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Autore: Lost on Mars    26/05/2014    11 recensioni
A diciassette anni non sai cosa sia la morte e perché debba capitare proprio a lei. Non sai perché il destino abbia deciso di fare questo scherzo proprio a voi. Perché tu debba soffrire così.
A diciotto capisci che non si può più cambiare nulla, allora provi ad uscire di casa, ma tutto ti ricorda troppo lei.
A diciannove ricominci a vivere, ma sei ancora legato ai fantasmi del passato,tant’è che non riesci più a legarti a nessuno, perché ti sembra di tradirla, perché la ami ancora, anche se è morta.
Ashton ha diciannove anni ed è convinto che il tempo che guarisce ogni ferita sia un gran cazzata: lei è morta da due anni, ma lui non smette di sanguinare dentro.
E se fosse una persona a guarire ogni ferita? Se il tempo non c’entrasse proprio niente?
-
«Non credo quanto possa interessarti la storia di un ragazzo depresso.»
«Oh, non credo che tu sia depresso. Non hai l’aria da depresso.»
«Allora devi essere una pessima osservatrice.»
«Hai l’aria da distrutto, a dir la verità, ma hai anche l’aria di uno che ne è uscito, da qualsiasi cosa tu fossi dentro. Hai un sacco di arie, in effetti.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
 
  
«And our hearts combined like a neutron star collision.»
(Muse – Neutron star collision)
 
In alcuni momenti della nostra vita ci sentiamo in bilico tra la terra e il cielo sopra di noi, ci sembra di cadere dalle nuvole, ma non di aver paura dell’impatto, perché siamo troppo impegnati a sentire il vento riempirci i polmoni, lo stomaco contrarsi e la pace assoluta dilagare nel nostro corpo. Era così che si era sentita Thalia quel pomeriggio, quando Ashton se n’era andato.
Però, ci deve essere sempre qualcosa a fermare la nostra corsa verso la terra, e quel qualcosa è proprio la terra stessa. Non ci uccide, ma fa male, e il dolore è talmente più forte della pace e dei momenti vissuti poco prima che non riusciamo quasi a ricordare come fosse mentre eravamo in caduta libera.
Ed era così che si era sentita Thalia il giorno dopo, appena uscita da scuola, mentre si dirigeva con calma verso la solita fermata, ad aspettare il solito autobus che l’avrebbe portata a casa a passare un’altra giornata di punizione. Il fatto è che stavolta non avrebbe seguito le regole. Gliel’aveva promesso e non poteva tirarsi indietro. Non dopo che Ashton le aveva detto di essere unica. Non speciale.
Non era la stessa cosa, ricordava ancora quando, dopo le prove, lui le aveva detto di essere una delle eccezioni della sua vita, una delle poche cose che riuscivano a farlo sentire bene, a farlo sentire vivo. Ma mai le aveva detto di essere l’unica persona che poteva fare una cosa in particolare. Thalia non si era mai sentita unica. Aveva sempre fatto parte di un qualcosa di grande ed era sempre stata grigia come tutti gli altri, erano poche le situazioni in cui si era ritrovata ad essere in mezzo a poche persone e a spiccare tra queste. Ma essere unica... quello non le era mai capitato.
Pensava a cosa avrebbero fatto quel pomeriggio, se fosse riuscita a non farsi scoprire e a tutte le conseguenze che avrebbe comportato un eventuale fallimento del suo piano perfetto. Sospirò, mentre entrava in casa, doveva trasparire un’assoluta tranquillità, o sua madre si sarebbe accorta di qualcosa.
«Mamma!» esordì, entrando in cucina. «Devo dirti una cosa... »
«Già non mi piace il tono.» disse sua madre, mettendosi seduta.
«No, nulla di grave... il mio amico Ashton ieri si è portato via per sbaglio il mio libro di francese e a me serve per studiare oggi» iniziò. «Allora mi chiedevo se potessi andarlo a riprendere.»
