POV GINNY
-Ginny,
miseriaccia, vuoi lanciare dritta per una
volta quella cavolo di pluffa? Non è difficile!-
l’urlo ironico ed
esasperato di Ron attraversò il campo e rimbombò
sugli spalti, non c’era
nessuno a quell’ora. Dopotutto non poteva biasimare gli
studenti di Hogwarts
che stavano rintanati al calduccio in Sala Grande: la pioggia
imperversava come
se dovesse avvenire il diluvio universale e il vento schioccava nemmeno
fossero
in mezzo all’Oceano Atlantico. Il cielo, livido e scuro, fu
squarciato da un
lampo che illuminò per un attimo i contorni del castello.
Ginny volò verso la
porta ad anelli del campo di Quidditch, puntando suo fratello Ron ed
infuriandosi
mano a mano che avanzava mentre Demelza cercava di seguirla per
calmarla: -Gin,
che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa? Cioccolato magari? E se
lasciassi
perdere Ronald…? Lo conosci ormai! Ti prego, Gin, no,
no…-
La rossa
urlò
istericamente, scostandosi le ciocche vermiglie bagnate dagli occhi e
gettando
il mantello alle sue spalle: -Eh, no. Ginny passa la palla, Ginny vai
in ricezione,
Ginny più veloce! Non ne posso più! Ah, ma adesso
mi sente- Le era sembrata una
buona idea fare un po’ di allenamento in vista della prossima
gara di Quidditch
contro Corvonero, nonostante avesse molte cose da fare. Inoltre Harry
le
avrebbe dato pace una volta per tutte, o così sperava;
l’aveva rincorsa per
giorni prima che gli concedesse un allenamento. Le prime settimane dopo
la
scuola erano state turbolente e frenetiche: i professori non avevano
esitato a fare
verifiche a sorpresa, esercitazioni da esame o altre sadiche pratiche
che li
riguardavano. La rossa si era addormentata diverse volte sui libri la
sera; la
biblioteca era ormai diventata la sua camera e Draco un insegnante; era
veramente un genio, soprattutto nelle materie che le risultavano
più difficili.
Pozioni, prima di tutto. Harry probabilmente intravide il pericolo per
il suo
migliore amico perché scese in picchiata e si unì
a Demelza nel cercare di
farla ragionare: -Che ne dici se finiamo l’allenamento
un’altra volta, eh,
dolcezza?- Ginny si voltò scocciata e gli gridò
di farsi gli affari suoi, anche
se dopotutto aveva ragione. Pensò che non le avrebbe giovato
a nulla litigare
ancora con Ron; già i rapporti fra loro erano turbolenti per
via della sua
“ribellione”: c’era sempre qualcosa che
non gli andava bene, che fossero le
camicie troppo attillate o il trucco troppo evidente. Aveva dovuto
stare
attenta che non si accorgesse che verso sera, dopo il coprifuoco, era
solita
uscire dal dormitorio per andare da Draco, ma a quell’ora
normalmente il
fratello era già alle prese con un Fire Whisky per fortuna,
così che non era
difficile passare inosservati. I gemelli avevano capito già
da un po’ che aveva
una relazione tanto che la prendevano in giro con sottili insinuazioni
che,
nemmeno a dirlo, Ron non coglieva mai. Quindi, al posto di andare a
stritolarlo
con le sue mani, atterrò, graziandolo e bagnata fradicia si
diresse allo
spogliatoio, senza chiedere il permesso al capitano.
-Okay
ragazzi per
oggi abbiamo finito, andiamo- urlò Harry con tono
forzatamente allegro in
risposta –Siete stati molto bravi, dobbiamo solo riprovare
quello schema a
doppio rombo e poi…- Ginny si chiuse in bagno, sovrastando
con il rumore
dell’acqua corrente della doccia i suoni circostanti. Era
gelata e non vedeva
l’ora di tuffarsi sotto le coperte calde della sua stanza.
Demelza fece
scivolare dei vestiti asciutti dentro al bagno e richiuse la porta
mormorando:
-Ti aspetto per cena in Sala Grande, sbollisci un po’ tutto
questo nervosismo-
Sospirando di frustrazione, la rossa fece una lunga doccia bollente e
si prese
tutto il tempo per asciugarsi e vestirsi. Si stava sistemando davanti
allo
specchio quando sentì qualcuno schiarirsi la voce
dall’altra parte del muro.
