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Autore: aelfgifu    27/05/2014    4 recensioni
Pausa tra il primo e il secondo tempo della finale di Champions League. Il Bayern Monaco di Karl-Heinz Schneider perde 2-1 contro il Barcellona di Tsubasa Ozora. Negli spogliatoi della squadra tedesca l’atmosfera è tesa; Karl-Heinz è stanco, non ha più forze. Mentre è immerso nei suoi pensieri, qualcosa di inatteso gli darà la carica per portare i suoi compagni alla vittoria.
[Piccolo spin-off da Ritratto estivo di ragazzo svedese, da collocare prima del capitolo 7, Questi siamo noi].
Genere: Song-fic, Sovrannaturale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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Glorious

 

Siamo rientrati scalpicciando, silenziosi e di malumore. Mi sono buttato sulla prima panca che le mie gambe hanno incontrato. Sono sfinito.

Ci guardiamo in faccia, desolati, sopraffatti.

“Non ci voleva, al quarantacinquesimo” fa Siken, spezzando il silenzio.

“Già”.

“Bella sfortuna”.

“Mi dispiace, ragazzi” la voce profonda di Drener s’inserisce nel coro, rotta. Sembra quasi che stia per piangere, ed è un colpo, se associamo l’idea del pianto a uno come lui, un albero di quercia alto quasi due metri e solido come un muro.

“Non è colpa tua”.

“Ozora, sempre lui...”

“Già...”

“Senti senti senti. Bene, bene, bene” s’interpone una voce estranea, una voce di donna carica di sarcasmo. Un brivido di sorpresa e spavento mi assale come una frustata nella schiena.

 

Here she comes with the master plan
And I'm starting to lose control
Here she comes to this trash of man

 

Julia Gutenbrunner è in piedi davanti a me, le braccia conserte e un’aria di sfida sulla faccia.

“Allora, che intenzioni abbiamo?” esordisce, in tono ironico.

“Che ci fai tu qui?”

“Io non sono qui, sono a casa mia, a Monaco” risponde. “Quella che vedi è solo una proiezione dei tuoi pensieri. In una parola, mi hai chiamato tu” spiega, vedendo la mia espressione basita.

“Io?...”

“Bando alle ciance” mi interrompe. “Che cosa intendi fare?”

La guardo interrogativo. I suoi occhi mandano lampi.

“Non capisco...”

“Mi riferisco alla partita, Karl-Heinz, questa partita, la partita che state giocando. Che intendi fare? Combatterai o lascerai perdere?”

Dura, diretta ed esplicita, non me la ricordavo così. Quando l’ho incontrata, ricordo di aver pensato, con meraviglia, che era una donna così riservata e ammodo, una ragazza così piccola e chiusa in sé stessa. E da quando mi dà del tu? Vorrei risponderle: sono stanco, nel primo tempo ho lottato con tutto me stesso e non è bastato. Ora vorrei solo riposare, dormire, recuperare le forze...ma qualcosa in quegli occhi mi spinge a vergognarmi del mio pensiero, mi spinge a inghiottire la mia stanchezza, la mia delusione, e a rispondere senza esitare:

“No, non lascerò perdere”.

“I tuoi compagni non aspettano altro” commenta, girandosi verso i ragazzi. “Guardali”.

Io li guardo, Levin appoggiato a un armadietto, impenetrabile come al solito, Drener afflitto come può esserlo solo un portiere che subisce un gol al quarantacinquesimo minuto. Sembra voler sprofondare per la vergogna, tanto che Sho, vedendolo così, se ne esce con qualcosa da par suo – una battuta – e fa ridere tutti. Mio padre si schiarisce la gola con un “ehm ehm” che prelude a una apostrofe a tutta la squadra:

“Non ho indicazioni da darvi. Avete giocato bene; cercate di mantenere il ritmo, giocatevi ogni pallone, cercate un contropiede veloce ogni volta che potete. Ce la potremo fare, se diamo tutto. Il rischio ora è che i nostri amici pensino soltanto a difendersi, ma se li conosciamo...” non finisce la frase, al posto della conclusione fa sbocciare sulle labbra una piccola smorfia. Ha ragione lui, Ozora non accetterà mai di chiudersi in difesa, continuerà a creare occasioni e ad attaccare, combattivo e generoso com’è, e i suoi gli andranno dietro.

“Anche a te verranno dietro”.

Julia Gutenbrunner ora si è seduta accanto a me e mi tiene una mano sulla spalla.

“Se glielo chiedessi, ti seguirebbero fino all’inferno, lo sai” mi dice. “Abbi fiducia in loro. E anche in te”.

Non ha più quell’espressione strafottente e sarcastica di prima, ora mi fissa con dolcezza. Prima che possa riflettere a quel che dico, mi scappa di bocca la domanda:

“Tu hai fiducia in me?”

“Certamente, Karl-Heinz” sorride, e mentre sorride solleva una mano e mi scompiglia i capelli, allegra.

“Perché?”

“Perché no?”

“Non mi conosci neanche”.

“Questo lo credi tu” sogghigna.

 

Well
Here she comes

Now she's bringing me in
Checking me out
Making me glorious

 

“Schneider? Schneider?...” una mano sventolata davanti alla mia faccia, la voce di Corman che mi chiama.

“Eh?”

“Che fai, dormi? È ora di risalire”.

“Ok” scatto in piedi. Ho sognato a occhi aperti? Giro la testa a destra, poi a sinistra: Julia Gutenbrunner è scomparsa.

“Forza, Karl” il mister mi passa accanto e mi stringe un braccio in segno di incoraggiamento. Io approvo con un cenno della testa.

Sono l’ultimo a uscire, l’ultimo a percorrere il tunnel.

Mentre stiamo per imboccare i gradini che ci porteranno sul campo di gioco, fermo tutti:

“Ragazzi” dico.

I miei compagni si voltano tutti insieme, come se fossero uno.

“Beh, andiamo a prendercela questa benedetta coppa?” esclamo ridendo.

 

She's bringing me in
Turning me on
Making me glorious

 

Sto andando, Julia Gutenbrunner. Contenta?

“Contentissima. Contentissima” sento la sua voce seria e dolce risuonarmi nel cervello.

E tu verrai con me, mormoro a fior di labbra; non so se sto chiedendo, pregando, ordinando, constatando o affermando. So però che lei sarà davvero con me, una volta là fuori.

 

***

 

Nota al testo. Glorious è stata una hit dello svedese Andreas Johnson, anno 1999.

  
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