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Autore: Hank Gadamer    25/05/2014    0 recensioni
Le serate alquanto pulp di un ragazzo, in giro con i suoi amici, nell'immaginaria città di Aberdi tra feste, drogati solitari, personaggi alienati e meditazioni nichiliste...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Violenza
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Credo che esista sempre più gente che come me vive soltanto alcune ore al giorno. Prendi tutti quelli che si sentono sempre stanchi ed esclusi dalla loro vita, tutti quelli che non aspettano altro che la notte, il sabato sera e la discoteca, quelli che circoscrivono la loro vita alle uscite serali con gli amici. Per la maggior parte del tempo sono fantasmi, fantasmi accidiosi, che si svegliano dal loro torpore solo per rari momenti di lucidità, in cui liberano la libido e si divertono. Ecco, questo è il discorso che provava a farmi Franco mentre fingevo di ascoltarlo.
Franco è un ragazzo della mia età, simpatico, anche se non ascolto sempre quello che dice, sembra anche che quando aveva diciotto anni abbia stuprato una ragazza ma lui non parla mai di quel fatto e la ragazza stuprata, che è l'unica a sapere la verità oltre a Franco, è scomparsa da anni. Tutta la faccenda è rimasta sempre avvolta nel mistero. A parte questa faccenda Franco è una brava persona e ogni tanto mi diverto a seguirlo nel suo giro di spaccio. Non che vedere drogati mi ecciti particolarmente, ma Franco ha una clientela molto variegata, piena di gente interessante. Non tutti sono però intenzionati a perdere tempo per socializzare. Sono molti quelli che dopo averti salutato pensano subito alla loro medicina e al loro prossimo viaggio extrasensoriale. Non si curano molto dell'etichetta, dell'educazione e a me va bene così.
Saltavano quella che io definisco la fase dell'ascensore, in memoria del mio primo anno ad Aberdi, quando avevo affittato casa in via Bettino Craxi. Era un appartamento in un condominio immenso, con un via vai di gente sempre nuova. Ogni volta che aspettavo l'ascensore mi intrattenevo con qualche sconosciuto, lo salutavo, perché al Sud davanti l'ascensore  si fa così anche se non ci si conosce. Quando poi ero dentro quello iniziava a parlare con me e iniziavano i dialoghi più banali e orribili che si potevano sentire.
- Hai visto che tempaccio che c'è oggi?.
- Già.
- Certo che è incredibile che faccia così freddo ad Aprile.
- Infatti.
Dopo quel viaggio in ascensore però ci potevamo già considerare amici, o qualcosa di lì vicino. La volta successiva quello si sentiva più a suo agio e cominciava a parlare di sè, di quello che faceva, tanto ormai la Fase Dell'Ascensore era superata.
Tutti quei dialoghi per rompere il ghiaccio scomparivano quando stavi con quei drogati persi. Dopo che Franco gli aveva dato la loro medicina  eri già diventato loro amico. Erano più rilassati e già tuoi amici. Alcuni ti invitavano a rimanere a stare a casa con loro mentre viaggiavano nel loro mondo anfetaminico. Una volta uno di questi che doveva chiamarsi Fabio o Fabrizio o un altro stupido nome, mi raccontò che a causa di un'allucinazione un giorno si era messo ad urlare per tutto il centro commerciale che era inseguito da un elefante rosa. Un fottuto elefante tutto rosa.
Certo pure tu, a farti in un centro commerciale, gli dice Franco e scoppiano a ridere tutti e due.
 Ricordo che poi giorni dopo incontrai questo Fausto mentre prendevo la metro. Mi salutò. Io feci finta di niente e girai la testa. Di scatto. Senza pensarci troppo, come un riflesso incondizionato. Non volevo che le mie amicizie si confondessero con i clienti di Franco. Qualche giorno dopo tornai a casa di questo Flavio e lui mi chiese perché non l'avevo salutato.
Be' forse non ti ho riconosciuto, gli dico. Non stavo mentendo del tutto, quel giorno alla metropolitana sembrava un altra persona: con la barba rasata, la camicia bianca e stirata. Poi come un' istantanea che riaffiora improvvisamente alla memoria, ricordai anche che avevo visto un anello al dito. Solo ora, in casa sua, realizzai che doveva essere un uomo sposato. Eppure quella non era la casa di un uomo sposato, piccola e in disordine e senza l'ombra di un letto matrimoniale. Anzi Senza l'ombra di un solo letto. Mi girai verso di lui, barbuto e con la tuta da ginnastica. E senza fede al dito, ma con una striscia di pelle più chiara che cerchiava l'anulare della mano destra. Fu allora che in uno di quei lampi di illuminazione, in uno di quei momenti dove mi sentivo trasformare in un moderno Sherlock Holmes, fu allora che realizzai tutto.
Questo Flavio o Fabrizio o come diavolo si chiama, nascondeva alla moglie l'uso degli "antibiotici" di Franco. Probabilmente dice che va a fare jogging, esce con la tuta e viene in questo appartamento affittato dove aspetta l'arrivo mio e del dottore con la cura.
