Capitolo 2
Cinque mesi dopo …Gli occhi di Charlotte si aprirono lentamente cercando di evitare i primi raggi del sole mattutino che entravano dalla finestra della sua camera. Continuava a rigirarsi nel letto. Aveva freddo e non sapeva come fare a riscaldarsi, così tirò le sue morbide a calde coperte color vaniglia fino al suo nasino ghiacciato. Aveva fatto di nuovo quel sogno, aveva sognato di nuovo quel ragazzo. Da quel 17 agosto non era più uscito dalla sua mente. Si alzò contro-voglia immaginando ogni attimo di quella sera. Varcò la soglia della sua stanza e velocemente raggiunse il bagno strusciando sul parquet la suoletta di plastica della sue pantofole di lana-cotta nere provocando un leggero e fastidioso rumore. Tutti dormivano ma Charlotte non si preoccupava di fare silenzio avrebbero dovuto comunque svegliarsi. Appoggiò la mano sulla maniglia d’ottone della porta di legno bianca del bagno, spinse provocando uno stridulo rumore, ed entrò. La prima cosa che vide fu la sua immagine riflessa nello specchio sopra al lavandino, posizionato proprio al centro della stanza. Si guardava, si scrutava, cercava di trovare qualcosa di bello in sé stessa. Ma non ci riusciva. Per quanto si sforzasse a trovare un pregio in ogni suo difetto davvero non ci riusciva. Decise di lasciar perdere lo specchio e di iniziarsi a lavare, altrimenti avrebbe fatto tardi a scuola. Già la scuola. Il suo inferno. Aprì l’acqua bollente della doccia e senza pensarci troppo si buttò sotto al getto. Avrebbe voluto passare tutta la giornata lì, immobile, sentendo l’acqua scorrerle sulle spalle, come se qualcuno l’accarezzasse e la stringesse a sé. Come aveva fatto Harry. Ricordava ancora il suo nome. E come dimenticarlo? Come dimenticare il nome del primo ragazzo che si era minimamente interessato a lei? Impossibile. Chiuse il rubinetto e aprì la prima anta che separava la doccia dal resto del bagno. Appoggiò il suo piede sinistro sul tappetino spugnoso a forma di cuore celeste e uscì dalla doccia raggiungendo lo sgabello dove era poggiato il suo accappatoio a pois. Lo prese e se lo mise velocemente addosso per asciugare in tutta fretta le goccioline che scorrevano su tutto il suo corpo. Ormai da quando aveva iniziato il liceo, cioè da tre anni, la sua vita era diventata completamente monotona, faceva le stesse cose ogni singolo giorno, era stufa di questa routine. Corse in camera sua per scegliere cosa indossare per la scuola. Spalancò le ante dell’armadio, cacciò quanti più vestiti poteva, e li lanciò tutti sul letto. Si abbassò per controllare quale delle sue tante inutili magliette avrebbe dovuto indossare per il primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie, ne prese una a caso e se la infilò, seguita dal pantalone e da una giacchetta. Scese velocemente le scale facendo attenzione a non inciampare nel tappeto davanti la porta e uscì di casa senza salutare nessuno. L’aria fuori era gelida, nevicava e Charlotte cercava invano di non bagnarsi i capelli appena lavati. Aveva un passo svelto, doveva raggiungere la scuola, e non avrebbe dovuto fare per nessuno motivo un altro ritardo. Si guardava intorno, vedeva solo grigio, con qualche mucchietto di bianco candido ai cigli della strada. Era stanca di quel posto, del posto in cui viveva da quando era nata, ma quel posto era proprio come lei, grigio, scuro, solitario. Continuò a camminare per qualche altra manciata di minuti cercando di far finta di non sentire quell’insopportabile rumore delle suole consumate delle sue Timberland gialle. Fin quando non arrivò davanti ad un palazzone color vainiglia e caramello, contornato da qualche arbusto sempre-verde, davanti a quel palazzone da dove uscivano ragazzi da ogni porta, davanti a quel palazzone che ha rovinato la vita a più di un milione di persone, comunemente chiamato “scuola”. Esatto la scuola, il peggior incubo di Charlotte. O meglio, non era tanto la scuola quello che rendeva la vita impossibile a Charlotte, non era quello, ma era un ragazzo che frequentava la sua stessa classe in biologia e storia internazionale, un pakistano, trasferitosi da tre anni nel quartiere più triste e meno popolato di Londra, un pakistano che si chiamava Zayn Jawaad Malik. Le aveva rovinato la vita, le aveva fatto dimenticare ogni ricordo felice che aveva della sua adolescenza e le aveva fatto provare sensazioni strazianti. Non la sopportava, le aveva distrutto l’esistenza e Charlotte ancora non aveva capito il perché. Quel ragazzo sì, era bello, quasi ogni ragazza gli sbavava dietro, ogni ragazza venerava la sua altissima cresta corvina, la sua pelle ambrata, le sue iridi color cioccolato d’inverno , ed oro d’estate. Ma Charlotte non era così, non aveva mostrato mai un particolare interesse verso quel ragazzo, forse era proprio per questo che Zayn la tormentava, non riusciva a sopportare l’indifferenza della ragazza. Charlotte, immersa nei suoi pensieri, non si rese nemmeno conto di essere già entrata nell’edificio che tanto odiava, e di aver già attraversato una buona parte del corridoio gremito di adolescenti fumatori e sciupa-femmine, di ragazzine solitarie o altre fin troppo loquaci. La sedicenne si avvicinò a quel gruppo di ragazze che avevano passato con lei tutto il primo quadrimestre, ma che solo Lucy era diventata ed era sempre stata la sua migliore amica. La società scolastica era divisa in gruppi, quasi come le caste in India, oppure come le piramidi sociali dell’antico Egitto. All’inizio c’erano i fighetti (compreso Malik) e le puttanelle della scuola (ovvero le cheerleader),si sa che loro sono sempre sulla vetta della piramide sociale, sotto ai fighetti c’erano quelle persone che non erano veramente importanti per la società scolastica ma che praticavano uno sport che sia basket o football e questo li avvantaggiava molto, ancora sotto c’erano i ragazzi e le ragazze del corso artistico che pur essendo una sottospecie in via di sviluppo di emarginati si davano da fare con i fighetti e le puttanelle, poi, alla base della piramide sociale c’era Charlotte, che faceva parte del gruppo degli emarginati totali, coloro che uscivano raramente, non partecipavano a feste e festini, che non avevano un ragazzo, che erano acidi con tutti, che erano i soliti secchioni che passavano i pomeriggi interi a leggere o a studiare, che preferivano il silenzio al rumore, che preferivano stare stesi a guardare il soffitto piuttosto che stare stesi a guardare la tv come persone normali. Beh, lei era fatta così. Appena arrivò davanti alle sue amiche accennò una forma di saluto alzando la testa, poi prese sottobraccio Lucy, che si trovava tra loro, e iniziarono a camminare dirette verso i propri armadietti. Camminavano velocemente e a testa bassa, cercando di non farsi notare dalla moltitudine di adolescenti che aspettavano il suono della campanella per poter entrare in classe. Appena arrivarono davanti ai propri pezzi di metallo scricchiolanti decisero di girarsi, aprire gli armadietti con discrezione e iniziare a parlare per non essere notate o sentite da nessuno.
