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Autore: D a k o t a    25/05/2014    13 recensioni
Incentrata su nessuna ship, solo sull'amore di un padre per sua figlia, molto fluff, dunque. Ovviamente sto parlando di Klaus, e.. chi ha letto "Who is the woman in the picture?", ha una vaga idea del temperamento di Rachel, la bambina, che nella fanfiction ha già otto anni, e che identifico come la figlia di Klaus.
[Fluff!Come in tutto ciò che scrivo]
"In quei momenti lo assaliva la consapevolezza di non meritare quella bambina, e lo uccideva il dubbio che potesse pensare di non essere degna del suo amore.
Perché Klaus sapeva che non era Rachel a non essere degna di lui , ma era lui a non meritarla.
Guardò Cappuccetto Rosso, La Bella e La Bestia, La Sirenetta.
Lui non avrebbe mai potuto essere nient’altro che l’antagonista che animava e seminava discordia nelle sue fiabe. Il cattivo.
Il mostro.
In fondo, c’erano cose che Elijah non sapeva, ma c’erano cose che nemmeno Klaus sapeva.
Elijah non gli aveva mai raccontato quanto Rachel desiderasse un lieto fine e una seconda possibilità, anche per il lupo cattivo."
[Vincitore del "Premio Fluff" al contest "I miei gusti e le vostre storie" di Fefy_07]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Klaus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4
Quella volta fu Rachel a svegliarsi per prima. Si stropicciò gli occhietti, prima di accorgersi di non essere sdraiata sul morbido materasso del suo lettino. E quale fu la sua sorpresa, nell’accorgersi di trovarsi fra le braccia del suo papà.
Un largo sorriso illuminò il suo volto paffuto.
Lui non l’ aveva lasciata sola non solo fin quando non si era addormentata; era restato con lei per tutta la notte tenendola stretta, per paura che cadesse dal letto e si facesse male.
Era stato così dolce e amorevole.
Così buono.
Come poteva pensare di essere sbagliato per lei?
Rachel osservò Klaus, facendo attenzione a non destare alcun rumore, per non disturbarlo.
Questa volta, diversamente dalle altre però, era in conflitto con sé stessa.
Da una parte voleva schioccargli un bacio sulla guancia per ringraziarlo. Dall’altra però, voleva lasciarlo riposare ancora un po’. Ma la prima parte, quella più bambina e meno giudiziosa, ebbe di nuovo la meglio, e gli stampò un bacino sulla guancia, soffice e delicata come solo lei poteva essere.
 Klaus aprì gli occhi gradualmente, poi le regalò un sorriso che andò a scoprire le fossette,  stringendola appena con tutto l’amore che non riusciva a mostrarle.
“Hai dormito bene, papà?”
Klaus le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, prima di meditare sulla domanda che le aveva fatto. Era stata la notte più singolare e speciale della sua esistenza; sentire il tepore del corpicino di Rachel lo aveva riscaldato.
E ovviamente non perché il clima di New Orleans fosse rigido.
Lei, la voglia di amare e di vivere che aveva e che, a differenza sua, non si curava di tenere dentro .
E il respiro regolare della bambina sarebbe stata sempre la sua ninnananna preferita.
Come un canto delle sirene, che allo stesso tempo sapeva di non dover seguire, ma che non smetteva di tirarlo a sé.
Non se ne era andato - non era riuscito ad andarsene -  nemmeno quando avrebbe voluto.
O meglio quando avrebbe dovuto,visto che lui non avrebbe mai voluto stare lontano da Rachel.
Aveva perso il controllo, decisamente.
Rachel lo aveva totalmente inebriato e si odiava per aver lasciato quel lato egoista che la voleva accanto - che voleva vivere ogni suo singolo istante - subentrare e avere la meglio.
“Papà, stai bene?”
Klaus deglutì, quando la bambina gli fece nuovamente quella domanda. Si era perso troppo in quelle riflessioni per sentirla. Era a disagio. Con lei, lui aveva sempre fatto la scelta peggiore per lui, sapendo che era la migliore per sua figlia. Tranne quella volta.
