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Autore: Miss Y    28/05/2014    3 recensioni
Si accese una sigaretta e sollevò lo sguardo. «E’ così,» proseguì, «non posso fare nulla per cambiarlo. Non ho radici, non ho una famiglia. Sono un’estranea. Con il soldi del completo che indossa ora,» indicò l’abbigliamento dello psichiatra con un cenno della testa associato ad un movimento delle dita con cui teneva la sigaretta, «sarei più ricca di quanto non lo sia mai stata in vita mia. E poi probabilmente spenderei ogni centesimo in birra e libri usati.» la sua risata era rauca, amara. «Ho vissuto un migliaio di vite senza mai veramente vivere la mia. Sono stanca di tutto questo.» lasciò che il silenzio s’insinuasse nel vuoto che lasciarono le sue parole. Tirò su con il naso ed abbassò gli occhi per nascondere l’ombra che le scuriva lo sguardo. Lui non rispose, e dopo qualche secondo di pausa lei sorrise meccanicamente. «Le ho già chiesto se vuole una birra?»
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hannibal Lecter, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«No, ascolti; devo essermi spiegata male» si affrettò a spiegare la ragazza dopo essersi soffermata ad osservarlo interdetta per qualche secondo, «non è così che funziona. Non sono venuta qui per mettere il culo su una delle sue poltrone da tremila dollari e frignare su quanto i miei genitori siano stati cattivi con me mentre lei finge di prendere appunti e occasionalmente mi passa un fazzoletto. Deve solo mettere una firma su quel modulo, dire che sono idonea a riprendermi mio figlio e consegnarmelo. Non intendo rubarle più di tre o quattro minuti.»

Un lungo silenzio intercorse tra l’osservazione e la risposta, che coincise con il tempo che il dottor Lecter si concesse per studiare attentamente la giovane donna che aveva di fronte. «Non firmerò alcun modulo,» rispose infine lentamente, senza staccare lo sguardo da lei, «fino a che non ti avrò ritenuta adatta. Sei venuta qui per una valutazione psicologica; ebbene, l’avrai. Lasciami fare il mio lavoro come lo ritengo opportuno.»
«Il suo lavoro?» la ragazza sbuffò ridendo e si allontanò di qualche passo dalla scrivania per chinarsi sullo zaino e aprirlo, «non dica stronzate, la maggior parte delle mansioni che il suo lavoro prevedere possono essere svolte anche da una scimmia con un flacone di antidepressivi. E’ questo che vuole?» gli posò sulla scrivania due fascette di banconote da venti dollari, «sono mille dollari tondi. Ora firmi quel modulo, per favore.»

Lei lo vide abbassare lo sguardo sulle banconote, e poi risollevarlo lentamente su di lei. Nei suoi occhi brillava una luce sinistra che non aveva a che fare con la brama di denaro.

«Se avessi saputo che mi saresti mancata di rispetto in questo modo e poi avresti cercato di comprarmi con del denaro, Siobhan, non ti avrei fatta entrare. Ed è per il tuo interesse che ora ti chiedo di lasciare il mio ufficio immediatamente. Riprenditi pure i soldi.»
Lei lo fissò colpita e un attimo dopo sollevò lo zaino all’altezza della scrivania, facendoci ricadere dentro le banconote.
«Woah, piano. Non intendevo offenderla. So che si deve essere piuttosto tosti per studiare tutti quegli anni come entrare nella testa della gente, stavo solo scherzando. Mi dispiace che mi abbia presa sul serio, dico davvero, e sono felice che abbia degli ideali tanto saldi e lodevoli e tutto il resto, ma non farò finta di essere triste e dispiaciuta, né me ne andrò dal suo studio sperando che lei mi richiami dopo aver miracolosamente cambiato idea.»
«Non vado d’accordo con le persone scortesi, Siobhan. Non sarò disposto a perdonare un altro affronto del genere da parte tua.» il tono dello psichiatra era duro, ma lo sguardo di Siobhan non vacillò.
«Le ho già detto che mi dispiace.Ho davvero bisogno del suo aiuto, e sono disposta a tutto per ottenere quel modulo entro domani. Letteralmente.»
 
Lui si limitò a fissarla senza rispondere, le labbra strette in una maschera austera di pietra.

«Se sei così pronta a tutto,» disse infine calibrando le parole, «allora non avrai difficoltà a sederti su quella poltrona e rispondere alle mie domande.»
Siobhan lo guardò per un istante prima di sbuffare, lasciar cadere lo zaino ai piedi della poltrona e sedersi, incrociando le braccia al petto. Il dottor Lecter prese con sé una cartella e si accomodò sulla poltrona di fronte alla sua.
La pioggia disegnava sottili arabeschi d’acqua sulle vetrate.

