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Autore: EmmaStarr    25/05/2014    5 recensioni
– Sono tornato.
Come ci si sente quando un fratello che credevi morto ti compare davanti come se niente fosse? Cosa si prova nell'averlo davanti a te, vivo, sorridente? Cosa avrà provato Rufy quando ha rincontrato Sabo dopo tanti anni? Riuscirà a perdonarlo nonostante non ci sia stato quando Ace aveva bisogno di loro? Eppure, un legame fraterno dovrebbe essere impossibile da recidere...
|Sabo&Rufy| |Dressrosa|
Genere: Angst, Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Sabo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Due anni dopo la battaglia di Marineford, isola della tomba di Barbabianca

 

Sabo sospirò, posando la bottiglia di sakè sulla tomba bianca. – Allora... ci si vede, Ace. – sussurrò, sorridendo impercettibilmente. Il cielo era terso, limpido, chiaro, e tirava una brezza leggera: tempo perfetto per salpare. – C'è qualcuno che devo assolutamente incontrare.

 

 

 

Promise me you'll wait for me

{and I'll be home soon}

 

 

 

Un mese dopo, Dressrosa

– Sono tornato.

Rufy non può crederci, semplicemente non può. Non riesce a concepirlo: quello è davvero Sabo? Suo fratello? No, non è possibile. Che cosa ci fa lì, poi? Perché... – Non mi hai mai detto niente. – sussurra, smarrito.

Lo guarda fisso negli occhi, come se stesse cercando di scrutargli l'anima attraverso le iridi scure. Sabo deglutisce. – Rufy, io avrei voluto avvisarti, ma...

– Eri morto, Sabo! Morto, capisci? Io avrei... non hai idea di quanto sia stato... Io non... – Rufy sembra non trovare le parole per esprimersi, troppo agitato per pensare razionalmente. Sabo, il suo Sabo, l'unico fratello che ormai gli è rimasto. Quanto tempo ha pianto la sua morte? Quanto dolore ha provato? Quanta tristezza, quando ha capito di essere rimasto solo? Ed ora eccolo qui, ancora una volta vivo e vegeto davanti a lui, dopo tutti questi anni.

Eppure... è diverso, non è il suo Sabo. Cosa sono questi capelli lunghi? Cos'è quest'espressione a metà tra l'orgoglioso e il soddisfatto? Cosa credeva, di fargli una sorpresa? D'accordo, Rufy è felicissimo di vederlo, però...

– Rufy, ti avrei cercato, ma davvero, non mi hanno mai permesso di avvisarti! – cerca di continuare Sabo, facendo per prenderlo per le spalle.

Avvisarmi? – ripete Rufy, facendo subito un passo indietro. – Dovevi avvisare anche Ace... dovevi... dovevi salvarlo... – ricaccia indietro le lacrime, deciso. Non può piangere. Non adesso, non ancora. – Lui non ha saputo niente... Perché è morto senza sapere che eri vivo, vero?

Il silenzio dell'altro è fin troppo eloquente. – Rufy...

