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Autore: Silver Shadow    25/05/2014    1 recensioni
Questa fanfiction inizia dopo "Lo scontro finale", ma non tiene conto degli avvenimenti dei libri "Gli eroi dell'Olimpo".
'Il mio nome è Willow Blackblood. Ho 15 anni e ho dei lunghi, lisci capelli neri che non stanno mai al loro posto. I miei occhi sono verdi “come il mare”, mi dicono tutti, sono piuttosto magra e porto l’apparecchio. Mi piace il colore nero e amo la musica rock e metal. Studio molto e ho ottimi voti a scuola. Sono una ragazza come voi, a parte il fatto che sono la figlia di Poseidone. '
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Chirone, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina dopo, quando mi svegliai, mi resi subito conto che ero sola in stanza. C’era troppo silenzio per gli standard di Percy (mi riferisco al russare, naturalmente) e sotto il mio letto, quello di Nico era vuoto e risistemato. Al contrario di mio fratello, il suo angolo di stanza era perfettamente ordinato e pulito. Storsi il naso di fronte ai boxer che si intravedevano sotto il letto di Percy, e scesi dal mio, lavandomi e vestendomi velocemente.
Mentre uscivo, legai in una coda di cavallo i miei lunghi capelli neri e mi guardai intorno. C’erano ragazzi nelle cabine che rassettavano la camera o se ne stavano semplicemente tranquilli a chiacchierare. Alcuni di Efesto, appena fuori la porta, giocavano con un esserino di metallo che ricordava molto Wall-E in miniatura.
Passeggiando per il campo, mi resi conto di quanto mi sentivo a casa in quel posto. Era passato davvero troppo poco da quando la mia vita era stata stravolta dalla consapevolezza di essere una semidea, ma mi ci ero stranamente abituata in fretta. Tutto lì era così familiare, dalle cabine alla mensa ai campi di fragole. E poi le giornate soleggiate, prive di pioggia (che evitava accuratamente il campo) mi mettevano spaventosamente di buonumore.
Senza neppure rendermene conto, arrivai all’arena e decisi di allenarmi nei lanci del coltello (non si sa mai). In un angolo, erano ammucchiati diversi coltelli argentati con l’elsa riccamente decorata. Subito accanto ad essi, alcuni manichini attendevano di essere colpiti. Alcuni cerchi concentrici disegnativi sopra culminavano in un cerchio più piccolo degli altri posizionato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore. Cercai di ricordare la tecnica che mi avevano insegnato, portando una gamba più avanti dell’altra e flettendo leggermente le ginocchia. Spinsi il braccio con cui tenevo il coltello all’indietro,piegando più possibile il gomito, e lanciai. Il coltello si conficcò nel braccio destro del manichino. Piuttosto fallimentare come prova.
Mi allenai ancora e ancora tentando almeno di avvicinarmi ai cerchi, ma invano. Colpii sempre un braccio, una gamba o la pancia, una volta la punta del pugnale si conficcò nel collo del manichino, ma troppo superficialmente, così cadde. Non riesco a ricordare il numero di volte in cui il manichino lo mancai del tutto. Dopo diverse ore (o diversi giorni, non so dirvi) mi fermai per riprendere fiato. La maglia arancione del campo mi si era appiccicata addosso e il sudore m’imperlava la fronte, le clavicole e la nuca. I capelli, appena sopra di essa, erano arricciati, le guance rosse, il respiro corto. Posai le mani sulle ginocchia, piegandomi, e chiusi gli occhi tentando di rallentare il battito cardiaco. Quando finalmente mi risollevai, vedendo la scena davanti ai miei occhi, sussultai. Nico stava estraendo uno dei coltelli che avevo lanciato nella pancia del povero, malcapitato manichino. Il mio cuore, invece di stabilizzarsi, fece un giro sull’ottovolante che terminò in una piscina piena d’acqua.
- Ma devi sempre apparire così all’improvviso? – gli domandai, alzando un po’ la voce per farmi sentire.
L’espressione di Nico era piuttosto annoiata, e si voltò verso di me come se mi avesse notato solo in quel momento. I suoi occhi erano spenti e sembrava essere più assente del solito. Non rispose alle mie parole.
- Qualcosa non va? – mi avvicinai un po’ zoppicando e col respiro ancora irregolare a lui, e in tutta risposta lui fece un passo indietro. Io sorrisi, e ciò non gli passò inosservato.
- Perché sorridi in quel modo? – si decise a dire infine, anche se mi rispose con un’altra domanda.
- Perché avevo ragione – dissi solamente, raddrizzandomi e reggendo il suo sguardo cupo.
- Avevi ragione su cosa? – mi chiese ancora, senza staccare i suoi occhi color dell’ossidiana dai miei.
- Non ti piace essere toccato o avvicinato. Lo lasci fare solo a Percy.. Dovete essere molto amici, voi due, e lo capisco, lui è molto gentile. Non capisco come hai fatto a odiarlo, in passato – proferii queste parole con una sicurezza che stupì anche me, e lui sgranò gli occhi come se gli avessi appena svelato di essere un mostro marino gigante con i tentacoli color arcobaleno.
