non si poteva lamentare, lui e Meiko sarebbero vissuti senza essere asfissiati dal terrore di non arrivare a fine mese.
Il bambino avrebbe portato qualche spesa in più, ma se entrambi avessero avuto un impiego non ci sarebbero stati gravi problemi.
Sollevò l’ennesima mutanda buttata per terra maledicendo quei mocciosi viziati.
«Mi scusi. E’ il signor Gerard Lawliet?»
Gerard si voltò verso la voce. Un distinto signore sulla cinquantina, vestito con uno smoking aveva un espressione desolata, tipica di chi ti porta pessime notizie.
«Sì, sono io» disse sollevandosi da terra.
«La sua fidanzata è stata portata all’ospedale per un collasso»
«Come?» sussurrò lui, perdendo un battito.
In pochi minuti, con il furgone della ditta di pulizie, raggiunse l’ospedale.
   
 
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