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Autore: Shadow Nameless    03/08/2008    4 recensioni
Una sera – o era mattina? – cercando d’ingannare se stesso iniziò disegnare.
Era facile distrarsi nel tentativo di dare una parvenza di forma a quel qualcosa che stava creando.
Era bello – cosa importava se i suoi fogli erano pietra e l’inchiostro il suo stesso sangue?
[Sai Centric]
Genere: Malinconico, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Piccola premessa, questa è una Sai centric o qualcosa del genere, lo specifico perché parlando di fatti antecedenti al suo incontro con Naruto… ecco >_> non ho la più pallida idea di come si chiami e inventargli un nome non mi andava a genio ùù. Per quanto mi riguarda mi sembra comprensibilissimo che il protagonista sia lui, ma io ho una mente contorta e quindi…^^’
 
Serie: Naruto
Titolo: Quello che non c’è
Genere: Angst, Dark, Introspettivo.
Avvisi: Spoiler
Personaggi: Sai Centric
 
 
 
Quello che non c’è
 
-Curo le foglie, saranno forti
Se riesco ad ignorare che gli alberi son morti
Ma questo è camminare alto sull'acqua e
Su quello che non c'è-
 
[Afterhours, Quello che non c’è]
 
 
Chiuse gli occhi nascondendo il volto contro le ginocchia e si rannicchiò più che poteva su se stesso – faceva freddo, lì.
Le urla arrivavano alla sua cella attutite eppure gli era impossibile ignorarle, chiudersi nel suo mondo facendo finta che non esistessero.
Basta, pregò portandosi le mani sulle orecchie, vi prego fate silenzio.
 
Ri-e-du-ca-zio-ne
 
Taciuta sino all’esasperazione e trattata con timore e disgusto da tutto il villaggio quella parola tendeva ad essere ignorata nella speranza che potesse essere dimenticata – odiavano cose del genere, loro.
Eppure le celle costruite durante la Seconda Grande Guerra dei Ninja - progettate e realizzate quando questo metodo era solo in fase sperimentale per poi essere dimenticate una volta scoperta la pericolosità di tale sistema - non erano mai state distrutte. Si trovavano ancora da qualche parte, nelle fondamenta di Konoha.
Erano passati decenni da quando il secondo Hokage aveva deciso, con gli occhi colmi di disgusto, di sigillarle. Eppure non molto tempo dopo la sua morte, minacciati dall’inizio di una nuova guerra - che successivamente sarebbe stata ricordata come la Terza Grande Guerra - erano state riaperte.
E riutilizzate – non per i prigionieri.
Bambini e adolescenti, raramente adulti, avevano avuto l’onore di alloggiarvi. Sì, era un onore per pochi eletti, quello, destinato solo a coloro in cui il villaggio riponeva le più grandi speranze – orfani senza qualcuno che li tutelasse o persone deluse da loro stesse che, pur di risplendere agli occhi di chi le circondava, erano scese a compromessi così bassi che avrebbero disgustato anche i demoni degl’inferi.
E chissà che non fosse realmente così?
Erano pochi quelli che resistevano al trattamento – che non si uccidevano nella notte o non impazzivano divenendo spazzatura per il villaggio costringendo i loro superiori a sopprimerli come bestie – e qualcuno, per forza di cose, ci sarà finito in quel luogo di fiamme e dolore con cui si spaventano i bambini, no? Come dite? Ogni ninja ha il proprio credo d’onore e giustizia e, di conseguenza, non crede in queste cose?
Ne siete convinti?
Eppure le celle umide e macchiate di sangue, le pareti ricoperte d’incisioni colme di terrore e le urla che straziano l’anima come possono apparire ad un bambino se non infernali?
 
Sapeva che presto sarebbero venuti a prenderlo – non voleva.
Gli avevano spiegato con parole semplici, così da poter essere comprese anche dal più stupido dei bambini, che era per il suo bene, per quello di tutto il villaggio!
Sarebbe diventato un grande, lui – suo fratello ne sarebbe stato orgoglioso.
Certo, per ora non era bello – se solo avessero smesso di urlare! – ma tutto sarebbe andato per il meglio.
Lui sarebbe …
Perché quando pur facendo di tutto per non piangere mormorava il Suo nome Lui non veniva?
Oh …
Fra-tel-lo
 