– Come hai potuto? – Le lacrime trasbordano, così come la rabbia. – Come hai potuto, eh? Per dodici anni ho pensato... dodici anni... Cos'avevi di tanto importante da fare, due anni fa? Dov'eri quando Ace ha avuto bisogno di noi, eh? E perché non mi hai mai, mai detto niente? Io... Io non... E smettila di guardarmi con quella faccia, non capisci, non sono più un bambino! – grida, scaraventandogli addosso un pugno. E un altro, e un altro, troppe lacrime che gli appannano lo sguardo. Sabo non reagisce, ed è questo probabilmente a fare più male di tutto il resto. – Sono forte, adesso! Ma tu... tu non puoi saperlo, vero? Non mi hai seguito mentre mi allenavo! Da solo! Non mi hai mai cercato per sapere come stavo, come stavo diventando forte! Non una! – pugno. – Singola! – calcio. – Volta! – il rumore del naso che si spezza e il sangue che ne fuoriesce fa male, fa così male che Rufy quasi non riesce a respirare. Sabo porta solamente una mano sul volto, senza mostrare segni di dolore. – Sarebbe... sarebbe bastato anche solo... un segno, o qualcosa, n-non bisognava mica vivere sempre appiccicati, solo... Dovevamo essere fratelli, Sabo! Fratelli, ti ricordi? – singhiozza piano, stringendo i pugni. È un sussurro, un'implorazione. Già una promessa è stata infranta: non può fidarsi, non deve... e allo stesso tempo non riesce a non farlo. – Ti ho aspettato, sai? Quando te ne sei andato, pensavo... speravo che saresti tornato. Non è come con Ace, lui l-l'ho visto... beh, lo sai. Con te era diverso. La notte guardavo il soffitto e mi chiedevo se... se il giorno dopo magari non saresti spuntato fuori. Se non saresti stato lì a dormire di fianco a me, c-come quando eravamo piccoli. Ti ho aspettato, capisci? Ti ho aspettato ancora, ancora e ancora. Anche se Ace diceva che dovevo mettermi il cuore in pace. Anche se sapevo che eri morto. Io l'ho sempre, sempre, sempre sperato. Però, poi... quando non ti ho visto a Marineford, ho dovuto arrendermi al fatto che... Perché ero convinto che se fossi stato vivo, se davvero fossi stato vivo non avresti mai permesso, mai...

Sabo porta le mani avanti, esitante. – Rufy, non capisci, io...

Proprio così, Rufy non capisce, non capisce e basta: lui, per i suoi fratelli, darebbe tutto. Tutto. La felicità, la vita, qualunque cosa: morirebbe mille volte per permettere a Ace e Sabo di vivere felici, darebbe tutto quello che ha per vederli sorridere insieme come una volta. Tutto quello che vuole, tutto quello che ha sempre voluto... Ace e Sabo sono sempre stati i suoi modelli, i suoi eroi, la sua famiglia, il suo tutto. Ma perché, perché a Sabo non importa niente?

– Mi odi? – lo interrompe con voce tremante, incapace di trattenersi. – Tu mi odi, è questa la verità! E ti stai lasciando picchiare come se niente fosse, perché... – un singhiozzo gli impedisce di parlare. Non sa se prova più dolore Sabo, inerme sotto i suoi pugni, o lui, il cuore straziato.

Il maggiore lo fissa con aria preoccupata, cauto, esitante, facendo un passo verso di lui. – Rufy, no, non... Non pensarlo mai, neanche per un secondo. Come potrei odiarti? Sei mio fratello. Il mio adorato fratellino combinaguai.

– Ma per te non conta nulla! Mi hai lasciato da solo, da solo! Sai in che stato ero, quando Ace è morto? – ribatte Rufy, ormai piangendo apertamente. – Se solo tu fossi venuto... Ero a tanto così dal salvarlo, capisci? Tanto così! – ribadisce, portando il pollice e l'indice quasi a sfiorarsi. – Eravamo scesi da quel patibolo... pensavo di avercela fatta, mancava così poco! Sarebbe bastato un secondo di più, q-qualunque cosa che... – un respiro profondo. – Ho smesso di aspettarti due anni fa, Sabo. – sussurra, senza più singhiozzare. È così serio che fa paura, così vuoto. – Basta. Ho smesso di aspettarti, quindi non puoi spuntare fuori così e fare finta che vada bene lo stesso. Non puoi. – scuote la testa, gli occhi umidi, quasi cercasse di convincere anche se stesso: non vale, Sabo, così non vale. Non vedi quanto mi fa male? Non vedi che piango?

Non ho aspettato abbastanza?

Il sorriso di Sabo è amaro, anzi, non sembra neanche un sorriso. – Hai ragione. – mormora, sedendosi a terra con un tonfo. Ha un labbro spaccato, il naso gonfio e lividi dappertutto, ma non sembra curarsene. – Chiunque avrebbe smesso di farlo, dopo una cosa del genere. Ok. – tira un respiro e parla, fissandogli i piedi. – Sono... sono stato un idiota. Pensavo che ve la sareste cavata anche senza di me, io... insomma, ero lontano, e volevo raggiungervi soltanto una volta diventato un vero pirata. E anche se avessi voluto, non mi permettevano di... Il fatto è che da noi non arrivavano tutte le notizie, capisci? Sapevo che era in prigione, ma non avrebbe mai voluto che a salvarlo andassimo io e te, quindi... E poi, ho saputo dell'esecuzione di Ace quando era già successo, e...

