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Autore: malukuku    28/05/2014    4 recensioni
Le persone del lago sono il genere di creatura da cui ogni adulto direbbe di tenersi lontano, però la mia amica Undìne è speciale. Non è pericolosa, non mi farebbe mai del male, viene tutte le volte che la chiamo e mi ascolta sempre. Mi vuole bene e io voglio bene a lei.
Non importa se non può uscire dall’acqua. Non importa se è la mia unica amica, l’unica che posso farmi imprigionata in questa villa. Non importa se non sa parlare.
Non importa.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo sempre pensato che la maggior parte degli avvertimenti degli adulti fossero sciocchezze.
"Non arrampicarti sugli alberi”? Stupidaggini, ero agile come una scimmia e leggera come un uccellino; avrei potuto viverci su un albero.
"Non parlare con gli sconosciuti”? Inutile, a casa nostra non venivano mai sconosciuti e io non avevo comunque il permesso di uscire dal terreno della villa. 
"Non mangiare prima di cena”? Assurdo, il mio stomaco era un baratro senza fondo.
"Non avvicinarti al fuoco”, "Non giocare con i coltelli", "Non tirare la coda ai cani”? Pfft, non ero mica stupida!

Per questo non diedi mai nemmeno retta a "Non avvicinarti troppo al lago”.  Oltre al fatto che "troppo" non indicasse la distanza esatta e fosse quindi interpretabile, il lago era l’unico posto in cui trovare qualcuno che non fosse un tutore, un servo o peggio ancora, un parente pizzica-guance.
In effetti le persone del lago erano gli unici sconosciuti che potessi effettivamente incontrare. Parlarci però, spesso non era un’opzione: quasi tutti sapevano solo gracidare o sibilare o fare altri versi di animali. E conoscevo abbastanza fiabe da sapere che gli abitanti del lago in grado di parlare, fossero quelli da cui scappare senza pensarci due volte.

In tutte le mie visite al lago comunque, non ne avevo mai incontrato nessuno che avesse mangiato un cuore umano e potesse quindi rispondere al mio eterno cianciare.
C’era però una bambina dai capelli ondulati, come la superficie dell’acqua sfiorata dal vento, che doveva avere il cuore di un animale intelligente. Non l’avevo mai sentita fare versi quindi non sapevo di che animale si trattasse, tuttavia quando parlavo, mi osservava con grande attenzione; a volte addirittura annuiva!
Dato che più o meno doveva avere la mia stessa età, l’impressione era quella di aver trovato un’amica. Con poca fantasia, la chiamai Undìne.

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Quando fui un po’ più grande, mi misi in testa di insegnarle a parlare. Ero stufa di fare conversazione da sola: volevo qualcuno che mi rispondesse sul serio, non che si limitasse ad annuire o liquidasse le mie parole come chiacchiere da bambina. Iniziai a portare al lago i libri sui quali avevo imparato a leggere ma le prime volte li sporcavo così tanto di fango da ricevere tirate di orecchie e bacchettate sulle mani.
Mi feci più cauta, decidendo di portare ad Undìne libri illustrati che non toccavo più da anni e che nessuno pensava avessi ancora.

A Undìne i libri piacevano moltissimo anche se non riusciva a leggerli. Fu difficile farle capire che con le dita bagnate li rovinava e che non poteva portarseli nel lago. L’unica volta in cui cedetti e gliene regalai uno, me lo restituì offesa il giorno dopo: zuppo, molliccio e del tutto illeggibile.

Nonostante la mia decisione, tutti gli sforzi per insegnarle la lingua umana si rivelarono vani. Se anche la sua figura era umana, il cuore era quello di un animale e per quanto intelligente, nessun cavallo, cane o scimmia avrebbe mai potuto imparare a parlare.  
Era la mia unica amica ma non era diversa da un animale da compagnia.

La realtà era così ingiusta e frustrante che una volta mi misi perfino a piangere, facendo preoccupare Undìne al punto che uscì quasi completamente dall’acqua per cingermi le spalle con le braccia.
Mi fidavo così ciecamente di lei che non temetti nemmeno per un secondo di essere in pericolo. Undìne non era come le persone del lago delle storie: non mi avrebbe mai trascinato in acqua per affogarmi e mangiarmi il cuore.

