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Autore: DarkRose86    03/08/2008    7 recensioni
Capelli neri, ciuffi ribelli, occhi scuri come la più tetra notte d'inverno, pelle chiara come la neve che osservavo cadere silenziosa fuori dalla finestra.
Cicatrici sulle mie braccia magre, al collo un ciondolo, cosa preziosa per me.
Un regalo della mia sorellina, abbandonatasi per sempre al malizioso abbraccio della morte.
L'unica persona alla quale tenevo, i riccioli scuri che tanto adoravo accarezzare, e il suo sorriso che sapeva scaldarmi il cuore.
Ricordi, solo ricordi.
" Va bene così. Alla fine non cambia nulla. Al risveglio mi ritrovo solo. Come sempre. "
{ Attenzione: linguaggio colorito, accenni di violenza, tematiche pesanti, angst }
{ V° classificata al concorso "Magia di una Frase" indetto da Akane }
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per il concorso Magia di una Frase , indetto da Akane sul Forum di EFP, si è classificata quinta.
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Rating: Arancione
Lunghezza: 4863 parole, 9 pagine
Avvertimenti: Linguaggio colorito, tematiche pesanti, violenza, angst
Genere: Drammatico, triste


. Obsession .


Sono sempre stato un tipo di poche parole, e forse è anche per questo che nessuno mi ha mai voluto.
Chiuso in quella casa che somigliava ad una prigione, scomoda dimora della mia dilagante follia.
I loro rimproveri, ogni maledetto giorno, ad offuscarmi la mente; unico sollievo che mi era permesso, quella lama sulla mia nivea pelle.
E il sangue che colava sul copriletto.
Io che l'osservavo rapito, cercandovi un senso.
Immerso in chissà quali pensieri, interrotti talvolta dalle urla isteriche di mia madre perchè poi sarebbe toccato a lei ripulire tutto.
Io non le ho mai chiesto di farlo.
Così come non ho mai chiesto a mio padre di comprarmi quella fottuta macchina, chiusa da anni in garage perchè non avevo nessun posto dove andare con essa.
Spesso mi capitava di guardarmi allo specchio e chiedemi perchè avevano deciso di farmi venire al mondo.
Capelli neri, ciuffi ribelli, occhi scuri come la più tetra notte d'inverno, pelle chiara come la neve che osservavo cadere silenziosa fuori dalla finestra.
Cicatrici sulle mie braccia magre, al collo un ciondolo, cosa preziosa per me.
Un regalo della mia sorellina, abbandonatasi per sempre al malizioso abbraccio della morte.
L'unica persona alla quale tenevo, i riccioli scuri che tanto adoravo accarezzare, e il suo sorriso che sapeva scaldarmi il cuore.
Se solo quel giorno, quella stramaledetta auto non fosse passata da lì a quella velocità...
lei sarebbe ancora a giocare con me.
A disegnare su quei fogli bianchi che conservo tutt'oggi, con quelle matite che custodisco gelosamente.
Ed io mi troverei ancora in quella villetta di periferia, a pensare a quanto era stato premuroso Dio, a regalarmi quella presenza così dolce e rassicurante.
Ma senza di lei, nulla ha più senso ormai.
Da quando di ella mi è rimasto solo questo suo regalo e alcune foto, io non sono più nessuno.
Un'ombra che cammina su questo suolo che non mi appartiene, che mai mi è appartenuto.
Un fantasma che li ha strappati prepotentemente alla vita, accompagnati sprezzante accanto a lei.
Ma che non è riuscito a seguirli, seppur lo desiderasse.
Ricongiungersi in quel luogo e costruire finalmente una famiglia felice.
Chissà se sarebbe stato possibile.
Forse no...
Probabilmente sarei finito all'Inferno, da demonio che sono.
Ricordo le grida di mia madre quando le conficcai quel pugnale nel petto, più e più volte, esasperato.
Mi chiedeva disperatamente pietà, aumentando la mia voglia di vendetta.
Loro le avevano permesso di uscire quel pomeriggio, da sola.
Loro le avevano detto: " Vai pure tesoro, ma torna a casa a presto e stà attenta per la strada. "
Loro l'avevano condatta.
E lei aveva solamente dodici anni.
Rieccheggiano ancora nella mia testa le ultime parole di mio padre, prima che gli tagliassi la gola: " Te ne pentirai, schifoso mostro! Sarebbe stato meglio se tu non fossi mai nato! "
Oh sì, è vero.
Aveva perfettamente ragione.
Eppure sono nato eccome, e sono ancora qui, a scontare la mia pena.
Avrei preferito che mi condannassero a morte, piuttosto che a soggiornare in quest'angusta cella sudicia e buia, illuminata solo talvolta da dei timidi raggi di sole, che filtravano dalle strette sbarre della piccola finestra.
Ergastolo, per omicidio volontario e premeditato.
Compio 21 anni oggi, e ne sono già passati due da quel giorno d'estate, il 13 agosto.
Il giorno del mio compleanno e dell'omicidio dei miei genitori.
Ho ancora davanti agli occhi quelle immagini, indelebili nella mia mente.
Ma non riesco a piangere.
Tutte le lacrime le ho esaurite il giorno in cui mi lasciò per sempre l'unica persona che mi considerava normale.