Danzou-sama gli parlava spesso di suo fratello, con voce sibillina gli raccontava di tutti i progressi che quest’ultimo aveva fatto, di come lo stesso Kage si era ritrovato in più d’un occasione ad elogiarlo.
Missioni portate a termine splendidamente e tanti amici ad aspettarlo una volta finite – vecchio, cosa ti aspettavi? Che l’invidia lo divorasse? No, lui era felice perché anche suo fratello finalmente lo era.
Forse – non neghiamo l’evidenza – una piccola parte della sua anima, incoraggiata dalle urla che gl’impedivano di dormire, si chiedeva perché nella sua immensa bravura non lo avesse raggiunto se non per portarlo via almeno per accertarsi che fosse ancora vivo.
 Ah, ma non era stupido e per quanto questo suo desiderio prendesse corpo giorno dopo giorno sapeva quanto ingenuo fosse.
Erano le celle per la rieducazione, quelle e l’altro avrebbe avuto il permesso di mettervi piede solo se fosse entrato lì come cavia o come carnefice – e non voleva. Non voleva che le urla della persona a lui più cara si mischiassero alle sue o le provocassero. Perché alcune notti non gli era concesso neanche di restare in un angolo della sua cella ad ascoltare quelle voci strazianti – anche lui era lì per quello, no? Per soffrire ed annegare in questo male.
 
Il dolore era insopportabile – prima di entrare in quel posto non credeva fosse possibile provare qualcosa del genere, non era stato in grado neppure d’immaginarlo.
Non erano uomini quelli che lo trascinavano fuori dalla sua cella – dalla gabbia, come un agnello pronto al macello – ma mostri inespressivi.
Come si poteva causare tanta sofferenza a qualcuno e non avere la minima reazione?
Di tanto in tanto si chiedeva se anche lui sarebbe diventato così e se da un lato una piccola ed infantile parte di se urlava che non voleva un’altra, la più stanca, pregava perché questo accadesse in fretta – la fine del dolore.
Le urla continuavano.
Una sera – o era mattina? – cercando d’ingannare se stesso iniziò disegnare.
Era facile distrarsi nel tentativo di dare una parvenza di forma a quel qualcosa che stava creando.
Era bello – cosa importava se i suoi fogli erano pietra e l’inchiostro il suo stesso sangue?
 
Di-pin-ge-re
 
Come avesse fatto Danzou a venire a conoscenza che le pareti della sua cella fossero ormai completamente imbrattate del suo sangue – si dispiaceva di non avere più un posto dove disegnare, ma sapeva che quella stava diventando un’ossessione – per lui fu sempre un mistero. Che se ne fossero accorte le guardie?
Ma, dopotutto, che cosa importava?
L’unica cosa che il lui suscitò un qualche interesse fu l’album bianco che l’anziano gli consegnò e il pennello con la boccetta d’inchiostro nero come la pece che gli mise fra le mani.
Non capì il perché di quei doni, ma ne era felice – non lo mostrò, temeva che se avesse osato tanto glieli avrebbero portati via.
Presto quei fogli divennero il suo mondo, un limbo bianco e nero dove anche le urla si acquietarono. Sarebbe stato così bello se avrebbe potuto tingere quei fogli anche dei colori che ricordava, anche se sempre più vagamente, nel volto nel fratello.
Voleva ritrarlo.
Voleva…
 
 Ogni volta che sentiva la porta della sua cella aprirsi, con quel sinistro cigolio che popolava tutti i suoi incubi, un brivido gelido gli attraversava la schiena.
Eppure più passavano i giorni meno avvertiva quel suono, più passavano i giorni più riusciva ad ignorare quel subdolo terrore che gli attanagliava lo stomaco.
Il dolore era sempre lancinante allo stesso modo, ma adesso riusciva a non urlare – imitava le guardie che lo picchiavano ed ignoravano la crudeltà dei loro gesti. Ma durante i genjitsu, invece, riusciva a fare ben poco. Non poteva fingere, non poteva chiudere gli occhi facendo finta di nulla concentrandosi sui colori che, se li avesse avuti, avrebbe usato per dipingere gli occhi d’argento di suo fratello od i capelli castani chiaro – non si sarebbe limitato ad una sola tonalità ovviamente, non…
Urlò, nella sua mente, pregando che quella tecnica finisse.
 
