“E il quadro venne
giù, il vetro andò in frantumi sul pavimento e io
cominciai a urlare perché…perché sapevo che era morta e pensavo…si pensavo che
fosse il suo fantasma, si , il suo fantasma che mi odiava, quanto mi odiava
lei, solo che il fantasma non era inchiodato in quel letto,perciò urlavo….e
urlando corsi fuori, gridando: Zelda è morta!”
(Stephen King ”Pet Sematary”)
1)FAREWELL, BELOVED LITTLE
SISTER
Non riusciva a
crederci, nemmeno dopo averla vista quell’ultima volta, quando ormai era
fredda, rigida, con un la vaga ombra di un sorriso che
le aleggiava su quei lineamenti severi, poco adatti ad una bambina.
Hanabi era morta.
Se avesse avuto ancora delle lacrime le avrebbe versate per quella sorella,
che amava nonostante il carattere scontroso e la freddezza.
L’aveva tenuta in
braccio da piccola, l’aveva curata dopo la morte della madre, l’aveva consolata
le rare volte che aveva pianto e ora lei….non c’era
più.
Non riusciva ad
accettarlo,era dannatamente ingiusto.
Camminava, simile
a un fantasma, per le strade del villaggio, era quasi sera ,
avrebbe dovuto essere a casa a quell’ora, ma lei,in quella villa enorme, non
aveva più nessuno da cui tornare, non più…
[“Hinata-chan, è successo qualcosa….”
La voce spezzata
di Kiba, quella sera maledetta.
“Devi venire
all’ospedale.”
“C-chi è s-stato f-ferito?”
“Hanabi-chan”
Il suo cuore si
era fermato, perché lei?
Perché?
Era corsa fuori casa, il cuore in gola, le
lacrime che scendevano.]
“Hinata!”
Una voce dal
presente la richiamò alla realtà, Kurenai-sensei la
guardava preoccupata, le mani appoggiate ai fianchi, impotente, per la prima
volta vedeva la sua maestra in quello stato.
“Come
mai sei ancora qui?
Non
dovresti essere a casa?”
Abbassò gli occhi,
cercando una risposta che la salvasse da quella conversazione, sapeva come
sarebbe andata a finire, la sensei l’avrebbe spronata
a reagire, cosa che sarebbe stata attualmente
impossibile per lei.
“Ci stavo
andando…”
Kurenai fece per aprire bocca, forse per dirle di
non mentire, ma poi rinunciò e la lasciò andare, ma i suoi occhi rossi le
bruciavano sulla schiena.
Non l’avrebbe
lasciata andare davvero.
Si trascinò a
casa, suo padre non le disse nulla, era morto anche lui insieme ad Hanabi, era morta quella
piccola parte di umanità che c’era ancora in lui.
Andò a lavarsi, si
mise un kimono, raccolse i lunghi capelli neri in una coda, gesti meccanici a cui si aggrappava per andare avanti, ma che ogni giorno le
sembravano sempre più insensati, non c’era nulla per cui valesse la pena farlo.
Nulla.
Persino lui, era
troppo distante per essere raggiunto e forse lo era sempre stato, solo che lei
non l’aveva mai capito…
Scese.
Suo padre era già
a tavola senza averla aspettata, quando si sedette non
alzò nemmeno lo sguardo, lei era diventata trasparente ai suoi occhi.
Cenarono in
silenzio, l’unico rumore era quello delle bacchette, in un silenzio innaturale,
la calma prima della tempesta, si scoprì a pensare.
“Hanabi amava questo piatto.”
Hinata non rispose.
“Lei non potrà
mangiarlo mai più.”
Ma io sono qui davanti a te! Mi vedi?La sua
mente urlava disperatamente quelle parole, ma lei rimase ancora una volta in
silenzio, lui la paralizzava.
“Perché
non sei morta tu? Tu
non meriti di vivere.
Una come te non avrebbe nemmeno dovuto
nascere.”
Le caddero le
bacchette di mano, le si bloccò il respirò, quella
freddezza la uccise, quante volte sarebbe morta ancora?
Quante volte
l’avrebbe uccisa?