Mi limito a nascondere il volto fra le mani ogni tanto e a pensare a come sarebbe stata la mia vita se lei non fosse morta.
Probabilmente avrei continuato ad accompagnarla a fare passeggiate nel parco, ad aiutarla nei compiti di scuola, finchè non sarebbe cresciuta e diventata una donna.
E allora sarei stato un fiero fratello maggiore.
Avrei tanto voluto accompagnarla all'altare, sorridendo al suo uomo raccomandandomi di trattarla nel miglior modo possibile, sempre e per sempre.
Eccomi qui invece, scarto, rifiuto della società, guardato da tutti con assoluto disprezzo, maltrattato e pestato a sangue ogni giorno che passa.
Ormai non sento neanche più dolore.
Sono diventato ancor più magro di quanto non fossi prima di entrare in questo maledetto posto, devo proprio somigliare ad un cadavere.
Ma la sapete una cosa?
Non riesco a vergognarmene.
In tutta sincerità, sono felice d'averlo fatto.
Di averli puniti per la loro sbadataggine.
Eppure si sa come va il mondo, al giorno d'oggi.
Ma a loro, non è mai importato se ad uno di noi accadeva qualcosa di male.
Rinchiusi nel loro schifoso universo fatto di lavoro, pubbliche relazioni e soldi.
Maledettissimo denaro.
Era la cosa che più amavano.
Più dei loro figli, più della vita stessa.
Sento delle voci in corridoio, credo stiano venendo a chiamarci per il pranzo.
Beh, pranzo... sarebbe meglio dire avanzi.
" Ehi, Jacob! Avanti schifosa checca, muovi il culo da quella branda o rimarrai a digiuno! " esclama una delle guardie.
Quanto odio quell'individuo... e non perchè mi offende così gratuitamente o perchè adora prendermi a calci nel sedere quando cammino troppo lentamente.
No... unicamente perchè ha il coraggio di dire ciò che pensa.
Io, invece, non ce l'ho mai avuto.
E se mi chiedono a che cosa sto pensando, sono capace di dire solo: " Lasciatemi in pace. "
Quando i miei genitori mi chiedevano come stavo, rispondevo sempre: " Bene. "
Sono sempre stato codardo e bugiardo, fin da piccolo.
Mentre lui, almeno, è sincero.
Io lo sono stato solo in quei momenti in cui ero insieme a lei.
Qualcuno di voi adesso potrebbe pensare che mi fossi in qualche modo innamorato di mia sorella.
No...
Però amavo il suo sorriso e la sua voglia di vivere.
Che le furono strappati via troppo, troppo presto.
Per quel ne so, il bastardo che l'ha investita non è stato neppure condannato, ed è questa la cosa che più mi fa ribollire il sangue nelle vene.
{ Voglio ucciderlo. }
Faccio ciò che mi è stato ordinato senza fiatare, alzandomi e uscendo dalla cella.
Questo corridoio è impregnato di uno strano odore, non saprei definirlo.
So solo che è disgustoso.
Eppure sono costretto a conviverci, ogni giorno, ogni notte.
Mi scorta ridendomi alle spalle fino alla grande sala in cui ci viene servito il cibo, e mi 'invita', senza troppa delicatezza, a sedermi ad un tavolo, rimanendo lì vicino per controllarmi.
" Ehi, Jac. " mormora una voce familiare.
Accanto a me si è seduto Alex, un ragazzo che avrà ad occhio e croce la mia età, che fino a pochi giorni fa era mia compagno di cella, prima di essere spostato in un'altra, senza saperne esattamente il motivo.
" Ciao. " lo saluto, senza troppo entusiasmo.
Ha i capelli castani chiari e gli occhi azzurri come il cielo, non sembra affatto un criminale; mi ha raccontato, però, d'aver ammazzato più persone.
" Quello stronzo fa ancora il prepotente? " chiede, alludendo alla guardia di cui parlavo prima.
" Già. "
" Dovresti mandarlo a 'fanculo. " dice lui, addentando un tozzo di pane che non ha proprio un'aspetto invitante.
Rimango in silenzio per qualche secondo, rimuginando.
In effetti, se lo facessi, probabilmente mi ridurrebbe in fin di vita; o, nel migliore dei casi, mi farebbe fuori, orgoglioso com'è.
" Potrei farlo... "
" Ehi, Jac, guarda che scherzavo! Quello lì ti ammazza se lo fai sul serio! " esclama agitando le braccia, mentre il tizio ci guarda storto.
Io invece non scherzavo, niente affatto.
Più di una volta ho avuto la tentazione di sputargli in faccia i più disparati insulti che conosco.
Ma non ne ho mai avuto il coraggio.
Mi faccio schifo da solo.
Finito di mangiare mi riaccompagna in cella, spingendomi prepotentemente dentro.
" Fà il bravo, stronzetto. Ci vediamo più tardi! " con queste parole, più gentili del solito, si congeda, lasciandomi nuovamente in questo schifo che è oramai diventato la mia casa.
Ed ecco che inizia un nuovo pomeriggio all'insegna della noia e della sofferenza.
Che posso fare?
Cerco di rilassarmi per quanto possibile, stringendo fra le mani quel delizioso ciondolo a forma di stella, che al suo interno cela una nostra foto.
L'unica in cui sorrido.
" Carlie... " sussurro, osservando quel poco di sole che illumina un angolo della cella.
Ultimamente, ho preso l'abitudine, due o tre volte al giorno, di salire sul piccolo sgabello che si trova qui, e di guardare al di là di quelle spesse sbarre di ferro.