Il dolore in quelle parole è così tangibile che Rufy è costretto a fare un passo indietro. – S-Sabo... – Non sono scuse, e nemmeno giustificazioni, queste. Ma il suo tono di voce... Oh, Rufy non vuole sentirlo parlare così!

– Fai bene ad odiarmi. – sospira l'altro, l'ombra di un sorriso amaro sul volto. – Anch'io, quando ho capito, mi sono... ma comunque, basta così. Su, avanti. Fa' di me quello che vuoi, non ti fermerò.

Rufy spalanca gli occhi. – C-che cosa...?

– Davvero. Me lo merito. È giusto che sia tu a farlo. Avanti, non mi stavi prendendo a pugni, poco fa? Continua. Sono qui, forza. Puoi sfogarti, e fidati, farà bene anche a me.

C'è un che di disperato in queste parole. Rufy fa un esitante passo avanti. – Così stai rivoltando la situazione, Sabo, non vale. – si lamenta, cercando valorosamente di trattenere le lacrime. – Io non ti picchio perché tu mi dici di farlo. E poi, non è così che stanno le cose. Sabo... guarda che sei tu a odiarmi. – sussurra, tremante. – Io non potrei mai... – la voce trema ancora di più, gli occhi sono umidi di lacrime. – Io... in tutto questo tempo... – crolla in ginocchio accanto a lui. Non potrebbe mai fargli del male, non così, non a Sabo. E Sabo lo sa, lo sa, lo sa. – In tutto questo tempo, tu... Mi sei mancato così tanto! – esplode piangendo, e lo abbraccia di slancio. – Ogni notte, ogni giorno, ogni volta che ci pensavo mi mancavi tantissimo! – piange, Rufy, piange come non aveva mai pianto dal giorno della morte di Ace. Piange disperato, stringendosi ai vestiti di Sabo quasi con disperazione, inzuppandoli di lacrime. Gli è mancato, gli è mancato, gli è mancato troppo.

E ora è qui.

Sabo, dopo un istante di sorpresa, lo stringe a sé, sorridendo incredulo. – Lo so. Anche tu mi sei mancato da morire. Ma adesso sono qui, non preoccuparti. Non vado da nessuna parte.

Rufy si bea di quel contatto così tanto desiderato, in tutti quegli anni. Abbracciare Sabo, annusare il suo profumo di libro antico e liquirizia, farsi rassicurare da lui...

Anche Sabo, ovviamente, ha sentito la mancanza dei suoi fratelli. Rufy, così pieno di vita e di allegria, gli era mancato da impazzire. Ha seriamente temuto di non farcela a resistere così a lungo; e Dio solo sa quanto, nel vedere Rufy in questo stato, si è sentito in colpa. Ma alla fine... eccolo qui, tra le sue braccia. L'ha perdonato. Sono insieme.

Questo abbraccio sembra non finire mai, Rufy vorrebbe che non finisse mai: deve recuperare dodici anni di dolore, dodici anni di assenza. Ma ha ancora delle cose da fare, avranno il loro momento quando sarà tutto finito. Scioglie delicatamente l'abbraccio e fissa Sabo negli occhi. – Devo andare a salvare un mio amico. – sussurra. – È nei guai, quel Mingo gli ha sparato. Quindi devo uscire. Però volevo anche vincere, sai, per il Frutto del Mare di Ace. Non è che potresti darmi una mano?

Sabo sorride. – Tutto quello che vuoi.

– Allora se lo vinci puoi tenerlo. – sorride Rufy, sciogliendo completamente la stretta e sorridendo, radioso.

Sabo sbarra gli occhi. – M-ma che dici, non potrei mai...

