Sapore di marmellata d'arance e di lacrime

Percy non dormiva mai sonni tranquilli, di questo Audrey era stata sicura fin da subito.

La prima volta se ne era accorta una fredda notte di Gennaio, i primi tempi in cui si frequentavano, quella volta che aveva la febbre alta e il giovane aveva insistito per tenerle compagnia durante la notte: quando si era svegliata e si era alzata in cerca di un bicchiere d'acqua, aveva trovato Percy addormentato sulla poltrona del salotto che si agitava e si lamentava coperto solo da un vecchio plaid.

La seconda volta doveva essere stata quella caldissima nottata di Agosto di quello stesso anno, quando non era crollata come suo solito appena fatto l'amore: infastidita dall'afa soffocante, era rimasta sveglia ad ascoltare Percy mugugnare ansimare e rigirarsi nel letto con aria sofferente, arrotolandosi nel lenzuolo come un salame.

La conferma era arrivata quando erano andati a vivere insieme; a volte, quando si svegliava nel cuore della notte, trovava il letto vuoto accanto a sé e la finestra del minuscolo balcone del loro appartamento accostata: la figura alta e sottile dell'uomo si slanciava sempre contro il chiarore delle luci notturne di Londra, contrastando con il buio denso della camera da letto.

A colazione aveva più di una volta cercato di affrontare l'argomento, finendo sempre per ottenere dinieghi infastiditi o silenzi trincerati dietro la tazza del caffè, gli occhi azzurri di Perce che si tingevano di una cupa sfumatura grigia.

Così aveva lasciato perdere le domande, limitandosi a dissipare gli incubi del giovane mago con le proprie carezze quando era più vulnerabile, nel buio gelido della notte; finché, una mattina, lui non si era aperto durante una colazione più silenziosa del solito, la tazza del caffè ancora piena a metà e le dita nervose che giocherellavano con le fette biscottate e la marmellata.

«Tu... volevi sapere cosa sogno» aveva cominciato, sfilandosi gli occhiali quasi a disagio e poggiandoli accanto alla zuccheriera.
Audrey si era bloccata nell'atto di masticare un biscotto e aveva annuito lentamente, pensando a come quell'uomo tanto prevedibile riuscisse sempre e comunque a prenderla alla sprovvista.
«È... è ogni volta qualcosa di diverso, ma sempre connesso alla mia famiglia» aveva continuato, sbriciolando una fetta biscottata tanto per avere qualcosa da guardare che non fossero gli occhi verde chiaro della giovane. «Insomma, penso che questo tu l'avessi capito. Una volta è mia madre che si unisce alle critiche di mio padre, una volta Bill che bussa alla porta e mi dice che a casa va tutto a rotoli per colpa mia, una volta Ron che mi dice che mamma è morta senza che io mi fossi scusato...»
Si era zittito, alzando due occhi pieni di scuse – come se avesse dovuto scusarsi di qualcosa, con lei – sul viso di Audrey, per poi riabbassarli sulla tovaglia a quadri.
«Mi dispiace di non avertelo detto prima, ma io proprio non-»

In un attimo, le labbra morbide della strega premevano sulle sue quasi con urgenza: il sapore era quello della marmellata d'arance e delle lacrime.