- Sai quello che è successo? – la sua voce, nel farmi questa domanda, suonava di nuovo grave.
- No. Percy non mi ha detto nulla. Ha detto che se avessi voluto dirmelo, l’avresti fatto tu. – ma non aspettai la sua risposta, perché sapevo sarebbe stata negativa, così ripresi a lanciare coltelli. Nico prese a fissarmi intensamente come se vedesse sul mio viso qualcosa che io non vedevo. Cercai di ignorare il suo pesante sguardo su di me, ma concentrarmi in quello stato era piuttosto difficile. Infatti mancai tutti i colpi.
- Spingi il gomito troppo indietro e il busto troppo avanti. – mi ammonì all’improvviso, materializzandosi dietro di me. – Segui i miei movimenti. – continuò, posandomi una mano fredda e delicata sugli addominali bassi e spostando più avanti il mio gomito con le dita. Quel contatto mi fece rabbrividire, ma sperai che lui non l’avesse notato. Cosa c’era che non andava? Più di una volta durante gli allenamenti altri ragazzi più esperti erano stati costretti a guidarmi, e io ero rimasta impassibile concentrandomi sulla mossa che dovevo fare. Ma perché con lui era così diverso? Perché il mio cuore, a furia di abituarsi al suo tocco, batteva tanto forte?
Tentai di mantenere la concentrazione, inspirando ed espirando a lungo, fissando il manichino davanti a me, ma il respiro di Nico sul mio orecchio non mi aiutava gran che.
- Devi stare più morbida. Se irrigidisci così i muscoli delle braccia il tiro non andrà mai a segno – mi sussurrò proprio nell’orecchio, facendomi mordere un labbro per mantenere la calma. Annuii perché era l’unico movimento che ero in grado di fare in quel momento. Continuò a guidare il mio braccio flettendolo fino a un certo punto, controllando che il peso fosse ben distribuito e i muscoli fossero tesi dove dovevano essere tesi e rilassati dove dovevano essere rilassati. Mi concentrai sul mio obiettivo, chiudendo gli occhi a fessura e, con una discreta forza, lanciai il coltello, che fece diversi giri prima di conficcarsi esattamente nell’ultimo cerchietto, il cuore. Le mie labbra si allargarono in un ampio sorriso soddisfatto prima di girarsi verso Nico, la cui espressione inespressiva non era mutata di una virgola. Il mio sorriso vacillò, e la gioia fu rimpiazzata dall’imbarazzo.
- Ehm.. Grazie –mormorai con la voce roca, guardandomi le scarpe. Il fatto che i capelli non mi ricadessero sul viso mi faceva sentire nuda, perché in questo modo sarebbe stato più facile intercettare il rossore delle mie guance.
Nico continuò a non dire e a non fare nulla, ma sentii il suo sguardo, gravoso, su di me.
- Vuoi saperlo? – mi domandò all’improvviso, con un tono di voce che si avvicinava più al sofferente che al freddo
- Sapere cosa? – gli chiesi a mia volta, incerta.
- Perché ho odiato Percy, in passato – mi rispose come se fosse una cosa totalmente naturale. Rimasi perplessa perché non mi sarei aspettata che avrebbe acconsentito alla mia richiesta, figuriamoci a propormelo lui. Ma non me lo feci ripetere due volte,e annuii. A quel punto, il suo sguardo si fece ancora più indagatore, i suoi occhi, se possibili, ancora più scuri.
- Vieni con me, allora – mi esortò, voltandomi le spalle, senza aspettare una mia risposta. Cominciò a camminare prima che potessi realizzare che dovevo seguirlo. Lui sembrava comunque convinto che l’avrei fatto visto che avanzava a passo deciso, oppure anche se non l’avessi seguito non gli importava perché sarebbe andato lo stesso dove doveva andare. Inizialmente, mi sentii smarrita e indecisa sul da farsi, ma ben presto la curiosità vinse tutte le altre emozioni e io corsi un po’ per raggiungerlo e affiancarlo.
Mi resi conto solo dopo che ci stavamo addentrando nel bosco, molto più scuro in quanto il sole filtrava con difficoltà dagli spessi rami degli alberi attorcigliati fra loro. Non so dire per quanto camminammo (potevano essere 5 minuti come potevano essere 20) ma alla fine ci fermammo. Ci fermammo in una zona del bosco in cui gli alberi erano disposti a cerchio attorno a una porzione di terreno coperta da erba incolta, al centro del quale era stata scavata una buca abbastanza grande da contenere una bara. Mi accigliai, ma rimasi in silenzio quando Nico tirò fuori dalla tasca un panino e un barattolo di Diet Coke e li versò nella buca, cominciando a cantilenare in greco antico. La scena che mi si parò davanti diversi secondi dopo fu talmente assurda che temo penserò di essermela immaginata per i successivi anni di vita, sempre che non fossi morta di crepacuore in quell’istante.
