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Autore: SunriseNina    26/05/2014    1 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I cavalli brucavano malcontenti l’erba del bosco, rimpiangendo il pregiato foraggio. Eler osservava il cielo con aria persa, cercando di rimanere impassibile ai versi tremendi di Light. Passò qualche momento di silenzio sospetto, così si sporse dal sedile del cocchiere verso il giovane inginocchiato in terra: «Stai meglio?»
Light ansimò, alzò la testa per prendere aria; poi il collo ricadde giù e rigettò un’ultima volta.
Chiuse gli occhi, cercando di convincersi di star bene: sentiva le proprie interiora acquietarsi e il respiro farsi più regolare; si alzò e, barcollando, fece i pochi passi che lo distanziavano dalla carrozza. Eler lo squadrava con preoccupazione e un poco di naturale ribrezzo: «Sei sicuro di voler continuare? Possiamo fermarci al paese che abbiamo superato poco fa.»
Light cercò di scuotere in capo in segno di dissenso, ma un brivido repentino glielo impedì: tutti i suoi muscoli si indebolirono, e ricadde in ginocchio come una marionetta senza vita.
Il compagno, con fare testardo, lo caricò sulle proprie spalle e lo fece sedere all’interno, avvolgendolo in un cappotto di pelliccia come un bambino in fasce: «Stasera si dorme a Montbard, e non in carrozza.»
Light cercò di farlo desistere, spaventato: «Non in carrozza? No, non possiamo… Se ci trovassero…»
«Smetti di preoccuparti. Siamo a più di duecento chilometri da Parigi. Le possibilità che ci trovino sono praticamente inesistenti.»
Light si raggomitolò nel caldo rifugio del cappotto: sentiva una terribile vergogna cadergli addosso e avvolgerlo insieme a quel tepore. Si era sempre creduto un condottiero, un abile e testardo pianificatore: era bastato uscire dalla sua culla, dal suo piccolo mondo, per rendersi conto di quanto fosse fragile e debole. Quella consapevolezza nauseante, la notte passata all’addiaccio tra i boschi umidi e il continuo viaggio trottante gli avevano rivoltato le viscere.
Per fortuna aveva qualcuno che si prendeva cura di lui, per quanto fosse imbarazzante mostrarsi così davanti a Riou: aveva deciso di portarlo con sé, ma era stato velocemente detronizzato dal posto di comandante.
Un sorriso gli spuntò sulle labbra: era una bella lotta, tra loro due. Una competizione che aveva generato ammirazione, e sentimento.
La strada si fece meno accidentata e il viaggio divenne più sopportabile.
Era il secondo giorno di fuga.
 
 
«Non hai mai dormito in una stanza così spoglia, vero?»
Light fece un’espressione scherzosa, ma in cuor suo sapeva che era così, ed entrambi lo capivano: Eler sembrava molto più a suo agio dell’altro, in quelle quattro mura spoglie,  con delle lenzuola che odoravano di muffa e stantio.
Non era certo una sistemazione regale, ma avrebbe sopportato quello e ben altro, pur di proseguire quel cammino.
La cittadina era quieta e silenziosa: gli ultimi viandanti tornavano verso casa a piedi, nemmeno una carrozza a guastare la pace. A un paio di case di distanza si sentiva il vago e rilassante rumore del fiume.
Light cercò di sistemarsi comodamente tra le coperte e si rivoltò su un lato, stremato come non mai: «Buonanotte, Riou.»
«Non mi fai nemmeno posto?» gli chiese l’altro, avvicinandosi alla sponda del letto.
Light lo guardò un po’ stranito: «Non è nemmeno una piazza intera, praticamente.»
Eler, ignorando le sue parole, si intrufolò sotto le coperte e si distese sopra di lui: «Mi faccio piccolo.»
«A me sembra solo che tu faccia la zavorra sui miei polmoni.» lo rimbeccò Light. Com’era snervante non riuscire ad imporsi su una persona come Riou! Per quanto ci provasse non poteva prendersela senza smentirsi in una manciata di secondi: gli diede un veloce e scherzoso bacio sulla punta del naso e l’altro rise.
I loro corpi di nuovo così vicini: non pensava che un’occasione simile sarebbe mai potuta riaccadere.
«Potremo stare così tutte le volte che vorremo, capisci?»  mormorò Light, entusiasta ed eccitato «Solo noi due, senza nessun fastidio, senza nessun problema…»
«Senza manette e senza segreti.»
Sembrava di vivere in un universo surreale, in una concreta fantasia: erano lontani da Parigi, immersi lucidamente in un prolungato atto spavaldo e sentimentale, contenti come probabilmente non si erano mai sentiti.
La vita aveva un gusto diverso: più ogni cosa assumeva sfumature assurde, più sembrava vero e realistico quel che stava loro accadendo. Quel che loro avevano deciso di far accadere.
Forse era quella la diversità, forse era insita in quella decisione la nuova fiamma che ardeva il loro giovane animo: la libertà di aver scelto, di essersi indicati da soli il proprio cammino, e soprattutto di averlo fatto insieme.
Light osservò il volto dell’altro nella penombra: una nuova fiamma. Una scintilla scoccata misteriosamente mesi addietro, nel lurido recinto di un porcile, ardeva gloriosa e rinvigorita in quel letto squallido.
Sembrava tutto meravigliosamente destinato ad accadere.
 