E ogni volta noto la guardia che mi controlla preoccupato che possa pensare di evadere.
No, non è mia intenzione; che potrei fare, una volta fuori?
Il mio è solo uno stupido capriccio; voglio vedere come si evolve il mondo attorno a me, senza poter godere di alcuna novità.
Vado a vedere, c'è bel tempo fuori.
E' curioso pensare che questo luogo maledetto si trova così vicino a delle abitazioni.
Una villetta abbastanza lussuosa sorge a pochi metri, ha le mura colorate di una piacevole sfumatura di azzurro.
Mi chiedo chi ci abiti.
D'improvviso, cosa che non era mai accaduta prima d'ora, una bambina si affaccia alla finestra, probabilmente della sua cameretta visto che noto delle delicate tendine rosa confetto.
Mi nota, e mi saluta sorridendo.
Sussulto e per poco non cado dallo sgabello, salvandomi per un pelo.
La guardo, e lei continua ad agitare la manina.
Così decido di rispondere al suo saluto, sforzandomi di assumere un'espressione il più possibile... contenta.
" Ciao! " esclama lei, e le sue gote si tingono di un bella sfumatura, che contrasta col nero del suo vestito tutto pizzi e trine.
Nero... che strano colore, per vestire una bimba che avrà sì e no dieci anni.
" C-ciao... " rispondo io, probabilmente arrossendo.
Nel frattempo, sento quell'odioso sguardo fisso su di me.
Ne sono certo, ora viene qui e mi gonfia di botte perchè sto avendo un 'contatto' col mondo esterno.
Ed invece, a dispetto delle mie previsioni, non lo fa.
Si limita a guardarmi per un pò e ad andarsene, sento i suoi passi che si allontanano.
Provo uno strano senso di sollievo.
Mi volto di nuovo e la bimba è ancora lì, che mi osserva incuriosita.
" Ehi, come ti chiami? " mi chiede, con quella splendida espressione sempre dipinta sul volto.
{ Mi ricorda qualcuno... }
" E-eh...? Io? " balbettò, incapace di trattenere un'esclamazione di stupore.
" Sì, tu! "
" I-io... sono Jacob... " mi presento, e lei tutta contenta lo fa a sua volta.
" Io sono Anne! "
Mi sforzo di sorridere, forse ne sono ancora capace.
Ci provo, ma mi rifiuto di immaginare cos'è scaturito dal mio tentativo di sembrare simpatico e alla mano.
Considerando che sono costretto a parlare a voce piuttosto alta per farmi sentire, suppongo che gli altri mi stiano prendendo per pazzo.
E in effetti, se lo pensano, non hanno tutti i torti.
" Che ci fai lì dentro? " mi chiede lei, innocente.
Oh cazzo.
Cosa posso risponderle?
Non posso certo dirle che sono qui perchè ho fatto fuori mamma e papà!
" Ehm... " indugio.
Non so proprio cosa rispondere.
" ...io... "
Dai, inventati una scusa, una qualsiasi!
" ...ecco, io sono ammalato! "
{ Mai scusa fu più azzeccata. }
La sua espressione si fece improvvisamente triste.
" Cos'hai? "
Dio, quanto sono curiosi i bambini!
" Una strana malattia... per questo devo stare chiuso qui. " spiego, ringraziando il fatto che sono sempre stato bravo a mentire.
" Ti fa tanto male? " mi chiede, mordendosi istintivamente il labbro inferiore.
" Uhm, beh... un po'... ma non troppo. " mento.
" Mi dispiace! " esclama lei, asciugandosi una lacrima con la manica del vestito.
" Ma no, tranquilla! " cerco di tranquillizzarla.
Sì, mi ricorda maledettamente lei.
Anche se non le somiglia; ha i capelli lisci e biondi, ma la sua pelle è chiara come la mia.
Sembra quasi una fragile bambola di porcellana.
Quel nero abito le dona un aspetto... misterioso si può dire, pur trattandosi di una bambina.
La osservo attentamente, cercando in lei altre cose che me la ricordano.
Sono ossessionato.
" Sai... un tempo avevo una sorellina... " confesso, rattristandomi.
Stupido.
Che mi aspetto che risponda?
Voglio che mi compatisca?
Devo esser messo proprio male, per andare a cercare la pietà di una bambina.
Che, fra l'altro, è più che ovvio che mi tratti così, evidentemente suo genitori l'hanno cresciuta insegnandole il significato della parola RISPETTO.
" E dov'è adesso? "
Ecco, dovevo aspettarmi questa domanda.
" Beh... da qualche anno... è andata in Paradiso. " le dico, aspettandomi un commento del tipo: " Aah, quel posto dove vanno tutti i bambini buoni! " o qualcosa del genere.
E invece abbassa lo sguardo e mi chiede:
" E' morta? "
Rimango basìto.
" Ehm... "
Prima che possa dire qualcosa, lei riprende la parola:
" Anche il mio fratellone è morto. Un anno fa. "
Ora capisco.
" Mi dispiace... "
Non so che altro dire; forse è proprio per questo motivo, che non appena mi ha visto ha attaccato bottone.
Forse le ricordo suo fratello, chi lo sa.
Ci guardiamo per lunghi secondi negli occhi, come per cercare risposte a chissà quali arcani quesiti; poi, è lei a parlare di nuovo:
" Quanti anni aveva la tua sorellina? " mi chiede, pugnalandomi al cuore per l'ennesima, involontaria volta.
Era giovane, dannazione, troppo giovane.
" Dodici... " esce dalle mie labbra in automatico, quante volte avrò ripetuto quel numero, in vita mia?

