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Autore: Akilendra    24/05/2014    1 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Essere prigioniera di Snow non è esattamente come credevo che fosse, penso mentre mi liscio la stoffa rossa del vestito. È ridicolo, il vestito, Snow, il fatto che faccia finta che sia sua ospite, non sono affatto un'ospite e lo so bene. Non importa quali bei vestiti mi obbliga ad indossare, non importa il fatto che sia pulita, ben vestita e non incatenata chissà dove. La catena c'è uguale, anche se non si vede e non è il fatto che sia dorata a farmi scordare che sono in una gabbia.
Forse potrei strapparlo, penso cercando di liberarmi dagli stretti lacci del corpetto, probabilmente sarebbe inutile però, dato che ho già distrutto due dei suoi vestiti e lui me ne ha sempre procurato altri, ogni volta ancora più sfarzosi e pesanti, sembro uscita da uno di quei romanzi dell'Ottocento. Uno stridio mi distoglie dai miei pensieri, una chiave gira nella serratura e la stessa cameriera che mi aiuta ad indossare questi ridicoli vestiti e entra nella stanza - Il Signore vi aspetta per la cena - dice con il suo tono distaccato, dovrebbe essere gentile, le è stato ordinato così, ma suona tanto come un ordine accompagnato dalle occhiate che mi lancia - Al Signore non piace aspettare - aggiunge e un brivido mi sale lungo la schiena - Sto scendendo - rispondo più scontrosa di quanto dovrei. Scendo le scale con lentezza indugiando su ogni scalino e appoggiandomi al corrimano, in realtà le scarpe non sono tanto alte quanto quelle che mi hanno fatto indossare durante l'intervista dei miei Hunger Games e sono comodissime al confronto del vestito che mi stringe e strizza facendomi sentire sull'orlo di scoppiare da un momento all'altro, ma non muoio dalla voglia di raggiungere chi mi sta aspettando, non sarà una cena piacevole, niente da quando sono qui lo è stato.
Quando raggiungo la sala Snow è già seduto ad un capo del tavolo, raggiungo senza guardarlo, ma a testa alta, l'altra sedia posta dall'altra parte del tavolo. L'uomo vestito di nero scosta la sedia per aiutare a sedermi, ma prima che possa farlo vengo interrotta da un gesto della mano del presidente - Puoi andare, Edward - lo congeda e lui sposta le mani dalla sedia lasciandomi in piedi e scompare dietro la porta a due battenti. Gli occhi velenosi del presidente scivolano su di me - Avvicinati - dice cercando di non farlo sembrare un ordine e fallendo miseramente, muovo qualche passo nella sua direzione - Più vicino - richiede, faccio come dice e mi fermo davanti a lui - Voltati, fatti guardare - ingoio la sensazione di disgusto che sento salirmi da dentro ed giro su me stessa lentamente, lottando per mantenere la testa alta e lo sguardo inespressivo - Davvero deliziosa. Ti farò portare altri abiti di questo colore - commenta e ancora una volta, come le prime volte che lo incontrai ho l'angosciante sensazione che stia morendo di fame ed io sia il suo cibo preferito. Mi allontano di un passo, con l'incalzante timore che possa addentarmi da un momento all'altro, sul suo viso si dipinge un'espressione leggermente stupita - Provi paura nei miei confronti, Jenna? - chiede scrutandomi - No - rispondo subito alzando ancora di più il viso - Provo solo disgusto - aggiungo e me ne pento subito dopo. Il suo viso diventa paonazzo e la sua espressione si fa dura, la sua voce lo è ancora di più quando parla - Siediti - questa volta non si sforza neanche di non farlo sembrare un ordine. Per un momento ho creduto che sarebbe scoppiato, che mi avrebbe schiaffeggiato, che avrebbe ordinato all'uomo vestito di nero di sbattermi nel sotterraneo, ma non ha fatto nessuna di queste cose, invece è rimasto in silenzio come ogni cena ordinandomi di mangiare quando il cibo rimaneva per troppo tempo senza essere toccato nel mio piatto. Quando finiamo di mangiare la sua sedia striscia sul pavimento, si alza e percorrendo tutta la sala mi raggiunge da dietro. Sento le sue mani poggiarsi sulle mie spalle e lotto contro l'impulso di ritrarmi bruscamente - Penso che dovresti essere più accondiscendente nei miei confronti, sarebbe più conveniente per entrambi - soffia al mio orecchio, sento il suo fiato sul collo e deglutisco velocemente - Se solo fossi un po' più carina con me, mia dolce Jenna...- il suo alito accarezza il mio collo in un modo squallido, l'odore di sangue che viene dalla sua bocca mi fa rivoltare lo stomaco. Cerco con tutta me stessa di non pensare alle implicazioni che ci sono nelle sue parole mentre sento le sue dita fredde sfiorarmi le spalle lasciate nude dal vestito - E farai meglio a pensare alla mia proposta - aggiunge con un certo compiacimento nella voce prima di raddrizzarsi ed abbandonare la stanza. Già, la sua proposta...
La solita cameriera mi riaccompagna nella mia stanza-cella e mi aiuta a liberarmi dell'odioso vestito rosso, poi si assicura che la finestra sia ermeticamente serrata, si chiude la porta alle spalle e gira la chiave nella serratura. Ascolto i suoi passi rumorosi nel silenzio che regna del corridoio e quando anche loro tacciono, sono di nuovo sola.