«Va bene» disse Marie. «Vai e torna.»
«Abita un po’ lontano quindi con gli autobus ci metterò un po’.» disse Thalia prima di afferrare la borsa già preparata sul divano. Per fortuna, nessuno aveva fatto al caso che, per una volta tanto, si era vestita quasi come una ragazza e che aveva mezzo un po’ più trucco del solito mascara e correttore. Non sapeva perché, e cercava di reprimere l’idea fastidiosa che le ronzava in testa già da qualche giorno ormai.
Fu proprio mentre stava per uscire che, sua madre, con un’espressione divertita le disse: «Ti piace davvero tanto questo Ashton?»
«No, mamma. È solo un amico.»
Sì. Da morire.
Fece un sorrisetto innocente e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. La domanda di sua madre l’aveva fatta pensare, e Thalia aveva capito due cose: la prima, non poteva mentire a sua madre. Una mamma sa riconoscere ogni cosa, i vecchi trucchi non ingannano nessuno, tantomeno lei; due, Ashton le piaceva.
Tanto. Troppo. E per lui era stata disposta a ribellarsi, ad infrangere ogni cosa.
E il tutto era successo in un mese e mezzo. Poteva mai essere possibile? Ci si poteva affezionare così tanto a qualcuno, si poteva cadere nel tranello di Cupido in così poco tempo?
Sì. E Thalia c’era caduta con tutte le scarpe e con tutta la testa.
Si erano dati appuntamento qualche isolato dopo casa di Thalia. Non appena lei svoltò l’angolo trovò Ashton appoggiato ad un palo della luce, col cellulare in mano. Deglutì e gli si avvicinò a grandi passi, cercando di apparire naturale, come sempre, anche se dopo la domanda di sua madre la convinzione che gli piacesse Ashton era diventata ancor più forte e ancor più presente. Così tanto che sentiva le farfalle nello stomaco.
«Hey.» disse lei per attirare l’attenzione del ragazzo.
Ashton alzò la testa e rimise il telefono in tasca, poi sorrise e Thalia credette di potersi liquefare da un momento all’altro proprio lì, su quel marciapiede. «Hey! Come va?» le chiese.
«Benissimo» rispose Thalia, sospirò. «E tu?»
«Sorprendentemente bene, grazie.» rispose il ragazzo.
«Dove andiamo di bello?» chiese Thalia. Non riusciva a trattenere la sua curiosità, moriva dalla voglia di sapere a cosa avesse pensato Ashton per quella sorta di... appuntamento? Era davvero ad un appuntamento con Ashton Irwin? Lo realizzava solo adesso, mentre cercava di calmarsi, di mettere a tacere quell’ansia ingiustificata.
«Sorpresa!» esclamò Ashton. Le porse la mano col cuore in gola, sperando che Thalia l’afferrasse. «Devi solo fidarti di me.»
Thalia sorrise e strinse forte la mano di Ashton. «Certo che mi fido di te, andiamo!»
 
«Il Luna Park, sul serio, Ash?» chiese Thalia, mentre la sua mano era ancora ben stretta a quella di Ashton.
«Non ti piace? Se non ti va andiamo da un’altra parte, io... » iniziò il ragazzo, colto di sorpresa. Non aveva considerato che a Thalia potesse non piacere il Luna Park, non l’aveva neanche pensato lontanamente. Solo che gli sembrava squallido andare al cinema o in qualche altro posto da coppiette normali, semplicemente perché Thalia era diversa e andava portata in un posto diverso.
«Sì, lo adoro.» rispose la ragazza, Ashton rilassò i muscoli. Lei sorrise e s’incamminò verso l’entrata. Ashton pagò due biglietti – era un gentiluomo, lui! -  e si ritrovarono nello spiazzo gremito di persone: genitori con i propri figli, bambini con lo zucchero filato in mano, ragazzi come loro in gruppo. Era un bel posto, a Thalia era sempre piaciuto, anche se l’ultima volta che ci era andata aveva dodici anni e viveva in America. In effetti non ricordava molto, se non il pianto isterico dovuto al fatto che non l’avevano fatta salire sulle montagne russe.