 
 
 
Lui e Riou facevano l’amore in cima a un’imponente ziggurat di pietra nera. Il sole bruciava le loro pelli e le pietre su cui erano distesi si arroventavano, la carne ribolliva e si ustionava.
Intorno a quell’enorme costruzione non vi era che deserto: tra la sabbia e lungo la scalinata dell’imponente piramide erano disseminati cadaveri dal colorito pallido e lucido come cera, corpi senz’anima, emblema di morte.
Nuvole purpuree riempirono improvvisamente il cielo, solcate da lampi azzurri; la luce del sole si indebolì, ma quel calore insopportabile aumentava a dismisura.
Light sentì la voce di Eler supplicarlo di fermarsi immediatamente, ma non gli diede alcun ascolto. I suoi movimenti si fecero più bruschi, irosi, volti solo a provocare dolore. Percepiva il corpo dell’altro contro il proprio, ma non riusciva a vederne il volto: con furore si aggrappava a lui, scorticandogli la schiena con le unghie.
Un vortice di violenza e rabbia dominava il suo petto.
Sentiva delle voci levarsi dalle profondità della terra: incomprensibili inni, arcane preghiere mortifere, un assordante stridere di pietre.
Il sangue gli percorreva in rivoli umidi e caldi le cosce.
Eler lo supplicava sempre più, con la voce rotta dal pianto.
«Perché mi stai facendo questo?»
 
