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Autore: gaccia    28/05/2014    1 recensioni
Raccolta di one-shot sull'innamoramento, gli incontri che ti possono cambiare la vita, i nuovi sentimenti o quelli vecchi. Prima del matrimonio, prima dei figli, prima del resto della vita. L'inizio che si porta dietro il brivido della scoperta (o riscoperta) del cuore.
Sono tutte shot che partecipano a contest sul forum efp.
1° one-shot "Anche i maestri sbagliano", Classificata seconda al contest "Elements Of An Empty Page"
2° one-shot "Batman e Robin" contest "Emozioni al primo sguardo", premio speciale "Love Story" (Grazie!)
3° one-shot "Sono la tua ricompensa" contest "La ragazza e... la spada".
4° flash-fic. "Un filtro d'amore" seconda al contest "Sai lanciare un incantesimo? [Pagan] Flash Contest" di Aleyiah
5° one shot, "Pranzo di nozze" partecipa al "Contest letterario Booksheels" e al contest "Frammenti di feste"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao a tutti!

Questa storia ha partecipato a due contest in contemporanea: “Frammenti di feste” che scade a luglio. (nel testo troverete parole in grassetto e una citazione da Lorenzo il Magnifico, promt che facevano parte di questo contest) e il “Contest letterario Booksheels”. Questo fa sì che sia un genere… leggermente diverso dal solito, che scoprirete alla fine del racconto.

Buona lettura.

 

 

Pranzo di nozze

 

    Quando la sveglia suona sto ancora guardando il soffitto.

Non ho bisogno della suoneria, sono sempre attivo già prima che primo squillo, ma mi serve per essere puntuale. Soprattutto oggi devo essere puntuale.

Oggi mi sposo.

 

    Chiudo gli occhi e la mia mente vola alla prima volta che l’ho incontrata.

Era una giornata assolata, proprio come quella che viene preannunciata oggi dai timidi raggi di sole che filtrano dietro le imposte chiuse.

Stavo girando nel giardino del college, poco prima del crepuscolo. Mi piace quel momento della giornata. Il sole, appena tocca l'orizzonte, è caldo come se sfrigolasse nell'olio bollente, e mi fa sciogliere qualche cosa dentro. Un calore sconosciuto tra il cuore e lo stomaco... o giù di lì.

Lei era seduta su una panchina di legno praticamente nuova, accanto a un olmo che creava un'ombra quasi notturna tutto intorno. I suoi lunghi capelli biondi rilucevano in contrasto con il buio circostante e le scendevano sul viso, a coprirla ed isolarla dal resto del mondo.

Le spalle esili saltellavano e si stringeva le mani nervosamente. Quando intercettai il suo singhiozzo capii che stava piangendo.

«Perché... piangi?» chiesi con il mio solito modo balbuziente. So che una volta parlavo veloce e senza intoppi, ma dall'incidente... è cambiato tutto. Anche quello.

Lei sollevò il viso e mi sorride. Le guance rigate dalle lacrime erano cosparse di efelidi. Sembrava tenera. «Niente» rispose passando una mano veloce sotto gli occhi. «Stavo solo pensando cose tristi... Non dovrei».

«Esatto... non dovresti... Sei bella... nessuno così be... bello dovrebbe piangere» le dissi cercando di sorridere in modo incoraggiante.

Lei si mostrò stupita per il mio complimento e disse un “Grazie” entusiasta accompagnato da un gran sorriso.

 

    Mi alzo dal letto. Il mio letto da scapolo, e barcollo verso l'armadio per prendere i vestiti da cerimonia. Mi hanno costretto a prendere lo smocking con tanto di fascia blu e farfallino. Strangola. C'è poco da dire. Il mio collo implora pietà, come tutto il resto del mio corpo. Adoro i vestiti larghi, sformati e il solo vestirmi da pinguino... che fastidio.

I miei soliti abiti sono comodi, li sento miei. Questo no. Spero che il negozio se lo riprenda indietro.

 

    «Ciao! Allora sei tornato! Sai che stai bene vestito così?» mi disse due giorni dopo, quando ci rincontrammo. Era sempre alla panchina e non piangeva più. Sorrideva e mi guardava. Quel giorno mi ero messo un calzone cachi con tante tasche e una maglia con l'immagine di una spiaggia tropicale. Mi piaceva quella maglia. Mi faceva sentire il caldo del sole e la brezza del mare anche quando ero in mezzo alla neve. Mi sentivo bene con quelli addosso, per questo stavo bene. Almeno credo che funzioni così.

«Ciao... non... non piangi» constatai io, balbettando come al solito.

