Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: Ranyadel    27/05/2014    8 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Create your own banner at mybannermaker.com!

Remember when

Mi svegliai avvolta in un tenero abbraccio. Sorrisi quando aprii gli occhi e mi ritrovai davanti a Luke, che dormiva. Le parole della sera precedente echeggiavano ancora nelle mie orecchie e non sembravano intenzionate ad andarsene. Per fortuna, perché non intendevo lasciarle andare facilmente.

Tentai di svegliarlo con un piccolo bacio sulla fronte. A dire il vero, ci misi un po’ di più, tanto che per un attimo considerai l’idea di lasciarlo dormire in pace. Guardai l’orologio, erano le sette e mezza. Mezz’ora dopo sarei dovuta essere al lavoro, dopo tanto tempo, così mi alzai, facendo attenzione a non svegliarlo. Di solito riuscivo subito, quindi, se non si svegliava, significava che era davvero stremato. Mi vestii in fretta e scesi al piano di sotto, dove trovai Manuela e Carol già in piedi, che sorseggiavano caffè. “Giorno!” dissi, mentre mi avvicinavo al ripiano di marmo, dove la sera prima avevo lasciato in infusione il mio tè di karkadè. “Io l’ho sempre detto, che sei una vampira!” mi disse Carol quando mi vide bere il liquido rosso. Ridacchiai, mentre cercavo i miei biscotti, e sottolineo miei. Sentii dei passi sulle scale e Luke fece la sua entrata in cucina, assonnato. “E tu che ci fai qui?!” esclamò Manuela, attonita. Io e lui ci mettemmo a ridere. “Ho dormito qui, siamo tornati tardi ed eravate già a letto” spiegò. “Si spiega tutto” disse Carol con un risolino. Io mi fiondai fra le sue braccia. “Ciao, amore!” mi sussurrò. “Amore?! What?!” fece Carol. “Ok, ne parliamo dopo!” liquidai in fretta la sua domanda. Andammo in sala, dove potevamo stare da soli. Lo baciai dolcemente, ancora avvolta fra le sue braccia. “Perché in piedi così in fretta?”

“Dobbiamo andare al lavoro.”

“Me ne ero dimenticato” mi disse.

 

Circa un’ora dopo, eravamo in negozio. Luke ci aveva lasciato da sole, dicendo di avere un impegno. In effetti, era meglio, per la mia attività: non mi sarei concentrata, con lui.

Accesi il computer, dato che non avevo niente da fare, e inserii la chiavetta che mi portavo sempre dietro. Iniziai a curiosare nelle foto, trovandone molte che non ricordavo nemmeno di avere. Ad un certo punto, trasalii: avevo trovato una foto di me ed Emma da piccole. Avevo dieci anni, lei tredici, ed eravamo al parco, dove ci divertivamo a fare ghirlande di fiori. Subito dopo quella foto, un video di lei che, utilizzando un filo d’erba, fischiava e poi scoppiava a ridere. Mi vennero le lacrime agli occhi. Feci scorrere le foto in fretta, mentre i ricordi mi invadevano. Mi scappò un singhiozzo. “Dio, Emma, mi manchi…” dissi con voce rotta. Sentii il campanello e mi asciugai in fretta le lacrime. Era Luke. “Ciao piccola, come… Coco, perché piangi?” mi chiese subito. “Niente, tranquillo” feci, senza crederci davvero. Lui aggirò il bancone, in tempo per vedere una foto recente di Emmaline. “Aspetta un momento, chi è lei?!” mi chiese. “Emmaline, perché?” domandai confusa. Lui sgranò gli occhi e imprecò. “Luke?” feci di nuovo. “C’è un problema” disse, preoccupato. “Cosa succede?” chiesi di nuovo. “È… in città. L’ho vista prima.” Io mi sentii morire. “Sei sicuro?!” chiesi. Lui annuì. “Era lei, davvero” rispose. Io schizzai in piedi. Senza pensarci, uscii dal negozio. “Coco, aspetta!” urlò Luke dietro di me. Io non lo sentii, ero troppo impegnata a cercare Emmaline. La gente si scansava al mio passaggio, spesso urlandomi dietro. Io continuavo a prendermi storte sui tacchi, nonostante essi fossero bassi.

Improvvisamente, mi fermai, sdrucciolando sul marciapiede.

Ero incoerente. Prima scappavo da Emmaline e da tutto quello che mi legava a lei, rifiutandomi di leggere le sue lettere e di scriverle, o chiamarla. Cercavo di tagliare tutti i contatti con quella sorella che di simile a me aveva solo gli occhi azzurri e i capelli biondi.

