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Autore: Serpentina    25/05/2014    8 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Aloha! Aggiorno puntualissima, contenti?
Credo che questo capitolo vi stupirà… spero in positivo. Un consiglio: se potete, leggetelo con ‘Church’ di T-Pain e/o ‘Moving’ dei Secret Garden in sottofondo (i brani che mi hanno ispirata).
Buona lettura! ^^

 



AIl giuramento




“L’altruismo è il rimorso dell’egoismo”.
Roberto Gervaso

Forse per la prima volta in vita sua, Franz non si stava lamentando della proverbiale lentezza femminile: al termine di una giornata faticosa, giaceva mollemente adagiato sul letto ad osservare accigliato una indaffarata e seminuda Faith, intenta a vagliare le (poche) opzioni di vestiario per la serata.
–Uffa! Perché non ho portato più roba?- sbottò.
–Se qualcuno avesse messo in valigia meno scarpe e più capi d’abbigliamento…- sibilò, nascondendo a fatica il proprio malumore: ad abbattergli il morale avevano provveduto l’insistente raccomandazione di Rafa a non osare presentarsi a casa sua “senza quella flor de mujer que me gusta muchisimo”, e una conversazione tra la Irving e quel dannatissimo “gonfia-tette” di Best, che le aveva telefonato per avere sue notizie e augurarle buon San Valentino.
“Buon San Valentino un corno! Puoi fare il melenso quanto vuoi, pezzo di merda, a me non la dai a bere! Se ti fosse importato davvero di lei, avresti chiamato prima”, pensò, stringendo il lenzuolo con la stessa forza che avrebbe usato sul collo del chirurgo plastico. L’unica nota meno negativa (dire positiva sarebbe esagerato) era stata l’espressione della Irving mentre gli parlava: pareva più un’adolescente beccata dal padre a pomiciare col suo ragazzo che una donna adulta che conversa con l’uomo con cui esce al momento.
–Le scarpe sono importantissime, anzi, fondamentali. Personalmente, giudico una persona in base alle scarpe: dato che i piedi vengono ritenuti un’appendice di seconda classe le scarpe si scelgono con più spontaneità dei vestiti, quindi forniscono più indizi sul carattere della persona- rispose la brunetta, scrutando con titubanza un paio di decolté rosse. –Uffa! Cosa mi metto? Non voglio fare brutta figura col tuo amico!
–Rafa non si formalizza- sbuffò Franz, senza nemmeno sforzarsi di nascondere la bruciante gelosia che provava. –Potresti presentarti in un sacco della spazzatura, gli piaceresti comunque.
–Hai ingoiato soda caustica, per caso?- ridacchiò Faith, rimirando un abito che Führer Rose aveva messo in valigia a sua insaputa; era nero, con pois rossi e grigi, lungo fin quasi al ginocchio, con la gonna a ruota e il corpetto aderente dallo scollo a V, stile anni ’50. Una volta tanto, non se la prese: sua madre aveva fatto centro. –Non sei mai stato Mr. Simpatia, ma stasera hai proprio una faccia da funerale. Altro che fiesta!
–Sono solo stanco- replicò Weil ostentando noncuranza.
–E io sono Miss Universo- soffiò lei, sarcastica. Ignorando la voce interiore che le suggeriva di non dar retta a sua madre indossò il vestito a pois, convenendo che esaltava le curve giuste, poi, dopo un’attenta riflessione, infilò un paio di decolté nere col cinturino e il tacco basso: le reputava il complemento adatto ad equilibrare un abito particolare, inoltre era certa che Rafael l’avrebbe obbligata a ballare, anche a costo di trasportarla di peso in pista, perciò meglio calzare scarpe comode.
Franz sorrise nel vederla fare una giravolta, e commentò –Sei un incanto. Altro che i maglioni informi in cui ti infagotti di solito! “Fa che i tuoi abiti siano abbastanza stretti da far capire che sei una donna, ma abbastanza larghi da far capire che sei una signora”. Lo ha detto Marylin Monroe, eh, mica l’ultima delle sfigate!
–Tralasciando la Monroe… si può sapere cos’hai?- chiese lei, guardandolo apprensiva. –Non ti ho mai visto tanto scuro in volto, neppure il giorno in cui dimenticai un cadavere in ascensore!
–La facesti veramente grossa. Per un attimo fui tentato di farti fuori con un cocktail di acidi! Comunque… ti devo delle scuse- sospirò, fissando il pavimento. Se avesse incrociato gli occhi di Faith, non ce l’avrebbe fatta a finire la frase. –La telefonata di prima mi ha ricordato che… c’è Marcus. Capisco che è facile dimenticarlo, però questo non giustifica quello che stavamo per fare e che avremmo fatto, se il Grande Capo non ci avesse interrotti. Il tango si balla in due, perciò ti chiedo scusa per la mia parte di colpa. Avrei dovuto lasciarti la calma necessaria a riflettere su chi vuoi, non approfittare della sua assenza. Giocare sporco non è nel mio stile.
