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Autore: LoveEverlack    30/05/2014    3 recensioni
NON CI SONO SHADOWHUNTER, SOLO PERSONE CHE VIVONO VITE NORMALI.
Clary si è appena trasferita dal cugino Magnus e iniziando a frequentare la nuova scuola scoprirà l'amore, persone del suo passato e suo padre, di cui sua madre non ha mai parlato entrerà nella sua vita con il fratello.
[.....]
-Mi chiamo Clarissa Fray, ho sedici anni, mi sono trasferita qui con mia madre e viviamo da mio cugino finchè non troviamo un appartamento-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! *rilegge e pensa che deve diventare più fantasiosa con i saluti*
Beh, che dire? La prima parte del capitolo si svolge in casa Herondale, mentre la seconda... diciamo che mi sono anche commossa per scriverla. 
Non so se ho fatto uscire Jonathan alquanto OOC, spero di no ma ammetto che non ne sono sicura. 
Questa storia mi sta straziando! 
Fatemi sapere se vi piace... e, prima che me ne dimentichi.
*parte una serie di applausi* sto riuscendo ad aggiornare più o meno regolarmente, ricordo qualche capitolo fa che erano passate, quanto? Qualche settimana?






Clary si alzò dal letto lievemente assonnata e si guardò intorno, cogliendo le velate sfumature di colore che il sole lasciava, mentre inondava la stanza della luce dei suoi raggi.
Celine le aveva lasciato un suo completo sul mobile, insieme all’intimo che avrebbe potuto indossare perché ancora dentro la scatola delle cose nuove e con il suo telefono pieno di messaggi e dalla segreteria intasata.
Clary andò verso il bagnetto, cercando di pettinare alla meglio i capelli e usando anche lo spazzolino che Celine doveva aver fatto comprare a Stephen per lei.
Aveva ancora il sorriso stampato sul volto, le gambe che tremavano leggermente e un insieme di pensieri che non l’avevano lasciata sola nella notte nemmeno per un secondo.
Indossò il vestito blu e le calze che Celine doveva averle preparato proprio perché più sicura che le andassero, ai piedi aveva i suoi stivaletti neri, l’unica cosa realmente sua in quel momento.
Raccolse i vestiti del giorno prima e ne fece un pacco che avrebbe portato via, poi aprì le finestre della camera per lasciar traspirare l’aria del dolce venticello che spirava fuori, accompagnato dal canto degli uccellini.
Sì, per certi versi Clary era davvero di buon umore; di un umore così gioviale da lasciar stare la menzogna della madre per pensare solo alla colazione di quella mattina e al suo ritorno a scuola.
Mentre finiva di scoprire il letto sentì la porta aprirsi e vide il viso di Celine fare capolino nella stanza.
-Buongiorno Clary, ero venuta a svegliarti, ma credo di aver fatto tardi. Se vuoi la colazione è pronta.-
-Sì arrivo, grazie mille Celine.- Clary sprimacciò il cuscino e seguì Celine fuori la porta.
Quel mattino anche Celine sembrava piuttosto contenta, o forse era semplicemente il suo normale umore stando a quello che Jace e sua madre le avevano raccontato.
Al tavolo della cucina Stephen stava aprendo quelle che sembravano buste dei cornetti, accompagnate dall’immancabile odore di caffè e cappuccino caldi.
-Stephen hai svegliato Jace?- lui scosse la testa, guardando confuso la moglie.
-Pensavo dovessi farlo tu prima che uscissi… o forse ero io? Che l’angelo ci aiuti! Di sicuro non si alza più.- Celine sospirò, raggiungendo velocemente il corridoio mentre Clary rimaneva in piedi vicino la porta.
Stephen canticchiava mettendo sul tavolo quello che aveva comprato e nel frattempo si occupava anche di accedere il caminetto nella stanza accanto per riscaldare comunque la casa dal tempo di fuori che cominciava comunque ad essere leggermente freddo.
-Siediti pure, Clary. Se siamo fortunati Jace sarà pronto tra mezz’ora.- rise, pulendosi le mani dai pezzetti di legno e lavandole sotto il lavandino.
Clary prese posto su una delle sedie ai lati del tavolo, pensando che i capotavola spettassero a Celine e a Stephen come padroni di casa.
Dal corridoio proveniva un rumore di tacchi e un leggero fischiettare allegro, Celine raggiunse i due con un enorme sorriso stampato sul viso mentre prendeva posto a capotavola, come aveva pensato Clary.
-Oh Clary, ti adoro. Jace era già pronto… ci pensi? Tutto perché fai colazione con noi.- Celine e Stephen risero del figlio che in quel momento entrò nella cucina senza nemmeno una traccia di sonno, a differenza di Clary, come se durante la notte avesse soltanto dormito.