- L’ho sognato di nuovo Lucy! Non ce la faccio più! Forse saranno i sensi di colpa? Nel senso che quando potevo non gli ho dato il mio numero, e ora mi si rigira contro la cosa! – disse Charlotte cercando di “urlare in silenzio”.
- No, vedrai che prima o poi lo dimenticherai! Comunque lo sai che è arrivato un nuovo ragazzo e studierà qui solo per un anno? Non potrebbe essere lui? Si dice che venga da Londra, la vera Londra.
- Non sarà sicuramente lui, la vita non è come nelle favole Lucy, lui rimarrà sempre e solo uno dei miei sogni e dei miei incubi nott… - Charlotte non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che qualcuno con forza appoggiò il gomito sul suo armadietto.
- Ei Edwards, - disse riferendosi a Charlotte – senti, ho bisogno di ripetizioni di matematica extra e visto che tu sei brava pensavo che avresti potuto aiutarmi. –
- Non ci pensare nemmeno! – disse Charlotte girandosi per andarsene, ma venne bloccata da Zayn che mise tutte due i gomiti sull’armadietto.
- Che c’è? – disse con un sorrisetto malizioso – hai paura?
- Quello che dovrebbe avere paura sei tu. Dovresti avere paura dei tuoi pessimi voti in matematica e del fatto che io non ti aiuterò mai e poi mai a migliorarli -
- Non vorrai che ricomincio quello che non ho finito di fare l’anno scorso … -
Zayn si allontanò notando che la ragazza non dava segni di vita.
- Pensaci – le sussurrò prima di scomparire tra la moltitudine di persone.
- Cosa ti ha detto? – disse lei allarmata.
- No, niente di ché, le solite cretinate alla Malik.- rispose Charlotte mentendo spudoratamente.
- Ok, ma non ti fidare troppo di lui. – continuò Lucy dopo l’affermazione di Charlotte.
Ad un certo punto sentirono il suono della campanella. Dovevano andare in classe se non volevano essere richiamate per l’ennesima volta dalla professoressa d’italiano. Iniziarono a correre cercando l’aula di lettere. Arrivarono lì tutte accaldate. Mentre si sistemavano ai propri posti la prof entrò dicendo tre sole parole:
- Compito in classe –
- Questa è pazza! – disse Charlotte
- Solo ora lo capisci? – rispose Lucy.
- Charlotte? – disse il ragazzo
- Harry? – disse la ragazza.
- O mio Dio! Sei davvero tu?! – rispose il ragazzo
- Sì! Ti giuro che non ci credo che sei davanti a me!- dichiarò Charlotte gioiosa.
- Dove eri andata? Nel senso che in vacanza non ti ho visto più! Eri come scomparsa! Ho chiesto a un sacco di gente di te, ma nessuno sapeva niente! –
- Sono andata via il giorno dopo! Se l’avessi saputo ti avrei avvertito! – disse la ragazza più felice e sorpresa che mai – comunque che ci fai qui?
- Ci studio da quest’anno! E tu? – domandò lui
- Anch’io studio qui. E quindi sei tu il ragazzo nuovo? – rispose lei.
- Già. – disse lui – Ehm … Che ne dici se mangiamo qualcosa insieme in giardino? Ah, no aspetta – disse mettendosi il braccio sulla fronte - mi sta aspettando la mia ragazza in palestra. Sai, è il capitano delle cheerleader e mi ha chiesto se potevo vedere i suoi allenamenti oggi. E poi devo allenarmi anche io. Facciamo un’altra volta? Ti và?
- Ok – disse Charlotte. Non era delusa, no. Era nervosa, arrabbiata, furiosa, ma non con Harry, con se stessa, si odiava. Già, si odiava.
- Scusa, sul serio. Ci vediamo in giro – disse lui iniziando a correre verso la palestra.
- E … ah – disse lui voltandosi immediatamente – stò iniziando a credere nel destino –
La campanella suonò e la sedicenne non aveva nemmeno mangiato, così decise di andare nell’aula di matematica pronta ad affrontare un’ ora con il professor McQueen.