{ " Dai forza, spegni le candeline! "
" Fatto! "
" Brava! Quanti anni compi quest'oggi? "
" Dodici, mica sono scema! "
" Già, dodici... stai diventando proprio grande! "

" Ehi, dì un pò... quanti anni aveva quella ragazzina che è morta investita da un'auto? Per caso lo sai? "
" Dodici. Certo che lo so, fottuto stronzo, era mia sorella! "

" Claire Danielle Johnson, morta alla tenera età di 12 anni. Riposi in pace. " }

" Io ne ho quasi dodici. Li compirò allo scoccare della mezzanotte. " spiega, ritrovando un pò il sorriso.
Adesso, me la riporta alla mente ancora più nitidamente.
" Vuoi essere il mio fratellone? "
Mi pietrifico a quelle parole; dapprima rischio di risponderle male, penso che farei meglio a dirle di lasciarmi in pace.
Ma, Cristo, è una bambina!
Non posso trattarla a quel modo.
In fondo, lei sta solo cercando un pò di conforto... offrendomi il suo.
" D'accordo. " rispondo, e lei non riesce a trattenere un'esclamazione di pura e semplice felicità.
L'ho fatta sorridere... beh, è un traguardo niente male.
Passiamo la giornata a chiacchierare, tanto che mi sono sorprendentemente reso conto che, se m'impegno, so essere un tipo piuttosto loquace.
Lei, come pressochè tutti i bambini della sua età, non smette mai di parlare, di tutto.
Della scuola, dei suoi amici, dei suoi giocattoli... perfino del fidanzatino che l'ha mollata qualche giorno fa dicendole che ha incontrato una bimba più carina di lei.
Ma nonostante ciò, sorride alla vita.
Anche se suo fratello non c'è più, e se quel ragazzino un pò troppo precoce l'ha lasciata, ha la forza di andare avanti.
La invidio, moltissimo.
E' esattamente come io vorrei essere.
Ed è esattamente com'era Claire.
Fiera, sincera, con tanta voglia di vivere.