 
Light si svegliò di soprassalto; gocce di sudore freddo gli correvano per le tempie, il cuore batteva tanto forte da dolergli. Temette un infarto, aspettò insensatamente la propria morte per alcuni secondi, ma nessuna  mano gelida arrivò a ghermirlo. Dov’era l’angelo della morte, perché si non affrettava a salvarlo da quell’agonia?!
La tachicardia iniziò a dargli tregua. Il respiro, zoppicando, riprese lentamente un’andatura più umana.
Si voltò, cercando Eler con le mani: il resto del materasso era vuoto e tristemente freddo.
Si alzò con difficoltà, chiedendosi sconsolato e preoccupato dove fosse finito il ragazzo che aveva trascorso la notte con lui… era stato così, vero?
Cercò di snebbiarsi le tempie massaggiandole con foga: i ricordi si mescolavano al truce sogno, gli umidi boschi dei colli francesi si confondevano all’arsura del deserto.
 Avevano lasciato presto Montbard il giorno prima, questo lo ricordava bene. Avevano seguito il fiume, poi qualcosa aveva convinto Eler a cambiare improvvisamente strada: un bivio, un’indicazione, un presentimento… non lo ricordava, come non ricordava dove si trovasse esattamente in quel momento. Avevano evitato il centro di Avignone e si erano intrufolati in un dei borghi della periferia, spinti dal temporale estivo e dalla precaria salute di Light a cercare un posto in cui dormire.
Dov’era Riou?
In quel momento una donnina dalla dubbia età fece capolino dalla porta: «Buongiorno, vedo che si è svegliato. Il suo amico mi ha detto di portarle il pranzo in camera. Si sente ancora molto male?»
La presenza di un essere umano, per di più dall’aria tanto amichevole, sprigionò un calore rassicurante nel suo petto. Provò però un immediato senso di vergogna per essere ancora in veste da notte all’ora di pranzo: non aveva fatto caso in tempo al fiume di luce che scaturiva dalla finestra, nel suo tormentato tentativo di separare incubo e realtà. Scosse velocemente il capo e prese tra le mani il piccolo vassoio di legno che la donna gli stava porgendo: «Vi ringrazio. Il mio amico vi ha detto quando sarebbe tornato?»
Lei sembrò piacevolmente stupita di essere interpellata con un “voi”: «No, mi ha solo… solo chiesto questa cortesia, tutto qui.»
Light annuì riconoscente e la donna sgattaiolò via, gustandosi tra le labbra raggrinzite le parole cortesi di quel ragazzo così avvenente: ma erano passati gli anni in cui poteva permettersi di mostrarsi lasciva con i clienti della sua bettola.
Light spiluccò la frittata insapore, osservando meglio la stanza in cui si ritrovava: quella seconda sistemazione era decisamente meglio della camera ammuffita della notte prima. La dedizione con cui la proprietaria cercava di nascondere lo squallore dell’ambiente in sé si leggeva perfettamente nei pomelli lucidati e nelle piccole chincaglierie con cui aveva addobbato gli spogli ripiani della stanzetta.
Uno strano turbamento si era impossessato delle sue notti, in quei giorni: la debolezza fisica e la consapevolezza dell’essere un fuggiasco continuavano a dipingere nella sua mente addormentata scenari apocalittici e sogni perversi. Non li ricordava nella loro interezza, per sua fortuna, ma rimaneva immerso in una sensazione di inquietudine per alcuni lunghi e tesi minuti.
Cercava di spiegare a se stesso con estremo raziocinio che era la normale reazione a quello che gli stava succedendo, o meglio, a quello che lui stava facendo; le conseguenze delle decisioni consapevoli che aveva preso.
Si interrogava senza sosta su cosa stesse succedendo a Parigi in loro assenza: aveva inizialmente sperato di scoprire qualcosa racimolando dicerie nelle città in cui erano arrivati, ma ben poco sapevano i popolani. Il fatto che gli Stati Generali discutessero di questioni finanziarie o legislatura, a discapito delle richieste del Terzo Stato, erano minuzie che un oste di paese ignorava: l’unica notizia che gli sarebbe potuta interessare era la testa di re Luigi che rotolava sul pagliericcio di una ghigliottina.
Non erano questi i soli fatti che interessavano a Light: immaginava il padre e la devastata sposina che lo inseguivano, seguendo le orme delle varie falle del suo piano di fuga frettoloso. Aveva condiviso queste preoccupazioni con Eler il giorno prima: con ogni probabilità in quel momento l’assenza dell’altro era motivata da un qualche progetto che era sorto in mente a Riou durante la notte.
I suoi sospetti in merito furono confermati una manciata di minuti più tardi, quando Light scese nella piccola sala comune –o cucina, a seconda di come la si interpretasse- della bettola: la mano stanca di Riou aprì la porta e la sua voce roca salutò la padrona, inginocchiata vicino all’ingresso intenta a pulire una macchia di grasso.
Il suo sguardo era inquieto e, nel complesso, il ragazzo era visibilmente alterato: Light si avvicinò a lui trattenendo un’aria eccessivamente premurosa: «Per caso è successo qualcosa?»
«Non hanno voluto comprare la carrozza.» mormorò Eler, visibilmente scosso e preoccupato.
L’altro cercò di capire che genere di piano quella frase nascondesse: «Chi non ha voluto? Perché hai cercato di venderla?»
«È  l’unica cosa che ci renda riconoscibili: ha gli stemmi, i marchi della bottega e così via. Sono riuscito a trovare l'unico venditore di cavalli di questi quartieri, ma non l’ha accettata.»
Light annuì, approvando l’idea dell’altro e al contempo preoccupandosi di quella prova evidentissima che avevano con loro: la ricca famiglia di Mélisande aveva fatto incidere effettivamente su ogni porta il loro antico -e ormai privo di valore- simbolo, e sul lato posteriore sventolava anche un gonfalone di broccato. Come se non bastasse, la prestigiosa bottega di carpentieri che l’aveva costruita aveva decorato entrambe le porte con disegni che richiamavano notoriamente il fabbricante.
«Ha pensato che fossi un ladro, dato quant’è bella ha pensato fosse di qualcuno importante.» spiegò Eler «Non vuole avere a che fare con… roba scottante, ha detto.»
Un silenzio preoccupato calò tra i due, Eler chiese gentilmente alla donna un bicchiere di acqua. Light non lo aveva visto così demoralizzato in vita sua: si rese improvvisamente conto di quanto si affidasse a lui, e quanto vederlo scoraggiato gli facesse crollare la terra sotto i piedi.
Sentì un dito scarno picchiettargli sul braccio: la donnina lo osservava con trepidanza e timore, rigirando qualche frase oscura tra le labbra ma senza il coraggio di proferirla. Light le si avvicinò e quella gli mormorò: «Non volevo assolutamente origliare...»
 
