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Autore: Rebecca_lily    30/05/2014    4 recensioni
“Puoi stare a casa mia per tutto il tempo di cui hai bisogno, se desideri”- disse Abel guardandola negli occhi...
La mia storia ha inizio quando Georgie incontra di nuovo Abel, dopo aver lasciato Lowell da Elise, e vuole esplorare il rapporto tra i due 'fratelli' nel periodo in cui cercano di salvare Arthur dalle grinfie del Duca Dangering. In particolare questa storia intende approfondire sia la lenta presa di coscienza di Georgie del suo amore per il suo ex-fratello sia il carattere di Abel come viene reso per buona parte del testo originale, ovvero del manga. Nella mia storia, Abel non vive dal sig. Allen e i due non affrontano immediatamente la questione del ritorno in Australia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don’t get too close/ it’s dark inside/ it’s where my demons are/
 it’s where my demons are […]”
(Demons, Imagine Dragons)

 
Alcune settimane dopo, un tardo pomeriggio, Abel entrò nella stanza in cui Emma, Georgie e Joy stavano cucendo sbandierando una lettera. Si trattava di un messaggio di Arthur che Didley-doo gli aveva appena consegnato. Essendo passato così tanto tempo da quando si era recato al castello dei Dangering, Abel aveva ormai perso la speranza di ricevere una risposta dal fratello ma ora, con le mani leggermente tremanti, apriva trepidante assieme a Georgie quel foglio di carta spiegazzato. Una volta aperto, gli occhi dei due ragazzi accarezzarono commossi le righe vergate dalla familiare grafia di Arthur, poi Abel iniziò a leggere a voce bassa:
 
Cara Georgie e caro Abel,
la mamma è morta subito dopo che siete partiti per l’Inghilterra… Ha lasciato detto che chiede perdono a Georgie con tutto il suo cuore e che grazie a noi tre figli la sua vita è stata felice… Cara Georgie, tuo padre è innocente, a quanto pare per colpa del Duca Dangering è caduto in disgrazia.
Vi prego dimenticatevi di me. Vi amerò per sempre.
 
Vostro fratello A.
 