«Cosa facciamo?» chiese Ashton. «Cioè, cosa ti va di fare?»
«Montagne russe. Ti prego!» esclamò la ragazza, puntando col dito l’enorme struttura di metallo.
Ashton abbozzò un sorriso. «Non ti fanno paura?»
«Dovrebbero?»
«Perché mi rispondi sempre con un’altra domanda?»
«Lo stai facendo anche tu» gli fece notare Thalia. «E poi è divertente.»
Ashton sorrise di nuovo. Due volte in un giorno, era un bel traguardo. Si misero in fila e dopo circa dieci minuti passati a chiacchierare del più e del meno, a scherzare,  a farsi prendere dal panico perché «Non avevo pensato che tra pochi minuti potrei morire spiaccicata sull’asfalto!», salirono finalmente sull’ottovolante. Misero le protezioni come indicato e queste si serrarono automaticamente . Thalia stringeva ancora la mano di Ashton.
«Sei nervosa adesso, eh?» domandò lui divertito.
«Assolutamente no.» mentì lei.
«Da quanto non sali sulle montagne russe?»
«Da mai, però mi sono sempre piaciute.»
«Adesso si spiega tutto.»
«Che cosa vorresti insinuare?»
«Assolutamente niente.»
La macchina partì e cominciò a salire sempre più in alto. Thalia era tranquilla finché vedeva i binari davanti a lei, ma quando arrivarono in cima al punto più alto trattenne il fiato. L’ottovolante si fermò per due secondi e poi iniziò la sua folle discesa. Nonostante sentisse che avrebbe potuto vomitare lo stomaco, Thalia non chiuse gli occhi, bensì guardò il panorama della città scorrere veloce attorno a lei. Si voltò e il capelli le andarono tutti in faccia a causa del vento, riusciva comunque a vedere Ashton, con i capelli all’indietro che urlava come un pazzo. Non si era resa conto di star urlando anche lei finché l’ottovolante non fece un’altra discesa mortale.
Durò meno di quanto Thalia si aspettasse, una volta di nuovo a terra non sentiva più le gambe, però era felice, euforica. Sprizzava elettricità da tutti i pori, era esaltata, ecco il termine giusto. Era così fuori di sé che prese Ashton sottobraccio quasi senza accorgersene, mentre camminavano per il Luna Park. Lui però trasalì per un momento e osservò Thalia attentamente. Era così piena di gioia, quella ragazza, che non poteva  far altro che riempirsi di gioia a sua volta, perché credeva che troppa felicità in una persona potesse portare alla distruzione, e non voleva che Thalia si autodistruggesse. Non voleva perdere anche lei, non adesso che sentiva di potersi buttare, di potersi lanciare nel vuoto con solo la convinzione che ci sarebbe stato qualcosa ad attutire la caduta. E sentiva di potercela fare perché sapeva che, se mai avesse saltato, Thalia l’avrebbe fatto con lui.
Fu allora che «Ti va di salire sulla ruota panoramica?» chiese Ashton, dopo essersi schiarito la voce.
Thalia avrebbe voluto dirgli che con lui sarebbe andata ovunque, però si limitò a rispondere con un semplice «Sì.»
La ruota panoramica era un’attrazione che Thalia non aveva mai apprezzato molto. Forse perché, come diceva il nome  stesso, serviva ad ammirare il panorama, e a parte le immense campagne non c’era molto panorama da vedere, a Coudersport, la sua vecchia città. Però a Sydney era ancora tutto da vedere. Era la città in cui viveva, ma che non considerava ancora sua.
Fu Ashton a guidarla verso la ruota, a stringere delicatamente il suo polso, a camminare velocemente con lei che rideva dietro di lui e cercava di stare al suo passo.
