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Autore: Eynieth    27/05/2014    3 recensioni
Finora ignoravo cosa fosse il terrore: ormai lo so. E' come se una mano di ghiaccio si posasse sul cuore. [Oscar Wilde]
E' proprio questo l'effetto che fa Amy Lee, figlia di Iroth, dio della guerra. Al suo passaggio tocca i cuori delle persone e lascia solo terrore. Un terrore che lei stessa condivide per sè stessa nel profondo dell'anima, un terrore che neanche lei ammette a sè stessa. Perchè quello in cui vive è un inverno perenne. Un inverno che dura due secoli. Un inverno che forse non si scioglierà mai.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Amy Lee entrò nella stanza silenziosamente, come sempre. Come le avevano insegnato per vent'anni anni. Quello era diventato il suo modo di vivere. Essere trasparente il suo motto.
Si sedette al suo posto, aspettando gli altri presidi. La sua quasi famiglia, i suoi unici legami. Quasi duecento anni di vita e solo quattro persone relativamente importanti. Cinque, anzi. Aveva dimenticato di calcolarlo.
Come se lo avesse chiamato, Iroth apparve, visibile ai soli occhi di Amy Lee.
La ragazza cominciò a giocare con un piccolo stiletto, facendolo girare tra le dita, passandoselo da una mano all’altra.
Iroth partecipava sempre alle riunioni, anche se poteva vederlo solo la ragazza.
Nella stanza calò il silenzio. Ad Amy Lee non dava fastidio il silenzio, lei viveva nell’anonimato e nella solitudine, tutto quello era il suo pane quotidiano. Insieme all’allenamento fisico e alla conoscenza. Si nutriva solo di quello. Niente sogni, amore, amicizie, passioni. Niente. A parte i presidi e Iroth.
E, proprio quest’ultimo, non amava i silenzi. La sua vita era composta da rumori di battaglia e morte, la quiete non riusciva a sopportarla. E fu proprio lui che ruppe il silenzio.
-Amy…-
Iroth non fece in tempo a finire la frase perché il piccolo stiletto lasciò le mani della ragazza e volò nell’aria immobile, mirando dritto tra gli occhi del dio. E lo avrebbe colpito, se Iroth non avesse fermato lo stiletto tra due dita, a pochi centimetri dall’obiettivo. Di certo non poteva pensare di battere il dio della guerra sul suo campo d’azione, anche se aveva imparato tutto il possibile, dal padre.
Iroth rise. -Siamo suscettibili, oggi, mia dolce Amy Lee?- sussurrò ridacchiando. Solo il dio poteva pensare di chiamare Amy Lee dolce, e solo lui pensava che fosse sua.
Iroth iniziò a giocare a sua volta con lo stiletto.
Amy Lee non rispose, testarda nel suo silenzio. Fece vagare lo sguardo per la stanza.
-Oh… Amy-Lee… Amy-Lee…- sussurrò il dio guardando lo stiletto, lo sguardo giovane e arzillo.
Era strano pensare che quel ragazzo, che poteva passare per un allievo di Amy Lee, fosse vecchio come Diemdiart Parscenie. Non che lei fosse molto più vecchia, e non che lei dimostrasse la sua età, ma era sempre strano vederlo addosso a Iroth. Come era strano pensarlo come dio della guerra, visto così non sembrava, poteva anche risultare dolce e gentile. Solo a un primo sguardo superficiale, ovviamente. Ed era ancora più strano pensare che lei fosse sua figlia, che lui fosse suo padre.
Assorta nei suoi pensieri, Amy Lee, vide solo all’ultimo minuto lo stiletto che volava dritto verso di lei.
Afferrò con entrambe le mani il bracciolo della sedia e, dandosi una leggera spinta con le gambe, fece una perfetta verticale, giusto in tempo per vedere lo stiletto conficcarsi nello schienale della sedia, dove pochi secondi prima si trovava la sua testa.
-Sei un po’ distratta, tes… Amy Lee…- disse Iroth scuotendo la testa, desolato.
Se ne fosse stata capace, Amy Lee si sarebbe arrabbiata con il padre, per le sue parole, per le sue continue prove, il suo comportamento, il suo essere così… spocchioso. Ma non ne era capace, non poteva provare un sentimento così complesso.
Amy Lee ritornò seduta e tolse lo stiletto con un movimento secco. Avrebbe voluto rispondere, dire che non era sua, non era dolce, non era un tesoro. Lei non era di nessuno, libera, ma legata all'idea di una vita migliore. Lei era fatale, ogni suo movimento comportava dolore, o morte, se andava male. Ma forse non era del tutto vero. Amy Lee, in qualche modo, apparteneva a Iroth, come un figlio appartiene al padre. Come l'allievo dipende dal maestro. Come il devoto appartiene al dio. Amy Lee dipendeva e apparteneva a Iroth. Era sua, anche se non lo sopportava. Ricominciò a giocare con lo stiletto, ignorando Iroth. Giocando Amy Lee si tagliò. Un piccolo taglio, da cui uscì del sangue. Rosso. Non era la prima volta che si feriva, in battaglia diventava un mostro scarlatto, coperto dal suo sangue e da quello dei nemici. Sentì Iroth schioccare le dita e il taglio scomparve, così come i ricordi delle innumerevoli battaglie.
Iroth aveva quel potere, anche se su Amy Lee non lo usava quasi mai. La ragazza voleva guarire, voleva seguire il lento scorrere del tempo, aspettare che il corpo guarisse da solo. Voleva essere paziente. D’altronde aveva tutto il tempo del mondo. La ragazza non aveva fretta, anche perché, la maggior parte delle volte, le cose che si fanno di fretta, non uscivano mai bene, mentre Amy Lee se faceva qualcosa doveva essere fatto in modo perfetto. La perfezione che aveva sempre ricercato in sé stessa, la riportava nel lavoro. Lei non sarebbe mai stata perfetta. Mai “bianca” al punto giusto. Le sarebbe sempre mancato qualcosa, ma Iroth, fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, ci sarebbe sempre stato, le avrebbe sempre rinfacciato le sue mancanze e i suoi difetti. E Amy Lee non avrebbe reagito, perché lei non sapeva reagire, non a parole. Avrebbe accusato i colpi e avrebbe cercato di andare avanti, migliorarsi dove poteva. Aveva tutta l’eternità per quello.
Amy Lee mise via lo stiletto, al sicuro sotto la manica bianca e larga del corpetto.
Bianca e trasparente, candida e spietata. Neve e gelo.
   
 
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