La guardia passa più volte davanti alla mia cella, ogni volta aggrottando un sopracciglio.
Chissà che sta pensando.
Eppure, stranamente, non mi rimprovera.
Per la prima volta.
E' giunta l'ora di cena, ed Anne deve scendere al piano di sotto perchè i genitori l'hanno chiamata.
" Allora ci vediamo dopo, fratellone! " esclama, facendomi un cenno di saluto con la mano.
" Ma non dovresti andare a letto presto? " scherzo.
" Non se ne parla, io dopo voglio continuare a chiacchierare con te! "
Eccola, la stessa testardaggine di Claire.
La piccola è scomparsa dietro le tende, e a me non resta che rimettermi seduto su quella branda ad aspettare che vengano a chiamarmi per la cena.
In altre parole, più semplici, ritorno alla realtà.
Alla crudele realtà.
Mi viene da pensare che è una giornata alquanto strana.
Un contatto umano... seppur non a " distanza ravvicinata ".
Sento uno strano calore dentro di me, quasi una forza che mi cresce dentro.
Non devo perderla, non posso perderla.
A costo di farmi rimproverare, picchiare, sputare in faccia, ogni giorno mi affaccerò a quella finestra.
E dietro a quelle sbarre che m'imprigionano inesorabili, potrò osservare il più puro splendore esistente.
Potrò finalmente imparare di nuovo a sorridere.
" Jacob! Ehi, andiamo, muoviti! " esclama la guardia.
Lo guardo e lui spalanca gli occhi stupito.
" Che hai da guardare? Muoviti, veloce, o ti lascio qui! "
E' la prima volta che lo guardo in faccia; di solito, ogni volta che veniva a chiamarmi, tenevo lo sguardo basso, fisso sul pavimento.
Adesso però lo sto osservando attentamente; la sua espressione è sempre, costantemente accigliata, e gli occhi scuri non trasmettono che odio e rancore, più o meno come i miei.
Chissà, probabilmente anche lui ha sofferto molto nel corso degli anni.
E penso che forse ci somigliamo più di quanto credessimo.
Lui si differenzia da me solo solo nella sua assoluta sincerità nell'esprimere quel che pensa.
Se sapesse a cosa sto pensando, di certo mi prenderebbe a pugni sul naso.
Essere paragonato a me, penso che per lui sarebbe la peggiore offesa che potrebbe ricevere.
Così rimango silenzioso ma stavolta tengo la testa alta, percorro il corridoio guardando all'interno delle altre celle;
in un angolo di quella di fronte alla mia noto un topolino che mi osserva curioso, quasi a chiedersi che ci faccio lì.
Le altre facce che vedo somigliano tutte più o meno alla mia; pallide e immobili, non trasmettono alcuna emozione.
Arrivo nella grande sala nella quale entro due volte al giorno, e mi siedo al solito tavolo, stavolta senza il bisogno di convincenti spintoni del mio " amico ".
Mi guardo un pò intorno ma non vedo Alex; non percepisco nemmeno la sua alquanto chiassosa presenza.
Mi chiedo dove sia finito.
Mangio da solo lontano dagli altri, lasciando metà cibo nel piatto; non ho affatto fame.
Ho uno strano groppo in gola.
Quando mi alzo e mi dirigo verso la porta, lui mi segue, puntellandomi la schiena con un manganello.
" Che c'è, adesso sei diventato schizzinoso per quanto riguarda il cibo? " mi dice, sprezzante.
" No, non mi sento bene. "
Incredibile, per la prima volta, ho detto la verità.
" Oh, e cos'hai? Ti manca la mamma? " mi canzona, insensibile.
Non rispondo, mi limito a camminare.
Improvvisamente un'agghiacciante visione mi blocca sul posto.
" Ehi, che c'è? "
" A... a... " non riesco a pronunciare quel nome.
Sto fissando la cella di Alex, è aperta.
Le altre guardie del carcere stanno portando via un corpo senza vita, coperto di sangue.
{ Sangue, urla di dolore, morte. }
" Alex! " esclamo, attirando l'attenzione di tutti.
" Oh, lui... pare si sia suicidato rubando un coltello oggi, a pranzo. "
" Come...? "
Rimango letteralmente sconvolto.
Proprio lui, che aveva sempre il sorriso sulle labbra, su quel volto dai lineamenti fini, quasi femminei.
Lui che cercava di infondermi prepotentemente la sua voglia di vivere nonostante tutto... ora è qui, davanti ai miei occhi increduli, a terra, esanime.