***

Guardo due ragazzi piroettare in mezzo agli altri, sembrano così felici, la musica suona veloce, un ritmo festoso si sparge per tutto il distretto. E chi avrebbe mai immaginato che anche il 13 potesse trovare un modo per divertirsi? Non avrei mai detto che ci sarebbero stati colori diversi dal grigio, invece ghirlande colorate sono appese al soffitto, fiori e nastri ornano ogni cosa, persino le persone hanno messo da parte i soliti abiti incolori ed indossano vestiti diversi, che mai in un giorno normale avrebbero portato. Ma questo non è un giorno normale, è un matrimonio, e nemmeno la guerra sembra poter sbiadire un giorno come questo.
Al centro della sala Finnick gira su se stesso e non fa altro che ridere, stretta tra le sue braccia c'è una ragazza vestita di verde, da oggi sua moglie, si chiama Annie ed è bellissima. Con quel sorriso, con quegli occhi innamorati, lo guarda come si guarda il sole dopo aver vissuto anni nell'ombra, lo guarda come si guarda qualcosa di prezioso e raro ed è bellissima mentre anche lui la guarda così. Negli occhi verde mare di entrambi non c'è spazio che per l'amore.
Dietro di me un verso simile ad un grugnito mi fa distogliere gli occhi dai due sposi. Quando mi volto Johanna Mason ha stampata in faccia un'espressione insofferente mentre guarda alle mie spalle, al centro dell'improvvisata pista da ballo - Ah, vi prego, guardateli. Potrei vomitare - dice con una mano sulla fronte - Non dice sul serio. In realtà è contenta per Finn, solo che non può dirlo, la sua reputazione da dura sarebbe compromessa - a parlare è Katniss che mi spunta da dietro reggendo in mano un bicchiere pieno di un liquido trasparente che dubito fortemente sia acqua. Johanna liquida le sue parole con un gestaccio, le ruba il bicchiere e si scola metà liquido trasparente - Fa schifo - annuncia subito dopo, Katniss fa spallucce - Era nelle scorte di Haymitch - risponde - Qualcuno dovrebbe dire a quell'ubriacone che ha un pessimo gusto - fa notare Johanna - Perché non glielo dici tu? - propongo indicando con la testa Haymitch che da pochi secondi, ma abbastanza per sentire il suo commento sgarbato, è dietro Johanna. Lui le strappa il bicchiere di mano e tracanna il liquido rimasto - Ei! - protesta lei indignata, ma Haymitch è già scomparso tra la folla - Ubriacone di mer...- Katniss le ficca in bocca un pezzo di torta interrompendo il suo insulto, o molto più probabilmente rimandolo a più tardi - Mangia, così forse ti addolcisci un po' - dice, non riesco a trattenere una risata. Johanna mi lancia uno sguardo di fuoco, se gli sguardi potessero uccidere, sarei già morta bruciata - Certo che anche te non sei mica un zolletta di zucchero! Quel poveraccio di Peeta ha dovuto subirsi due edizioni degli Hunger Games per avere qualche bacetto - il riferimento a Peeta sembra aver turbato non poco Katniss che è diventata pallida tutto insieme - Zolletta di zucchero? - Finnick compare all'improvviso tra noi, ha l'aria fresca e spensierata - Bella festa - dico sorridendogli cercando di essere gentile, lui ricambia il mio sorriso, seguo la sua figura mentre Annie lo trascina di nuovo in mezzo alla pista - Ti prego, non provarci con lui, si è appena sposato! E poi c'è già una fila...una lunga fila... - dice Johanna guardandomi con aria di superiorità, poi come se ricordasse tutto insieme aggrotta le sopracciglia - E poi tu che ti ridi? - chiede torva, pensavo di averla scampata per la mia risata di prima alla battuta di Katniss - Ce ne ho anche per te, che credi! - l'indice alzato come se stesse rimproverando una bambina disubbidiente. Sto per aprire bocca quando Katniss si mette in mezzo a noi - Così non andiamo da nessuna parte - ci ammonisce guardando prima Johanna e poi me - Non avete ancora capito che vogliono tagliarci fuori? Mi hanno usata finche gli sono servita come Ghiandaia Imitatrice ed ora che non gli servo più mi metteranno da parte, proprio come faranno con voi. Beh, io non ho intenzione di rimanere a guardare mentre danno il colpo di grazia a Capitol City e a Snow, devo esserci anch'io, me lo devono. Già ci sono loro che che ci mettono i bastoni fra le ruote, se poi cominciamo a scannarci a vicenda è la fine - Johanna la guarda con un sorriso sulle labbra che non ha niente di divertito - Devo ricordarti che questo è un matrimonio, non è carino parlare di guerra - la canzona - Come se ti importasse qualcosa del matrimonio - dico, Johanna mi lancia un'occhiataccia ma non ribatte.
Per un secondo mi chiedo chi siano i "loro" di cui parla Katniss, la Coin? Haymitch? Plutarch? Tutto il Consiglio? Era tutto molto più semplice quando credevo che l'unico "cattivo" in circolazione fosse Snow, evidentemente però questi "loro" non sono interamente dalla parte dei buoni. Esiste una via di mezzo? "Loro" chi? La domanda che fa Johanna è leggermente diversa - Noi chi? - sul suo viso sempre il solito sorriso che di un sorriso non ha proprio niente - Non c'è un "noi" - dice risoluta - Noi siamo vincitrici, combattenti, alleate, soldati...tante cose possono essere associate ad un "noi" - continua indicando lei e Katniss - Ma lei - ora indica me - Lei non c'entra proprio niente con noi, Katniss - il disprezzo trabocca dalla sua voce - Ti sbagli, Johanna, c'entra eccome - .