Arrivarono proprio prima che iniziasse il giro, una ragazza aprì loro una cabina libera e i due entrarono. C’erano due specie di divanetti, nella cabina, uno di fronte all’altra. Thalia prese posto accanto ad Ashton, ignorando completamente i posti di fronte a loro. La ruota iniziò a salire, e più andava in alto e più rallentava, per permettere a tutti di guardare quello che c’era fuori. I primi momenti furono silenziosi, poi Thalia fu vinta dalla curiosità, perché se voleva scoprire qualcosa di Ashton, quello era il momento giusto per chiederglielo.
«Sei nato qui?» gli chiese puntando gli occhi dentro ai suoi. Ci si specchiò, ma invece di vedere se stessa, vide un sacco di altre cose, ed erano tutte meravigliose.
«No. Ad Hornsby, una città poco lontana da Sydney.» rispose Ashton tranquillamente, sentiva che quella era un’informazione che poteva darle, che non svelava poi così tante cose di lui, e conoscendo Thalia, quasi si stupì della semplicità di quella domanda.
«Capisco... quindi nemmeno tu senti Sydney come se fosse tua?» continuò la ragazza. Ashton represse una risata: eccola, la vera domanda di Thalia
«Ci vivo da quando sono piccolo, comunque. Sono cresciuto tra quelle strade, » con un dito indicò i palazzi che si vedevano da fuori il finestrino. «e ho conosciuto tutte le persone a cui voglio bene in questa città. Quindi sì, Sydney la considero mia.»
Ho conosciuto tutte le persone a cui voglio bene in questa città.
Anche Thalia rientrava tra quelle persone? Non gliel’avrebbe mai chiesto, ma sorrise compiaciuta al pensiero, preferì tenersi dentro quell’idea dolce che la fece sorridere all’improvviso. Le piaceva pensare di essere tra quelle persone.
«Wow... » mormorò la ragazza, sospirando.
«Ho lasciato Thalia Reed senza parole?» domandò Ashton scherzoso, per poi scoppiare a ridere.
«Non è mica la prima volta.» rispose lei, rialzando lo sguardo verso di lui.
«Invece a me sembra proprio di sì... » disse lui.
«È che ogni volta che mi guardi negli occhi il mio cervello smette di pensare, non è la prima volta. Sapessi quante volte mi hai guardato e non te ne sei nemmeno accorto. Sapessi quante volte mi hai lasciato senza parole. È curioso che tu ci stia facendo caso proprio adesso che siamo a quasi cinquanta metri da terra, non trovi?»
Ashton non trovava una cosa abbastanza sensata per replicare, era lei ad averlo lasciato senza parole adesso. Era sempre lei che creava disordini nel suo cervello. Quei disordini in cui Ashton amava perdersi. Quei disordini in cui smetteva di pensare e in cui vedeva solamente il proprio presente.
Allora decise di non dire niente, perché non era il momento di parlare, quello. Bisognava solamente agire e non curarsi delle conseguenze. Gli serviva solo un disordine in cui perdersi e Thalia gliene aveva appena creato uno.
E mentre cercava di non perdersi troppo, mentre si avvicinava lentamente a Thalia, Ashton si dimenticò di tutto il passato, di quello recente e di quello remoto. Si dimenticò della strana sensazione provata sulle montagne russe, mentre Thalia gli stringeva la mano per la paura e si dimenticò per un lunghissimo istante del sapore dei baci di Lilian, perché sapeva di stare per baciare Thalia e non Lilian. E che come le persone, i baci erano tutti diversi.
Ma poi eccola, una canzone ritmata, veloce, che Ashton non aveva mai sentito. Proveniva dalla borsa di Thalia. Vide lei stringere gli occhi, non sapeva per cosa.
«Scusa...» mormorò piano, a pochi centimetri dalle sue labbra. Ashton si ritrasse confuso.
«Non rispondi?» le chiese.
Thalia annuì lentamente, e come se fosse un gesto meccanico afferrò la borsa e prese il cellulare. Osservò il display per una manciata di secondi, prima di rispondere.