– Ehi, era di Ace. L'ho visto usarlo, e davvero, è una cosa fenomenale! Insomma, Ace era il più forte di tutti... – gli si inumidiscono gli occhi, e anche Sabo non può sottrarsi ad una lancinante fitta di nostalgia. Ma quando Rufy riprende a parlare non c'è traccia di esitazione nella sua voce. – In ogni caso, lui vorrebbe che ce l'avessi tu. E poi... non lo so, mi sembra giusto così. Io in realtà non saprei bene che farmene. – sorride imbarazzato, grattandosi la testa.

Rufy si toglie in fretta quel che resta del travestimento -elmo e baffi li ha già persi da un pezzo, nella foga di picchiarlo- e lo passa a Sabo, che indossa il tutto senza batter ciglio. – Ti chiami Lucy. – lo avvisa facendo per andarsene.

– D'accordo, me ne ricorderò. Ah, Rufy, aspetta... – lo chiama Sabo.

Il ragazzino si volta. – Sì?

– Non è vero... non è vero che non so niente di quanto sei diventato forte. Ti seguivo sui giornali, vedevo le taglie, cose così. Le voci giravano, in fondo sei figlio di Dragon. Ho saputo... hai preso a pugni un Nobile Mondiale.

Il volto di Rufy si fa confuso per un istante, poi sorride: quel suo sorriso immenso, enorme, splendente meraviglioso, che a Sabo era mancato così tanto. Può piangere? I fratelli maggiori possono piangere? Eppure non pensava di potersi meritare ancora una volta un sorriso del genere. – Ah, certo! Intendi a Sabaody, vero? – Abbassa la voce, come per confidargli un segreto. – Avevo i miei motivi, eh, però... Era soprattutto per te.

Sabo non resiste, ed ecco che una lacrima scivola giù anche per la sua guancia. – Grazie. – sussurra, la voce tremante.

Rufy sorride di nuovo. – Di niente! – Fa per andarsene, poi però si volta e torna indietro, abbracciandolo di nuovo. Sabo reagisce subito stringendolo ancora più forte. – Ho detto una bugia, prima. – sussurra Rufy, la faccia affondata nel suo petto. – Non è vero che ho smesso di aspettarti due anni fa, Sabo, era una bugia. Ti ho aspettato sempre, sempre, sempre. Ogni giorno, ogni notte. Anche ieri. Anche oggi, anche pochi minuti fa io ti aspettavo. E sei tornato. Quindi... grazie a te. – si tira un poco indietro, sorridendo timidamente.

Ogni lacrima spesa oggi è un sorriso domani.

Ogni sogno infranto di ieri e una promessa di oggi.

Rufy aveva due fratelli, molto tempo fa. Uno se ne andò quasi subito, e qualche anno dopo anche il secondo morì. Ma lui continuò ad aspettare e un giorno -caso, destino, miracolo, chiamatelo come volete- uno dei due fratelli tornò da lui.

– Ti voglio bene.

Tornò per non andarsene mai più.

– Anch'io.

Non aveva aspettato invano.

 



When I go away, I'll miss you and I will be thinking of you every night and day
just promise me you'll wait for me


 






 














Angolo autrice
D'accordo: Oda continua a non dirmi cos'è successo tra Rufy e Sabo quando si sono incontrati di nuovo (seriamente, insomma, quanto dovremo aspettare ancora? L'attesa mi logora), quindi ecco a voi la mia personale versione del loro ricongiungimento! Non riesco ad immaginare un Rufy che passa subito sopra a tutto -voglio dire, si deve essere un po' sentito abbandonato, giusto? Specialmente dopo i fatti di Marineford. Essendo un tipo così impulsivo ho pensato che un po' di sano scazzottamento fosse d'obbligo (?), però... insomma, sono fratelli. Ne hanno passate tante, e ora possono essere di nuovo una famiglia. Trovo che sia dolcissimo, davvero: Oda, Oda, dimmi che risolveranno tutto: ce lo vedo troppo Rufy a presentare Sabo ai suoi compagni tutto fiero ed orgoglioso... Non sarebbe stupendo?
Il titolo e la strofa in fondo vengono dalla canzone "promise me" di Beverley Craven.
Ringrazio di cuore chiunque leggerà/recensirà! Un bacione, vostra
Emma ^^

  
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