E in quel momento, correvo a cercarla, come se da questo dipendesse la mia vita.

“Ma che sto facendo?” mi chiesi presa dallo sconforto. Mi guardai attorno, notando di essere a due passi da casa mia. Il mio cervello era completamente spento, quindi i miei piedi mi avevano riportato a casa. In quel momento, li ringraziai.

Mi diressi verso casa mia, entrai e mi chiusi la porta alle spalle. Poi, attratta da quella forza che mi aveva fatto correre fino a quel momento, mi sdraiai a terra. non avevo saputo resistere, così come non seppi resistere alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, singhiozzi tanto insensato quanto inarrestabili. E non sapevo nemmeno perché piangevo.

Improvvisamente, il mio sguardo finì su di loro. Sulle tre lettere di Emma. Quanto tempo ero scappata da quelle parole? Quanto mi sembravano insormontabili?

Eppure era l’unico modo per sapere cosa stava succedendo. Perché Emmaline era in città? Non capivo.

“Oh, al diavolo!” esclamai, alzandomi di scatto e prendendo le lettere. Mi asciugai le lacrime con il bordo della manica, per non rischiare di bagnare le pagine, e aprii la più vecchia. Presi un gran respiro. Mesi di fuga, per poi ridurmi a quel punto. Ormai non potevo più tirarmi indietro. Riconobbi subito la sua scrittura rotondeggiante e disordinata. Scriveva ancora in stampatello, come quando elaboravamo le nostre storie insieme.

Ciao Coco,

Come stai? Lo so, è una domanda stupida. Eppure la mia psicanalista dice che è normale iniziare così, e dato che sto cercando di tornare una persona normale, non so. Mi sembrava sensato, anche se adesso mi rendo conto che mi sbagliavo.

Come sto io? Uno schifo. Perché circa un’ora fa sono uscita dalla mia ennesima crisi e mi sono ricordata quello che è successo. Tu sei entrata nella mia camera, nella mia prigione d’oro, con Manuela e Carol e… e io non ti ho riconosciuto. Ti ho urlato contro, gridando di andare via, e ho visto le lacrime nei tuoi occhi. Come se ti avessi spezzato il cuore. È andata così, vero? Non è solo un’altra delle mie visioni, vero?

Non so distinguere la realtà dalle visioni. Tutti dicono che sto migliorando, ma non ci credo nemmeno io.

Mi sento un mostro, un fenomeno da baraccone. E la cosa peggiore è che ti ho allontanato. Ho paura che tu mi odi. Che tu non voglia più vedermi.

Ho bisogno di te, Coralie. Anche se forse non posso essere considerata più una sorella, per tutto quello che ho fatto… ti prego, ti scongiuro in ginocchio, non escludermi dalla tua vita. Non lo sopporterei. Mi sento così male… la psicanalista dice che non è colpa mia, ma non riesco a pensare ad altro che al tuo sguardo. Compare nelle mie visioni, nei miei sogni, dappertutto. E non riesco più a sopportare la consapevolezza di averti fatto del male.

Ti ricordi quando eravamo bambine, che andavamo sempre al parco dietro casa? Tu eri piccola, avevi cinque anni, quindi probabilmente non ti ricordi cosa è successo, ma io sì. Il giorno prima aveva piovuto e c’era del fango. Tu sei inciampata e sei finita in una pozza, con la tua tigre di pezza, che si è graffiata e sporcata, e tu eri disperata, pensavi solo a lei, senza capire che eri tu quella più sporca e graffiata, con le mani e le ginocchia sbucciate. Sei andata alla fontana e hai lavato la tua tigre, Daina, fino a quando non è tornata quasi come nuova, tranne quel graffio che dopo mamma ha ricucito. E tu eri felice, mentre abbracciavi quel pupazzo fradicio e con una zampa graffiata, perché sapevi di aver fatto il possibile per farlo tornare come prima, e sapevi anche che nonostante tutti i lavaggi o tutte le volte che l’avresti ricucito quell’episodio sarebbe rimasto, ma non ti importava. Eri felice di quello che avevi raggiunto con le tue forze. Avevi lavorato tanto per guarire quel tigrotto bianco, e dopo averlo lavato hai continuato a giocarci, felice, ed io non capivo, perché tu eri ancora sporca di fango, ma non te ne importava.