«Ora vorrei sapere perché mi hai mentito sul tuo nome, Siobhan.» esordì lui pacatamente, sollevando lo sguardo su di lei.
La sua espressione era seria, il suo tono incolore. La ragazza si agitò sulla poltrona.
«Non sapevo se avrebbe accettato di aiutarmi,» spiegò spezzando le sillabe finali delle parole, frettolosa, «non mi piaceva l’idea che potesse venirle l’idea di indagare su di me.»
«Che cosa verrei a sapere?»
Lei si strinse nelle spalle e iniziò a disegnare linee invisibili sul bracciolo di pelle della poltrona.
«Non sono una brava ragazza, dottor Lecter, di quelle che è abituato a ricevere, con le madri ben vestite e i soldi di papà. Penso che lo abbia intuito, non mi sembra uno stupido. Dico solo che non mi piace che si metta il naso tra i miei affari.»
«Purtroppo dovrò, per usare le tue parole, mettere il naso tra i tuoi affari se vuoi questa documentazione entro domani.»
Siobhan sbuffò, sollevando lo sguardo sull’alto soffitto.
«Senta, non ho bisogno di uno strizzacervelli. Glielo ripeto, voglio l’affidamento di mio figlio e ho bisogno di quelle carte. Non ho tutta la sera libera, devo prendere un taxi e tornare a casa prima che sospendano il servizio.»
«Non c’è fretta. Posso riaccompagnarti a casa.»

Lei gli rivolse un sorrisetto scettico e accavallò le gambe, studiandolo incuriosita.

«Senza offesa, dottor Lecter. Sono sicura che sua moglie, i suoi bambini e la sua sana e brillante vita da professionista la aspettano per cena a casa, ma non mi fido. Niente di personale, ma ho già ricevuto proposte del genere ed ho imparato a rifiutarle. Per quanto ne so, potrebbe essere un serial killer.» la ragazza accompagnò l’insinuazione con una risata ironica e un gesto del braccio.
Lui accennò un sorriso in risposta e piegò il capo di lato. Era la prima volta che sorrideva da quanto lei era entrata nel suo studio. Non rispose.
«Quindi,» proseguì la giovane in tono spigliato, «le sarei davvero grata se mi desse quei moduli compilati, accettasse i miei soldi e le nostre strade si separassero.»

Senza preavviso si alzò dalla poltrona e gli diede la schiena, improvvisamente interessata alla libreria colma di volumi alle sue spalle. Lui seguì il suo movimento con lo sguardo, senza chiederle di tornare a sedersi.

«Posso chiederti come ti sei procurata tutti quei soldi, Siobhan?» domandò in tono pacato tamburellando con le dita sul tavolino di vetro accanto a lui. La ragazza non si voltò e si limitò a sollevare lo sguardo sui volumi più in alto. Doveva aver trovato qualcosa che catturò la sua attenzione, perché si sollevò in punta di piedi, cercando di raggiungere l’ultimo scaffale.
Lui sollevò appena un angolo della bocca al suo tentativo, ma non si alzò. Attese.
«Le dispiace…?» chiese girando appena il volto per sottolineare che si stava rivolgendo a lui. Lo psichiatra assecondò la sua richiesta e le si affiancò, raggiungendo lo scaffale più alto e porgendole il libro che la ragazza gli indicò.

Era una vecchia edizione del 1945 di Four Quartets di T.S. Eliot rilegato in cuoio blu e dalle pagine ormai ingiallite dal tempo. Siobhan lo prese e lo aprì con cautela, completamente disinteressata alla domanda che le era stata posta.
«Wow, roba come questa non si trova ai mercatini dell’usato.» fu il commento affascinato. Con un sorriso educato il dottor Lecter le prese il libro di mano, osservando l’entusiasmo sfiorire negli occhi scuri della giovane, e le indicò la poltrona.
«Prima rispondi alle domande.» la invitò in tono incolore. Lei alzò gli occhi al cielo ma non insistette, lasciandosi cadere sulla poltrona con uno sbuffo. «Come ti sei procurata tutto quel denaro?»
«L’ho trovato per terra,» ironizzò lei in risposta, «secondo lei come l’ho trovato? Lavorando.»
«Hai un lavoro stabile?»
«Senta, queste sono domande che gli assistenti sociali mi hanno già fatto mille volte.»
«Allora non ti dispiacerà rispondere un’altra volta soltanto.»
Lei scosse il capo, stringendo le labbra.
«Ho un lavoro stabile, sì.»
«Che cosa fai?»
«La prostituta.» ironizzò nuovamente sollevando gli occhi al cielo, «dò una mano a degli amici. Faccio commissioni. Sente il bisogno di farmi queste domande perché le sembro poco affidabile o qualcosa del genere?» rise sonoramente, aggiustandosi sulla poltrona. «Coraggio, vede che non sono una psicopatica. Può firmare quei moduli così se ne può andare a casa?»
Lui sembrò ignorarla, e la fissò con espressione indecifrabile.
«Quanti anni ha tuo figlio?»
«Quattro.»
«Perché ti hanno tolto l’affidamento, Siobhan?»

Capì di aver colpito nel segno quando lei si agitò sulla poltrona e si schiarì la gola.