Quando sia l’inchiostro che i fogli finirono Danzou gliene portò degli altri e, ad essi, aggiunse un matita scura, una gomma ed un temperino.
Ricordava lo sguardo l’espressione atona che gli rivolse quando gli consegnò quest’ultima cosa – anche se piccola, lì, c’era una lama. Un oggetto con cui avrebbe potuto togliersi facilmente la vita.
Stava sogghignando, si convinse il bambino, in quell’istante l’anziano nel suo animo sogghignava, probabilmente convinto che non si sarebbe lasciato scappare un’occasione così ghiotta.
Ma lui voleva ritrarre suo fratello.
Voleva rivederlo, osservare attentamente ogni sfumatura del suo volto, scegliere l’espressione per lui migliore e poi dipingere. L’altro avrebbe sbuffato impaziente per tutta la durata del lavoro – non amava stare fermo per più di cinque minuti, figuriamoci per la durata di un ritratto – ma non appena avrebbe visto il lavoro finito gli avrebbe rivolto un “Oh” stupito per poi sorridergli, fiero del suo fratellino.
Si sarebbe andata così.
Non tentò mai di sfilare quella lama.
 
Sfu-ma-tu-re
 
Quando uscì da quella cella, dalle fondamenta di Konoha, erano passati quasi due anni. Tempo in cui non aveva visto nessuno delle poche persone che conosceva, anni in cui li aveva dimenticati – anche Lui, alla fine, era diventato un ricordo sbiadito.
Era sera, quando uscì, ed una brezza fresca gli accarezzò il volto facendogli socchiudere gli occhi – era piacevole.
-Ricorda- lo aveva avvisato uno dei suoi ex carnefici prima di congedarsi:- da adesso tu fai parte a tutti gli effetti della Radice della foglia.-
Lui aveva annuito, vago – non c’era niente di nuovo nelle sue parole – e senza salutarlo se n’era andato in quella che, anni prima, era stata la sua casa.
 
Non poté fare a meno di sguainare un kunai quando si trovò puntato, a sua volta, una lama alla gola. Non vedeva il suo avversario, la stanza era troppo buia, ma, dalla costituzione, dovevano avere circa la stessa età.
-Che cosa vuoi?- gli aveva soffiato.
-Dovrei chiedertelo io, questa è casa mia.-
-Eh?- l’altro si era allontanato di un passo cercando con una mano l’interruttore della luce:-Fratello?-
A quella parola Sai si limitò ad arcuare un sopraciglio – sarebbe dovuto essere stupito? Certo. Allora perché non era così?
In breve si ritrovò stretto fra le braccia dell’altro, i capelli che gli sfioravano il collo ed un veloce bacio gli sfiorò guancia.
-Kami-sama! Mi puoi dire dove diavolo eri finito?! Ti ho cercato ovunque, ho chiesto a chiunque conoscessi e anche a chi non conoscevo! Non sai quanto ho stressato il terzo Hokage prima ed il quinto poi. E quella donna non va stressata più di tanto!- lo strinse più forte prima di spostarsi qualche centimetro da lui, così da poterlo guardare in volto:- Mamma mia quando sei cresciuto! E… Waho! Ma, allora, dove diamine sei stato?-
Sai inclinò un po’ il viso, leggermente stordito da tutte quelle parole.
 
Osservò sotto quella luce sfalsata il fratello, le sfumature dei suoi capelli, il modo in cui i suoi occhi brillavano di gioia e la pelle brunita del volto, si soffermò per qualche istante sul suo sorriso, prima d’incrociare di nuovo il suo sguardo.
Dov’era stato?
-Da nessuna parte nii-san, da nessuna parte.- e senza aggiungere altro lo sorpassò facendo qualche passo prima di girare appena il volto:-Dormi tu nel mio letto?-
-Eh? Ah, certo, se vuoi possiamo dormire insieme o mi sposto sul divano.-
L’altro alzò le spalle poco interessato prima di avviarsi verso la loro stanza dove dormirono – suo fratello lo abbracciò nel sonno, ma il pittore non sentì nulla neppure il desiderio di dipingere il suo volto.
L’avrebbe fatto un'altra volta, si disse. C’era sempre tempo – quello era l’ultimo desiderio che aveva provato ed anche se adesso era svanito se lo avesse realizzato, poi, cosa sarebbe successo? Cosa gli sarebbe rimasto?
 
Le-ga-me
 
Suo fratello non si ammalò da un giorno all’altro, fu un qualcosa di lento e logorante.
Iniziò con qualche sporadico colpo di tosse, seguito quasi sempre da qualche linea di febbre che non durava più di qualche ora.
Tsunade, visto che i medici a Konoha sembrava tutti dei buoni a nulla, lo visitò ella stessa, ma non arrivò a niente.
Peggiorò giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. La tosse finì con il non andarsene più e la febbre alta era una costante. La notte delirava così spesso che in più di un’occasione Sai prese in seria considerazione l’idea di cambiare casa, ma ogni volta un qualcosa nel volto smunto del fratello lo faceva desistere.
Anche se tutte le volte che Danzou gli assegnava una nuova missione partiva senza alcuna esitazione quando tornava non riusciva a fare a meno di avvicinarsi al compagno, controllando che stesse bene – che fosse vivo.
Ed ogni volta che sentiva quel maledetto palpito, quel soffio appena accennato, non riusciva a trattenere un vago sospiro di sollievo.
 