«Spera di avere un motivo valido per chiamarmi prima che io ti trovi e ti uccida, Lucas.» disse con il suo solito sorriso sulle labbra, solo che aveva un non so che di inquietante. Era Luke. Ashton non poté che reprimere un sorriso. Sentiva solamente dei suoni metallici, troppo poco per capire quello che stava dicendo Luke dall’altra parte del telefono.
«Ascolta, sei il mio migliore amico e ti voglio davvero bene, ma in questo istante non me ne frega niente che sei riuscito a riparare la vecchia macchina di tuo padre... » sospirò la ragazza, mettendosi una mano sulla fronte.
Altro momento di silenzio.
«Sì, ero impegnata... no! Non fa niente che sono in punizione, ero impegnata!» esclamò la ragazza. «Una cosa importante... stavo studiando.»
Ashton dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non ridere.
«Okay, non stavo studiando... Dio!, Luke, puoi chiamarmi dopo. Anzi no. Ti chiamo io, okay?» disse ancora un’ultima volta, poi terminò la chiamata e rimise il telefono in borsa.
Sospirò e si spostò i capelli all’indietro.
«Allora» esordì come se non fosse successo niente. «Dove eravamo rimasti?»
«Dobbiamo scendere.» disse Ashton guardando fuori dal finestrino.
«Davvero?» chiese Thalia avvicinandosi. Con disappunto notò che si stavano abbassando velocemente e che tra poco avrebbero dovuto scendere veramente.
Accidenti a Luke e al suo maledetto tempismo. Doveva chiamarla proprio mentre Ashton cercava di baciarla?
La ragazza cercò di mascherare il suo disappunto e scese dalla cabina dopo di Ashton, che le aveva teso una mano per aiutarla. Adesso la situazione era diventata abbastanza imbarazzante, lui aveva cercato di baciarla e, dannazione!, anche lei l’avrebbe baciato se solo Luke non l’avesse chiamata.
Maledetto il giorno in cui le avevano regalato un cellulare.
 
Il resto del pomeriggio l’avevano passato tra zucchero filato e giostre di vario tipo, Ashton non aveva provato a baciarla di nuovo e Thalia aveva fatto finta di niente. Si erano comportati come due amici qualunque, con l’unica eccezione di tenersi per mano quando capitava. Non presero autobus per tornare a casa, bastava camminare un po’ e metterci qualche minuto in più. A dir la verità, a Thalia piaceva la sensazione provocata dalle loro dita intrecciate, e cercava di non pensare più di tanto, di godersi il momento. E soprattutto, cercava di non pensare a quando sarebbe tornata a casa. Forse era un po’ inverosimile metterci due ore e mezza per andare a riprendere un libro e tornare a casa. Parlarono del più e del meno, mentre scivolavano sul marciapiede, svoltavano angoli e attraversavano la strada.
«Io giro qui.» disse Ashton fermandosi, aveva un’espressione serena sul volto. Thalia gli si avvicinò, perché intanto aveva continuato a camminare.
«Oh, okay.» disse imbarazzata. Non aveva pensato a niente in quei minuti, nemmeno a cosa sarebbe successo quando si sarebbero dovuti salutare, e adesso se ne pentiva.
«Bene, allora... ehm» iniziò il ragazzo.
«Mi sono divertita» lo interruppe Thalia. «Davvero, sono stata davvero benissimo. Dovrei infrangere le regole con te un po’ più spesso.»
Ashton sorrise, abbassando il capo. Erano a quota tre sorrisi, quel pomeriggio. «Ci vediamo, uno di questi giorni.» disse lui.
Thalia esitò un momento prima di rispondere. «Aspetta un attimo!» lo trattenne per il polso e lui si voltò.
«Che c’è?» chiese confuso, ma mantenendo sempre quel tono gentile e delicato che aveva avuto per tutto il giorno.