“Sì, amore, certo che sì.”
“Sei rimasto anche quando mi sono addormentata”.
Rachel sorrise sincera, piena di gratitudine, mentre era ancora appoggiata su di lui. Nessuno  avrebbe trovato la voglia e la forza di alzarsi. Momenti del genere erano più unici che rari per lei e voleva goderseli fino in fondo. Klaus invece sentiva il dovere di giustificarsi.
“Mi sono addormentato, Rachel. E’ stata una lunga giornata ed ero stanco, mi dispiace.”
Rachel fece spallucce, non capendo di cosa volesse scusarsi.  A lei dormire accanto a lui non era parso il vero; si era sentita protetta e al sicuro, e non sola come al solito. Non poteva resistere dal dirglielo, nell’intento di fargli capire di quanto significasse per lei, la possibilità di averlo vicino.
“Ma a me non dispiace, papà.”
Rachel fece spallucce candidamente, guardandolo negli occhi. Lui trasalì. Doveva aspettarsi una risposta del genere da sua figlia e fece un sorriso piccolo, accompagnandolo con una carezza, ma poi si ritrasse bruscamente, quando la bambina parlò di nuovo.
“Dovremmo farlo più spesso se non ci dispiace, papà”
“Non succederà più, signorina.”
Rachel sporse il labbro inferiore in avanti, sbuffando leggermente. Klaus la guardò, pensando che fosse proprio sua figlia. Nella gestualità, nell’insistenza, rivedeva sé stesso, quel bambino che forse era stato in un tempo delle fiabe che non aveva mai avuto, che gli era stato strappato via con brutalità e violenza e che stava invece cercando di far vivere a lei nel modo più sereno possibile senza ostacolare i suoi sogni, la sua creatività e il suo fantasticare ad occhi aperti.
“Perché, papà? E’ stato dolce, papà. Io non mi sentivo sola e nemmeno tu. E’ stato subrime”
Rachel aveva ripetuto una delle parole che aveva sentito dire ad Elijah prima di partire, nella speranza vana  di averla detta bene. Klaus ridacchiò. Era candida, fresca e pura. Era tutto ciò di cui aveva bisogno e se ancora non lo sapeva, lo avrebbe scoperto presto.
Sublime, Rachel. E comunque sia, lo dici solo perché vuoi che risucceda. Non prendermi in giro, tesoro.”
Rachel assunse un cipiglio imbronciato. Un po’ perché le dispiaceva non aver imparato bene quella parola, un po’ perché le rincresceva che per lui quella notte non era stata indimenticabile come per lei.
“Ed è una cosa cattiva e sono una persona senza cuore se io voglio passare del tempo con te, papà?”
Klaus esalò un sospiro triste. Lei non era cattiva, poteva essere capricciosa a volte, ma cattiva non lo sarebbe stata mai. Era la sua bambina - quella fiala di bene da proteggere, da maneggiare con i guanti e la massima cautela. E la sua richiesta non sarebbe stata sbagliata, se solo quel papà non fosse stato lui. Aveva ucciso, aveva dato la caccia e terrorizzato chi si metteva contro di lui per secoli. Che esempio poteva dare a Rachel, se non intaccare il buono che c’era in lei?
“Non si tratta di te, si tratta di me, Rachel.”
La bambina sgranò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore poi però porto la mano piano piano sul petto dell’Ibrido, che era desideroso di conoscere cosa stesse facendo. Poi un sorriso illuminò le labbra di Rachel che si fermò, delicatamente.
“Eccolo, papà.”
“Cosa, Rachel?”
Klaus sapeva benissimo dove si era fermata con la manina e deglutì, mentre la voce in quella domanda si faceva fioca, sempre più fioca, fino a ridursi a poco più di un sussurro. Un sussurro che più che mai esigeva una risposta.
“Il tuo cuore. Lo sento battere, papà. Quindi non è vero che sei senza cuore.”