Ci fermammo a parlare e il sole tramontò. Era simpatica. Rideva alle sue stesse battute. Anche alle mie, quando riuscivo a dirle in modo chiaro. Mi prendeva in giro, ma in modo bonario. Per una volta mi sentivo bene.

 

    Sono praticamente pronto per uscire. Mi infilo la giacca ed esco. Devo andare solo fino all'angolo a prendere il fiore da mettere all'occhiello. Perché si mette il fiore? Bah! Forse perché il profumo potrebbe coprire qualsiasi odore. Come se ne avessi bisogno.

«Allora è oggi? Auguri!». La fiorista mi consegna il fiore e il bouquet coordinato da consegnare alla mia futura sposa.

Sorrido, chino la testa ed esco. Lei saluta ancora gioviale, convinta che il mio chinare la testa sia stato per timidezza. Invece no, era per vergogna e codardia. Che ci faccio qui?

 

    «Usciamo?».

La sua domanda arrivò dopo cinque volte che ci incontravamo sulla sua panchina. Non capivo cosa mi spingesse a trovarmi sempre lì. Forse era la sua voglia di fare la crocerossina. Alcune ragazze hanno questo chiodo fisso: io ti salverò. Da te stesso, dal mondo, dai tuoi vizi. Dà quasi un senso di onnipotenza. Ed è la stessa onnipotenza che sentivo quando riuscivo a rimanere me stesso, nonostante le sue fatiche. Non mi avrebbe cambiato.

La nostra prima uscita fu battezzata da una pioggia battente. Non riuscivo neanche a capire dove finivo io e dove iniziavano le pozzanghere. Mi sentivo sciolto con il resto nel mondo. Lei no. Era solida. Bagnata ma solida.

Quella sera l'accompagnai sino a casa. O meglio, il taxi accompagnò prima lei e poi me. E mi diede un bacio. Leggero. Sulla guancia. Bagnato anche quello.

«Ciao... ci... ci vediamo... domani» dissi io. Volevo sembrare gentile e fu l'unica cosa che mi venne in mente. L'inizio della fine.

 

    Un taxi mi viene a prelevare quando sono sul marciapiede davanti alla fiorista e mi faccio portare alla cappella romanica dove ci sposeremo. È una cappella graziosa, in periferia. Mi è sempre piaciuta perché è fatta con pietre squadrate, ma il resto è spoglio. Solo muri e finestre. Quando l'ho fatta vedere a lei, le è piaciuta subito. Decidere di fare lì la cerimonia è stato automatico.

Credo che mi sia sempre piaciuta anche prima dell’incidente.

 

    Era già un paio di mesi che uscivamo insieme.

«Mi piace questo rispetto che hai per me. Mi fa sentire così amata e protetta» cinguettò lei una volta, durante una delle nostre passeggiate notturne.

«Non potrei… non avere rispetto» risposi. Lei si riferiva al fatto che non le ero ancora saltato addosso. Ci eravamo abbracciati e le avevo dato qualche bacetto sulle guance. Niente altro. Lei pensava che la rispettassi. Io pensavo che non mi piaceva così tanto. Però non riuscivo a lasciare stare. A non vederla. Una parte di me non poteva farne a meno.

Anche quando mi guardavo allo specchio, verso sera, e mi dicevo «Adesso… ti chiudi in…  in casa e basta» dopo alcuni minuti chiudevo la porta e mi dirigevo verso la famosa panchina sotto l’olmo gigante.

 

    Il taxi mi porta alla cappella romanica. Il piccolo piazzale davanti è pieno di gente. Ospiti della mia sposa.

Io e i miei amici, siamo entrati dalla porticina laterale in legno antico. Loro non avevano voglia di restare sotto il sole cocente e io… per tradizione dovevo aspettare l'arrivo della sposa davanti al banchetto di pietra coperto dalla tovaglia di lino e pizzo e coperto di gigli e rose.

Mi siedo su una sedia della prima fila, accanto agli altri ospiti e, insieme, ci mettiamo ad aspettare tranquilli. Ho lasciato il bouquet accanto all'entrata, vicino alla nonna della mia fidanzata. Speriamo che non si addormenti dimenticandosi di consegnarlo.

Questa attesa mi fa ricordare altri episodi della storia che mi ha portato a questo punto.

 

    «Devo dirti qualcosa di importante» mi disse una sera. Le sue guance scottavano, lo sentivo anche a distanza. «Io ti amo» soffiò. Poi attese la mia risposta.

Il mio cervello, per quanto lento, lavorava vorticosamente per trovare una risposta. Mi sembrava che quella cosa fosse troppo importante, come se avessimo esagerato nei sentimenti.