-‘giorno a tutti!- salutò i genitori e diede un veloce bacio a Clary, facendola velocemente arrossire.
Stephen e Celine però stavano discutendo con lo sguardo che vagava da tutt’altra parte, solo per lasciare loro un po’ d’intimità che passò velocemente.
-Jace, stamattina vi accompagna papà a scuola e Clary, mi ha chiamato Isabelle… mi ha chiesto di dirti che le dispiace e che avrebbe portato lei le tue cose a scuola.- Celine passò un piatto a Clary non guardandola.
Non sapeva bene come trattare con lei argomenti di quella misura, tanto che aveva moderato al massimo ogni parola che avrebbe potuto usare per gli eventi della serata passata.
-Grazie, Celine. Ho letto un’infinità di messaggi di Izzy, Magnus e… Jonathan.- saltò il nome della madre.
La odiava per quello che le aveva nascosto? Un sacco.
La odiava per averle mentito sul padre? Sì, se non lo avesse mai visto forse non ci sarebbero nemmeno stati tanti problemi, ma dopo che aveva iniziato a tenersi in contatto con loro come aveva potuto non cercare almeno di dirle che quello era suo padre?
Eppure più di tutto la odiava perché sembrava non si fosse interessata al rapporto con Jonathan, che stava in quel momento crescendo sempre di più, non rivelandole nulla nemmeno per loro due.
-Già lo immagino… beh, Clary, sei molto carina con il mio abito.-
 
Jocelyn non aveva dormito per tutta la notte, era stata riaccompagnata a casa da Valentine e di lì era stato tutto un susseguirsi di pianti e dipinti dai colori cupi.
Clary aveva scoperto la verità nel peggiore dei modi, era scappata via e non aveva più avuto sue notizie.
Sapeva solo che aveva passato la notte a casa Herondale, Celine l’aveva chiamata quella mattina per dirle che stava bene e che si sarebbe assicurata che andasse a scuola… poi nulla.
Aveva riagganciato il telefono perché Clary l’aveva chiamata prima di uscire.
Aveva ancora i segni neri del mascara che le rigavano le guance, i capelli afflosciati sulle spalle e i vestiti erano sporchi di tempera e solcate da linee di colore che non ricordava di aver fatto.
Il ciondolo che portava al collo, quello che aveva diviso con Clary, in quel momento sembrava avesse un peso opprimente sul cuore di Jocelyn che non riusciva a sopportare.
Il respiro era continuamente scosso dai singhiozzi che ancora non l’avevano lasciata andare nonostante il tempo passato. Jocelyn si odiava per tutto quello che era successo.
Fece un sospiro, dirigendosi in camera per una doccia rinfrescante e un cambio d’abito, doveva vedere Celine per accettare quel suo invito ad accompagnarla alla scuola per vedere Imogen.
Sarebbe stato l’unico modo in quel momento per vedere Clary da lontano.  
Uscì fuori la camera, prendendo il cappotto blu scuro e la sciarpa con cui avvolgersi e scese le scale mentre decideva di mandare un messaggio a Celine per incontrarsi poco lontano, vicino la scuola.
Tenne una mano sulla ringhiera scendendo lentamente le scale, la piccola finestra sotto le scale illuminava il pianerottolo nonostante fuori ci fosse un po’ di pioggia.
-Jocelyn.- sentendosi chiamare alzò il viso facendo ricadere i riccioli rossi.
Valentine era appoggiato ad una sedia sotto le scale che aspettava di vederla scendere dal suo appartamento.
-Ehi.- non era molto entusiasta, la stessa voce era più un sospiro che un vero rumore.
Valentine sospirò, presagendo una delle lunghe giornate con cui aveva imparato a convivere, conoscendo i momenti di Jocelyn in cui l’umore era sotto lo zero.
-Volevo… cioè no, volevamo aiutarti a vedere Clary. Ma se è questo l’umore direi di lasciar perdere... o no?- Jocelyn lo sguardo confusa. -Volevamo?- Valentine sorrise, uscendo fuori seguito da Jocelyn e portandola vicino alla macchina nera di Valentine, con dentro Jonathan appoggiato al finestrino.
Jocelyn si bloccò sulle scale, vedendo la figura di suo figlio che guardava verso di lei.
-Jonathan…- sentì una mano stringere la sua e costringerla a scendere le scale.
-È tuo figlio, no? E poi immagino che ci siano molte cose di cui parlare, non aspetta altro.-
Jocelyn annuì, seguendo Valentine e salendo nel sedile posteriore accanto a Jonathan.