–Il tuo non è senso di colpa, è paura. Hai paura che abbia agito d’impulso?- pigolò lei, sedendosi al suo fianco. –Hai paura che provi qualcosa per Marcus, e stessi per fare sesso con te soltanto per sapere cos’avrei perso? Credevo avessi una più alta opinione di me.
–Onestamente non so cosa rispondere, è tutto così nuovo per me- ammise. –Con le altre non mi ero mai posto il problema: più provocanti erano, meglio era, volevo che le guardassero quando uscivamo, volevo che invidiassero la mia fortuna- Faith emise un ringhio sommesso. –Con te è diverso. Non che mi permetterei mai di fare scenate o importi come vestirti, dove andare e con chi; la mia non è gelosia cieca e possessiva, non ti considero una mia proprietà, però… non so come spiegarlo. Non è tanto il pensiero che tu possa aver fatto chissà cosa con chiunque che mi tormenta… mi dà fastidio, sì, ma poco… sono le esperienze che avete vissuto insieme. Ti conosco, so quanto grande è il tuo cuore, e mi dispiace essere tanto egoista da rodermi perché lì c’è posto per tutti, persino quell’odioso “gonfia-tette”!
La Irving scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con una mano.
–Piantala di chiamarlo “gonfia- tette”!
–E’ il suo lavoro, se non vado errato.
–Oh, Franz, sei incorreggibile!- esclamò Faith, prima di baciarlo delicatamente sulla bocca. –Ascolta: sei riuscito in un’impresa che io per prima credevo impossibile… farmi riscoprire l’amore- lo zittì posandogli un dito sulla bocca e aggiunse –Taci. Nemmeno tu sei un santo, e nella lotta ai tuoi sentimenti mi hai ferita, quindi non osare giudicarmi. So di aver commesso un terribile errore, un errore di nome Marcus, ma credevo non mi volessi ed ero stufa di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Sì, hai sentito bene, non avevo intenzione di usarlo per ingelosirti - anche se ammetto che esserci riuscita mi dà molta soddisfazione- il mio scopo era unicamente voltare pagina, ma ho scoperto sulla mia pelle che non sei un capitolo cancellabile dall’oggi al domani. Ora, vorrei capissi che non reggerei un’altra delusione, se mi spezzassi il cuore non di rimarginerebbe più.
–Ti giuro che sono perfettamente consapevole….
–Non lo sei. Fidati- lo interruppe lei, scuotendo la testa. –Dici di provare qualcosa, ma non sai di preciso cosa, né se sarai veramente capace di antepormi al tuo lavoro. Dici di conoscermi, quando in realtà sai poco e niente di me. Non considerarla un’accusa, ma credo sia meglio rallentare, non voglio che un rapporto fisico influenzi la nostra capacità di giudizio.
–Non nego che mi peserà non poter avverare il sogno di soffocare tra le tue tette…- lei lo fissò allibita e Franz arrossì. –Ma tranquilla, farò il bravo.
–Sii serio, cazzarola!- sbottò Faith, coprendosi con un cuscino. –Mi riferisco esattamente a questo: immagini il nostro rapporto come un susseguirsi di situazioni potenzialmente erotiche, senza prendere in considerazione i momenti brutti, quelli in cui saremo intrattabili e ci scanneremo, oppure ci chiuderemo in un rancoroso silenzio, oppure avremo bisogno l’uno dell’altra per qualcosa di diverso dal saltarci addosso su qualunque superficie disponibile. Saresti disposto a starmi accanto, o vuoi soltanto… toglierti uno sfizio?
Franz gettò sul letto il cuscino, le prese le mani, la guardò dritto negli occhi e rispose –Se avessi avuto l’intenzione di portarti a letto e basta questa discussione non sarebbe mai cominciata. Desideri procedere con calma? Andremo a passo di lumaca. Però devi promettermi che non civetterai con Rafa e che, appena tornati a Londra, mollerai il gonfia… cioè, Best.
–Promesso.
–Ora posso baciarti, prima che inizi l’opera di trucco, o mi è negato anche questo piacere?
Faith gli rivolse un sorrisetto sornione, si alzò, estrasse il rossetto dalla trousse, ne stese una generosa passata, dopodiché si avventò sul viso di Weil, che protestò con versacci disgustati mentre si ripuliva con un fazzoletto.
–Un assaggio del guaio in cui ti sei cacciato- cinguettò, facendogli l’occhiolino, prese la borsa e lo precedette fuori dalla camera.