Non era stato lo
scoppio improvviso di rabbia, la frase detta in un momento in
cui era fuori di sé, quella frase era stata meditata a lungo, ponderata,
soppesata e poi emessa con la stessa ineluttabilità di una sentenza e con la
stessa sicurezza glaciale che usava per comunicare le decisioni del clan.
Si alzò, sentiva
freddo dentro di sé, lasciò quella stanza come una sonnambula, per dirigersi
alla porta, esitò un’ attimo, ma poi si mise i sandali
e uscì.
La notte era
fredda, tirava un vento gelido, ma lei non lo sentiva, non sentiva
più nulla, solo le mille immagini che le si affollavano dentro la testa.
Lei bambina, la
mamma, Hanabi, i tempi dell’accademia, il diploma, la
formazione delle squadre,il torneo di selezione dei chunin, lo scontro con Neji-nii-san,
quella breve conversazione con Naruto, tutti quei
frammenti di vita le vorticavano in testa.
[“Hinata è forte, si allena con impegno, più degli
altri, ma poi in missione commette degli errori stupidi che la demoralizzano e
non riesce a essere utile.”
Kurenai sensei.
“Gli Hyuga non hanno più bisogno di lei.”
Suo padre.
“Voi maledite il
vostro destino, voi non siete adatta a fare il ninja”
Neji-nii-san.]
Un tempo sarebbe
uscito sangue da ognuna di quelle ferite e ne era uscito, ma ora non più,
perché tutti loro avevano avuto ragione, lei era assolutamente inutile, sarebbe
dovuta morire lei al posto della sorella.
Si sedette accanto
al lago, dal cielo coperto cominciarono a scendere fiocchi di neve.
La neve…
“Quando sei triste chiedi aiuto alla neve, chiedile di cadere e
accumularsi sulle tue ferite, sempre più , fino a quando non rinchiuderà i tuoi
pensieri dolorosi in un mondo candido, un mondo che non ti potrà più ferire.”
La voce di sua
madre le parlava dolcemente da un ricordo lontano, prima che morisse, da allora
aveva invocato innumerevoli volte la neve, ma non era mai scesa.
I pensieri
dolorosi l’avevano ferita sempre di più, sempre più in profondità,
ma ora il cielo l’aveva ascoltata, le stava mandando tutta la neve che
aveva desiderato, ricoprendola lentamente.
“Hinata…”
La voce debole
della sorella, quella dell’ultima sera, la venne di
nuovo a trovare.
“Hinata….
Ascoltami, perché
credo che poi non riuscirò a dirti più nulla, dopo che io sarò morta…
Zitta e sii realista, io
non arriverò a domani mattina Hinata, quindi
ascoltami.
Ti diranno tante
cose, che sei inutile, che avresti dovuto morire al
mio posto, che tu non meriti di vivere, ma tu non dargli retta.
Hinata!”
Le aveva preso le
mani.
“Se
devo abbinare un colore a te, io penso al bianco, perché è perfetto, come te,
lui racchiude dentro di se tutti i colori del mondo.
Mi capisci?
Proveranno ad
abbatterti, ma tu non credergli , perché io sono
sicura che un giorno tu splenderai più di loro.
Me
lo prometti?”
Aveva annuito,
incapace di dire altro.
“Perdonami Hanabi, non ce l’ho fatta…
I rifiuti non possono diventare
stelle.”
Tutto si fece
nero, tutto spariva lentamente..
Qualcuno la
scosse, una voce la chiamava.
“Hinata!!!”
Aprì piano gli
occhi, un volto dal passato la osservava, preoccupato,
i grandi occhi sgranati.
Naruto Uzumaki.
Un tempo sarebbe svenuta, ma quel tempo le sembrava lontano mille secoli,
inerte si lasciò caricare in spalle, poi ricadde nel buio.
Al risveglio
percepì per prima cosa il calore, il peso dolce delle coperte su di sé, poi
aprì gli occhi piano, e trasalì.
Dov’era?
Vide una foto sul
comodino accanto a lei, il team sette, era a casa di Naruto!
Arrossì, si alzò
di scatto, qualcuno l’aveva cambiata!
Stava per correre
fuori da quella stanza, improvvisamente troppo stretta,
quando la porta si aprì e lei rischiò di cadere addosso al ragazzo che reggeva
una tazza di minestra in una mano.
“Hinata-chan!
Sei
sveglia!”