Klaus accarezzò delicatamente  la manina della bambina preso dal timore di far troppo forte   e fece per replicare, ma qualsiasi parola gli sembrava fuori luogo.
Forse aveva davvero bisogno di qualcuno che gli ricordasse dove si trovava il suo cuore.
E soprattutto che esistesse.
***
Dopo quella constatazione, Rachel aveva deciso di vestirsi e lo aveva invitato ad uscire dalla stanza, mentre le gote si tingevano di color porpora, pudica come non mai. E Klaus aveva ridacchiato scendendo al piano di sotto. Non si era mai sentito così umano da secoli, così vivo.
Perché Rachel era un uragano.
Un uragano di amore, energia, semplicità destinato a smantellare via, a sciogliere, pezzo per pezzo, l’iceberg di odio, rancore, che si annidava dentro di lui, sostituendolo con la gratificazione. Era piccola, ma con la forza di un lampo.
Quella tranquillità apparente e sicuramente temporanea svanì, nell’esatto momento in cui udì la serratura dell’abitazione scattare.
Klaus scattò verso l’entrata, velocemente. La paura che qualcuno si fosse introdotto in casa con l’intento di vendicarsi di chissà quale fra i suoi numerevoli delitti si impossessò di lui.
Lui aveva passato la vita a proteggersi.
Eppure, proteggersi era l’ultimo dei suoi pensieri.
Questo perché c’era qualcun altro da proteggere.
La sua espressione sbalordita e quella sua paura, però, erano destinate a scemare.
Tutto ciò non appena i suoi occhi cerulei avrebbero incontrato quelli cerulei come i suoi.
“Entra pure, sorellina”
Rebekah sorrise, guardando l’uomo che  trovava davanti; quel fratellastro, che però non aveva mai definito tale perché le era fratello quanto poteva esserlo Elijah. Il tempo non lo aveva scalfito, eppure c’era qualcosa di diverso in lui.
Lo aveva percepito nel momento esatto in cui era entrata in quella casa.
Non era cambiato niente, eppure era cambiato del tutto. E sarebbero bastati pochi minuti a confermarglielo.
“Saranno passati otto anni, ma è ancora casa mia, Nik. Ricordatelo.”
Ed eccola, Rebekah e il suo ardire, il suo carattere deciso.
Lui non la trovava cambiata invece. Sembrava solo che avesse riacquistato un po’ di quella spensieratezza.
Quella che a lui aveva strappato via suo padre, e la stessa che lui stesso aveva portato via a lei.
Un carattere che non avrebbe mai ammesso - e tanto meno avrebbe dato a vedere- quanto gli era mancato.
Entrambi sentirono dei rumori al piano di sopra.
E Klaus sorrise, scuotendo la testa. Un sorriso dolce, puro, apprensivo. Un sorriso vero, che Rebekah non gli aveva mai visto fare.
“Voglio conoscerla, Nik.”
Klaus si strinse le spalle, meditando sul da farsi ma senza meditarci davvero. Rebekah poteva avere milleuno difetti, ma non avrebbe mai e poi mai fatto del male a sua figlia e immaginava Rachel trillare gioiosa, felice che quella zia che pensava si disinteressasse a lei avesse deciso di incontrarla.
E se Rachel fosse stata serena e al sicuro, tutto il resto sarebbe passato in secondo piano.
Fece un gesto verso il piano di sopra, con nonchalance.
“Mi sembra una richiesta ragionevole”
Rebekah annuì, sorpresa.
Suo fratello non le stava sbraitando contro e non stava rivendicando un’autorità su Rachel.
Il Nik,il fratello che la proteggeva stava lentamente riemergendo da quell’involucro dove aveva deciso di chiudersi, per non soffrire più.
***
Rachel si stava aggiustando i boccoli biondi davanti allo specchio, dopo aver indossato un vestitino azzurro come i suoi occhi. Klaus aprì la porta, Rebekah esitò sull’uscio. Era emozionata e curiosa allo stesso tempo. Aveva paura di quella bambina.