Da una parte indefinita del bosco, cominciò ad avvicinarsi la figura fluttuante e trasparente di una ragazza, che cominciò a bere la Diet Coke dalla fossa. I suoi capelli erano lunghi e spostati solo da un lato della spalla, i suoi vestiti ricordavano quelli di un cacciatore; ad aumentare questa convinzione, un arco dietro la sua schiena.
- Bianca.. – mormorò Nico,con la voce spezzata. La corazza che portava sempre addosso sembrava essersi sgretolata al solo contatto visivo con quel fantasma.
La ragazza si voltò, sentendo pronunciare il suo nome, e sorrise a Nico. Se mi vide, non ne diede segno. Si limitò ad avvicinarsi, sempre fluttuando, verso di lui, sfiorandogli la guancia con una mano. Il ragazzo strinse i pugni, ma i suoi occhi erano lucidi e pieni di lacrime. Può sembrare strano sentirsi in imbarazzo in presenza di un fantasma, ma era così che mi sentivo.
- Ciao, Nico. – la sua voce sembrava ovattata, come proveniente da molto lontano.
- Per gli dei, Bianca.. E’ passato tanto.. davvero troppo.. – cominciò Nico, spaesato. Temo si fosse dimenticato della mia presenza.
- Non è passato né tanto né troppo. Ti ho sempre osservato da dove sto adesso. Ho seguito ogni tuo passo, e sono così fiera di te. – gli sorrise, per quanto un fantasma potesse sorridere. Il dolore di Nico gli si leggeva in faccia.
- Ho fatto.. Quello che tanto desideravi, Bianca. Ci sono riuscito. Ho perdonato Percy e.. – ma la sua voce roca fu interrotta da quella lontana della ragazza fantasma.
- E sono, ripeto, fiera di te, Nico. Ma non avevi comunque nulla da perdonare a Percy. E’ stata una mia scelta. Non è colpa sua, se sono morta. Non lo è mai stata. – pronunciò quelle parole con tono autoritario, tanto da costringere Nico ad abbassare la testa.
- Lo so.. Lo capisco, adesso – era evidente dal suo tono di voce quanto fosse difficile per lui parlare – ma volevo.. volevo solo che tu lo sapessi. E vorrei che sapessi quanto.. quanto è tutto così difficile e quanto mi sento solo o quanto mi manchi.. – le sue parole risuonarono nel bosco, la sua voce rimbalzò sui tronchi degli alberi. La ragazza s’intristì.
- Le persone che mancano sono quelle che se ne sono andate, e io non me ne sono andata. Non del tutto, comunque. Noi, lo sai Nico, comprendiamo la morte in maniera diversa. Io non sono riuscita a capirlo quando ero in vita perché ho avuto troppo poco tempo, ma ora so che è così. So quanto sia difficile poter evocare i morti, parlarci qualche minuto e poi lasciarci andare. Lascia più vuoto di prima. So quando sia difficile essere figli del dio dei morti e non poterli riportare in vita.. – la sua figura cominciò a tremolare, e Bianca si fermò,improvvisamente allarmata.
- Nico, non posso restare.. il mio posto mi chiama – disse, sofferente. – Sappi che continuerò a guardarti da ogni albero del bosco, da ogni colonna della mensa, da ogni sasso sul terreno e da ogni stella sulla quale alzerai lo sguardo. Ci rivedremo, un giorno, ma fino ad allora, ti prego, non renderti le cose più difficili, non richiamarmi. Abbi solo cura di te, fratellino. Abbine anche per me. – e, terminate queste parole, scomparve in una nuvola bianca, come neve che si dirada.
Tornò il silenzio. Fratellino? Quella ragazza era sua sorella? E cosa c’entrava in tutto ciò Percy? Era in qualche modo colpevole della sua morte? La testa mi girava e io ero sempre più confusa. Cercai Nico per trovare conforto o risposte nella sua figura, ma quando il mio sguardo lo trovò mi sentii il cuore pesante. I suoi pugni erano talmente stretti che le unghie erano conficcate nei palmi bianchi. La testa era china, e i suoi capelli neri nascondevano il viso, ma i suoi silenziosi singhiozzi lo tradivano. Sgranai gli occhi,ma restai immobile. Non sapevo come comportarmi,non mi ero mai trovata in una situazione simile, e il fatto che si trattasse proprio di Nico mi innervosiva ancora di più. Ma cosa avrebbe pensato di me se fossi rimasta lì senza fare nulla a guardarlo piangere? I miei piedi si mossero automaticamente verso di lui e non mi resi conto che mi misi a correre quando lui cadde in ginocchio, disperato. Mi chinai di fronte a lui e le mie braccia furono subito pronte ad accoglierlo. Lui nascose il volto nell’incavo del mio collo, e le sue lacrime calde inumidirono la mia maglia e parte della pelle scoperta. Era una sensazione strana e nuova, e il panico che mi era precedentemente montato dentro svanì del tutto quando cominciai a carezzargli i capelli, morbidi come mai avrei immaginato che potessero essere. Continuammo a stare così per un tempo indefinito, io che lo carezzavo e gli sussurravo parole confortanti, e lui, spezzato dal dolore, lacrimante fra le mie braccia.
  
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