- Che diavolo vuol dire? - le urla di Johanna riempiono la camera dell'ospedale - Esattamente quello che ho detto. Non ci faranno andare a Capitol City se non ci alleniamo - spiega Katniss - Bene. Mi allenerò. Ma andrò in quella capitale puzzolente anche se dovrò uccidere una squadra intera e volare lì da sola - e dall'espressione su viso di Johanna mi rendo conto che potrebbe farlo davvero - Probabilmente è meglio non farne parola durante l’allenamento - inizia Katniss -Ma è bello sapere che avrei un passaggio - continua - Potrebbe esserci un posto anche per te... – Johanna incrocia le braccia sul petto e mi scocca una delle sue occhiatacce - ...ma devi meritartelo - aggiunge. Corruga la fronte come se stesse per compiere un enorme sforzo e alla fine le sue labbra si increspano in un sorriso e sento che noi tre abbiamo appena fatto un piccolo ma significante passo avanti nel nostro rapporto.

E cerco davvero di meritarmelo quel posto sull'hovercraft immaginario di Johanna mentre aiuto il dottor Johnson con i feriti; mentre pulisco la camera di Haymitch e ogni mattina mi assicuro che ci siano meno bottiglie del giorno precedente; mentre fornisco a Plutarch un'accurata descrizione degli ambienti della villa di Snow che ho visto mentre ero sua prigioniera; mentre faccio finta di allenarmi e Johanna riesce perfino a farmi tenere in mano un coltello che non si quello usato per affettare il pane, nonostante le abbia già ripetuto più volte che non ho la minima intenzione di diventare un soldato e che saprò rendermi utile in altri modi.
Quando qualche settimana dopo vedo Katniss correre verso di me penso che finalmente è ora, che stiamo per andare a liberare Jenna - Ho passato l'esame. Tra pochi giorni si parte - dice invece. Vorrei risponderle che non saranno mai pochi i giorni che mi dividono da mia sorella - Jo? - chiedo invece, si rabbuia - è in ospedale. Durante la simulazione cercano di trovare il punto debole di ogni soldato e quando è stato il suo turno hanno allagato la strada - dice - è così che l'hanno torturata a Capitol City. Immersa nell'acqua per poi lanciare scariche elettriche - spiega vedendo la mia espressione confusa. Non so spiegare a stretta che sento al cuore - Haymitch dice che dovremmo andare a trovarla - continua e sorprendo me stessa a pensare che sarei andata a trovarla in tutti i casi, anche se non fosse stato Haymitch a dirlo.

- Odora di casa - dice portandosi al naso il fagotto che le abbiamo portato io e Katniss, alcune lacrime iniziano a bagnarle il viso - è stata un'idea di Anna - le dice Katniss, mi stringo nelle spalle - Mi ricordava il distretto 7 e ho pensato che potesse fare lo stesso effetto anche a te - le spiego, annuisce lentamente. - Devi ucciderlo, Katniss - dice afferrandole il polso dopo qualche secondo di silenzio e la fa promettere - E tu vedi di riportarmi quella squilibrata di tua sorella - dice puntando un dito nella mia direzione - Mi manca - aggiunge e dovrebbe essere qualcosa di dolce e carino, ma lo fa sembrare quasi una minaccia e sorrido mestamente ricordandomi che stiamo pur sempre parlando di Johanna Mason.