Nik non doveva averle mai parlato di lei, troppo preso dalla rabbia e dal rancore per aver tentato di ucciderlo oppure, nel peggiore dei casi, le aveva parlato male di lei, ne era sicura. Aspirò forte, entrando.
La piccola rimase un secondo perplessa mentre la guardava, e mentre Klaus trovava le parole giuste per presentarle.
Ma di parole non c’era bisogno perché Rachel sapeva e Rebekah sbagliava.
E lo avrebbe dovuto ammettere nel momento stesso in cui Rachel sfoderò il sorriso un sorriso a 31 denti- 31, considerando il dentino da latte che aveva perso- verso Rebekah, correndole incontro.
“Sei arrivata! Zio Elijah e papà dicevano che saresti venuta, e io non ci credevo mai, zia Rebekah”
Rebekah era paralizzata invece dall’emozione.
Zia Rebekah.
Di quanto amore erano intrise, quelle due paroline? Si sentì quasi in colpa per ciò che aveva pensato due minuti prima.
Klaus non avrebbe mai insegnato l’odio a sua figlia. Un po’ perché Elijah non glielo avrebbe certo permesso con il suo forte senso della famiglia, e un po’ perché Rachel gli stava insegnando e ricordando cos’era l’amore.
Lei era piccolina e da tutelare e lui  non poteva comportarsi con lei come faceva con gli altri.
Klaus abbozzò un sorriso, godendosi quel sereno siparietto familiare e vedendo gli occhi lucidi per l’emozione e per il sollievo di Rebekah.
Davanti a lui c’erano due delle  tre donne più importanti della sua vita e avrebbe voluto osservarle, godersi quegli attimi che per otto anni non aveva potuto vedere.
Ma sapeva, immaginava, che Rebekah volesse stare un po’ da sola con la sua bambina ed era disposto a concederle un po’ di tempo.
“Io devo incontrare Marcel, tesoro. Non ti dispiace restare un po’ con la zia, vero?”
Rachel ascoltò il papà e si girò verso di lui intenta a rispondere. Era felicissima che quella zia che aveva tanto desiderato fosse lì e pensò che fosse proprio bella. Dall’altra parte però, aveva paura che il papà la lasciasse lì e non tornasse più.
“No, però torni presto papà... se non ci sei per troppo tempo, sto male.”
Le afferrò la manina accarezzandola per rassicurarla e perché voleva che il tempo che avrebbe passato con Rebekah fosse di svago e non stesse a controllare l’orologio per vedere quando sarebbe tornato.
“Certo che torno amore, che posto sarebbe il mio mondo senza di te?”
Lui sapeva che posto sarebbe stato.
Un posto senza un filo di luce; scuro, triste e piovoso.
Un posto senza cose belle dove si trovava solo dolore e senza spazio per l’amore.
Un mondo come quello che in fondo aveva vissuto, odorato, assaporato, per mille anni, ma che ormai non riusciva ad immaginarsi senza di lei.
Un mondo senza Rachel e il suo sorriso - che in quel momento stava squittendo un saluto -  per quello che gli importava, poteva pure andare a fuoco.
 
***


Rebekah girava elettrizzata per la camera, sfiorando il dorso dei libri di fiabe che riempivano la camera della bambina, insieme ai disegni del Lupo cattivo, della strega cattiva, a braccetto rispettivamente  con Cappuccetto Rosso e Biancaneve.
Rebekah scosse la testa.
Sua nipote doveva avere proprio un bel caratterino, proprio come lei.
“Ti piacciono le fiabe, zia Rebekah?”
“Sì. Tuo papà amava raccontarle.”
Rebekah tornò indietro di mille anni, mentre un ricordo di un tempo ormai lontano la assaliva. Le capitava spesso di avere la febbre alta da piccola, e suo fratello passava la notte a tenerle un impacco fresco perché scendesse, raccontandole storie fantastiche e rivolgendole parole rassicuranti. Forse era perché aveva conosciuto quel lato di lui che aveva odiato ancora di più ciò che l’aveva resa vampira.