Ora invece credo di aver capito, e spero di non sembrare presuntuosa se provo a paragonare quella tigre a te e la Coralie bambina a me. Ci ho gettate nel fango, ma non mi importa di me. Voglio solo ripulire te di quello che ti ho lasciato, anche se so che ti ricorderai per sempre, perché il cuore si può guarire, mentre i ricordi rimangono. Spero solo che tu mi possa perdonare se ti ho tirato nel fango con me. Voglio fare tutto perché almeno tu possa uscirne, perché sei troppo importante, troppo pura, per affondare con me.

Perdonami,

Emmaline.

Quando finii di leggere, le lacrime avevano invaso di nuovo il mio viso. Accarezzai quelle pagine, come se potessero riavvicinarmi alla sorella che avevo deciso di perdere. Ricordavo quell’episodio, marchiato a fuoco nella mia mente come lo possono essere solamente gli episodi insensati, quelli che anni dopo ti fanno chiedere: “Perché ricordo questo e non qualcosa di importante?” per poi renderti conto che sono quei ricordi, quelli importanti, da conservare, e che nonostante tu non voglia essi rimangano. Aprii la seconda lettera.

Ciao Coco,

Dato che non hai risposto alla mia lettera, ho pensato di inviarti questa, sperando che tu non abbia ricevuto la prima, o che l’abbia letta senza rispondermi. Non riesco a pensare che tu possa averla ignorata… non ci riesco. È più forte di me.

Ricomincio. Come stai? Te lo chiedo sempre per via della psicanalista, che sta cercando di insegnarmi a tornare nel mondo normale. Sai, ormai sono una preclusa da anni. Precisamente, 1248 giorni. Lo so, sono pazza solo a contare i giorni che sono qui, ma così come i carcerati contano i giorni che mancano alla scarcerazione, io conto i giorni che mancano alla libertà. Questo posto non è tanto diverso da una prigione. Ho anche l’ora d’aria, sai? Da domani potrò uscire. Mi porteranno al parco. Sai, mi manca il guinzaglio e sono il cagnolino perfetto.

L’altra volta ti ho raccontato di quella volta al parco. So che forse fare un tuffo nel passato con me non ti importa, ma i ricordi fino ai quattordici anni sono le uniche cose che non mi tradiscono. Non sono alterati dalle visioni, e parlarne mi aiuta a concentrarmi sull’argomento senza divagare e perdermi nei miei pensieri. Come facevo nei temi.

Ti ricordi, quante volte la prof mi ha fatto rifare i temi? O quante volte tu mi riprendevi, mentre scrivevamo, perché perdevo di vista l’obiettivo? Ti ricordi quando volevamo diventare grandi scrittrici? Avevamo tante idee e ci divertivamo a svilupparle nei modi più strani.

Mi ricordo che tu odiavi quando proponevo di far separare una coppia. Mi dicevi ogni volta che l’amore vero è per sempre, e ti rifiutavi di far avere solo semplici storielle ai protagonisti. Volevi che comunque avessero qualcuno su cui contare, sempre. E io ridevo, dicendoti che indossavi ancora gli occhiali rosa, e tu non capivi. Te li ricordi, gli occhiali rosa? Quelli che fanno vedere tutto il mondo come un posto stupendo, dove l’amore trionfa sempre e non esistono le cose brutte. Quegli occhiali che hanno tutti i bambini, con gli occhi pieni di sogni e il cuore pieno di speranze. D’altronde, eri tu stessa una bambina, a undici anni.

Volevo dirti che ho finito di leggere “Look into my eyes”. È davvero stupendo, e comunque i tuoi personaggi non si separano. Sei sempre tu, in qualsiasi cosa fai. Non sei mai cambiata e, ti prego, non farlo mai. Sei già perfetta così.

Look into my eyes… come te. Mi ricordo che ti bastava uno sguardo per capire come stavo, così come a me bastava leggere le tue parole per capire il tuo stato d’animo. Eravamo speciali, da piccole credevamo di avere i superpoteri. Se ci penso mi viene da sorridere.

Ti prego, permettimi di dimostrarti che non sono cambiata. Che in fondo, sono ancora io, che la malattia non mi ha trasformata, che la vera me esiste ancora.

Ti prego, io sono ancora qui.

Emmaline.

Leggendo, mi venne da piangere ancora di più. Mi sentivo terribilmente in colpa per non aver dato una possibilità ad Emmaline. Mi resi conto solo in quel momento quanto mi fosse mancata. Aprii la terza lettera, incapace di mantenere le lacrime. Sarei esplosa da un momento all’altro.

