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Autore: Rebecca_lily    26/05/2014    4 recensioni
“Puoi stare a casa mia per tutto il tempo di cui hai bisogno, se desideri”- disse Abel guardandola negli occhi...
La mia storia ha inizio quando Georgie incontra di nuovo Abel, dopo aver lasciato Lowell da Elise, e vuole esplorare il rapporto tra i due 'fratelli' nel periodo in cui cercano di salvare Arthur dalle grinfie del Duca Dangering. In particolare questa storia intende approfondire sia la lenta presa di coscienza di Georgie del suo amore per il suo ex-fratello sia il carattere di Abel come viene reso per buona parte del testo originale, ovvero del manga. Nella mia storia, Abel non vive dal sig. Allen e i due non affrontano immediatamente la questione del ritorno in Australia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate l’enorme ritardo con cui posto il capitolo, ma il lavoro mi ha portato per un po’ fuori casa e, al ritorno, prole e famiglia hanno richiesto il loro giusto e piacevole obolo… A breve il seguito : )
 
Quel giorno Abel portò Georgie a visitare uno dei parchi cittadini che fino a pochi anni prima era riservato alla sola nobiltà, ma che la Regina aveva deciso di aprire a tutta la cittadinanza. Georgie rimase incantata dalla natura che vi si poteva osservare: immensi prati, alberi e persino un lago. Si incamminarono lungo i sentieri di questa oasi verde e Georgie quasi dimenticò di trovarsi in città. Infatti, rispetto allo splendido giardino della casa di Lowell e quello altrettanto bello di casa Barnes, in quel parco senza recinzioni né cancelli si respirava un’atmosfera di libertà che lontanamente le ricordava le vaste e sconfinate praterie della sua infanzia. La ragazza respirò l’aria nuova a pieni polmoni poi sorrise e si diresse quasi correndo verso il lago. Abel la seguì, osservandola da lontano.
Una volta vicino all’acqua, Georgie si girò entusiasta a chiamare il fratello: “Vieni a vedere Abel, ci sono delle anatre! E ci sono anche i loro piccolini!” - continuò la ragazza battendo le mani per la felicità. Giunto accanto a lei, Abel aprì il cestino da pic-nic e tirò fuori una fetta di pane che sbriciolò lanciando alcune briciole nell’acqua. Dopodichè si inginocchiò e aspettò che le anatre venissero a beccare direttamente dal suo palmo. Georgie rimase a bocca aperta. “Sono abituate alla presenza degli uomini”– le disse Abel, poi prese una mano della sorella, che si era chinata accanto a lui, e vi lasciò cadere le restanti briciole. Le anatre si avvicinarono a lei e mangiarono dalla sua mano mentre attorno zampettavano i piccoli anatroccoli dal piumaggio ancora vano.
Abel restò a contemplare Georgie che, emozionata, dava da mangiare agli animali lì presenti. Era felice di vederla così contenta perché pensava che sua sorella si meritasse proprio un momento di serenità. La vita, infatti, non era stata per niente gentile con lei: aveva perso la sua famiglia di origine e anche il suo padre adottivo; sua madre non l’aveva mai accettata ed era arrivata a cacciarla violentemente via di casa; si era dovuta separare dall’uomo che amava per lasciarlo nelle mani della sua rivale in amore e ora viveva con lui, anche se con ogni probabilità avrebbe preferito essere altrove. In tutto ciò, Georgie non aveva mai perso la sua spontaneità e il suo buon carattere e lui la amava anche per questo.
Nel preciso istante in cui Abel formulava tali pensieri, Georgie si girò verso di lui con un sorriso raggiante e, per pochi, soltanto pochi secondi, Abel contemplò incantato il suo sorriso. Per il ragazzo era un’impresa ardua cercare di non essere freddo e scostante con lei, lasciando invece trapelare la tenerezza che provava, soltanto però questa emozione, mentre l’amore e la passione restavano a combattere e a dibattersi dentro di lui. Ma Abel ci stava provando, ci stava davvero provando con tutto se stesso, così distolse immediatamente lo sguardo e le disse: “Cerchiamo un posto dove sederci?”.