 
***

Hola! Bienvenidos en mi casa!- trillò Rafael, scoccando un’occhiata di apprezzamento a Faith e una maliziosa a Franz, che le cingeva la vita con un braccio. Era diviso tra la gioia di aver convertito il suo amico alla “Rafasofia” e il disappunto per essersi fatto fregare la donna dei suoi sogni. –Sapete, quando vi ho invitati dubitavo sareste venuti.
–Scherzi? Non mi sarei persa la fiesta dell’anno per nulla al mondo!- asserì Faith. –Oltretutto, il capo ci ha ordinato di portarle i dolci recuperati dalla piñata.
Que ignoranza! Questa es una fiesta cubana, la piñata es messicana- sbuffò Rafa, contrariato, salvo poi aggiungere, in tutt’altro tono –Mi sa che devo ripeterti la domanda, amigo: è la tua ragazza?
Franz avvampò e rispose senza esitazioni –Sì.
–In realtà è in prova- precisò la Irving con un sogghigno sadico, simile a quelli che il suo tutor le affibbiava compiti particolarmente gravosi.
–Com’è giusto che sia- confermò Rafael con sussiego. –Una mujer como ti va corteggiata, altrimenti… uno schiocco di dita e troverai un altro spasimante!
Faith scoppiò a ridere, Franz esalò –Non metterle in testa strane idee, per favore. Mi sono quasi liberato del “gonfia-tette”, ci manca solo un altro rivale!
–Non sia mai!- scherzò Rafael. –Guarda, per rimediare ti faccio subito pubblicità. Faith, il qui presente Frans es un hombre de oro: non so se nel frattempo ha cambiato abitudini, ma quando l’ho conosciuto trattava quella tavola da surf con un manico di scopa su por el culo che era la sua ragazza come una regina. La ascoltava, prestava attenzione alle sue esigenze - e ti posso assicurare che quella bruja era più viziata del chihuahua di Paris Hilton - cucinava, lavava… credo stiri, anche, ma solo se gli dai qualcosa in cambio, non so se mi spiego…
–Rafa! Che dici? Non dargli retta!
–Mi hai appena confermato che il tuo amico non mente, lo sai, sì?- replicò Faith. –Continua, Rafa.
–Meglio de no, vorrei arrivare vivo a domani- rispose il padrone di casa, indicando Franz, fumante di rabbia. Prima di fiondarsi ad accogliere altri invitati, esclamò –Bueno. Y ahora, se non hai nulla in contrario, ti ruberei questa chica caliente per un giro di dansa!
–Nessuna obiezione- concesse Franz. –Scatenatevi pure… ma non abbastanza da dimenticarti il nome dell’albergo dove alloggiamo, Faith!
–Tranquillo, amigo, è in buone mani- gli assicurò Rafael, per poi aggiungere, con una strizzata d’occhio –Oh, e Frans? Tu hermano ha veramente un gusto estraordinario!
Faith, per scoprire a cosa si riferiva Rafael, dovette aspettare che cessasse la musica; solo allora, infatti, poté osservare con attenzione Franz e… ridere fino alle lacrime: sotto l’effetto di quale droga si trovava Alexander Weil quando aveva comprato al fratello una t-shirt con l’immagine di un gattino che si vedeva riflesso allo specchio come un leone, e sotto la scritta “self esteem is power”?