Con ancora la spazzola fra i capelli si irrigidì, smettendo
di pettinarsi; con
il cuore in gola si appiattì contro il muro e chiese: -Chi
è?-
Una voce
ormai sgradevolmente
familiare le rispose: -Tesoro, sono io- se Harry si fosse azzardato
un’altra
volta a chiamarla “tesoro” avrebbe fatto una brutta
fine perché Ginny non
credeva di avere abbastanza autocontrollo né per fermare
Draco qualora lo
avesse sentito né per garantire di se stessa. Era stremata,
irritata e affamata
perciò sbottò senza trattenersi oltre, aprendo la
porta di scatto: -Ma si può
sapere che cosa vuoi da me, Harry? Eh? Che cosa vuoi?!-
Scandì
le ultime parole
talmente bene che quasi sillabò. Harry
indietreggiò incespicando e balbettando,
ma non le fece pena nemmeno un po’: -Volevo solo parlare,
tes…-
La rossa
avvicinò
il suo viso a quello del ragazzo, fissandolo negli occhi con
espressione seria,
che non presentava nemmeno l’ipotesi che stesse scherzando:
-Non mi chiamare
più “tesoro”,
“dolcezza” o qualsiasi altro appellativo frivolo,
se no giuro che
non potrò rendere conto delle mie azioni- Un nuovo sguardo
s’impossessò degli
occhi del ragazzo: divennero più ardenti, quasi febbrili; le
sembrarono quelli
di quando qualcuno si complimentava con lui, di quando puntava ad
un’impresa e
volesse a tutti i costi raggiungerla. Ginny si riscosse e
cercò di
allontanarsi, vedendo quanto gli era poco accettabilmente vicino, anche
se
dopotutto Harry era come un fratello per lei. Solo in quel momento si
rese
conto che una relazione non sarebbe potuta funzionare fra loro
perché il moro
non l’avrebbe mai considerata una sua pari e rispettata per
come era veramente.
L’avrebbe chiusa in una teca di vetro e mostrata a tutti
orgoglioso: la sua “bambola”,
la sua “moglie bambina”; I suoi genitori sarebbero
stati felici dell’unione con
il Bambino-che-è-sopravvissuto, i suoi fratelli non
avrebbero notato, se non
troppo tardi, la tristezza nei suoi occhi. Ginny non avrebbe potuto
sopportarlo
e questo era un altro motivo per cui amava stare con Draco. Quando
l’abbracciava
forte, quando la baciava con passione, quando le spiegava qualcosa,
quando le
parlava di come suo padre lo picchiava, quando le permetteva di stare
con lui
durante le dolorose e tremende chiamate di Voldemort, non le aveva mai
dato
l’impressione che avesse paura di turbarla, di romperla o che
non potesse
sopportare tutta la bruttezza della sua vita. Non la sovrastava mai,
né la
metteva in soggezione; ascoltava tutto quello che diceva e solo dopo
esponeva
il suo parere. Ben celato da un profondo sarcasmo, c’era
tutto il rispetto che
provava per lei e Ginny credeva assolutamente che senza la stima non
potesse
esserci amore. Presa da questa consapevolezza improvvisa, seguendo
assente il
filo dei suoi pensieri, non si rese nemmeno conto che Harry si era
avvicinato
troppo al suo viso e la fissava come se volesse mangiarla.