- Tu non vai proprio da nessuna parte! - ruggisce Sam e le mie convinzioni vacillano - Ma a Capitol City c'è Jenna, bisogna liberarla - sussurro, ma mentre le parole mi escono dalla bocca mi rendo conto di quanto deboli siano le mie proteste - A quello penserò io - risponde sicuro - Ma...- inizio, ma mi blocco, non so come potrei convincerlo a portarmi, probabilmente sono solo un peso morto, sicuramente - Ti prego, Sam, lascia che faccia la mia parte - mi gioco la carta delle suppliche - Vuoi fare la tua parte? Resta qui al 13 e cerca di rimanere viva, ok? - mi rendo conto che effettivamente Sam sta ancora cercando di compiacere Jenna, nonostante lei non sia qui, nonostante con una guerra in corso nessuno noterà che c'ero anch'io. Nonostante questo Sam sta cercando di esaudire i desideri di Jenna e se tenermi qui impotente ma al sicuro non è uno dei desideri di mia sorella, ci si avvicina molto. Ancora una volta sono la sorella piccola da proteggere, quella a cui non si possono spiegare le cose 'da grandi', quella a cui si dice "fai così e basta". Ma io non sono più piccola di Jenna, non sono più piccola di molti altri soldati che andranno a combattere a Capitol City, non voglio combattere, figurarsi se Sam me lo permetterebbe, tutto quello che voglio è che mi portino con loro. Ma a nessuno interessa cosa voglio, nemmeno a Sam, a lui interessa cosa vuole Jenna.

Chissene frega di Anna, chissene frega di quello che vuole, chissene frega se vuole una volta tanto fare la cosa giusta, chissene frega se è stanca di vivere, chissene frega se viene estratta per gli Hunger Games... C'è sempre Jenna. Jenna che è importante quello che vuole, Jenna che fa sempre la cosa giusta, Jenna che entra nell'arena al posto della sorella.
C'è sempre Jenna, ci sarà sempre Jenna e finché ci sarà Jenna, non ci sarà Anna.
Che sorella ingrata, Jenna le salva la vita ed è questo il modo in cui la ringrazia...la ama, certo che ama sua sorella. Lo capisce che non è colpa sua se lei sarà sempre la seconda. Non è colpa di Jenna, Anna lo sa, è che per una volta vuole provare a non essere la seconda di due, vuole solo essere la prima di una, come tutti gli altri.
Ecco perché per la prima volta non fa quello che gli altri si aspettano che faccia. Ecco perché chiede al dottor Johnson di poterlo aiutare. Ecco perché lui acconsente a portarla a Capitol City. Ecco perché quando scoppia la battaglia non si nasconde.
Ecco perché quando arriva il momento sa qual'è la cosa giusta da fare. E la fa.




Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Sam non se ne era accorto. Le sparatorie, la gente che correva, i baccelli disseminati per le strade che si aprivano sprigionando i loro orrori. E la cosa peggiore era l'incertezza che accompagnava ogni cosa. L'unica certezza era Jenna. A Sam pareva di sentire il cuore di lei battergli nel petto accanto al suo tanto la sentiva vicina. Aveva capito che l'unico modo per liberare Jenna era vincere la battaglia che si stava svolgendo in quel momento, per questo ce la mise tutta.

Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Anna non se ne era accorta. Da quando aveva deciso di aiutare il dottor Johnson era stato tutto un ricordo sfocato. Le pallottole che i dottori estraevano dalle ferite, il sangue, le garze bianche che presto sarebbero diventate vermiglie. Non è che Anna potesse fare grandi cose, ma dava una mano, le piaceva poter aiutare, poter fare qualcosa e poi sapeva che era la cosa giusta. Ecco perché quando i primi paracaduti argentei esplosero tra le mani di centinaia di bambini fuori dal palazzo del presidente Snow, Anna seppe che quella era la cosa giusta da fare. E la fece.
Poco importava che fossero figli dei capitolini, i bambini sono bambini ed Anna sarebbe andata ad aiutarli.

Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Jenna non se ne era accorta. Non aveva avuto il tempo di fare quello che si era progettata di fare. Non aveva avuto il tempo di pensare a nulla. Gli hovercraft che volavano nel cielo di Capitol City, i ribelli che facevano breccia nella città, gli spari, le urla, i corpi accatastati nella piazza, la gente che scappava, i fucili in mano, i proiettili a terra, il sangue, i morti, i bambini fuori dalla residenza del presidente, l'hovercraft con il simbolo di Capitol City, i paracaduti argentati, l'esplosione, la pioggia di sangue, i ribelli accorsi in aiuto, il secondo hovercraft, i secondi paracaduti, la seconda esplosione. E poi più niente.
  
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