Ciao Coco,

Dato che non hai risposto alle prime due lettere, credo che non ti importi più di me. Ti capisco, davvero. Eppure, non riesco a smettere di scriverti, è più forte di me. Ti prego di sopportarmi ancora per questa lettera, poi smetterò.

Non m’importa di iniziare con il “come stai?” che ho usato ultimamente. Ormai non voglio più fingere, sono malata e basta. Ci sono novità, però.

Ti ricordi quando sei stata male, a dodici anni? Avevi la febbre alta ed eri sempre giù di morale. Stavi sempre chiusa in casa, avevi male ovunque e non volevi farti vedere in giro. Poi ti ho obbligato ad uscire e sei guarita. Era solo l’aria fresca, che ti mancava. È stato questo a guarirti, ricordi?

Bene, lo stesso vale per me. La mia psicanalista ha notato che sono migliorata, dopo diverse uscite in mezzo alla natura. Le visioni sono diminuite, o comunque ho iniziato a rendermi conto quando potrebbero essere, appunto, visioni, oppure no. Quindi, hanno deciso di fare una prova. Mi fanno uscire, per un mese, ma dato che non saprebbero dove mandarmi, ho chiesto di poter venire da te.

Anche se non ti importa più niente di me, vorrei solo poterti vedere un’ultima volta, per potermi scusare. Poi troverò qualcosa da fare, probabilmente tornerò all’ospedale psichiatrico, eppure sto facendo carte false per poterti vedere. Sono patetica, ma ne ho bisogno, un bisogno vitale. Anche se tu, forse, non vuoi sentirmelo dire, sei mia sorella, e voglio dimostrare che sei importante per me. Vorrei tenerti lontano dai miei problemi, ma non posso fare a meno di aver bisogno di te. Ti prego, permettimi solo di dimostrare tutto quello che ho scritto, altrimenti sarebbero solo parole su tre fogli di carta.

Ti voglio bene,

Emmaline.

Quello fu ciò che mi fece esplodere. Ti voglio bene, aveva scritto. Era tanto, che non lo sentivo da lei, nonostante le sue parole. Scoppiai a piangere, mentre le mie lacrime bagnavano i fogli. Notai solo in quel momento altri segni di lacrime, che non avevo causato io. “Emma…” sussurrai in mezzo alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, senza potermi trattenere.

Mi alzai e il mio sguardo si posò sullo specchio. Il mio riflesso era l’immagine di una ragazza distrutta, scossa dai singhiozzi, con gli occhi gonfi di lacrime e il viso paonazzo. Nei miei occhi si leggeva un sentimento strano, rimpianto e disperazione al tempo stesso, e…

Un momento.

Io non ero mai stata capace di leggere nei miei occhi.

Mi fiondai sullo specchio. “Emma”, dissi solo. Volevo premere i tasti neri del pianoforte nei miei occhi. Le iridi si accesero per un attimo, che mi bastò a capire.

Non ero arrabbiata con Emmaline, o delusa. Ero col cuore spezzato, certo, perché lei non mi aveva riconosciuta.

Ma non era colpa dell’odio, o del rancore, se mi ero tenuta lontana da lei.

Era solo colpa della paura, paura che potesse non riconoscermi di nuovo.

Paura, perché le volevo troppo bene per mettere di nuovo in gioco il mio cuore.

Mi strappai le lacrime dal viso con uno scatto. Ripensai alle lettere di Emmaline, a tutte le sue parole.

Dovevo trovarla.

 

Dieci minuti dopo, ero in città, che cercavo mia sorella. Eppure la città era grande, dove avrei dovuto cercarla? Decisi di provare con il parco, dati i suoi continui riferimenti alla natura. Avevo ragione: in lontananza, vidi i suoi capelli chiari. La sua figura era inconfondibile e mi resi conto quanto fosse vivo in me il suo ricordo. Anche se non me ne ero mai resa conto, Emmaline aveva occupato i miei pensieri e il mio cuore tutto quel tempo.

Forse fu a causa del mio sguardo fisso su di lei, che mia sorella si voltò. I nostri sguardi si incrociarono e in due secondi fu come se avessimo recuperato tutto quello che avevamo lasciato in sospeso. Era come un discorso interrotto, che poi viene ripreso con un: “Dove eravamo rimasti?”

Trattenendo un singhiozzo, corsi verso di lei. Affondai fra le sue braccia, inspirando il suo profumo così famigliare.

Era mia sorella e lo sarebbe sempre stata.

“Mi sei mancata” sussurrai con voce rotta.

La sentii tirare su col naso e sussurrare: “Anche tu, sorellina.”

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Ranyadel