«Ma… sei, sei sicura? Vo… voglio dire… ci frequentiamo da… poco. Poi, sei… sei sicura? Siamo così di… diversi» balbettai.

Poi vidi il suo viso farsi scuro e abbassarsi. Qualche cosa brillò sotto l’occhio e mi sentii stringere in un posto a metà strada tra il cuore e lo stomaco. Dispiacere, diagnosticai, e dalla mia bocca uscirono le parole che mai avrei dovuto dire: «Non piangere… anche… anche io ti amo».

Il sorriso che mi regalò fu più grande del primo. Più bello. Speciale.

 

    Un signore con un violino, inizia a suonare la marcia nuziale e io mi alzo e mi metto impettito davanti all’altare, accanto a un mio parente che officerà la funzione.

Dopo pochi istanti tutti si alzano dalle sedie e guardano la mia sposa entrare, accompagnata dal padre che sembra più agitato e nervoso di lei. Si avvicina coperta da una nuvola di tulle color crema. Sembra quasi assurdo vedere lei così simile a una meringa e le pietre che ci circondano, così antiche.

Mi raggiunge e ci voltiamo verso quello che dovrebbe essere il sacerdote. Lei sorride raggiante e quasi fa sorridere anche me.

 

    «Sposiamoci!» disse qualche giorno dopo il suo “Ti amo”.

Ormai sembrava essere salita su un treno ad alta velocità, nulla poteva farla desistere. Aveva deciso e la vittima designata ero io.

Aveva preso le mie mani e le stringeva tra le sue, guardandomi con i suoi occhioni fiduciosi e felici. Feci per rispondere quando un vecchietto zoppicante ci passò accanto e declamò

« Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia; di doman non c’è certezza… che bello essere giovani!».

Lei si mise a ridere e io ripensai al “di doman non c’è certezza”. Nessuna frase era più giusta di questa, ed io ne ero la prova, sin da quando era accaduto l’incidente.

Mi limitai ad annuire e lei mi abbracciò esultando. Mi ero incastrato da solo.

 

    La cerimonia va avanti. Alle mie spalle sento qualche singhiozzo commosso, sicuramente la mia futura suocera.

«Lo voglio» dice lei in un sospiro estatico.

«Lo voglio» rispondo io ormai rassegnato a quello che sta per accadere.

«E io vi dichiaro marito e moglie» annuncia l’officiante, poi, con un ghigno che gli deforma leggermente l’occhio mi fissa e dice «E adesso puoi mangiare la sposa!».

La reazione è pressoché istantanea. I miei amici si avventano sulle tenere persone invitate dalla mia sposa e iniziano il banchetto. Il sangue scorre e macchia anche il vestito color crema della ragazza che ho davanti, ma lei non sente più niente: ha gli occhi sbarrati e la mia mano dentro il suo petto a strapparne il cuore, il boccone del corpo che preferisco. Forse perché non si tratta solo di carne. Una volta, prima che un non-morto mi ferisse e diventassi come loro, pensavo ci fossero anche i sentimenti lì dentro. Adesso li mangio e il sangue scorre sul mio mento e poi sulla camicia bianchissima. Peccato, non potrò restituire il vestito. Però avevo ragione sulla prima impressione che mi aveva fatto: era davvero tenera… la sua carne.

Un pochino mi dispiace per mia moglie, ma il fatto che si ostinasse a vedere solo il buono di me, a volermi come nelle sue fantasie… una lezione gli stava proprio bene.

I miei ospiti lasciano i resti per terra nella cappella romanica. Qualcuno provvederà a pulire.

È il crepuscolo quando usciamo.

Questa sera una nuova passeggiata. Ho letto da qualche parte che dovrebbe esserci una eclissi di luna. Sono ansioso di vedere com’è.

 

    Due sere dopo il mio matrimonio e la successiva immediata vedovanza, mi trovo a passeggiare nel prato del college e senza che me ne accorga mi dirigo verso la panchina sotto l’olmo.

Una ragazza bruna dai capelli corti, è seduta sulla panchina e io non posso fare a meno di avvicinarmi.

Ha gli occhi chiusi e sta canticchiando. Vedo un filo bianco che le esce dall’orecchio destro. La guardo per qualche minuto e poi decido di proseguire passandole davanti.

L’ho appena superata quando sento una voce squillante e allegra. «Ciao» e diventa automatico sorridere e rispondere. «Ciao».

Forse sarà la mia prossima sposa…

 

Angolino mio:

doveroso. Ebbene sì, questo è un horror. Però non volevo farvelo scoprire prima del tempo, mi piaceva la sorpresa finale, e spero anche a voi.

Alla prossima shot.

baciotti

 

 

  
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