-Sei
così bella-
mormorò bramoso, intrappolandole il volto fra le mani e
baciandola con
violenza. Fu un gesto talmente inatteso, tanto estraneo e ignoto che la
lasciò
senza fiato. Aveva sognato per anni di
baciare quelle famose labbra ed ora che stava succedendo
l’unica cosa che
riusciva a pensare era: -E’ sbagliato, è tutto
sbagliato, tutto completamente
sbagliato!- Perciò si divincolò con uno
strattone, spintonandolo al petto e
allontanandosi il più possibile, ma Harry non sembrava
intenzionato a lasciarla
andare una volta che finalmente era sua poiché
appoggiò di nuovo la bocca sulle
sue labbra, facendosi strada con la lingua invadente. Ginny era nel
panico, non
sapeva assolutamente cosa fare se non dibattersi selvaggiamente: le
ritornavano
in mente i momenti passati con il moro a giocare a
Quidditch sulle vecchie Nimbus 2000
scalcagnate, a lanciarsi palle di neve, a rubare i biscotti a Molly;
era come
baciare suo fratello, era come baciare Ron! Sentì un conato
salirle in gola, lo
stomaco contrarsi dal disgusto, così, con un ultimo
spintone, si allontanò e
corse via. Harry la inseguì, determinato a non farsela
scappare: -Gin, dove
vai? Io so che mi amavi ed ora che ti amo anche io mi rifiuti? Hai
capito?! Ti amo!
Non potrai evitarmi per sempre-
I
corridoi della
scuola erano deserti, evidentemente tutti gli alunni erano a cena in
Sala
Grande, dove avrebbe dovuto esserci anche lei se la sua vita non fosse
stata
messa sottosopra dal migliore amico di suo fratello;
rabbrividì, accorgendosi
di avere ancora i capelli bagnati e gocciolanti. Nella fretta della
fuga, si
era dimenticata la giacca. Entrò nella Stanza delle
Necessità, doveva
incontrarsi con Draco dopo l’allenamento. Fortunatamente lui
non era arrivato: Ginny
si vergognava moltissimo di quello che era accaduto e temeva la sua
reazione se
involontariamente avesse letto i suoi pensieri con la Legilimanzia. Il
camino
scoppiettava nella Stanza, una brocca di cioccolata calda e gli
irrinunciabili
biscotti erano di conforto sul tavolo. La rossa si accoccolò
davanti al fuoco avvolta
in una coperta di lana, riscaldandosi e pensando mentre fissava le
fiamme bluastre
danzare sulla legna. Non poteva raccontare tutto a Draco, non subito
almeno: si
fidava di lui, ma non sapeva come avrebbe reagito. Insomma, quella di
Harry era
una dichiarazione in piena regola e non importava che cosa pensasse
Ginny, era
comunque una minaccia. Doveva trovare qualcuno che le insegnasse a
schermare la
mente e a nascondere i suoi pensieri. L’unica persona che le
sembrò adatta in
quel momento era Theodore, però aveva sempre avuto
l’impressione che lui la
squadrasse, l’esaminasse, come per comprendere
perché piaceva tanto a Draco. Era
una persona molto misteriosa poiché Ginny
non era ancora riuscita a capirlo, lo sentiva distante, ma lo
rispettava. Aveva
bisogno di lui; tanto avrebbe potuto anche non sapere i particolari:
voleva
chiedergli in che modo si schermavano i pensieri, non provare a farlo
davanti a
lui, così fece apparire una pergamena ed una piuma e scrisse
un messaggio
sbrigativo. Scivolò via dalla Stanza attentamente
poiché il tempo scorreva e a
breve Draco sarebbe andato a cercarla. L’incontro con Theo
era alle dieci nella
torre di Astronomia. A quell’ora non c’era mai
nessuno là, o almeno sperava che
la professoressa Sinistra non avesse deciso di mostrare ai secondini
l’allineamento di Venere e Giove proprio quella sera.
Cercando di non farsi
notare, Ginny percorse i corridoi illuminati dalle fiaccole rasente il
muro e
giunse alla Torre Ovest, nella cui cima si trovava appunto
l’aula di Astronomia.
La scalinata che portava alla Torre era di pietra massiccia e i gradini
erano
alti e ripidi; la rossa si strinse fra le sue stesse braccia, saltando
a due a
due gli scalini per arrivare prima. Arrivata in cima, si
chinò con le mani
sulle ginocchia, respirando affannosamente per lo sforzo. Non
c’è nulla di
meglio della fatica fisica per dimenticare le angosce mentali.
-Weasley-
Ginny si
voltò di scatto, percependo la voce e la presenza di
Theodore dietro di sé. Il
ragazzo era in ombra, i suoi occhi brillavano come pietre di agata
color
caramello, ma non sorrideva. Era di una bellezza strana, esotica:
soprattutto
le sue iridi le sembravano di un colore indefinibile.