 
***

Nonostante i festeggiamenti minacciassero di protrarsi a lungo, Faith e Franz, novelli Cenerentoli, rientrarono in albergo a mezzanotte.
–Non posso credere che tu stia ancora ridendo della mia t-shirt!- sbottò lui. –E’ un regalo di mio fratello, ci tengo!
–Il valore sentimentale non la rende meno ridicola- ribatté lei, soffocando le risatine nella piega del gomito.
–Fossi in te eviterei di sbellicarmi, potrei rinfacciarti la performance leggermente da maniaca sessuale che dominerà i sogni di Rafa almeno fino all’estate.
–Ho agito in buona fede!- si difese Faith. –Ti era caduta della caipirinha sui pantaloni!
–Sul cavallo dei pantaloni- precisò Weil.
–Lì per lì non ci ho pensato, ho solamente preso un tovagliolo e…
–Mi hai palpeggiato.
–Non ti ho palpeggiato! Ho forse la faccia della palpeggiatrice?- sbraitò la Irving, oltraggiata.
–La faccia no… ma le mani sì!- replicò Franz, e Faith, anche se a malincuore, si lasciò contagiare dalle sue risate (dopo avergli dato una serie di dolorosi pizzicotti).
Stavano dirigendosi all’ascensore, quando Herr Huober, palesemente brillo, si alzò dal suo sgabello e gli barcollò incontro, proponendogli di unirsi al “sesso forte” e bere in memoria dei bei vecchi tempi. Era tentato di rifiutare, perché nel gruppo erano inclusi Solomon e Corrigan, ma, su insistenza di Faith, accettò.