“La mia preferita è “La Bella e la Bestia”, perché anche se la Bestia fa cose cattive, poi lo capisce e diventa felice. Ma papà non ci crede, zia. Pensa di essere cattivo, ma a volte è tanto dolce. Dice che sa solo ferire le persone, ma io sono felice quando c’è lui, ma non mi dà ascolto.”
Rachel parlò come un fiume in piena, un po’ ne aveva bisogno e un po’ perché ricordava che il suo papà le avesse detto di aver fatto male anche alla sua famiglia, e la sua curiosità era insaziabile.
Dall’altra, Rebekah era senza parole.
Non conosceva questo lato di suo fratello. Quel tormento interiore di cui Rachel le stava narrando era qualcosa di nuovo per lei. Ma aveva sofferto troppo a causa di Klaus per lasciarsi intenerire così.
“Si può fare un errore una volta, Rachel. Si chiede scusa e si viene perdonati. Quando si compie lo stesso errore più di una volta diventa una scelta e non c’è nessuna via di scampo. Lui non ha propriamente mai chiesto scusa e ha fatto sempre peggio.”
Rachel storse la bocca, indispettita. La zia la stava facendo un po’ arrabbiare, perché in fondo non aveva conosciuto quel lato di Klaus e non l’avrebbe conosciuto mai. Ma si ricordava quello che le aveva confidato, quando guardavano “Lilo e Stich”, insieme.
Forse non l’avrebbe detto ad alta voce, ma glielo aveva letto negli occhi.
Il rammarico.
Il dolore.
“ Ma lui si vergogna, e ha paura che voi non gli vogliate più bene, però so che gli dispiace. Lo vedo, zia. Tu gli vuoi ancora bene?”
Rebekah era esterrefatta.
Sua nipote le stava parlando di un Klaus diverso.
Non il Klaus, che le sorrideva, beffardo, mentre le infilava un pugnale nel cuore.
Un Klaus che si pentiva del male che faceva, che soffriva.
Un Klaus, anzi un Nik, umano.
Un Nik a cui non sentiva di dover chiudere la porta in faccia o di dosare ogni parola con cautela, per paura.
Quel fratello che era convinta sarebbe stato Elijah a riportare alla luce e che invece Rachel sembrava aver inquadrato alla perfezione.
Quel piccolo elfo attese impazientemente la risposta, un po’ spaventata.
Mentre la bambina aveva paura che Rebekah non volesse bene al suo papà, Rebekah era spaventata dal modo in cui - nonostante tutto - gli volesse bene.
“E’ sempre mio fratello.”
Amarlo era una congiura e lo sapeva. Nessuno meglio di lei lo sapeva.
Ma non poteva farne a meno.
Chi si lega ai ricordi, si sa, non può andare lontano e forse era proprio la speranza a fare in modo che l’odio non avesse la meglio ma oltre alla speranza, finalmente vedeva qualcosa, nei racconti di Rachel.
Qualcosa di concreto.
“Ti vuole tanto bene anche lui, zia. Mi racconta di te a volte e quando ero arrabbiata perché tu non venivi mai, mi diceva che non lo facevi per cattiveria, che avevi bisogno di tempo. Non lo dice, ma ti vuole bene.”
Rebekah guardò il disegno di Lilo e Stich attaccato sulla parete e poi sorrise.
“Sono sicura che tu gli insegnerai a dirlo.”
E ne era sicura.
Ne era sicura davvero.
***
Rachel aveva passato un bellissimo pomeriggio con Rebekah. Le aveva parlato dello zio, dei suoi disegni, delle fiabe che leggevano insieme e dei dipinti che aveva visto nel suo studio.
Fra cui, quella della promessa.
E Rebekah aveva sorriso perché - a differenza di Elijah - sapeva che quella di suo fratello era molto di più di un’infatuazione e sapeva che quell’assenza, dopo otto anni, lo logorava ancora dentro.
 In quel momento, mentre una Rachel stanca ma felice e spensierata stava mettendo a posto i pastelli, la porta si aprì.