Georgie accettò e, incamminandosi dietro al fratello, si sentì fiera di sé perché - per la prima volta da quando lui le aveva confessato il suo amore - era riuscita a stargli accanto senza aver voglia di fuggire, anche se i suoi sentimenti erano ancora contrastanti. Da un lato, infatti, Abel era sempre stato per lei la figura maschile di riferimento, l’eroe bello e invincibile a cui paragonare ogni altro uomo; dall’altro, il pensiero di un coinvolgimento amoroso con lui la atterriva. Ma ora, avendo pur con sforzo messo temporaneamente a tacere i suoi timori, voleva conoscerlo, sapere davvero che tipo di uomo fosse suo fratello. Abel, infatti, parlava pochissimo e una vena di tristezza sembrava non abbandonarlo mai. La ragazza sospirò. Quali erano davvero i suoi pensieri? E i suoi sentimenti? Come stava affrontando questo periodo così tremendo? Georgie non se lo era mai chiesta, impegnata com’era a fuggire da lui. Ripensò allora all’espressione con cui lui l’aveva guardata poco prima sulle rive del lago: uno sguardo colmo di tenerezza che le aveva riempito il cuore come quella stessa mattina quando, nel marasma di biancheria e lenzuola, si era lasciata avvolgere dalla sua dolcezza e dal suo calore. Georgie chiuse per un attimo gli occhi per riassaporare quelle sensazioni.
Fu lo stesso Abel a riportarla alla realtà quando le chiese: “Ti piace qui?” – indicandole uno spiazzo erboso all’ombra delle grandi fronde di un albero. Georgie annuì sorridendo. Stesero allora la bianca tovaglia sull’erba e si sedettero. Poi, mentre la ragazza apriva il cestino con le vettovaglie, Abel si mise a osservare le persone che in quella giornata di sole affollavano il parco. Era incredibile – si disse – come gli inglesi adorassero stare all’aria aperta pur non essendo stati benedetti da un clima favorevole. Sorrise tra sé e sé poi, rivolgendosi a Georgie, chiese: “Posso aiutarti?”. La ragazza lo guardò e questa volta non rifiutò l’offerta di aiuto.
Il sole risplendeva, il che era quasi una rarità e nel parco c’erano persone di ogni sorta: donne, uomini, anziani, bambini, nobili e meno nobili. E tutti erano lì per godere di quegli inaspettati ma tanto desiderati raggi di sole. Georgie e Abel iniziarono a consumare in silenzio il loro pasto poi, verso la fine, Georgie si fece coraggio e chiese ad Abel se quella città gli piacesse. Abel rispose in maniera telegrafica: “Sì, Georgie, questa città tutto sommato mi piace”. Georgie, non contenta, continuò con le domande: “E’ la prima volta che vieni qui?”. “No, ci ero già stato in passato ma solo di passaggio” – le rispose lui conciso. Non ancora paga, Georgie decise di chiedergli di raccontarle la sua vita da marinaio. Abel si girò a guardarla, stupito per quella domanda così diretta e personale. Una domanda che tra l’altro lo metteva in difficoltà perché lui della sua esperienza in mare non ne aveva mai parlato ad anima viva. Soltanto di ritorno dal suo viaggio aveva laconicamente fatto cenno ad Arthur delle tappe che lo avevano portato fino in Inghilterra, ma il pensiero del fratello si era subito concentrato sulla nostalgia che lui avrebbe provato lontano da casa e così Abel non aveva proseguito il suo racconto. Quindi, di fatto, non aveva mai raccontato a nessuno che cosa era successo in quegli anni lontano da casa: anni in cui aveva affrontato un lavoro duro, aveva imparato non senza difficoltà a farsi rispettare, aveva conosciuto altre donne oltre a Jessica, in poche parole, anni in cui era diventato un uomo. E ora era proprio Georgie a chiederglielo, era proprio Georgie che voleva conoscere quella parte della sua vita.
Abel la guardò combattuto, indeciso se risponderle o meno poi Georgie, con un gesto inconscio, avvicinò la sua mano a quella del fratello. Abel sorrise nel vedere le delicate dita di Georgie che si intrecciavano alle sue: “Non è cambiato nulla da quando eravamo bambini – pensò – anche allora lo faceva sempre quando insisteva perché le raccontassi qualcosa …”. Abel decise allora che le avrebbe risposto, ma ci volle un po’ prima che iniziasse a parlare, non solo per lasciare che ricordi ormai lontani riaffiorassero, quanto per riuscire a trovare dentro di sé la giusta prospettiva per parlarle di un periodo così complesso. Periodo in cui le novità, il piacere della scoperta, il desiderio di assecondare la propria natura indomita si scontravano con la bruciante nostalgia di lei. Ci volle un po’, ma alla fine Abel iniziò a parlare e le raccontò dei luoghi che aveva visitato, delle città, dei loro colori, dei loro sapori, dell’odore del mare, della vita di mare.