«Io volevo... dirti che...» Thalia abbassò lo sguardo a terra, fece un passo in avanti, rialzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Ashton, più vicini di quanto avesse previsto. E fu un momento, un alzarsi sulle punte, allacciare le braccia dietro al collo di Ashton, le mani di lui che andarono a posarsi istintivamente sulla schiena di lei, uno sfiorarsi di labbra.
Ashton sorrise prima di baciare veramente Thalia. Le loro labbra si adattarono perfettamente le une alle altre. Quello di Thalia e Ashton era un bacio urlato in silenzio, richiesto tante volte senza nemmeno rendersene conto. Non era un bacio romantico come avrebbe potuto esserlo quello mancato sulla ruota panoramica. Era voluto da entrambe le parti, aspettato forse per troppo tempo. Thalia smise di cercargli una definizione quando Ashton sembrava essere presente in ogni particella di lei; Ashton smise di cercargli una definizione quando il profumo di Thalia gli attraversò il corpo e gli annebbiò la mente.
Il primo bacio di Thalia era stato un vero schifo. Aveva quattordici anni e non era del tutto sicura che Jeremy Steele le piacesse. Ma in quel momento, quel bacio era tutta un’altra cosa. Forse il primo bacio non è il primo bacio in assoluto, è quello che senti di non poter mai dimenticare un secondo dopo averlo dato. E Thalia sentiva che non avrebbe mai potuto scordarsi di quel bacio ancor prima che questo finisse.
Ashton era stato colto alla sprovvista. Pensava che l’occasione di baciare Thalia fosse sfumata per sempre dopo la ruota panoramica, l’aveva portata in un posto diverso proprio per non sembrare squallido e adesso eccoli lì, ad un angolo della strada, a baciarsi in piedi sotto gli occhi dei passanti. Proprio lui, che odiava gli sguardi della gente e i loro pensieri; proprio lui che non desiderava altro che rimanere nel suo angolino d’ombra.
Ma Thalia è luce pura.
E si disse che andava bene così, che finalmente qualcosa, pur non andando secondo i suoi piani, era stata meravigliosamente bella.


 
 
 
 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Saaaalve gente! Spero di non aver tardato troppo, anche perché questo capitolo rispetto ai precedenti mi è uscito lunghissimo °O°, quindi dai, i sei giorni sono giustificati u.u
Allora, avrei tantissime cose da dire su questo capitolo: che mentre lo scrivevo awwhavo come una povera idiota, cercando di non pensare ad Aristotele e le sue quattro cause, o ai sollogismi o al fatto che mi manca ancora mezzo di libro di filosofia da studiare. *piange* ma ce la farò.
Dunque, dicevo che avrei moltissime cose da dire, di cui sclerare e tutto il resto, ma non dirò nulla, semplicemente perché il capitolo si è spiegato da solo. Se non mettevo la telefonata di Luke mi sarei insultata fa sola per il resto della mia vita perché bacio per strada >>>>> bacio sulla ruota panoramica. Almeno io la penso così u.u 
Anche se ogni cosa è meglio di un bacio sul tram a capolinea.. *coff* di questo non ci interessa. 
Oh, la canzone è bellissima e io vi obbligo seriamente ad ascoltarla e a scaricarvi l'intera discografia dei Muse perché sì.
Dopodiché, mi scuso se non rispondo subito alle bellissime recensioni che mi lasciate e se quindi rispondo dopo qualche giorno, ma sappiate che le leggo tutte appena ne ho l'occasione e che mi riempiono sempre il cuore di gioia. A tal porposito vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente: DarkAngel1, SkyscraperWrites, xKikka, cjnnamon, Winter_Is_Coming, Aletta_JJ e perriedwards
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perché io, personalmente, lo adoro. Quindi niente, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, vi prometto che stavolta cercherò di rispondervi presto u.u
Alla prossima! ♥
Marianne

Ps: Siete tutti pronti per Michael nel prossimo capitolo?

 
 


 
   
 
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