-Mi
chiamo Ginevra-
il tono suonò leggermente scocciato. Non lo aveva mai
offeso, né infastidito,
per cui che cos’era tutto questo rancore ingiustificato verso
di lei? O era
segretamente innamorato di Draco o teneva così tanto a lui
da volerlo difendere
da qualsiasi cosa che avrebbe potuto procurargli un dolore.
Theo si
addolcì,
avvicinandosi a lei e posandole una mano sul braccio: -Allora, che di
cosa hai
bisogno? Sembri turbata- La scrutò a fondo, cercando di
leggere i suoi occhi.
Ginny si morse il labbro, non sapendo bene come spiegare ciò
che era successo,
così alla fine disse solo: -Devo imparare a schermare i miei
pensieri-
Lo
sguardo del
ragazzo era talmente penetrante e acuto che dovette distogliere il suo.
Camminò
per la stanza, seguendo circolarmente il perimetro del muro, ricoperto
di
enormi mappe stellari. Le costellazioni segnalate da piccoli puntini
fosforescenti creavano sulle pareti bellissimi disegni mitologici;
intravide
Cassiopea seduta fieramente sul trono regale, la Lira,
l’incantevole strumento
di Orfeo, con il quale era riuscito a varcare il regno dei morti. La
domanda che
temeva più di tutte arrivò dopo molto tempo,
quando già era passata
all’emisfero boreale: -Che cosa devi nascondere? E,
soprattutto, a chi?-
-Non
è necessario
che tu lo sappia- mormorò, sfiorando Orione sul muro. Non
aveva il coraggio di
guardarlo in faccia.
-Come
desideri, ma
non ti assicuro che non lo leggerò, qualunque cosa sia,
mentre ti insegno come
fare. Cominciamo- Theo si posizionò proprio nel centro della
stanza, colpito
dai raggi di luna che filtravano dal lucernario di vetro, evidenziando
i
pulviscoli danzanti nell’aria e la sua figura alta. Ginny lo
imitò, fissandolo
attenta, ma silenziosa.
-Prima di
tutto
devi sapere che la Legilimanzia è un’arte nobile
che va praticata con costanza
e applicazione fin dalla più tenera età- la rossa
alzò gli occhi al cielo
perché le sembrava di assistere ad una vera lezione; inoltre
Theo aveva tutta
l’aria di un professore mentre gesticolava moderatamente per
chiarire i
concetti –Se
mi avessi chiesto di
insegnarti a diventare Legilimens, sarebbe stato impossibile, ma, visto
che
vuoi solo nascondere qualche cosa…. Proviamo- Smise di
camminare avanti ed
indietro e aggrottò la fronte, fermandosi come in attesa.
Ginny all’inizio non
percepì nulla, voleva controbattere che non sapeva nemmeno
come funzionasse la
Legilimanzia, ma subito si accorse di una presenza, non invadente,
soltanto
superflua che scorreva veloce tra i suoi ricordi come un album
fotografico. Alcuni
erano vecchissimi: la prima volta in cui aveva fatto una torta con sua
mamma,
quando la chiamavano “Carotina” per via del colore
rosso acceso dei capelli, i
dispetti a zia Muriel che sonnecchiava sul divano aiutata dai gemelli,
suo
padre che le spiegava come funzionava un tostapane babbano. Poi
iniziò a
cogliere anche le emozioni più forti che avevano
caratterizzato ogni momento;
imbarazzo, gioia, tristezza, divertimento si mescolavano in un vortice
di
colori dietro alle sue palpebre e scoppiavano come fuochi
d’artificio variopinti.
Le parole
di Theo
arrivarono da lontano, anni luce da lei: -Devi provare a respingermi o
se no
dovrò accedere ai tuoi ricordi più intimi per
spronarti- Le sembrava che i suoi
ricordi fossero ordinatamente riposti in una lunga cassettiera,
etichettati in
ordine cronologico. Vide mentalmente un’ombra che
s’intrufolava nel cassetto
più recente, così la seguì: erano i
ricordi di quell’anno. Iniziò ad allarmarsi
quando Theo entrò nel ricordo che presentava la prima volta
in cui aveva
parlato con Draco sulla quercia sul lago, quando raccontava con Demelza
e Diane
di come si era comportato il ragazzo, poi lesse i suoi primi pensieri
su quanto
era bello…
-Basta!