- Hai dei figli?- gli chiedo ad un tratto. Devo sapere se ho ragione.
Lui ride. No, mi dice. Sono una totale perdita di tempo, quando avrai la mia età lo penserai anche tu.
- Però sei sposato.- faccio io sicuro, con l'intento di stupirlo.
- Neanche. Non mi sono mai sposato- E ride.
Rimango zitto. Che cosa ho saltato? Sembrava un ragionamento logico. Degno di Sherlock.
- E per l'anulare?- mi fa lui sghignazzando - e per questo che mi credevi sposato?. Mi mostra il segno che la fede gli ha lasciato sul dito.
Annuisco. Cosa ho sbagliato?
- Be' vedi- mi dice lui -io trovo il mio lavoro molto stressante. Ogni giorno devo essere perfettamente vestito, come ogni persona rispettabile, e devo andare perfettamente in orario. Così che quando sono alla mia scrivania in ufficio con la mia camicia da "colletto bianco" aspetto che arrivi il mio capo, in ritardo come sempre, che trova le mie occhiaie scure molto poco consone per un suo dipendente. E non passa un giorno senza che non mi si avvicini per dirlo. " Flavio Cafolio non è possibile andare a dormire un po' prima la sera?".
Ecco come si chiama. Flavio. Mentre mi racconta la storia della sua vita risolvo il mistero del nome. 
- Ok, ho capito Flavio, ma la fede che c'entra?- Chiedo impaziente.
- Eh, quella serve per darmi più rispettabilità. Sono due anni che fingo di essere sposato. Quello che più mi sembra incredibile e che nessuno nel mio ufficio mi abbia mai fatto una sola domanda su come, da un giorno all'altro, ho iniziato a portare una fede. Una ventina di persone e mai una domanda su mia moglie. Mai una domanda. Scimmie spaziali. Schiavi del lavoro. Da quando ha avuto inizio la Crisi, in quegli uffici la paura di perdere il lavoro ci ha incattiviti. Ora siamo schiavi della competitività. Nessuno scherza più e le pareti diventano ogni giorno sempre più grigie. Solo io riesco a guardare quelle mura come se fossero ancora bianche, ma ho sempre bisogno di un aiuto.- Dice indicando la sua siringa poggiata sul tavolo.
Dopo aver detto questo, Flavio iniziò a fissare la siringa e non aprì più bocca.
Guardai Franco, rideva. È pazzo, mi disse. "Il problema vero" pensai "e che nessuno avrebbe potuto dedurre tutta questa storia guardandolo come ho fatto io. Nessuno di umano. Nessuno tranne Sherlock Holmes. Questo perché Sherlock era sempre due passi avanti rispetto a tutti, io al massimo uno solo."
- Ma lui vive qua?- Chiedo a Franco indicando Flavio.
- E certo.
- E dove dorme?- Dopotutto non si vedono letti.
- Sul divano-letto.
- Fanculo.


Lasciammò Flavio al suo viaggio personale e ci avviammo verso Piazza Dell'Utri. Franco mi disse che avevano organizzato una festa e avevano chiamato lui come animatore. La festa doveva essere già iniziata da tre ore.
- Fa niente, vedrai che la vera festa inizierà solo quando arriveremo.- disse Franco.
Non era la prima volta che Franco mi portava in giro per le feste di Aberdi, era conosciuto in città. Per arrivare prima, scendemmo a prendere la metropolitana e saltammo le sbarre girevoli, perché ad Aberdi se hai meno di venticinque anni e sei in grado di saltarle non devi pagare il biglietto per la metropolitana.
- Dobbiamo scendere tra tre fermate - mi avverte Franco. Poi ci sediamo e mi inizia a raccontare di un suo vecchio amico che non aveva capito tanto bene come si faceva lo spacciatore.
- C'è questo mio amico, si chiama David. È ebreo, ma non è di Aberdi viene da Neutro che ha iniziato...
- Perché mi hai specificato che è ebreo?- gli chiedo provocatoriamente.
- Oh dai, non mi far passare per un razzista adesso. L'ho detto solo così, come curiosità. Non è che conosciamo altri ebrei, sono rari qui da noi.
- Sì, sì tranquillo. Stavo scherzando. Non t'agitare così. - Gli dico ridendo, mi diverto quando la gente fa questi errori, sembrano così sottili. Eppure nessuno specificherebbe la razza o la religione di qualcuno se non per renderlo diverso agli occhi degli altri.
- E adesso che stavo a dire?... -disse Franco - Ah sì! in pratica questo David aveva iniziato a fare qualche commissione, piazzava un po' di erba e fumo in giro, ma invece che venderla si fumava lui tutta la roba. Ora sono settimane che non esce di casa. - Franco iniziò a ridere come un pazzo, iniziai a ridere anche io. Anche se quello era ebreo. Come si fa ad essere così imbecilli, dopotutto uno spacciatore, lo dice il nome stesso, dovrebbe solo spacciare. Niente di così difficile.
