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Autore: Dream_Dust    27/05/2014    3 recensioni
"Io sono una figlia degli uomini. Sorella insieme a tante altre.
Sono stata fabbricata nelle fucine di fuoco e oscurità, forgiata nel sangue. I miei padri hanno deciso di combattere la guerra, per questo mi hanno creata. Io sono parte della guerra.
L’anima stessa della battaglia, brandita per compiere il massacro.
Sulla mia lama è riflesso il rancore dell’umanità."
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'anima della guerra 


Nel cielo la luna sta calando, scompare silenziosa dietro la collina. Si porta via la notte come un velo di seta nera, le stelle la seguono fedeli.

L’alba sta sorgendo, sorge l’aurea luce dietro i colli imponenti.

C’è una selva sotto il cielo, e nella selva delle presenze aspettano silenziose. Non sono creature della foresta, sui loro arti sporchi di terra non crescano candide piume o soffice pelliccia.

Sono coperti di metallo, pesante e lucido, i loro capi coronati da ferro. Si acquattano contro l’erba sottile, nascosti dalla boscaglia.
Non sono parte di quel mondo, non gliene è mai interessato, eppure cercano ugualmente di fondersi con esso.

Essi sono uomini, figli del ferro e del fuoco, dell’odio e della vendetta. Tra le loro dita forti, stringono spade dalla lama affilata, perfetti strumenti di morte. In principio non possedevano le stesse armi dei predatori, ma hanno imparato a fabbricarle.

Io sono una figlia degli uomini. Sorella insieme a tante altre.

Sono stata fabbricata nelle fucine di fuoco e oscurità, forgiata nel sangue. I miei padri hanno deciso di combattere la guerra, per questo mi hanno creata. Io sono parte della guerra.

L’anima stessa della battaglia, brandita per compiere il massacro. Sulla mia lama è riflesso il rancore dell’umanità.

La stretta del mio maestro mi imprime forza, il suo sudore sgorga dalla fronte sull’elsa. Vedo oltre la selva l’esercito nemico, numeroso e potente nel suo splendore di morte.

Avanza con passo sicuro, la terra trema sotto di lui. La polvere si alza, gli stendardi si agitano al vento.
Recano sulla stoffa cremisi il simbolo del grifo.
Non possiedano destrieri, ma il loro passo marziale rimane svelto e terribile.

Nella fitta boscaglia, sento il cuore del mio maestro battere forte, pulsare in ogni singola parte del corpo, dal petto alle dita che mi brandiscono. Quel battito tradisce il suo viso, lo stesso viso forte e sicuro, di colui che non conosce paura se non quella di veder strappato via il prprio onore.
Era magnifico, il mio maestro. Selvaggio ma al contempo regale, quella maestosità degna di un re.
Il volto reso lucido dal sudore, sporco di sabbia e sangue. La barba incolta e i lunghi capelli castani gli conferivano un aspetto più maturo di quanto in realtà non fosse.
Lo vidi voltarsi e sussurrare qualcosa, poi fece un gesto.
Il segnale.

Lentamente si alzò e con passo sicuro emerse fuori dalla boscaglia come un demone notturno. La sua figura era priva di elmo, lo stesso che tutti gli altri compagni avevano.
Folle, sconsiderato e folle, ed è questo ciò che lo rendeva superbo.

Da lontano, puntò il suo sguardo di fuoco in quello del nemico, che ricambiò con medesimo ardore.
Più avanzava, più dietro di lui si faceva largo l’esercito della bestia, il leone rampante che ruggisce sfidando il mondo.
Dorato, poiché l’oro è simbolo di regalità e potere. Rosso, lo stesso rosso di cui presto si sarebbe macchiata la terra.

Io e lui eravamo una cosa sola. Uomo e spada. Mente e strumento. La nostra immagine emanava potere, timore, forza.
Altri uomini dietro di noi erano irradiati dalla stessa luce gloriosa, ma il condottiero è sempre la colonna portante, il punto di riferimento.

Il nemico avanzò con le sue numerose armate. Erano più di noi, ma ogni singola nostra unità valeva la forza di cento uomini. Contemplai con muto rispetto le altre mie sorelle, tenute distese lungo la coscia con altrettanta pressione.
Erano come me, ma al contempo diverse, acquisivano le caratteristiche di colui che le brandiva.
Anche loro mi scrutarono, sentii la chiara invidia di quelle possedute da soldati di rango minore.

Volevano il mio stesso onore, la mia stessa gloria, ma il coraggio di un uomo valoroso non sempre veniva riflesso nella propria compagna.
Di solito sono gli uomini a non esser degni di noi, e questo ci rende frustrate. Ci creano perfette, ma poi sono loro a non essere all’altezza.