E la bambina corse fra le braccia di Klaus, ancora prima di deciderlo. 
Quel blocco, quel cercare di contenere l’affetto nei suoi confronti, stava lentamente - ma nemmeno troppo - svanendo.
“Papà, sei tornato. Mi sei mancato.”
Le era mancata anche lei tantissimo, nonostante sapesse che con Rebekah sarebbe stata serena e al sicuro.
 Le mancava vedere il mondo con gli occhi di quella bambina e saziare la sua curiosità. Ma non lo disse, si limitò a tenerla stretta, proprio come stava facendo lei.
In realtà, considerando la situazione di appena quattro giorni prima, quello era tutt’altro che un limitarsi.
“Vado a fare un bagnetto e poi mi accompagni a dormire...va bene, papà?”
Rachel lo guardò, speranzosa. Erano quattro giorni che ormai facevano così e sperava che lui non si stesse annoiando, anche se non le sembrava così. Sembrava che stesse bene con lei almeno quanto lei stava bene con lui.
E questo la faceva sentire un po’ meno indesiderata. Si diresse verso Rebekah, e stampò un bacio sulla guancia anche a lei prima di sparire per il corridoio.
Klaus si ritrovò da solo con sua sorella davanti, con un’aria imperscrutabile. L’imbarazzo per quegli otto anni, cominciava a farsi sentire, a essere palpabile. E ci pensò Rebekah a smorzarlo. Si sedette sul letto, prima di prendere parola.
“Partirò questa sera. Lei sta bene con te, Nik.”
E Rebekah era sincera.
Rachel gli aveva parlato tutto il pomeriggio di come fosse gentile Elijah con lei, ma di come le mancasse comunque Klaus.
E all’Ibrido quella frase innervosì parecchio, invece. Era solo quello il motivo per cui Rebekah era venuta? Controllare che sua figlia stesse bene? Era deluso, molto deluso, e il suo temperamento ebbe un’altra volta la meglio.
“E’ per questo che sei venuta? Controllare che non stessi torturando mia figlia o usando il suo sangue per un esercito Ibrido? Mi dispiace infinitamente deluderti, Rebekah, ma non ci ho mai nemmeno pensato.”
Rebekah sospirò.
Eccola, la fragilità di cui parlava Rachel.
La sua paura di essere inadatto a quel ruolo e il suo non mettere da parte l’orgoglio.
E per quella volta, solo per quella volta, sarebbe stata disposta a metterlo da parte lei.
“Non dire stupidaggini, Nik. Queste non sono cose che un padre farebbe, queste sono cose che farebbe nostro padre.”
Il sipario che Rebekah stava aprendo era molto più che doloroso, e lo sapevano entrambi. Il maggiore si irrigidì, contraendo la mascella, come sempre faceva quando si trattava di Mikeal.
“Non ho mai voluto essere come lui.”
Rebekah sorrise, facendo un gesto di nonchalance con le mani, decisa a parlargli chiaro e ad abbozzargli almeno leggermente tutto ciò di cui aveva parlato Rachel, alleggerendo la tensione.
“Bene, sappi che tua figlia ha passato l’intero pomeriggio a raccontarmi di quanto tu sia dolce, affettuoso e bravissimo. Onestamente mi sono chiesta se tu sia posseduto da chissà cosa. Hai fallito come fratello, Nik, ma tua figlia ti ama. Non stai certo fallendo come padre.”
“Le voglio bene, anche io, Rebekah.“
“Lo so.”
E sorrisero entrambi, mentre Rebekah si avvicinava alla porta, mormorando un “goodbye”.
Questa volta, a differenza di otto anni prima, sapeva per certo che si trattava di un arrivederci.
***
Quando Rachel, con il suo pigiamino rosa e i capelli umidi per la doccia,  tornò in camera sua, vi trovò solo Klaus. E come si poteva immaginare ci rimase malissimo.
“Dov’è zia Rebekah?”