 
 
Le pareti grigiastre erano vessate dal sole di mezzogiorno, in un combattersi di luce e accecante riverbero. Le torrette gotiche si ergevano come soldati di prima linea, coraggiosi, pronti a morire contro quel nemico anche nel loro stato pietoso. Le merlature del tetto parevano denti sgretolati e marciti di un mostro, gli archi accennati sulle pareti sembravano costole in rilievo su un petto scarno e affamato.
Light osservava l’edificio, cercando in qualche meandro della propria testa un vago ricordo di letteratura italiana: «Se egli fu sì bel… Se fu si bel come ora…»
Le parole dantesche non gli tornavano alla mente, ma ben ricordava il significato della descrizione di Lucifero: il suo aspetto angelico era stato magnifico tanto quanto erano terribili le sue diaboliche e nuove sembianze. Nessun paragone gli riusciva più adatto e straziante, davanti alla decadente Sede del Papato avignonese.
«Non ho mai visto un palazzo ridotto in questo stato.» osservò Eler, riprendendo la strada che la vecchia donna aveva loro indicato.
«Con il pretesto della rivolta i peggiori individui l’hanno derubato.» le parole di Light traboccavano di indignazione «Un reperto storico simile in mano a un branco di finti rivoluzionari… bestie che sfruttano degli ideali alti per delle simili… schifezze.»
L'altro alzò le spalle con indifferenza: «Alle persone piacciono gli ideali, è stata una scelta astuta per giustificarsi.»
Light lo squadrò malamente: «Gli ideali dovrebbero essere un fine, non uno stupido mezzo.»
«Non credo negli ideali.»
«Una persona rigorosa come te?» lo prese in giro Light.
«Il mio rigore è pragmatico e relativo alle circostanze. Tendo ad ubbidire, fino a quando farlo è la scelta più ragionevole.»
«La tua vita è priva di romanticismo, Riou.»
«La tua si illude di averne. Io mi prefisso semplicemente degli scopi e li seguo, ma scopi veri.»
«La libertà non è vera? L’uguaglianza non lo è? Cosa c’è di più vero di questo?»
«Questo sasso è più vero di tutto quello che hai elencato. Chi segue questo genere di ideali parte con una decisione, realizza il completo contrario e si convince soddisfatto di aver fatto esattamente quello che voleva. Io sono molto più semplice: ho accettato l’incarico di far parte della polizia e vi ho dedicato tutta la mia giovinezza. ho voluto rispettare il volere della mia regina, l’ho fatto fino a trasferirmi in un paese straniero. Ho voluto indagare a fondo su un caso, l’ho fatto fino a incatenare un innocente.»
«E ora sei qui con me. L’amore non è ciò che di più ideale esiste?» lo guardò con un sorriso provocatorio.
Riou lo guardò con schiettezza: «Non sei un ideale. Tu sei tu, in carne ed ossa. E ho deciso di stare con te. Direi che le mie decisioni si sono realizzate molto più di quanto non lo abbiano fatto la maggior parte delle tue, specie quelle che probabilmente discutevi con i tuoi amici borghesi.»
Light si irrigidì a quella secca affermazione: «Forse non sarei qui con te, se avessi saputo prima della tua spiazzante faccia tosta.»
«No, saresti qui comunque. Accetti difetti di me ben peggiori, e lo sai.»
Light, così zittito, accelerò il passo verso la via che la vecchia locandiera aveva loro indicato: come detestava dovergli dar ragione!
Riou gongolò un po’ tra sé e seguì allegro il passo affrettato dell’altro.
L’edificio era incastrato tra due alte costruzioni molto antiche ma fatiscenti: pareva un’erbaccia rigogliosa cresciuta tra due ceppi di querce secolari.
Light si avvicinò con titubanza allo scuro portone, frenato da sensati pregiudizi e da un innato senso etico; Eler, invece, con la sua proverbiale ostinazione sempre tinta di noncuranza, afferrò il battente e bussò.
Nel momento stesso in cui li fecero entrare, capì che difficilmente avrebbe dimenticato una scena così ricolma di squallore: penetrò nelle sue ossa insieme all’umidità e all’ostilità per quel luogo buio e soffocante.