I due schieramenti si trovarono l’uno di fronte all’altro.
Un silenzio carico di tensione attanagliò l’aria che portava i freschi odori dell’alba.
Il sole non era ancora sorto dietro la collina.

Il comandante avversario era un uomo maturo, sicuramente aveva vissute molte battaglie: basso e tarchiato, sul viso abbronzato deturpato da una cicatrice frastagliata si affacciava un pizzetto scuro.
Sfidò il mio maestro con un sorriso perverso, schifosamente sicuro.
Provai ribrezzo per quell’essere che osava tanto, l’odio e l’eccitazione ammontarono dentro di me.

“Brandiscimi, maestro. Io sono il tuo braccio sinistro. Lascia che cali i mio giudizio sopra questo essere mortale che non conosce la pena che attende colui che osa sfidare gli dei.”

Il maestro alzò il mento, osservandolo altezzoso, mentre con la sinistra mi strinse nella gelida mano avvolta dall’armatura.
Una scarica d’adrenalina riverberò dentro di me, mi percorse dall’elsa fino alla punta della lama lucente.
Io ero in lui, lui era in me. Ero pronta a mietere vittime, a falciare vite.
Con il sangue del nemico avrei ridipinto la terra, avrei dato in pasto alle fiamme dell’inferno le anime indegne di questo mondo.

Lo sentii sicuro, lo sentii pronto. Finalmente avrei adempito al mio compito di strumento mortale.
Mi sollevò sopra il capo, nell’ancora gelida aria notturna.
I suoi capelli si mossero al vento, ed io venni investita dalla luce dell’aurora.
Tutti i presenti guardarono lui, guardarono me, con muto ed imperscrutabile timore.
Dalle loro labbra disserrate il respiro sembrava essersi bloccato. I cuori smisero di battere per un istante.

Silenzio.

Tutto il mondo si ferma, la natura si acquieta.

"Cenere alla cenere. Che la mano del Signore riversi la sua vendetta sopra questo popolo di infedeli. Samael premierà i giusti e castigherà i peccatori secondo la Tua volontà, affinchè possiamo essere degni di varcare le porte del paradiso.
Amen."

Un grido.

Il richiamo della guerra.

Il mio maestro urla feroce e si scaglia temerario contro l'avversario. Il leone ritratto sullo scudo ruggisce assieme a lui.
Il nemico fa lo stesso e finalmente le due armate si scontrano con un boato che squarcia il cielo.

Ciò che viene dopo, è semplicemente morte.
Magnifica nella sua drammaticità che distorce il volto dei soldati, grottesche maschere di paura insanguinate.
Visioni nere di pece offuscano il campo di battaglia e le grida strazianti dei caduti si riversano nell'aria.

Nessuna pietà sarà concessa in questo giorno benedetto dal peccato.
Fratelli contro fratelli, sorelle contro sorelle, spinti a combattere dalla stessa marea travolgente che brucia come lava.
Violenza e dolore, queste sono le parole d'ordine di un codice ancestrale.

I guerrieri si sfidano in una danza mortale, ogni passo falso potrebbe essere fatale.

"La dea bendata non aiuta gli uomini."

La mia lama cozza contro un'altra, producendo un sordo rumore metallico.
La spada avversaria mi sfida, esercita pressione sulla mia pelle lucente.
Sputa parole cariche di rancore, il suo corpo vibra scosso dalla frenesia. Doveva avere già ucciso, il sangue l'aveva resa ebbra.

"Fatale donzella macchiata di scarlatto, non smarrire l'anima nel baratro della follia."

Il mio maestro scruta l'avversario con penetranti occhi d'inchiostro, talmente profondi da poterci annegare.
Il soldato non nasconde un'ombra di paura. Grave errore.

Il grande condottiero tenta un affondo che il nemico riesce a parare maldestramente e subito dopo avanza, scagliandosi contro di lui. Punta al viso e l'altro, emettendo un mugolio appena percettibile, brandisce la spada di fronte a se, chiudendo gli occhi.
Alcune scintille vengono emesse dalla collisione, e non appena il nemico disserra le palpebre, si ritrova a pochi centimetri di distanza il volto ghignante del maestro che lo provoca malignamente.
Vedo il terrore impossessarsi dell'uomo, che con occhi spalancati fissa disperato il volto di colui che gli avrebbe presto conferito l'eterno riposo.

"La guerra rende folli, non lo sapevi?"

Velocemente arretra ed io con fulminea precisione guido il suo braccio verso il ventre del nemico.
Vedo il buio, sento il calore, il muscolo pulsante che pompa sangue diviene muto al mio passaggio.
Finalmente riemergo dall'oscurità e adesso sono rivestita da una nuova magnifica tinta.

"Rosso. Lo stesso rosso che tinge i petali delle rose e colora i fiumi. "

La mia lama trafigge quel corpo da parte a parte, senza pietà e un fiotto di sangue scuro si riversa incontrollato sul terreno.
Le gocce colano dal vertice della lama, cadono sul terreno con un ticchettio lugubre, come un orologio che scandisce l’ora fatale.