La sua voce era calma e pacata e il suo racconto lento perché, oltre a scegliere le parole, Abel stava cercando di tenere a freno le forti emozioni che il rinvangare quei ricordi gli suscitava: ricordi spesso duri da affrontare, ricordi che non voleva assolutamente condividere con lei. Abel se ne stava seduto con le spalle appoggiate al tronco dell’albero, le gambe piegate davanti a sé e le braccia che le circondavano. Una posizione anomala per lui che però in quel momento gli dava la forza di continuare a parlare. Georgie ascoltava in silenzio la voce calda e profonda di Abel che la portava a visitare il mondo e, in parte, la sua anima.
Abel parlò a lungo poi, tutto a un tratto, un forte rumore lo distrasse. Poco distante da loro, infatti, un bambino stava disperandosi perché il suo aquilone si era incastrato nella chioma di un albero. Abel interruppe il suo racconto e, scusandosi con Georgie, si alzò. Ancora memore di anni e anni di scalate infantili, il ragazzo si arrampicò agilmente sull’albero e recuperò l’oggetto tanto desiderato. Una volta sceso, sorridendo, lo porse al bambino e gli suggerì di legarselo al polso per evitare che ciò accadesse di nuovo. Il bambino lo guardò ammirato e annuì.
Georgie osservò la scena da lontano e nel ragazzino rivide se stessa da bambina mentre contemplava l’eroe della sua infanzia. Guardò invece con occhi nuovi Abel mentre tornava da lei e riuscì così a vedere la persona oltre all’eroe, l’uomo oltre al fratello: un uomo forte e coraggioso che da anni combatteva dentro di sè una guerra silenziosa per tenere a freno i suoi sentimenti; un uomo maturo e generoso che vegliava su di loro senza condividere mai le sue preoccupazioni.
Quando Abel si sedette di nuovo accanto a lei, Georgie gli porse da bere: “Ho pensato che, dopo aver parlato tanto, avresti potuto avere sete”. Abel le sorrise e la ringraziò. “Quel bambino chiaramente non è abituato a salire sugli alberi, noi invece da piccoli … Ti ricordi Abel?” Il ragazzo annuì. “Mi manca l’Australia, non vedo l’ora di tornarci. Qui il sole non splende mai e tutto è così freddo” – disse Georgie di getto. “In realtà tu sei nata qui Georgie e qui è dove vive tuo padre” – le disse Abel esplorativo. “Ti sbagli, Abel, la mia casa è con voi: con te e con Arthur, in Australia” – disse Georgie. Abel sentì il suo stomaco stringersi al pensiero del fratello rinchiuso in quella maledetta prigione. In quel momento, si levò una folata di vento un po' più fredda e dei brividi serpeggiarono sulla pelle della ragazza. Abel se ne accorse, si tolse il gilet e delicatamente lo appoggiò sulle spalle della sorella, poi gentilmente le disse: “Torniamo a casa Georgie?”. “Sì, torniamo a casa Abel” – gli rispose lei grata.
Quella sera, prima di andare a dormire, Georgie - in camicia da notte e sul limitare della porta - rimase a osservare Abel per un po'. Il ragazzo si trovava a sedere sul divano con un libro in mano, ma il suo sguardo era perso nel vuoto. Georgie si disse che avrebbe tanto voluto che lui si aprisse spontaneamente con lei poi augurò al fratello la buonanotte e lo ringraziò per la bella giornata trascorsa assieme. Nell’udire la voce di Georgie, Abel si girò a guardarla e le sorrise dolcemente, dopo di che tornò a fissare il libro aperto davanti a lui.
Nei giorni che seguirono, i due ragazzi godettero del clima dolce che si era creato in casa. In particolare, Abel sentiva che la luminosa presenza di Georgie era come un balsamo per la sua anima travagliata. Per paura che tutto questo svanisse, il ragazzo non si chiese e non le chiese il perché del suo mutamento, si limitò ad assaporare il rinnovato calore della sua vicinanza. Continuò, però, a parlare molto poco e, soprattutto, continuò a non condividere con lei i suoi pensieri e i suoi stati d’animo.
 
  
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