-Vi lascio qualche minuto di privacy.- Valentine richiuse lo sportello e tornò verso la casa, dove Madame Dorothea lo attendeva con la porta aperta facendo uscire un gattino.
-Ciao… Jonathan… come… cioè…- si bloccò, aveva conosciuto quel ragazzo e non gli aveva rivelato nulla.
Come poteva anche solo credere che iniziare con i soliti discorsi sarebbe servito a qualcosa?
Lui guardava fisso avanti a sé, non si era girato nemmeno un solo secondo per vedere il viso di Jocelyn.
-Immagino mi odierai, vero?- lo vide esitare, prima di scuotere la testa.
-Non ti odio, o dovrei odiare anche mio padre. Avevo già scoperto la nostra parentela, quello che mi aspettavo era vedere uno dei due dirci la verità. Clary non merita di soffrire così, le è stato rivelato il suo passato per sbaglio e si è sentita tradita. Sai quando ti adora? Quanto mi ha parlato di te? È stata la persona a cui tiene di più a mentirle… non una qualunque di cui non si sarebbe importata.- Jocelyn ebbe un nuovo singulto.
Quelle parole erano state dolorose, sarebbe stato meglio sapere che Jonathan la odiava piuttosto che sapere che entrambi i suoi figli stavano soffrendo.
Lei poteva sopportare il dolore, ma sapere che i suoi figli erano tristi… in quel caso il dolore aumentava.
-Mi dispiace, Jonathan. Io non volevo… devi credermi è solo che…- si bloccò.
-Solo cosa? Mi hai abbandonato senza nemmeno provare a chiedere a papà se potessi vedermi. Provare.- Jocelyn scosse la testa, appoggiandosi al finestrino e lasciando scendere nuovamente le lacrime.
-Non potevo, ero giovane e povera. Con Valentine le cose non andavano bene e ho pensato solo a scappare. Hai ragione a dire che sono una persona orribile, credi che non abbia sofferto tutto questo tempo? Quando ti ho rivisto fuori la pizzeria ho desiderato morire perché non mi conoscevi nemmeno…- Jonathan sospirò.
-È questo il fatto. Tu non sei orribile, o non avresti mai cresciuto una figlia come Clary… e so che sono un mostro perché oltre al lavoro tu e papà vi siete ritrovati con un figlio come me. Ma da piccolo… non so, volevo una figura accanto a me che non fosse Dorothea con i biscotti o la patina che mi portava regali dal mondo.- Jocelyn allungò una mano verso il ragazzo, accarezzandogli i capelli chiari come il padre e sperando che non la allontanasse proprio in quel momento da lui, aveva così tanto voluto coccolarlo da piccolo che poterlo fare anche ora da grande le sembrava essere un traguardo.
-Tu non sei stata la causa della nostra rottura, Jonathan! Tu eri quello che ci illuminava le giornate… eravamo noi, ancora troppo giovani e troppo presi dai nostri affari per capire che stavamo rovinando tutto.- Jocelyn si asciugò una lacrima che le stava scendendo dal volto ridendo, per un motivo sconosciuto di quel momento.
-Non credevo che avrei avuto ancora delle lacrime a disposizione. Ti prego Jonathan, pensa quello che vuoi ma non credere che la colpa sia tua…- gli tenne stretta la mano, guardandolo negli occhi e sperando che sapesse che non stava mentendo, che le cose che uscivano dalla sua bocca erano la pura verità.
Lo sguardo di Jonathan si muoveva sul viso di Jocelyn in cerca di qualcosa che gli dicesse che stava mentendo, credere che lui era un mostro a volte risultava più facile di vedere dei problemi negli altri.
Credere che i suoi si fossero lasciati per colpa sua era sempre stato un modo per non soffrire, mentre pensava a godersi il presente e credendo che non avrebbe mai più sofferto.
-Sì.- le disse, mentre si sistemava meglio sul sedile per guardarla.
-Sì, cosa?- lui sorrise, aspettandosi lo slancio di Jocelyn a sentirlo parlare.
Aveva sempre sperato in un momento simile e sapeva che il tutto stava per accedere, come quando lo aveva sognato da bambino nonostante non ci fosse il vento o una macchina ad avvicinarli.
-Sì, puoi abbracciarmi. Papà mi ha detto che ieri gli hai rivelato di…- non riuscì a concludere la frase, due braccia esili rispetto alla sua stessa figura lo avvolsero prima ancora che finisse di parlare, accompagnati dalla voce di sua madre e dalle sue lacrime che gli bagnavano la maglia. -Grazie, Jonathan.-
  
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