Il maestro mi estrae con violenza e subito si scaglia contro un nuovo nemico.
Quello fu il primo di una lunga serie.

Ogni volta che uccidevo, ogni volta che vedevo la vita abbandonare gli occhi degli uomini, la mia immagine si copriva di magnificenza e così quella del mio maestro.

“Battezzami nel sangue, oh maestro. Conducimi attraverso questo cammino torrido per poi innalzarmi nella luce.”

Il fuoco arde e il fumo nero sale nel cielo.
Il tanfo di cadaveri aleggia, nauseante. I guerrieri valorosi risorgono dalle ceneri. Tutto si tinge di rosso in questo mondo corroso dall'odio.

Il mio maestro è ferito, uno squarcio non indifferente gli percorre la coscia sinistra. L’armatura è ammaccata ed il mantello logoro viene sferzato dal vento.
Ma egli continua ad avanzare, continua a combattere, senza stanchezza.
Reprime le fredde braccia della morte, stringe a se il suo ultimo respiro.
Mai cadrà, mai sarà abbattuto se non per sua volontà.

Il nostro esercito combatte senza timore, non conosce la paura. Le mie sorelle dilette reprimono la viltà, innalzano il coraggio.

“Lottate con me in questo giorno del giudizio.”

In lontananza lo vedo, vedo il sole sorgere oltre la collina.

Arriva a passo di carica il condottiero nemico, una smorfia animalesca gli distorce il volto.
Il mio maestro lo accoglie con arroganza, si lancia nella sua direzione travolgendo coloro che osano ostacolare il suo cammino.

Un giovane uomo caduto a terra. È ancora vivo.
Il maestro si scaglia contro di lui, ma invece di infliggergli un fendente mortale, mi conficca nel terreno a un soffio dalla sua testa. Vedo la sua espressione di sorpresa e timore, poi con un gesto fluido vengo estratta dalla polvere.

Egli è spietato, ma mai vile.

Finalmente, l’epico epilogo è giunto.

I due condottieri incrociano le proprie lame che sfrigolano e sferzano l’aria, tutt'attorno il resto non ha importanza.
L’avversaria mi fronteggia a testa alta, nella sua elsa dorata un verde gioiello incastonato brilla smeraldino, come l’occhio di un drago.
Il mio maestro schiva e affonda, indietreggia e avanza.

Non avrei dovuto sottovalutare la valenza del mio nemico. I suoi folli occhi grigi sono iniettati di sangue, una scintilla di pazzia gli illumina sinistramente mentre agita fendenti senza sosta.
Egli invece è lucido, non perde mai il controllo, detiene sempre un portamento regale.

“Inginocchiati alla corona. Riconosci a quest’uomo la supremazia sul mondo, poiché egli detiene le catene del tuo destino.”

Finalmente, l’alba sorge dietro la collina.

La nuova luce accecante ferisce gli occhi del nemico, la sua spada riflette l'istante della disfatta.
Quello è il momento. “Ora maestro, ora!”

Il condottiero colpisce al cuore l’avversario, penetra lo sterno e trafigge i muscoli.
Una soddisfazione immane mi pervade, sento la gioia e l’eccitazione ammontare in me come nessun altra cosa al mondo.

“Che si compia il fato prescritto dagli uomini. Io sono nata per questo.”

Vedo il nemico collassare di fronte a me, cade pesantemente sulle ginocchia e fissa impotente il mio maestro con sguardo vacuo, incredulo.
La sua spada giace nella polvere, abbandonata senza gloria.

Egli lo scruta attraverso due fessure d’ebano, freddo e impassibile lo abbandona ai suoi lamenti nella sabbia.

Si volta, controlla il suo esercito.
Abbiamo subito delle perdite, ma il numero di sopravvissuti è pur sempre eclatante.

I capelli e il mantello scossi dal vento, la ferita alla coscia come simbolo di valore.
È stanco, il mio maestro, ma nonostante il dolore e la fatica sulle sue labbra compare un sorriso trionfante.

“Gioite voi tutti, poiché abbiamo vinto la guerra!”

Egli china il capo verso il basso, verso di me. Mi osserva soddisfatto, con dolce felicità.
Nei suoi occhi ridenti vedo riflesso il luccichio della mia lama scarlatta.
Mi afferra con entrambe le mani e con un gesto di trionfo mi innalza sopra il capo.

Vuole che cielo e terra mi vedano, che gli uomini contemplino la mia magnificenza. Il cosmo intero si inchina al nostro cospetto, riconosce in noi la vittoria dei meritevoli d’onore.

Dietro di noi, l’alba brilla splendente oltre la collina.
  
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