Klaus fissò il vuoto. Nonostante le circostanze in cui Rebekah se ne era andata fossero più rosee del solito, lasciare sua sorella era sempre un duro colpo, che lo portava irrimediabilmente a soffrire.
“Se n’è andata.”
Rachel però semplicemente, non ce la faceva più.
Zio Elijah se n’era andato, la sua mamma nemmeno l’aveva mai vista, e ora anche Rebekah.
E da qualcun altro, aveva ereditato il difetto insolito di sfogare quella tristezza sul primo che gli capitava a tiro.
“Perché l’hai fatta andare via, papà? Volevo che restasse. Sei cattivo!”
Le lacrime scorrevano rapide sul volto della bambina e quella frase non era nient’altro che il frutto del terrore di essere abbandonata, di nuovo.
Ma l’Ibrido adesso era più addolorato di lei.
Rachel, la creatura più fragile e innocente, lei che credeva nel bene, nel bene sopra ogni cosa, le aveva appena detto che era cattivo.
E per lui era troppo sopportare che perfino quell’esserino la pensasse così su di lui.
“Non aspettavo nient’altro che tu te ne accorgessi, tesoro. Ora se permetti, ho altre persone a cui fare male.”
****
 
Era mezzanotte passata e nessuno stava dormendo. Rachel si stava rigirando nel letto piangendo, in preda ai sensi di colpa. Lei non voleva dire ciò che aveva detto, ma era così triste e arrabbiata. Non capiva perché tutte le persone finissero irrimediabilmente per fuggire da lei. Aveva ferito perfino il suo papà e non poteva fare a meno di pensare a come era stata bella la notte prima, quando le aveva permesso di dormire accoccolata fra le sue braccia. Voleva smettere di piangere, ma non riusciva a fermarsi, così decise che sarebbe andata in camera sua a vedere se stava dormendo.
Voleva solo chiedergli scusa, proprio come le aveva insegnato Elijah,  nonostante la paura che la mandasse via e che non volesse vederla.
Uscì furtivamente dalla sua cameretta, inoltrandosi in quel corridoio buio che le faceva tanta, tanta paura. Poi trovò la porta chiusa e aspirò. Bussò una volta ma non ebbe risposta.
 Forse suo papà si sarebbe arrabbiato se entrava senza la sua autorizzazione, ma probabilmente era già arrabbiato.
Dunque entrò e lo vide.
Era sdraiato su un fianco, gli occhi chiusi. Ma non dormiva.
Era bastato così poco a far tornare in superfice tutto quel dolore, quello che aveva dentro e che Rachel aveva scacciato via.
Ed era stata proprio lei a farlo tornare a galla.
Lui le aveva -nemmeno troppo in modo parafrasato- fatto sentire il suo cuore e lei gli aveva fatto male come gli altri.
Rachel si arrampicò sul letto matrimoniale, indecisa. Si sedette alle spalle di Klaus e cercò di trovare le parole giuste, mentre l’Ibrido non accennava un movimento. Il magone cominciava già a farsi sentire.
“Mi dispiace tanto, papà. Tu non sei cattivo, e la zia non se ne è andata per colpa tua. Ma ero così triste che se ne fosse andata. Forse se ne è andata per colpa mia come la mamma o come lo zio. Forse sono io a far andare via le persone, non so come mai non rimangono mai, papà. Ma non te ne andare anche tu, anche se non mi vuoi più bene.”
E poi, la bambina, che ormai nelle lacrime ci stava affogando, si sporse verso la tempia dell’Ibrido, convinta che fosse addormentato e vi poggiò un bacino.
Klaus però aveva sentito ogni sua singola parola e soprattutto, le aveva ascoltate.
Non solo le sue parole ma anche le sue lacrime. Sapeva che era sincera, e la sentì mentre tentava in modo impacciato di scendere dal letto.
Ma Klaus non poteva.
Quello che aveva sentito era abbastanza.
Lui non poteva  essere ancora arrabbiato con lei.
Non poteva punirla facendole passare una notte di inferno in camera sua a pensare al fatto che lui non le volesse più bene.