Sono i miei
ricordi! Non puoi fare così- esplose con la testa fra le
mani, riversando tutto
il suo sdegno sul ragazzo che stava violando la sua
intimità.
-Respingimi
o
continuerò- fu l’impietosa risposta. Theodore era
nella sua mente sempre più
avanti di lei, non riusciva a stargli dietro. Ginny corse tra gli
scaffali
della sua testa, raggiungendo il moro e scansando le immagini della
Stanza
delle Necessità, tinta del rosso del suo piacere, della
bocca di Draco, del
bracciale che le aveva regalato a Natale. Quando infine furono tutti e
due
nella diapositiva di quel giorno stesso, la rossa vide la Ginny del
ricordo che
si pettinava davanti allo specchio e sentì, chiaro come se
fosse vero, lo
scalpiccio dall’altra parte della porta. In preda al panico,
cercò di
posizionarsi davanti ad essa e gridò
d’insofferenza, con le lacrime che
scendevano copiose sulle sue guance. Theodore era impassibile, di
quell’indifferenza istruttiva che potevano possedere solo gli
Slytherin, così
immuni ai sentimenti e ai dolori altrui. Ginny rivisse con orrore il
momento di
rabbia violacea e rossastra in cui apriva la porta del bagno dello
spogliatoio
e vedeva Harry, gli urlava di non chiamarla più
“tesoro”. Potè solo osservare
inesorabilmente il moro, che notandola sovrappensiero, si avvicinava
sempre di
più alle sue labbra, le sussurrava cupido
all’orecchio… Solo allora l’ondata di
carica elettrostatica ruppe gli argini della sua mente e
tagliò il contatto,
sbalzandoli indietro, a terra, sul duro pavimento della Torre. La
ragazza si
accoccolò sul pavimento, piangendo sommessamente in
posizione fetale. Si
sentiva svuotata, profanata, ma c’era riuscita. Non si era
nemmeno resa conto
di come avesse fatto, era stata più che altro una reazione
istintiva, un
rifiuto immediato, primordiale. Theo si sdraiò accanto a lei
laconico, con lo
sguardo perso sulla luna, imprigionata dalle sbarre del lucernario:
-Draco non
entrerà mai nei tuoi pensieri come ho fatto io stasera. Ho
pensato che
affrontare subito la prova più gravosa, ossia scacciare
un’influenza dalla
propria mente, ti avrebbe reso più facile nascondere un
semplice ricordo.
Bastava che tu lo prendessi da quella cassettiera e lo spostassi in un
luogo
più sicuro. Sono stato invadente e precipitoso; è
solo che sembri così forte,
così sicura, però alla fine sei come tutti noi:
hai una corazza per proteggerti
dal dolore. Ti porgo le mie scuse-
Ginny si
girò nella
stessa posizione del moro, calmando il respiro mentre osservava la
luna; apparì
quella di sempre mentre pronunciava risoluta: -Mi servirà,
prima o poi- indugiò
un attimo prima di aggiungere -E per quanto riguarda Draco...-
-Non
voglio sapere
nulla di quello che è successo oggi pomeriggio fra te ed
Potter, non potrei
nemmeno dirti che disapprovo il fatto che tu glielo tenga nascosto,
avrai le
tue motivazioni. Però ricorda: Draco è un ragazzo
difficile, ma sa ragionare.
Mentire non giova mai a nessuno- parlò con il rimorso nella
voce, come se si
fosse ricordato di un episodio doloroso della sua vita. Ginny
posò una sua
piccola mano su quella di Theo per confortarlo e il ragazzo
sobbalzò, spostando
lo sguardo dal suo viso alle mani unite.
-Grazie
di cuore-
sussurrò la ragazza prima di alzarsi.
Stava
già
andandosene quando il moro la fermo: -Non farlo soffrire, Ginny. Sei
tutto ciò
che ha-
-Non lo
farò-
quella era la sua unica certezza.