Per un piccolo, minuscolo istante, nel quale vidi con chiarezza disarmante cosa fosse la mia vita, sperai che invece lo facesse.

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Rinunciai ai tentativi di educare Undìne. Decisi anche di non andare più a trovarla.
Era stupido prendersela con lei per la sua natura ma avevo dodici anni ed ero arrabbiata, infantile e stupida. Tanto, tanto sola.

Nello stesso periodo arrivò un nuovo maggiordomo alla villa. Giovane, di poco più grande di me, simpatico, gentile e pure bello.
Avevo dodici anni: volevo disperatamente qualcuno da amare e che mi amasse.

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Anche se non ero più arrabbiata con lei, non andai da Undìne per interi mesi. L’estate era diventata autunno, freddo e ventoso, quando finalmente tornai al lago.

Dovetti chiamare più del solito prima che una testa piena di capelli castani sbucasse in superficie. Tuttavia il dubbio che si fosse dimenticata il suo nome svanì non appena vidi l’occhiataccia con cui mi salutò. 
L’avevo trascurata per tanto tempo e più o meno doveva avere anche lei dodici anni: era ovvio che ce l’avesse a morte con me. Non mi ero mai fermata a rifletterci ma forse anche lei era sola.

Scacciai il pensiero, concentrandomi invece su quello che avevo elaborato dopo giorni di lacrime e urla soffocate nel cuscino. Ci avevo riflettuto a lungo e con calma, non era una decisione avventata. Era anzi piuttosto logica.
In più avrei dato ad Undìne un modo per vendicarsi di una pessima amica.

Mi sedetti sulla sponda del lago e le feci cenno di avvicinarsi. Naturalmente mi ignorò, voltandosi dall’altra parte.
- Per favore, Undìne. – la chiamai. – Devo dirti una cosa. -

Tutte le persone del lago, in quanto creature dell’acqua, erano sensibili ai suoni e Undìne doveva conoscere quello della mia voce in ogni sua inflessione. Senza dubbio sentì qualcosa che stavo cercando di nascondere.
Solo per questo mi raggiunse a riva, sedendosi accanto a me con i piedi immersi nell’acqua.

Proprio perchè era una decisione che avevo preso da sola, riflettendoci senza fretta, non persi tempo. La guardai negli occhi turchesi. - Voglio che ti prenda il mio cuore. -

Avevo sempre saputo che Undìne capisse tutto ciò che le dicevo ma rimasi comunque sorpresa dall’espressione che mi mostrò. In viso aveva una confusione tale da rasentare l’angoscia.
Scosse la testa una prima volta, per poi chiudere gli occhi e scuoterla di nuovo, più forte. Le presi una mano intuendo stesse per scappare in acqua.

- Non ti sto chiedendo di uccidermi. So che ogni tanto riuscite a convincere gli esseri umani a cedervelo di loro volontà e so che non comporta la morte. Voglio darti il mio cuore in questo modo. -

Vedendola ancora scuotere cocciutamente la testa, la tirai verso di me. - Se avrai un cuore umano potrai parlare e forse addirittura uscire dal lago! La tata diceva che le persone del lago con un cuore umano sono in grado di farlo. Pensa come sarebbe bello! Pensa a tutte le avventure che potremmo vivere insieme nel bosco! -
La voce iniziava a tremarmi dalla rabbia mentre la guardavo cercare di liberarsi dalla mia presa. Le strinsi forte il polso, quasi desiderando di farle male.
Perchè non capiva?

- Sarò ancora viva! Potremo ancora vederci; ti prometto che verrò tutti i giorni! Ti porterò nuovi libri e stavolta potrai leggerli, anche ad alta voce! Potrai raccontarmi tutte le cose che fai tu nel lago e potrai parlarmi di cosa piace a te! Cos’hai da perderci? Perchè non vuoi il mio cuore? -
Undìne si bloccò. Il tempo necessario per paralizzarmi con uno sguardo disperato che per poco mi fece desistere, lasciando che si rifugiasse in acqua da qualsiasi cosa le facesse tanta paura.

Però non capivo quale pensiero la dilaniasse  a tal punto. Non avevo modo di capirlo.
C’erano cose che senza parole era impossibile comprendere.