Viene trascinato senza alcuna accortezza per quel corridoio, lasciando dietro di sè una scia di sangue.
I suoi occhi sono chiusi e sul viso non scompaiono smorfie di dolore; sembra quasi felice.
Mi porto una mano alla bocca cercando di trattenere un conato di vomito; nulla da fare.
Sotto gli occhi schifati dei presenti, rigetto sul pavimento già abbastanza sporco, sentendomi quasi soffocare.  
{ Vorrei morire in questo fottuto istante. }
" Ma che schifo! Và a vomitare da un'altra parte, idiota! " mi urla uno di loro, mentre cerco di trovare la forza per rialzarmi in piedi.
Le costole mi fanno un male tremendo, tanto che non riesco a non gemere, quando qualcuno mi afferra il braccio sinistro alzandomi di forza.
" Dovremmo far pulire a te questa merda! " mi gridano contro, mentre gli occhi, per la prima volta da quando sono entrato in questo posto, mi si annebbiano.
Lacrime.
Era da tanto che non facevano capolino, mi mancavano quasi.
Ipotizzo siano causate dallo sforzo, non voglio credere di poter piangere per una persona che per me, alla fin fine, non ha mai significato nulla.
Vengo trascinato nella mia cella la cui porta si chiude con un tonfo sordo, con il tizio che mi guarda rabbioso.
" Non fare mai più una scenata del genere, o altrimenti sarà la volta buona che getterò questa chiave in un pozzo! "
Ovviamente, non rispondo.
" Che c'è, hai perso la lingua adesso? Dì un po', come ha potuto impressionarti quella scena? Sei tu il mostro che ha fatto fuori i suoi genitori a coltellate! Dovresti esserci abituato! "
No, non sono abituato affatto.
Quel giorno, davanti a me non avevo i volti terrorizzati dei miei genitori, non ho visto il sangue che colava copioso.
Vedevo unicamente la mia vendetta.
Una strana sensazione e, seppur sbagliata, estremamente eccitante.
Quello non ero io.
Eppure sono andato di persona a costituirmi.
Che diavolo mi è successo?
Ripensando al corpo martoriato di Alex, faccio luce su tutti i miei errori.
Facendomi forza, guardo quell'uomo negli occhi e mormoro:
" Mi dispiace... "
E sono dannatamente sincero, stavolta.
Mi dispiace per essere stato un figlio degenere.
Mi dispiace di non aver accompagnato Carlie fuori quel maledetto giorno.
Mi dispiace, di aver affondato quel coltello da cucina nel petto di mia madre, e nella gola di mio padre.
Mi pento.
Come se servisse a qualcosa.
E piango, piango come un bambino.
Singhiozzo rumorosamente, sotto il suo sguardo sempre più sorpreso.
" Sei proprio strano, tu. " commenta.
" Già... è vero. " dico io.
E' vero, sono fottutamente strano; poche ore fa sostenevo di non avere nulla di cui dovermi pentire, adesso invece eccomi qui, disperato come non mai, a ripensare al passato.
A chiedere scusa.
Lui se ne va, lasciandomi solo col mio dolore.
Resto per un pò ranicchiato a terra, nascondendo il volto fra le mani, provando a fermare le lacrime.
Dopodichè mi ricordo di lei.
Dell'unica nota positiva di questo schifo di giornata.
L'unico raggio di luce.
Salgo sullo sgabello e mi affaccio alla finestrella; nella sua cameretta la luce è accesa.
Sono tentato di chiamarla, ma preferisco evitare.
Da dietro le tende noto tre figure; due sono alte, ed una invece piccola.
Anne e i suoi genitori, indubbiamente.
Una delle due figure più alte si avvicina alla piccola, unendosi a lei in un abbraccio colmo d'affetto, ai miei occhi celato da quello strato di stoffa.
Eppure lo vedo, lo posso tranquillamente immaginare.
Chissà cosa si stanno dicendo.
Fra poche ore è il suo compleanno, le staranno già dando i regali?
D'improvviso le due figure si allontanano e a quanto pare escono dalla stanza; la piccola muove la tenda, e si affaccia.
Con mio grande, e certamente non positivo stupore, vedo che il suo viso è coperto di lacrime.
" Che succede? " le chiedo preoccupato.
" Mamma e papà hanno detto che se ne andranno... che se andranno per sempre... " singhiozza.
" Cosa? E' perchè? "
" Aiutami fratellone! Aiutami ti prego! "