 
***

“Ho il bagno tutto per me! E posso anche guardare quel che mi pare alla tv! Quel Huober è stato una manna dal cielo!”
Faith uscì dall’ascensore col sorriso sulle labbra, pregustando attimi di libertà… destinati a non divenire realtà: rannicchiata davanti alla porta della sua camera, infatti, c’era una donna.
Charlotte.
Colta da un improvviso moto di stizza, Faith la strattonò sibilando –Alza il culo e va a fare a rompere le palle da un’altra parte!
Charlotte, però, non si mosse, limitandosi a piangere mentre stringeva le ginocchia al petto, tremante, poi piagnucolò –Aiutami.
Faith sbuffò una risatina di scherno: Charlotte Higgins, la collega bastarda per antonomasia, pretendeva che proprio lei la soccorresse?
“Certo che ne ha di faccia tosta!”, pensò. “Ma se crede che metterò una pietra sopra le cattiverie passate si sbaglia: non esiste un macigno grande a sufficienza da coprirle!”
Charlotte dovette intuire i pensieri che passavano nella mente dell’altra, perché richiamò la sua attenzione ed esalò –Giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno, indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano…
Faith riconobbe all’istante quelle parole: erano tratte dal Giuramento di Ippocrate. Si riscosse immediatamente, sentendosi sporca: come aveva potuto permettere che l’odio offuscasse la sua etica professionale? Charlotte non si era rivolta a Faith, bensì alla dottoressa Irving, perciò, che le piacesse o meno, avrebbe dovuto “prestare la propria opera con diligenza, prudenza e perizia, secondo scienza e coscienza”.
–Appoggiati a me- disse, una volta aperta la porta, la aiutò ad alzarsi e la trascinò sul suo letto, dove Charlotte riprese a tremare e contorcersi. “Deve soffrire molto”, dedusse la Irving. “E scotta, ha la febbre. Non posso misurarla, però. Cazzo!”
–Aiutami- ripeté la (finta) bionda.
–Chiamo immediatamente il 911.
–NO!- ruggì Charlotte, afferrandole il polso.
–E’ per il tuo bene- le assicurò Faith. –In una stanza d’albergo posso fare ben poco, in ospedale si prenderanno cura di te con la competenza e la gentilezza riservata a chi ha i soldi.
–No, ti supplico, non voglio andare in ospedale! Gli americani… fanno tanto i fighi… ma… non sanno una beata minchia di medicina- ansimò la Higgins.
–Almeno su questo concordiamo. Incredibile! E va bene, niente ospedale… finché non avrò formulato una diagnosi di presunzione. Non posso, però, se non mi spieghi cos’hai- asserì freddamente Faith. Se voleva impedire al proprio lato umano di prendere il sopravvento, doveva mantenere un contegno distaccato. –Quando è comparso il dolore?
–Non lo so… avevo un po’ di mal di stomaco a cena…
–Hai vomitato?- chiese Faith, poi, ricevuta una risposta affermativa, soffiò –Immagino non ricordi se era vomito alimentare o biliare.
–Ti sembra fossi in condizione di notare una cazzata del genere?
–Hai ragione. Domanda idiota. Il dolore dove si localizza? Com’è?
Charlotte indicò la parte inferiore del fianco destro e la fossa iliaca destra, e rispose –Qui. Forte.
–Chiariamo un punto: Faith apprezza le battute di spirito - per inciso, non me lo sarei mai aspettata da te- la dottoressa Irving no, e, dato che ti sta visitando lei…
–Cercavo di sdrammatizzare. Dio, che nausea! Se non avessi avuto il ciclo la settimana scorsa, penserei di essere incinta!
–Io, invece, se non sapessi che i romanzi gialli differiscono dalla realtà, penserei che ti hanno avvelenata. La lista dei sospettati sarebbe lunga quanto l’elenco telefonico, credimi- replicò Faith, avvertendo il senso di rivalsa riscaldarle le viscere. –Che tipo di dolore provi?
–All’inizio era una puntina, tipo gastrite, poi è diventato sempre più forte, e adesso… è insopportabile! Non puoi imbottirmi di farmaci?
–Il dolore è un importante elemento semeiologico, modificarlo potrebbe compromettere la diagnosi. Dopo l’esame obiettivo, se lo riterrò opportuno, ti somministrerò del paracetamolo.
Sebbene consapevole dell’eventualità di essere in errore, Faith misurò la frequenza cardiaca e respiratoria della paziente, quindi passò alla palpazione dell’addome (la percussione sarebbe stata inutile, se non dannosa: avrebbe potuto indurre una contrattura da difesa); iniziò dal lato opposto a quello dolente, procedendo gradualmente con tocco lieve, ma deciso. Una volta ultimato l’esame obiettivo dell’addome, che confermò i suoi sospetti, prese il telefono e, ignorando le proteste di Charlotte, chiamò il 911.
–911, qual è l’emergenza?
–Mandate un’ambulanza al Coconut Hotel, a Coconut Grove. Con urgenza: ho qui un addome acuto.

