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Autore: ilprofumodelliris    25/05/2014    0 recensioni
Si tratta di un piccolo gioco/esperimento per indirizzare l'ispirazione. Consiste nello scrivere un’intera storia, semplicemente scrutando a fondo uno di quei passaggi idilliaci che si vedono su tumblr.
Dovreste almeno provare, tutti voi. Vi assicuro che è parecchio divertente vedere l’immaginazione prendere il sopravvento e incominciare ad inventare dettagli che non esistono, né nella foto, né probabilmente altrove, in alcuna circostanza.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima immagine sulla dashboard di Tumblr, e il resto parte tutto dalla testa.


Il mio pettirosso — così aggraziato e delizioso — svolazzava nella nebbia di prima mattina. Ma non era un pettirosso come tutti gli altri, assolutamente. A dire la verità, non so neanche se i comuni pettirossi siano in grado di volare ad alta quota. Ma indipendentemente da questo, il grazioso uccelletto volava in alto — e non scendeva mai. Dormiva sui rami più alti, e appena un poco, e subito ripartiva, era instancabile, sembrava vivere d’aria pura e nient’altro. Aria pura di quei pochi squarci di mondo rimasti incolti e segreti agli spregevoli occhi umani, e mai, mai, questo sarebbe potuto essere diverso.
Gli uomini sapevano essere crudeli.
La gente moriva nella città, le bestie morivano ai loro gioghi; morivano anche in questi scorci di terra, ma in un modo quasi dolce, che neanche sembrava opportuno chiamarla morte
una cosa così.
Tuttavia, esistono sempre le dovute eccezioni. Come il pettirosso si ritrovava ad essere speciale, anche certe altre cose lo erano, lo erano e basta.
C’erano degli uomini, su quelle terre.
—Ooooh!—, sento impazzire i cuori più delicati, che altro non sono che i pensieri più profondi della mia mente, che nell’esordire si dimenticavano completamente della presenza umana.
Ma per quanto portatori di distruzione, gli umani sono necessari quando si tratta di storie; senza di loro non esisterebbe alcuna rima, ingarbugliarsi poetico o figura retorica.
Non ci sarebbe questo fremere dell’ispirazione nelle viscere, che gli altri miei amici scrittori conoscono bene. Forse, non esisterebbe neanche alcuna ispirazione, solo natura, e vento, e disastri e dolci rimedi.
La tenuta sul dirupo sorgeva antica e possente al di sopra delle cascate, ancora più in alto delle rocce scoscese, dimora dei piccoli insetti e delle nidificazioni.
I suoi abitanti erano resi straordinari dalla naturalezza con cui trascorrevano le loro vite, nonostante si trovassero all’interno dell’espressione più estrema della natura. Cosa esiste infatti, di più potente di una cascata?
Di un fiume che crolla letteralmente giù da una rupe per decine, centinaia di metri? Non si discute.
Ma ora è importante focalizzare il pettirosso — ormai diventato nostro, no? — svolazzare qua e là. Imprimersi nella mente i suoi movimenti regolari, e allo stesso tempo mai identici. Guardalo uscire ed entrare nella nebbia mattutina, che di mattutino ha solo il momento da me descritto, in quanto elemento eterno di quelle terre.
Allo stesso modo, c’era un uomo molto più in basso, che camminava lentamente e comunque senza mai fermarsi.
Quella tenuta antica e possente sopra le cascate era per l’uomo come le cime degli alberi per il pettirosso, effimera dimora.
Giusto un momento e se ne erano già andati.
Una casa e un nido a segnalare la propria presenza, nulla più.
Loro non ne avevano bisogno, di una casa, quando avevano il vento a sospingere l’uno avanti e l’altro in alto.
Lui non era un uomo come tutti gli altri, assolutamente.
Passava le giornate a scrutare il vuoto oltre la rupe della cascata, giù dove scorre il fiume.
Ma sempre da un’angolazione diversa. A volte si sporgeva così tanto che a vederlo, si avrebbe avuto la certezza che sarebbe caduto. Ma non cadeva mai.
Non faceva nient’altro. Pensavano avesse perduto qualcosa, o qualcuno, e quando urlava, perché urlava forte, pensavano che glielo avessero strappato via, quel qualcosa o qualcuno.
Anche la natura sa essere crudele. Le tempeste lassù infuriavano violente, e di tutto poteva essere successo.
L’uomo muoveva piccoli passi tutt’intorno al baratro, e sempre lo sguardo restava perduto.
Boschetti di alberi coronavano il paesaggio e rendevano irregolare il suo cammino. Talvolta infatti era costretto ad addentrarsi nella vegetazione e ci voleva tempo per uscirne, per poi tornare a sporgersi e a contemplare il vuoto.
Nessuno di coloro che passavano per caso da quelle terre, poteva avere idea di cosa accadesse in quei fitti boschetti, tranne, forse,
qualche fortunato pettirosso.
L’uccelletto svolazzava sempre allo stesso modo e cominciava ad abbassarsi di quota, così come il sole morente all’orizzonte. L’ora di posarsi era giunta.
Ma per uno scherzo del destino, questa volta, il vagare dei due erranti si incrociò.
E fu un attimo. L’uomo sul limitare della boscaglia alzò la testa e lo vide, forma di vita meravigliosa, svolazzante creatura.
E si incatenarono, se uomo e animale sono in grado di farlo, a forza i loro sguardi diventarono uno solo come in una fusione spontanea.
Il pettirosso sentì la terra sotto di sé e l’altro solo flutti d’aria turbinosa.
L’uomo si sbatteva con le ali e l’altro sperimentava il dono della parola.
Non più l’uno e non più l’altro, i due si sfiorarono e nulla in questo mondo fu più come prima.
Restava solo pazzia di quest’assurda storia; così spiccavano il volo entrambi in quell’unico piccolo corpo, e svanivano alla velocità della luce nell’acqua gelida della cascata.
Di tormenti, quelle terre immacolate, non ne videro mai più, e ancora oggi, se si sta bene attenti, è possibile udire un flebile cinguettio (beato) provenire dal cuore della cascata.
Di che cascata parlo?
Beh, dovete scoprirlo da soli.
Altrimenti dove sarebbe il divertimento?
   
 
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