E tutto ciò che fece fu afferrarla e tirarla fra le sue braccia, mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.
“Adesso basta piangere, amore.”
Le accarezzò la schiena forte, guardandola. Nulla era cambiato e nulla sarebbe mai cambiato. E Rachel invece si sentì sollevata; lui non l’avrebbe abbandonata.
In fondo lei glielo aveva fatto promettere solo due giorni prima.
“Non sei più arrabbiato, papà?”
Klaus la guardò. I boccoli biondi spettinati, gli occhioni blu arrossati per il pianto, le occhiaie per il sonno. Come poteva essere ancora arrabbiato con un tale scricciolo? Nonostante ciò, c’era ancora un punto da chiarire.
“Hai detto la verità, in fondo. Ma comunque sia sono molto arrabbiato”
Rachel sgranò gli occhi, mentre le lacrime stavano per spuntare di nuovo, mentre lui nonostante tutto continuava a coccolarsela.
Ma lei era troppo nervosa per rendersene conto ed era per quello che lui stava sfruttando il momento.
“Perché, papà?”
Ma Klaus si limitò a spiegare e andare dritto al punto, perché non poteva sopportare la vista di altre lacrime.
“Come hai potuto pensare, anche solo per un momento, che potessi abbandonarti e non volerti più bene, signorina?”
E Rachel con gli occhi ancora lucidi gli regalò un sorrisone di ringraziamento. Era passata dall’essere triste all’essere felicissima in pochi secondi.
“Quindi tu mi vuoi bene, papà.”
E per una volta non si trattava di una domanda, ma di un’affermazione.
Quei dubbi erano lontani, mentre lei era accoccolata su di lui che la guardava con quello sguardo orgoglioso e fiero che rivolgeva solo a lei.
Sbadigliò, coprendosi la bocca in maniera impacciata.
“Dormi, adesso, amore. E’ tardi.”
Rachel sorrise, perché non le aveva detto di tornare in camera sua ma di dormire nel suo letto, lì con lui. E sentì di dover dire qualcosa, prima di addormentarsi.
“Non sei cattivo, papà. Se tu fossi cattivo avresti potuto farmi dormire al buio di là e mi avresti trattata male e mandata via. Quindi non sei cattivo.”
Klaus scosse leggermente la testa.
Incominciare quella discussione con la figlia voleva dire passare almeno un’altra ora a discutere della sua condotta e Rachel era esausta. Quindi era meglio dargliela vinta subita.  Ma su una cosa non poteva fare a meno di correggerla.
“Ti sbagli, Rachel. Non avrei potuto. Buonanotte, principessa.”
Rachel chiuse gli occhi, entusiasta di stringersi a lui, rilassata e pronta finalmente a fare tanti bei sogni.
Klaus pensò prima di addormentarsi che se su quel letto c’erano un re e una principessa, tutto ciò che mancava era una regina.


Note dell'autrice.
Se pensavate che avrei abbandonato Rachel, vi sbagliavate profondamente. Solo che maggio, è un mese complicato. Questo capitolo, spero non faccia più schifo del dovuto, è stato lavorato e curato a lungo, ma non sono tanto soddisfatta. "Chi si lega ai ricordi, si sa, non può andare lontano", non è una mia citazione, ma di Cristiano De André. Eh.... Non so che altro dire. Vorrei lasciarvi qualche altro spoiler, ma ho idee molto vaghe e rovinerebbe la sorpresa. Dico solo, che, l'ultima scena dell'ultimo capitolo (quindi del sesto, o del settimo, sono indecisa se farla dinire la sera del sesto giorno, o il settimo), sarà dedicata ad Elijah, e a un'altra persona (non Hayley, perchè non shippo haylijah, e perchè non resuscito i morti). Era deciso così dall'inizio, perchè, credo che lui, dopo il sacrificio che ha fatto, se lo meriti. Niente, se non vi ha proprio disgustato questo capitolo...Gradisco una recensione, come sempre xD
Grazie a tutti! :-)

Desy
   
 
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