 
***

La tensione era tale che neanche i pezzi rilassanti della ‘Zen Seelction’ dell’i-Pod riuscivano a tranquillizzarla. Poteva quasi sentire i surreni spremersi come arance per immettere in circolo l’adrenalina di cui aveva bisogno per non svenire.
L’ambulanza aveva impiegato pochissimo tempo a raggiungere l’hotel; i problemi erano sorti al Pronto Soccorso, dove si era scontrata prima con un energumeno più simile a un buttafuori che a una guardia giurata, il quale aveva impedito l’accesso a lei e alla barella finchè non aveva strisciato la carta di credito nell’apposito lettore, poi con la megera, ehm, l’infermiera dell’accettazione, che l’aveva trattata da deficiente megalomane finché, violando ogni fibra morale del proprio corpo, Faith non le aveva mostrato l’identificativo, sputando, con aria di superiorità che non le apparteneva –Sì, cara, sono un medico, non una psicopatica, così come la signorina in barella. Se non le fa fare immediatamente un’ecografia, le faccio causa. L’omissione di soccorso è reato pure in questo Paese, spero.
Se aveva imparato qualcosa dalla tv era che gli americani tremavano alla menzione degli avvocati, e l’infermiera del Miami General non fece eccezione: corse a chiamare un chirurgo, mezzo addormentato e palesemente misogino, il quale, dopo aver borbottato commenti volgari sulle donne medico e l’abilità clinica dei patologi, confermò la diagnosi… appendicite.
Charlotte era stata inviata all’intervento, e Faith era rimasta in corridoio ad aspettare, seduta su una scomoda sedia, col viso tra le mani e gli auricolari dell’i-Pod nelle orecchie.
Avvertì la pesantezza tipica di chi ha il cervello affaticato, sul punto di scioperare, ma non fu capace di mettere i neuroni in stand-by. Mille domande le frullavano nella testa: perché Charlotte aveva inizialmente rifiutato di andare in ospedale? Perché si era rivolta a lei? Era fidanzata, in procinto di sposarsi con il suo capo, un medico con molta più esperienza, cosa l’aveva spinta a chiedere il suo intervento? Che Corrigan avesse perso il “naso clinico”? Che avesse sbagliato, liquidando l’appendicite come semplice reazione gastro-intestinale al cambiamento di alimentazione? Non poteva crederci: normalmente l’appendicite era difficilmente diagnosticabile al primo colpo, a causa della varietà della sintomatologia e del gran numero di diagnosi differenziali, ma la sua acerrima nemica presentava un quadro così tipico da risultare lampante.
Intanto che aspettava, venne assalita da un senso di panico, misto a rimorso: Charlotte era la classica collega carogna, l’ape regina cui va sempre tutto dritto, la prima della classe, il capitano delle cheerleaders, quella che pur di mettersi in luce avrebbe ucciso sua madre, quella che faceva dei meriti altrui uno specchio dei propri. Quante volte, anche a parole, aveva desiderato che le capitasse qualcosa di brutto, che restasse vittima di una tragica fatalità? Tante, forse troppe, e, ora che i suoi sembravano essere divenuti realtà, si sentiva triste, vuota… colpevole. Ad accrescere il senso di colpa, una vocina dal subconscio le stava ripetendo che Charlotte lo meritava, che una misera appendicite non era abbastanza…
“Basta! Non ce la faccio più! Basta!”, pensò, affondando le unghie corte e mangiucchiate nel ginocchio; la loro scarsa lunghezza fu comunque sufficiente a lasciare delle unghiature rosso-bluastre, dolorose.
La suoneria del cellulare interruppe il momento deprimente. Faith non fece in tempo a rispondere, che un torrente di chiacchiere la investì.
–Si può sapere che diavolo è successo? Sono salito in camera e non c’eri! Hai idea di quanto mi sono preoccupato? Finché non hai risposto ho temuto fossi… sì, insomma, che avessi avuto un incidente, ma sei viva e cosciente, ed è questo che conta. Dove sei? Stai bene? Vuoi che venga a prenderti?
“L’apprensione e la parlantina le ha decisamente ereditate da Gertrud”.
–Calma, o ti verrà una sincope- rispose Faith, dandosi della stupida per aver dimenticato di avvisare Franz. –Sono in ospedale, al Miami General. Raggiungimi, se puoi.