Ora che suo fratello era costretto al riposo forzato avrebbe potuto tranquillamente ritrarlo, anche l’altro aveva espresso questo desiderio un giorno in cui la tosse gli aveva dato un attimo di tregua, ma lui aveva scosso il capo annoiato.
No, che senso aveva ritrarlo adesso che stava male?
L’avrebbe fatto dopo, quando sarebbe guarito – ricordava ancora il sorriso amaro dell’altro poco dopo che glielo aveva spiegato. Non aveva capito, non aveva voluto farlo.
Così, stanco di quello sguardo triste, gli aveva promesso che avrebbe fatto un libro d’illustrazioni su loro due, sui nemici che lui stava affrontando e su quelli che aveva battuto il fratello quando era ancora in forze.
Aveva passato pomeriggi seduto accanto al letto dell’altro facendosi spiegare com’era quell’avversario o che arma usava, i colori dei suoi abiti, dei capelli, l’espressione minacciosa del volto.
Non lo disse mai a voce alta, ma era stato un bel periodo, quello.
 
C’era la luna la piena, quella sera. Le stelle brillavano nella volta celeste e non c’era neppure un alito di vento a farlo rabbrividire in quel calmo giorno d’ottobre.
Era appena tornato da una missione sufficientemente semplice – aveva ucciso un traditore di non sapeva chissà quale paese, forse della stessa Konoha – e l’unica cosa che desiderava era sdraiarsi nel suo letto senza sentire il fratello lamentarsi nel sonno e, crudelmente, questo suo desiderio fu ascoltato.
Quando entrò in casa sentì che c’era qualcosa di strano – troppo silenzio, ma quando si ritrovò a sfiorare la fronte dell’amico ed a trovarla fredda sentì solo qualcosa gelarsi all’altezza dello stomaco.
Doveva ritrarlo, pensò confusamente, appena avrebbe avvisato qualcuno del decesso glielo avrebbero portato via, doveva sbrigarsi, doveva…
Prese uno dei suoi rotoli, l’inchiostro e mandò un messaggio all’ospedale del villaggio così che mandasse un medico o, meglio, un becchino.
Neanche un’ora dopo uno sconosciuto gli stava portando via l’unica persona che lo avesse mai amato, ma lui non riuscì a fare niente.
Non pianse, non urlò, non soffrì – sentì solo uno strano vuoto all’altezza dello stomaco che svanì il giorno dopo.
Non riuscì neppure a fare un dannato schizzo su un pezzo di carta, fisso solo il vuoto per qualche minuto prima di cambiarsi e sdraiarsi – aveva una missione l’indomani, non poteva permettersi di essere inefficiente per la stanchezza. Non poteva…
 
Legame.
 
Suo fratello gli ripeteva spesso quella parola da quand’era tornato dalla rieducazione, anche prima che iniziasse a star male – però, adesso che ci pensava, da quando aveva iniziato ad indebolirsi prendeva sempre meno spesso quell’argomento, sino a limitarsi ad un sorriso triste quando, di tanto in tanto, si soffermava ad osservarlo.
Diceva che loro due avevano un legame.
Quale legame? – cos’era un legame?
Qualcun altro, tempo dopo, pronunciò quella parola con un sorriso sincero sulle labbra, gliela ripeté con una tale speranza nello sguardo da riuscire a ricordargli quello sereno anche se un po’ malinconico del fratello.
 
Legame.
 
Cos’era un legame?
 
 
 
 
"Nella radice non esistono nomi, non esistono sentimenti.
Non esiste il passato e nemmeno il futuro. Esiste solamente la missione.
Non scordarti mai dei nostri propositi, che sostengono il grande albero della Foglia, dalle profondità invisibili del terreno"
 
Ma se le radici marcendo hanno finito con l’uccidere questo grande albero, come si può continuare a preoccuparsi delle foglie che finiranno, in breve, con il cadere e morire?
 
Owari
 
12/07/07
 
Ah, stavo per dimenticare, domani dovrei aggiornare Ipocrisia ^-^ e, se v'interessa, potete fare un salto sul mio blog archivio (http://hiems.iobloggo.com) dove l'aggiornamento è già presente.
  
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