I sentimenti che leggevo, che avevo sempre letto negli occhi di Undìne, volevo disperatamente sentirli con le mie orecchie. Volevo essere io quella che ascoltava per ore e ore chiacchiere a vuoto, volevo essere io quella che riceveva la promessa che ci saremmo riviste il giorno dopo. Volevo sentirmi dire che ero la sua migliore amica e che mi voleva bene.

Anche se era lei quella con lo sguardo addolorato, fui io che mi lasciai sfuggire un gemito.  Mi strinsi il volto con la mano libera e piegai la testa, avvicinandomi alla sua spalla.
Anche se era lei quella disperata, fui io a far uscire parole spezzate. - Io non... Non voglio più amare, non voglio più provare niente. Ti prego, toglimelo. -

----

Il sole mi batteva tiepido sulla testa. Non era passato molto tempo da quando ero arrivata al lago a quando Undìne aveva smesso di divincolarsi.  I tentativi per trattenere i singhiozzi però, facevano sembrare i secondi di silenzio ore; lo sguardo della mia amica, un macigno.
Non avevo mai desiderato tanto sentire la sua voce.

Quando finalmente si udì un rumore, era quello del suo peso che si spostava sui ciottoli della riva. Undìne si piegò verso di me, cingendomi le spalle con il braccio libero come l’unica altra volta in cui avevo pianto di fronte a lei.
Mi passò la mano sulla schiena, bagnandomi inevitabilmente i vestiti e cullandomi come se fossi una bambina. Ero troppo stanca per riuscire ad arrabbiarmi.

- Ti prego, non pensare che sia un capriccio. Io davvero non voglio più provare niente. Voglio davvero darti il mio cuore. -

La mia amica mi posò la mano sulla guancia, invitandomi ad alzare la testa. Stavolta non c’era bisogno di parole per interpretare il sorriso mesto con cui annuì.
Mi strinse in un altro abbraccio che stavolta ricambiai, sospirando un leggero "grazie".

Undìne si districò con cautela dalle mie braccia e mi posò una mano aperta al centro del petto. Mentre si piegava verso di me per poggiare la fronte alla mia, avvertii una sensazione di fastidio partire dalla sua mano e percorrermi la pelle, le vene, le ossa. Avevo voglia di allontanarla per stringermi il petto con le unghie, esorcizzare la sensazione aliena con il più familiare dolore fisico.
Strinsi i pugni contro le ginocchia e strizzai gli occhi.

Il non respingere ciò che mi stava facendo Undìne richiedeva tutta la mia concentrazione, al punto che quasi non mi accorsi dei suoni che uscivano dalle sue labbra.
Erano mormorii, sospiri e sussurri ma non erano una lingua nè umana, nè animale. Era qualcosa di più primordiale, più vicina all’acqua in quanto essenza che alla vita da essa derivata. Era la pioggia, il torrente e il lago che parlavano.

Prima che potessi riflettere meglio sui primi suoni di Undìne che sentivo, la sua mano si spostò sul lato sinistro del petto. Un arpione o una freccia, la sua magia, me lo trafisse togliendomi il respiro.

Dopo un attimo di bianco accecante, sia il dolore che la sensazione sgradevole sparirono. Presi fiato con la sensazione di essere diventata un batuffolo di nuvole.
Mi lasciai cadere all’indietro sui ciottoli, dove mi accolsero il cielo e il sole pallido, ancora allo zenit.

Undìne si sporse su di me. Nella mano teneva una biglia che brillava alla luce come cosparsa di tanti piccoli diamanti, bianca e levigata ai due poli, irregolare sul resto della superficie.
La ragazza del lago si piegò a darmi un bacio sulla guancia prima di ingoiare il piccolo gioiello.
I suoi occhi si fecero più scuri e la carnagione meno pallida. Quando mi toccò ancora la guancia, le sue dita erano asciutte. Quando parlò, aveva la mia voce.

- Sei cattiva. - A bagnarmi il viso fu una sua lacrima. - Non ti importava non avresti più voluto bene nemmeno a me? -



-- L'Autrice Rantola --
Sono a tirocinio, mi annoio e ho trovato una connessione vagamente decente: pubblichiamo roba su dodicenni che fanno pessime scelte!!!
Vi chiedo scusa per le palate di errori di battitura! FNon mi ero mai accorta di quanto amassi l'autocorrezione dei computer italiani, siiigh
Per gli errori grammaticali invece non ho scusanti ;__;

Oh, e continuo a non saper scegliere il rating per le fic. :V
  
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