{ " Aiuto! Aiuto, aiutatemi vi scongiuro! "
" Fratellone... mi fa male... tanto male! Aiutami! "
" Lo so, stai tranquilla, tieni duro, adesso verranno a salvarti! "
" Fratello...ne... "
" Claire, sì sono qui, non ti lascio... "
" Fa tanto... male... "
" Lo so... lo so... cazzo, qualcuno chiami un ambulanza! Ehi! "
" Sai... frate...llone... "
" Sì, dimmi... dimmi tutto... "
" ...ti... voglio... "
" ...bene... "
" Claire... ehi, Claire... "
" Claire!!! "
" ... " }

La testa mi scoppia.
Fa male da impazzire.
Le sue urla disperate scuotono le mie membra.
E' tutto come quel giorno.
" Aiuto... non voglio rimanere sola... "
" Perchè... perchè vogliono andarsene? " le chiedo, cercando una spiegazione a quanto sta accadendo.
" Perchè vogliono raggiungere il mio fratellone... non possono stare senza di lui... e io rimarrò sola... "
Cosa? Intende dire... che hanno intenzione di suicidarsi?
" Ma... ma come? "
" Aiuto... aiutami... "
Che posso fare per aiutarla?
Come posso sperare di fare affidamento sugli individui che stanno al di fuori di questa cella?
Eppure, non ho altra scelta.
" Aspetta, vado a chiamare aiuto! " esclamo, ma lei urla un NO che mi raggelare il sangue nelle vene.
" Mi devi aiutare tu... mi devi aiutare... mi fa male... fa male... "
Rabbrividisco.
Le stesse identiche parole.
" Aiuto.... fratellone... "
" BASTA! " urlo, straziato da quelle suppliche.
Non posso più sentirle.
Non ce la faccio più.
" Ehi, che cazzo succede qui? " chiede la guardia, sopraggiungendo velocemente.
Per l'agitazione cado dallo sgabello e batto violentemente la testa sul lavandino.

BUIO.

Mi risveglio su di un letto, le lenzuola sono bianche; mi guardo intorno e noto che anche le pareti della stanza in cui mi trovo, sono del medesimo colore.
Pare un ospedale.
Mi alzo a fatica a sedere, facendo mente locale.
Ricordo che sono caduto da quel maledetto sgabello, e poi ho avvertito un dolore atroce; fra l'altro, mi fa ancora male, la testa.
Poi, ripenso a lei.
Come starà?
Dannazione, l'ho lasciata sola!
O forse, spinti da un umanità comunque ben celata chissà dove nella loro anima, quelli che erano lì si sono preoccupati di soccorrerla.
Sento la porta aprirsi con un cigolìo.
" Ecco il paziente, dottore. "
Entra un uomo sulla cinquantina, alto e corpulento.
Mi squadra attentamente, soffermandosi sul mio volto, che tradisce preoccupazione.
Mi si avvicina, mi afferra il viso fra le mani e mi controlla ancora meglio.
" Che... succede? "
Trovo la forza di chiederlo, mentre lui mi guarda sconsolato.
" Dove sono? "
" Sta bene. O almeno, fisicamente. " commenta, rivolgendosi a quella che presumo sia un infermiera, una ragazza carina che mi osserva con sguardo triste.
" Ehi... mi spiegate... "
" Stà calmo, ragazzo. E vieni con me. " mi invita.
" Dove? "
Non mi risponde e mi accompagna in una sala, facendomi sedere su una comoda poltroncina.
Di fronte a me, due persone dall'aria seria mi guardano come se fossi... non saprei dire cosa.
" Si sieda, la prego. " dice la donna, avvolta in un sobrio abito blu scuro.
Faccio quel che mi dice, chiedendomi silenziosamente perchè.
" Dunque, può dirci qual'è l'ultima cosa che ricorda? " mi chiede invece l'uomo.
Non capisco... perchè mi ha fatto una domanda così assurda?
" La bambina... l'avete aiutata... per favore, ditemi di sì! "
Loro si scambiano uno sguardo, poi scuotono il capo.
" Di quale bambina parla? "
" Come? Di Anne! La bambina che abita nella casa vicino al carcere! " spiego, agitando le braccia.
" Stia calmo, per favore. Ha mai fatto uso di droghe in carcere? Qualcuno gliela passava? " mi chiedono, ed io spalanco gli occhi, sbigottito.
" Cosa? Assolutamente no! Mi state forse prendendo in giro? "
" Semmai è lei che ci sta prendendo in giro, signore. " borbotta la donna.
E in questo momento provo un irrefrenabile impulso di saltarle addosso e strappargli dalla faccia quell'espressione odiosa.
" Io non prendo in giro nessuno! Sto dicendo la verità! "
Loro mi guardano sconsolati.
Che cazzo sta succedendo?
" Venga con noi, la prego. "
Mi fanno salire in un'auto, ed io guardo continuamente fuori dal finestrino, senza fiatare.
Corrono alberi e case davanti a me, mi sento stranamente malinconico.
Ad un certo punto, mi rendo conto che è la strada per tornare alla prigione.
" Mi riportate là dentro... nessuno vuol fare qualcosa per lei...? " insisto, ma loro non mi degnano d'alcuna risposta.
Stiamo per arrivare.
Guardo meglio, cercando di scorgere una qualche presenza, nel cortile di quella lussuosa villetta dalle pareti di quella piacevole sfumatura di azzurro...
" Ehi, ma... "
Che diavolo...
Deserto. Attorno al carcere, deserto.
" Signore... quand'è stato portato qui, cos'ha visto al di fuori della struttura? "
" Non... non ho mai guardato bene... non ero in condizione... suppongo. " rispondo, confuso.
Quella casa non sorge lì.
Non c'è.
Dov'è?
" Mi dispiace dirvelo, ma temo che abbiate avuto una sorta di visione, riguardo la bambina di cui tanto parlate... "
" NO! NON E' VERO! Lei esiste! Lei mi chiedeva aiuto! " protesto, e qualcuno dietro di me mi blocca le braccia e mi impedisce di muovermi.
" Ci hanno parlato del vostro passato... evidentemente, per il troppo dolore per la perdita di vostra sorella, vi siete costruito un mondo immaginario al di fuori della prigione, un mondo in cui viveva una bimba che somigliava a vostra sorella. " mi spiegano, con calma.
Possibile?
Era tutta... un'illusione?
Mi accascio a terra, fissando l'asfalto.
" Non... ci credo. State... mentendo... "
" Niente affatto. Ci dispiace tanto. Quella bimba di cui parlate non esiste, non è mai esistita. Avete subito un grosso shock quando vostra sorella è morta, è comprensibile. "
" No... " singhiozzo, vergognandomi come non mai.
E' stata tutta una fottutissima illusione.
Creata da me.
Anne non è altro che una maschera, che cela dietro di sè la mia Carlie.
Mi sento mancare.
Sono pazzo, fottutamente pazzo.
Molto più di quanto credessi.
Perdo i sensi.