Farfugliò una
risposta, rossa.
“La
mia vicina ti ha preparato una minestra, ti farà bene…
Prima è venuta e
ti ha visitata.”
Allora era stata
lei a cambiarla, ma non importava, doveva andarsene.
“Io…io devo
a-andare N-Naruto-kun!”
“Perché?”
Perché una come me non può stare al mondo, perché sarei dovuta
morire io al posto di mia sorella, quelle parole premevano per uscire, ma lei
non voleva che lui le sentisse.
“Hinata-chan cosa ci facevi sotto
la neve?”
“Hai mai perso
qualcuno che amavi?”
Lo sorprese con
quella domanda a bruciapelo.
“Perso
in modo irrimediabile, senza possibilità di r-recupero.
Sai…è t-terribile.
Ti a-accorgi che il mondo a-all’improvviso
ha perso i suoi colori, che n-nulla ha più senso, ma tu sei v-vivo comunque e
questo ti sembra i-ingiusto.
Vorresti
morire.”
“Io non credo che Hanabi-chan avrebbe voluto vederti morire, credo che
avrebbe voluto vederti continuare a vivere.”
“Ma
io e-ero già morta prima, Naruto-kun.
Nessuno mi avrebbe
rimpianta e io ora vorrei solo rivederla.”
Aveva abbassato
gli occhi, aveva parlato troppo, all’improvviso lui le alzò il mento e lei si
perse per un attimo in quegli occhi azzurri.
“IO ti avrei rimpianta.”
“Tu
hai sempre avuto S-Sakura-chan….
N-non hai b-bisogno
d-di m-me.”
“Io non ho Sakura-chan.”
Il suo sguardo si
fece triste, per un’ attimo vi si riflesse l’ombra di Sasuke, il grande assente, ma poi sparì e lui si avvicinò
piano e l’abbracciò.
“Tu
non dovresti desiderare di morire, perché non è vero che non mancheresti a
nessuno e che sei già morta, mancheresti a tutti.
Ti stimano tutti
per la tua dolcezza, per i piccoli gesti che riservi a ognuno, persino Neji-kun ora ti apprezza e continuando così faresti un
torto a tua sorella.”
Hinata singhiozzò tra le sue braccia, pianse a
lungo, lui le accarezzava piano i capelli, perché era così gentile con lei?
“N-Naruto-kun…perché s-sei così
g-gentile con me?”
Lui sussultò, la staccò
da sé e lei di nuovo si perse in quegli occhi di cielo.
“Perché per me
conti molto.”
Arrossi, mentre
lei rimaneva stupefatta, non riusciva a trovare una risposta, lei l’aveva
sempre amato, ma non riusciva ancora a diglielo.
Lui annullò la
distanza baciandola, piano, con dolcezza, lei in quel momento toccò il cielo
con un dito, dimenticandosi
per un’ attimo il suo dolore, mentre la voce della sorellina le sussurrava in
un orecchio:” Proveranno ad abbatterti, ma tu non dargli retta, perché io sono
sicura che un giorno tu splenderai più di loro.
E
lui se ne accorgerà.”
LAYLA’
S SPACE
Salve!
Forse qualcuno si ricorderà che ho già pubblicato l’inizio di questa storia,
che poi ho tolto visto che sembrava non essere
particolarmente apprezzata.
Questa
storia è stata scritta per un concorso Naru-Hina
indetto da Ayumi Yoshida e
Ferula, è arrivata nona, ma a me non importa molto adesso, allora ammetto di
esserci rimasta un po’ male visto che mi ci ero impegnata a fondo.
In
questa storia non c’è
In
questa storia ci sono le mie serate a scrivere a computer, in questa storia di
sottofondo ci sono Bob Marley, i Modena City Ramblers e
Vorrei
dedicarla a Beckill, che mi fa sempre sorridere e mi
dà senza nemmeno saperlo buona parte delle idee per Art School
e a Jaheira, che mi ha aiutata
tanto nei miei periodi neri (Siano lodati manganet,
promesse, l’orsacchiotto, Sasuke, le sigarette e i commenti
scritti per scaricare la tensione degli esami).
Di
solito non sproloquio molto, ma questo andava scritto.
Per
finire, spero vi piaccia e commentate!