Arrivammo subito in piazza Dell'Utri e Franco iniziò a citofonare alla casa di questo ragazzo. Giovanni Ciaccia, c'era scritto sul citofono. La casa era in realtà un palazzone altro tre piani, molto antico, probabilmente la famiglia Ciaccia doveva essere molto ricca, o in passato erano dei nobili. Gente importante, insomma.
- I genitori sono in viaggio?- chiesi.
- Sì, sono in crociera. E il figlio ha deciso di festeggiare alla grande. Credo sarà una super festa oggi. Dovrebbero essere una marea di ricchi paganti. Bueno.- mi sorrise e un trillo elettronico ci aprì il portone.
Alla festona erano rimasti solo una decina di persone, radio a palla, ma tutti erano seduti. Qualcuno aveva una bottiglia in mano. Un ragazzo alto si alzò dal divano e ci venne incontro. Iniziò a litigare con Franco per l' ora. Avevamo fatto troppo tardi. Io mi diressi in silenzio verso il tavolo pieno di bottiglie. Le pizze erano finite. Aprì una bottiglia di birra e mi guardai attorno: c'erano alcune coppiette che si baciavano sulle poltrone, una ragazza devastata stesa su un divano con una bottiglia piena in mano. Altri stavano seduti in circolo e si raccontavano qualcosa di divertente.
Un'ora dopo la casa era piena di gente, tutti che ballavano e urlavano. Qualcuno si era pure barricato nel cesso. Franco aveva già venduto tutto quanto.
Una ragazza che non conosco e che mi stava fissando da cinque minuti mi si avvicina e inizia a parlarmi. Mi parla di stupidaggini e io immagino di essere appena entrato nell'ascensore del mio ex appartamento in via Craxi. Vado a prendere qualche altra cosa da bere per reggere il discorso con questa ragazza. Non era brutta, ma non aveva tette e io non ero proprio in vena.
Quello che successe dopo, nelle successive due ore, l'ho lasciato sul fondo di qualche bicchiere. Ricordo solo che alle quattro della mattina camminavo abbracciato con Franco ridendo ancora come ubriachi.
- Sai cosa ci vuole ora?- mi chiede lui.
- Cosa?- gli chiedo io barcollando.
- Dammi un cazzotto.
- Eh?
- Sì, un cazzotto.
- No.
- Dai andiamo, non hai mai visto Fight  Club. È una figata.- Insiste lui.
- Ma che è sta cazzata...
- Dai andiamo. Tanto non combatti contro di me. Combatti contro tuo padre che ti ha abbandonato da piccolo.
- Ma non è vero. Cazzo dici?
- Hai ragione questo è nel film. Vabbè combatti contro qualcosa che ti fa incazzare.
- E cioè? Tipo contro la politica. Tanto quelli sono tutti ladri. - faccio io ridendo, imitando tutti i qualunquisti che accusano la politica per ogni problema - Ci sono: Contro il governo che non mi ha trovato un posto di lavoro per quando finirò l'Università.
- No dai. Qualcosa che ti fa incazzare sul serio. Tipo quel professore là. Sitole. Quello ti sta sulle palle.
- Ma no dai, non lo odio così tanto.
- Ma se dici sempre che è uno stronzo  e che deve morire soffocato nella sua merda.
- Sì,  è vero ma all'ultimo esame mi ha detto che se continuo così mi metterà un trenta.
- Ma se è successo un anno fa e da allora ti ha sempre messo ventitré.
- Hai ragione, è uno stronzo.
Mi tolgo il giubbotto e lo butto per terra, Franco saltella e si sbraccia per caricarsi. Mi vengono in mente tutti i combattimenti di wrestling delle elementari. Comincio  io con un pugno dritto in faccia, ma Franco non si muove e io rallento il colpo. Non voglio colpirlo veramente. Riceve il mio mezzo pugno. Sorride e  me ne dà uno che mi atterrà direttamente. Sento la mandibola che scricchiola, rimango a terra e chiudo gli occhi. Il suo pugno era  stato come una palla d’acciaio presa dritta in faccia.
- Fai sul serio.- gli dico e mi rialzo. La faccia di Franco scompare e compare quella del professore Sitole.
Parto alla carica e mi avvicino e lui, prova a colpirmi,  paro con l'avambraccio il destro del professore Sitole e lo colpisco all'addome. Lui si piega in due e io lo atterro con un altro colpo. Prima che io possa pestarlo a sangue mentre è a terra, inizia a scalciare. Colpisce le mie gambe e mi butta a terra. Prendo l'asfalto con la faccia, poi vengo girato supino e il professore si siede su di me e carica di pugni la mia faccia. Cerco di proteggermi il viso il più possibile, finché la scarica di pugni termina. Apro gli occhi e il professore agita le mani al cielo festeggiando la vittoria con un pubblico fantasma che lo acclama, mentre io sono a terra. "Non può sconfiggermi anche questa volta. No, 'sta volta no." Mi rialzo in piedi ancora una volta, le gambe tremano e il corpo è tutto un dolore. Da qualche parte del mio corpo sono sicuro che sta anche uscendo del sangue, ma io a terra non voglio rimanere e carico un' altra volta il mio professore, a testa bassa, proprio come un toro.
 
 
   
 
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