BUIO. DI NUOVO.

Gli uccellini cinguettano fuori dalla finestra... perchè in questa stanza c'è così tanta luce?  
Apro gli occhi, sbatto le palpebre diverse volte per mettere a fuoco il luogo in cui mi trovo.
Non è la prigione.
Non è neppure l'ospedale.
D'improvviso un urlo turba la quiete.
E' spaventoso, mi costringe a sussultare.
Mi guardo intorno, e noto delle foto attaccate alle pareti.
Sono in bianco e nero.
Mi alzo per osservarle meglio, e un brivido mi percorre la schiena.
Non riesco a crederci.
Un collage di foto; in una un grande edificio, nell'altra... proprio la stanza dove mi trovo io.
C'è una didascalìa; prendo coraggio, e la leggo.

" MENTAL HOSPITAL* "            
* [ MENTAL HOSPITAL : Manicomio, ospedale psichiatrico. ]

Beh... non sono propriamente meravigliato.
Tanto lo so, l'ho sempre saputo.

" Va bene così. Alla fine non cambia nulla. Al risveglio mi ritrovo solo. Come sempre. "
Mi ributto sul letto, addormentandomi quasi subito, con la mente a rievocare momenti lontani, a sognare sorrisi, e complici sguardi.
Mi sembra di sentire un piacevole calore che mi accarezza il volto.
Sto sognando.
Non è che un'illusione.
Sono solo, maledettamente solo.
E lo sarò sempre.

Un sussurro.

" No, fratellone, non sarai mai solo... io sarò sempre al tuo fianco. "


The End



Special Thanks to:

Valentina, Claudia, Elly, la mia mogliettina, Lolly, ShinyaChan, Lenus, e a tutti coloro che ogni giorno mi stanno vicini e mi sostengono.
Grazie di esistere, sul serio! <3

Un ringraziamento speciale anche ad Akane, organizzatrice e giudice del concorso, e agli altri concorrenti.

~

Spero che la storia vi piacerà, mi piacerebbe ricevere un parere, anche poche parole; e, ovviamente, anche se non vi è piaciuta.
Le critiche sono sempre stimoli a migliorare. ^_^

  
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