 
***

–Sei stata brava- soffiò Franz col naso affondato tra i suoi capelli.
Erano a letto, nella loro stanza, abbracciati. Non appena avevano appreso che l’intervento era stato eseguito con successo, avevano ringraziato il chirurgo ed erano rientrati in albergo. Istintivamente Franz, una volta infilati i pigiami, aveva proposto a Faith di dormire insieme; lei non aveva opposto resistenza, anzi, si era subito accoccolata tra le sue braccia, senza però riuscire a prendere sonno.
–Non è stato difficile. Charlotte era una “paziente Harrison”.
–Non sminuirti, Faith- la rimbeccò. –Sei stata brava, punto e basta. Specialmente se si considera che non visiti un paziente da anni.
–A un certo punto stavo per rifiutarmi di farlo, sai?- ammise, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. –L’ha capito, e… mi ha rammentato i miei obblighi. Ho prestato giuramento col cuore, credendo in ogni singola parola, non posso credere che stavo per infrangerlo.
–Guardami- le ordinò lui, facendo leva sul mento per alzarle il capo. –Hai fatto il tuo dovere. Il nostro è un mestiere ingrato: perfino un avvocato - imbecille, aggiungerei- può cacciare un cliente che non gli va a genio, noi no; siamo tenuti a curare chiunque, ma questo non significa che non proviamo emozioni come tutti gli esseri umani. Hai avuto un attimo di esitazione, e allora? L’hai superato e hai agito in scienza e coscienza per il bene di Charlotte; questo fa di te un buon medico. Un altro, nella stessa situazione, probabilmente si sarebbe limitato a chiamare il 911, abbandonandola in ospedale. Tu no.
–Secondo te dovrei andare a trovarla, domani?- gli chiese, titubante.
–Oggi, vorrai dire- ridacchiò Franz. –Sono quasi le quattro!
–Oh, cazzarola, è tardissimo! Spegni la luce, dai, cerchiamo di dormire!
Weil la strinse, la baciò sulla guancia e sussurrò, facendo scivolare lentamente una mano verso le natiche –Con te nel letto, la vedo dura… molto dura…
–Franz!- lo rimproverò Faith, allontanando la mano, lieta che al buio lui non potesse accorgersi del suo sorriso divertito.
–Ok, farò il bravo… forse.
–Mmm.. il mio maschio alfa pieno di testosterone- chiocciò la Irving in tono fintamente tenero. –Metti le mani nel posto sbagliato e domani sapranno tutti che quando hai visto che stavo bene mi hai abbracciata singhiozzando come una femminuccia!
–Sai, Faith, a volte sei veramente una… Charlotte!

 
***

La stanza, di per sé piccola, era rimpicciolita ulteriormente dall’ingombrante presenza di un donnone gioviale ed espansivo, bersaglio della lingua biforcuta di Charlotte, la quale, oltre alla salute, aveva recuperato il consueto atteggiamento sprezzante, tanto che accolse Faith con un acido –Questi jeans ti ingrassano terribilmente, sai?
–Dovrei offendermi, ma sono contenta di ritrovare la solita Charlotte. Si sentiva la tua mancanza al congresso, stamani- rispose, per poi infilare in un vaso i fiori che le aveva portato.
–Fiori finti?- sbottò la Higgins. –A me?
–Sarai pure bella, ma non vale la pena di uccidere vegetali innocenti per te- replicò la Irving con una smorfia, pensando “Maledizione a me e alla mia coscienza! Perché mi sono presa questo disturbo?”
–Mi sento molto meglio, ma gli adorabili colleghi preferiscono tenermi in osservazione- sospirò l’altra stiracchiandosi. –Osservazione approfondita, se capisci cosa intendo… tre ci hanno provato!
–Ma non mi dire- sibilò Faith, dandole le spalle. Non sopportava la vista di Charlotte, che, persino nel camicione dell’ospedale, era splendida e sontuosa come una cattedrale barocca. Una cattedrale, ecco il paragone perfetto per descrivere come la approcciava l’altro sesso: ingresso, più o meno breve visita, e uscita. Fine. –Il tuo caro Corry non è geloso? Se avessi metà della tua bellezza e il mio uomo non fosse geloso, mi offenderei!
–Corry è abbastanza sicuro di sé da non aver bisogno di soffocarmi- replicò Charlotte con forzata allegria.
Faith, che fiutava una bugia come un cane da caccia la selvaggina, tra una tattica morbida e un approccio diretto scelse il secondo. Si girò e le pose una domanda a dir poco impertinente.
–Capisco il non volerti soffocare e i tanti impegni, ma se il mio uomo non solo non si facesse vivo, ma neppure mandasse qualche regalino mentre sono in un letto d’ospedale, mi offenderei. Tu no?
–Noto che hai conservato l’abitudine di giocare alla detective- ribatté la Higgins, fulminandola con lo sguardo. –Vuoi la verità? Da quando te ne sei andata la mia carriera è crollata, e la mia vita… fa schifo! Sono venuta da te perché so quanto vali e… per evitare Corry. Al lavoro mi sbologna le stronzate, e mi ha piantata per una stupida neo-laureata! Il presunto anello di fidanzamento, in realtà, è un ricordo di mia nonna. Avanti, ridi.
–Non rido delle disgrazie altrui, lascio a te questo piacere- sibilò Faith, gelida. In tutta onestà, avrebbe voluto pronunciare una brillante battuta sul karma, ma la razionalità aveva prevalso, convincendola che mostrarsi superiore le avrebbe dato più soddisfazione.
–Non fare la santarellina, Irving, sai benissimo che, se non ti avessi supplicata, mi avresti lasciata in corridoio a soffrire!
–Prima di sputare sentenze, chiediti: al mio posto, cosa avresti fatto?- soffiò Faith, per poi girare sui tacchi e andarsene. Sul ciglio della porta, però, la voce di Charlotte la fermò. –Hai detto qualcosa, Higgins? Vuoi che chiami un infermiere?
–Ho detto grazie- abbaiò l’altra. –Hai sentito? Bene, perché non lo ripeterò.
–Tranquilla, non ti darò motivo di farlo- concluse la Irving, prima di lasciare definitivamente la stanza.