La persecuzione dei calvinisti e degli ebrei in territorio francese, attenuatasi solo negli ultimi decenni, era stato un fenomeno distruttivo e disumano che non aveva portato alcun miglioramento sociale –a dispetto delle aspettative delle autorità e della ingenua gente comune-: le attività di usura, prestiti illeciti, scambi loschi di merci e banchi dei pegni erano resistiti nell’ombra, radicati profondamente nella società.
Non era per niente entusiasta di quello che stavano facendo, ma vendere la carrozza era ormai una necessità improrogabile, e non solo per il fatto che essa poteva esser riconosciuta: qualsiasi fosse stata la loro meta finale, non si sarebbero potuti spostare ancora per molto con le poche risorse monetarie che avevano. I risparmi personali di Light non solo erano esigui, ma il padre aveva deciso di utilizzare delle banche sicure per trasportarli in Spagna: il denaro che il ragazzo aveva fisicamente con sé sarebbe bastato ancora per poco.
Il tozzo uomo che aveva aperto loro la porta li condusse fino a un cortiletto interno. Aveva un naso aquilino con delle narici incredibilmente grandi: il resto dei tratti grezzi del viso, rispetto ad esso, risultava insignificante. Non si poteva definire sordido, anzi: il suo aspetto esprimeva sì una certa grossolanità, ma pulita e a suo modo dignitosa, quasi onesta -paradossale, per la sua professione-.
Light si appoggiò a uno dei muriccioli, facendo segno ad Eler di seguire l’uomo e di scegliere lui: vedeva i quattro carretti che erano allineati in un piccolo rettangolo di ciottolato e ognuno di essi gli avrebbe fatto rimpiangere la sua carrozza e quella decisione.
Un profondo senso di inadeguatezza lo riempì come mai prima d’allora: si era portato alle labbra la mela del peccato e, come l’ingenuo Adamo, ora assaggiava le amarezze della vergogna. Si poteva definire timore di Dio? Non era credente, ma in quel momento sentiva uno sguardo potente traforagli la nuca con rimprovero e sdegno.
I due uomini trattavano a pochi metri da lui, gesticolavano in un muto duello matematico. Gli occhi chiari dell’usuraio erano vispi e intelligenti, ma non erano nulla paragonati agli enormi e scrutanti occhi di Riou: pupille cacciatrici, avvolgenti e al contempo affilate armi; ti cercavano, ti seducevano, ti intrappolavano.
Aveva fatto così anche con lui e continuava ad ingannarlo? O proprio il fatto che Riou lo avesse seguito mostrava la particolarità del loro caso, la sincerità di un sentimento incondizionato?
Avevano finito di discorrere. Un modesto carretto tinto di verde con le raggiere rinforzate era diventato il loro nuovo mezzo di trasporto: considerandone la larghezza e la presenza di ben quattro ruote, l’evidente usura del legno poteva essere ignorata.
«Siete dalla vecchia Christelle?» chiese l’uomo con voce roca, cercando di nascondere la stanchezza per quella sfida verbale.
«Sì. Se ci segue le mostreremo la carrozza e potremo concludere ogni particolare della cosa. Vorremmo partire entro domani mattina.»
Eler rivolse all’uomo queste parole con viso altero, poi si voltò verso Light: le labbra sottili si incresparono in un sorrisetto di infantile soddisfazione.
Se gli occhi di Riou gli mentivano, non avrebbe desiderato nulla in cui vivere se non le loro bugie.












Note Autrice.

Adorabili capitoli "di mezzo", che non si riescono mai a scrivere e che non soddisfano mai... ma questo è un importante anello che ci congiunge al finale della storia. Sì, siamo agli sgoccioli, come si usa dire. Ora che la scuola non sarà più un assillante problema spero di poter finalmente concludere questa fanfiction che, tra alti e bassi, ho curato tanto e penso meriti una conclusione. Mi dispiace per coloro che hanno cercato di seguirla con me, dovendosi sopportare mesi di interruzioni; alla pubblicazione dell'ultimo capitolo spero che qualcuno possa leggerla con più tranquillità e continuità.
A presto, e grazie ai pochi disperati che ancora seguono Riou e Light in questa storia.
Nina.
   
 
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