«Sono finita nei casini,» ammise infine, «ho dovuto assentarmi qualche tempo da casa per motivi di… salute.»
«Cocaina?»
Lei lo guardò per un attimo e sembrò ferita. Fu solo un istante.
«Eroina.» la riluttanza le venava la voce di toni aspri, «non sono mai andata oltre i miei limiti e ho smesso da sola. Non che sia stato facile. E poi, appena mi sono ripresa, hanno cercato di incastrarmi.» sospirò.
«Incastrarti?» sottolineò lui lentamente. Siobhan sbuffò.
«Senta, in ogni caso ho smesso. Con tutto, okay? Non sono più in quel giro e sono pulita. Glielo garantisco.»
«La tua fedina penale è sporca?»
Lei rise.
«Dio, sì. Gli stronzi non ne volevano sapere di chiudere un occhio. Niente di grave, ad ogni modo. Una rissa. Le solite cose che succedono a Brixton di notte.» sorrise amaramente.
«Sei inglese.» constatò lui in tono neutro.
«E lei è perspicace.» scherzò lei di rimando evidenziando di proposito l’accento già marcato della classe lavorativa del Sud di Londra.
«Perché sei a Baltimora?» proseguì lui senza staccare gli occhi dai suoi.
«Conor è stato dato in affidamento temporaneo alla stessa donna che ha cresciuto anche me in mancanza di parenti prossimi, e lei ha avuto la brillante idea di trasferirsi qui due mesi e mezzo fa. Credeva di liberarsi di me, ma io non mollo.» sorrise. «Senta, ha finito le sue domande? Vorrei quei moduli.»

Il dottor Lecter si alzò in piedi rapidamente, lasciando il libro di Eliot sul tavolino di vetro e prendendo con sé solo i fogli che aveva in mano, e si diresse alla scrivania dandole la schiena.
«E li avrai,» le promise.
Siobhan scivolò in punta di piedi verso la sua poltrona, raccogliendo lo zaino.
«Grazie mille» si affrettò ad esclamare, sorpresa, allungando un braccio per ricevere la documentazione.
Lui si voltò verso di lei e sorrise.
«Solo, non oggi.»
Siobhan si bloccò, issandosi lo zaino in spalla e aggrottando le sopracciglia. «Devo presentarli entro domani.»
«Passa di qui domani mattina e te li consegnerò. Gratis.»
Gli occhi della ragazza s’illuminarono e lei sorrise un attimo prima di incupirsi. «Mi sta prendendo in giro, vero.»
Lui accennò un sorriso.
«Niente affatto, sono serio. Ma voglio che tu ti presenti qui anche domani sera alle sette e mezza.»
Lei trattenne il respiro per un secondo. Poi rise sommessamente, perplessa.
«Uh, no, senta, ci siamo capiti male. Questa non è la prima di molte sedute. Questa è la prima e l’ultima visita che farò allo studio di uno strizzacervelli. Le garantisco che non ho abbastanza soldi da permettermi una cosa del genere.»
«Prendo dei pazienti pro bono talvolta,» fu la risposta fredda, «ho intenzione di interessarmi al tuo caso. Sto mettendo il mio nome su dei documenti ufficiali, Siobhan. Voglio monitorare il tuo comportamento per un paio di settimane almeno prima di lasciare che tu ottenga quell’affidamento. Se qualsiasi cosa accadesse a te o a tuo figlio Conor sarebbe imputata a me e al mio giudizio errato.»
«Chiaramente mi impegnerò affinché nulla accada né a me né a mio figlio, dottor Lecter,»  tagliò corto lei, «non ho davvero tempo per i suoi scambi di favori. Ci vediamo domani mattina.»

Lo superò e fece per uscire. Aveva una mano sulla maniglia della porta quando lui la fermò.
«Siobhan.»
«Sì?»
«Per cortesia, metti sulla mia scrivania il libro che hai preso.»

Lei esitò per un lungo istante, le dita strette intorno al pomolo metallico, ma poi tornò indietro, aprì lo zaino e poggiò il volume sulla scrivania dello psichiatra. Lui non sollevò lo sguardo.
Di nuovo fece per andarsene, stavolta rabbiosamente. Di nuovo si fermò con la mano sulla maniglia.

«Se domani sera mi presentassi,» ipotizzò senza voltarsi a guardarlo, «e poi le sere successive, poi potrei avere quel libro?»

Ci fu un attimo di silenzio.
La pioggia aveva smesso di cadere, ora solo il vento spezzava il ritmo liquido della quiete.

Lui sorrise.
«Naturalmente, Siobhan.»


 


 

 


Puntualizzazione di fine capitolo: è possibile che qualcuno si accorga delle evidenti analogie fisiche e caratteriali di Siobhan con Sarah Manning, la protagonista di Orphan Black – così come il parallelismo tra Conor e Kira. Ebbene, la faccenda è voluta; avevo un mente un crossover da tempo, ma non ho avuto nessuna idea per inserire anche i cloni nella storia, perciò ho semplicemente creato un OC liberamente ispirato a Sarah.
Perciò potete immaginarla come Tatiana Maslany. Yay! Spero che qualcuno apprezzi il tributo :’)

H x

  
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