 
***

–Allora, come…?
–E’ di nuovo la stronza che ho imparato a detestare- rispose Faith prima che Franz avesse finito di parlare.
–Volevo sapere come stai tu.
Faith lo abbracciò di slancio, dondolandosi sul posto come una bambina, poi sospirò –Alla grande. Mi sento… leggera!
–Avete chiarito, quindi?
–Non proprio. Io ho chiuso il capitolo, e lo archivierò appena atterreremo a Londra. Lei… no; il fatto che l’abbia visitata e abbia indovinato la diagnosi, semmai, ha accresciuto l’avversione nei miei confronti.
–Lo credo bene: chi vorrebbe essere in debito con qualcuno che odia?- esclamò Franz, scostandole una ciocca bruna dal viso. –La tua buona azione quotidiana ti è valsa un premio. Chiedi, e ti sarà dato.
–Stai prendendo seriamente questa storia del corteggiamento. Ottimo!- trillò Faith, entusiasta. –Voglio andare in quella gelateria di Coral Gables che ci ha consigliato Rafa, e poi al Parco delle Everglades.
Franz strofinò il naso contro quello di Faith, un delizioso nasino all’insù, e le baciò le guance paffute e la bocca carnosa, prima di acconsentire alla richiesta.
–Gelato e alligatori, eh? Questa combinazione me gusta!

Nota autrice:
Hola! Mi siento un po’ cubana anche io, dopo questo capitolo! Peccato non avere qui Rafa che mi prepara un cocktail rinfrescante e Franz che mi fa aria con un enorme ventaglio mentre mangio le delizie di Melanie, sarebbe il massimo! ;-)
A proposito di Rafa… bruja, in spagnolo, è la Befana, o megera, a seconda dei casi. Comunque, non è un complimento.
E’ stato facile scrivere la parte del malore di Charlotte, eppure difficile: destreggiarsi tra linguaggio comune e medichese non è stato semplice, ho scritto e riscritto la seconda metà del capitolo forse dieci volte, spero che il risultato sia almeno decente.
Spiegazione di eventuali punti oscuri: la visita medica standard si compone di anamnesi (il colloquio col paziente) ed esame obiettivo, a sua volta diviso (non necessariamente in quest’ordine) in ispezione, palpazione, percussione e auscultazione. L’addome acuto è un insieme di patologie (non soltanto l’appendicite) che provocano un dolore acuto e intenso all’addome, e possono mettere in pericolo la vita (pensate a un infarto intestinale). Il “paziente Harrison” è il sogno di ogni medico; l’Harrison è la Bibbia della medicina, ma, purtroppo, non sempre i quadri clinici che vi sono descritti vengono riscontrati nella pratica: il paziente Harrison è quello che sembra uscito dalle pagine del libro, il paziente da manuale.
Lasciando perdere Charlotte, siete contenti della piega che ha preso la Faith/Franz? Don’t worry, non diventeranno improvvisamente dei romanticoni, ma almeno hanno capito che è inutile continuare a negare i loro sentimenti. Durerà? Chi lo sa! ;-)
Au revoir!
Serpentina
Ps: muchas gracias ai lettori silenziosi, a Bijouttina, Calliope Austen, elev e Faith00, che mi lasciano sempre una recensione, e a fidiven_, che segue la storia.
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