Da lontano, Emma e Joy videro Abel progressivamente sbiancare durante la lettura della lettera e Georgie iniziare a piangere, dopo di che li videro uscire di casa senza che dicessero loro parola alcuna. Una singhiozzante Georgie aveva, infatti, chiesto ad Abel di accompagnarla alla più vicina chiesa e il ragazzo l’aveva accontentata.
Non appena giunti in chiesa, Georgie accese una candela per mamma Mary e si mise in ginocchio a pregare. Abel restò invece in piedi accanto a lei con lo sguardo fisso sul pavimento. Quando Georgie ebbe finito di pregare e si rialzò, Abel guardò con apprensione il suo volto rigato di lacrime. Il ragazzo mise allora sotto chiave tutto il suo dolore e cercò di consolarla sottolineando le buone notizie che Arthur le aveva dato, ovvero, l’amore filiale che sua madre nonostante tutto aveva provato per lei e il fatto che il suo vero padre, il Conte Gerard, fosse innocente. Le parole di Abel scaldarono il cuore di Georgie che smise di piangere e timidamente gli sorrise. Abel le rispose con un sorriso appena accennato poi la guidò verso casa del sig. Allen.
Quando entrarono, Emma e Joy, preoccupate, andarono subito incontro a Georgie per chiederle cosa fosse successo mentre Abel, in silenzio, si defilò. Emma si offrì poi di preparare del tè. Georgie accettò con piacere l’offerta poi, girandosi per chiedere al fratello cosa ne pensasse, si rese conto che lui non era più accanto a lei. “Dov’è andato a finire Abel?” – si chiese la ragazza preoccupata perché il ragazzo, a parte le parole confortanti pronunciate per lei in chiesa, non aveva detto niente sulla lettera né sulle notizie in essa contenute: non un cenno, non una parola sul suo stato d’animo. Desiderosa di aiutarlo, Georgie andò a cercarlo.
Abel si era allontanato perché sentiva il bisogno di stare da solo: le parole di Arthur gli avevano fatto montare dentro un’ansia che non riusciva a contenere. Che cosa aveva voluto dire il fratello con la frase “dimenticatevi di me”? Quale terribile progetto aveva in mente? Rifugiatosi nel suo studio, senza accendere la luce, il ragazzo si mise a sedere alla scrivania, mentre dense lacrime iniziarono a solcargli le guance senza che lui riuscisse a fermarle. Abel era allarmato che quelle parole significassero che suo fratello stava per compiere un gesto suicida ed era devastato al pensiero di non poter far nulla per salvarlo. In quel contesto anche la terribile benché non inaspettata notizia della morte di sua madre era passata in secondo piano. Nel profondo di sé, infatti, Abel sapeva da sempre che doveva essere successo qualcosa di irreparabile a casa, altrimenti mai e poi mai Arthur avrebbe lasciato la sua amata fattoria, ma ora che tutti i suoi peggiori incubi stavano diventando realtà, sentiva un groppo alla gola che gli impediva di respirare.
Rabbia, disperazione e senso di colpa iniziarono ad alternarsi dentro di lui lasciandolo senza fiato. Pur vergognandosene profondamente, infatti, Abel d’istinto provò rabbia nei confronti di sua madre che aveva sempre cercato di allontanare Georgie da lui fino a cacciarla di casa. Poi sentì compassione per lei: si era pentita di come si era comportata ed era morta senza perdono. Provò rabbia anche per Arthur, per tutte le volte in cui lo aveva fermato con il ricatto della felicità familiare. Poi lo pensò da solo al capezzale della mamma, lui - un essere così fragile – e il peso della responsabilità che era caduto sulle sue spalle da piccolo, quando era morto suo padre, tornò a schiacciarlo con tutta la sua forza. Era stata tutta colpa sua e del suo egoismo: se fosse rimasto a casa, Arthur non sarebbe finito in quell’inferno e la mamma non sarebbe morta. Per di più, come fratello maggiore, non era stato ancora in grado di salvarlo e ora… quelle sue parole gli facevano temere il peggio. Abel sentì forte la voglia di vomitare.
In quel momento Georgie si affacciò nello studio per cercarlo. Lo chiamò ma non ricevette risposta. Piano piano, gli occhi di Georgie si abituarono all’oscurità e riuscirono così a scorgere la figura solitaria alla scrivania. Georgie si avvicinò lentamente e vide che Abel se ne stava lì seduto al buio, con le braccia conserte a soffocare i singhiozzi. “Abel, sta piangendo?” – si chiese sbalordita la ragazza. “E’ così che riesci a sopportare il tuo dolore, Abel? – si chiese Georgie mentre si avvicinava a lui – soffrendo da solo?”. Intenerita Georgie posò la sua mano sulla schiena di Abel per confortarlo, poi si fece coraggio e circondò con le braccia le spalle tremanti del ragazzo. Dapprima Abel rimase agghiacciato per quel contatto fisico così avvolgente e inaspettato, poi cercò di allontanarla: “Non è necessario che tu sia gentile con me, Georgie” – le disse duro mentre si asciugava le lacrime. Odiava essere compatito, figurarsi se poteva sopportare la pietà di Georgie. Specie in quel momento in cui sentiva, per la prima volta in vita sua, che non ce l’avrebbe fatta emotivamente a prendersi cura di lei. “Lasciami da solo, Georgie, ti prego” – la supplicò con voce soffocata. “No – disse lei – non voglio che tu stia qui da solo a tormentarti. Possiamo condividere il nostro dolore, anche io soffro moltissimo per la morte della mamma e per non poter salvare subito Arthur. Per una volta Abel, appoggiati tu a me” – gli disse Georgie dolcemente.
Nell’udire le accoglienti parole di Georgie, la crepa che settimane addietro si era creata nella diga interiore di Abel divenne una falla e così, incredibilmente, il ragazzo - prostrato dal dolore - posò il capo sul grembo di Georgie e lì, stretto fra le sue braccia, si lasciò andare, piangendo calde lacrime di disperazione. Poi, tra un singhiozzo e l’altro, Abel si sfogò: “Arthur è finito in un inferno eppure riesce ad avere parole d’amore per questo suo fratello egoista. E’ il mio unico fratello e io non posso fare niente per lui…”. Georgie era straziata nel vederlo in quelle condizioni, allo stesso tempo non riusciva proprio a capire come mai Abel si rimproverasse così duramente per quello che era successo al fratello. In fin dei conti, non era colpa sua se Arthur era stato catturato dai Dangering e se lo tenevano prigioniero, ma non volle contraddirlo. Si limitò ad abbracciarlo e a confortarlo: “Non ci arrenderemo Abel, ci deve essere un modo per tirarlo fuori di lì”.
Quando smise di piangere, ancora a capo basso, Abel si asciugò le lacrime poi chiese scusa a Georgie per essersi sfogato con lei. La ragazza gli sorrise dolcemente e cominciò a dirgli: “Abel, è normale …”, ma non fece in tempo a terminare la frase, che Abel – sorridendo mestamente - le disse: “Sì, lo so. E’ normale tra fratelli ma scusami lo stesso”. La ragazza scosse la testa perché in realtà avrebbe voluto dirgli che era normale per due persone che si volevano bene, ma non trovò dentro di sè il coraggio necessario per farlo, così lasciò che Abel si alzasse e si allontanasse da lei.
Oltre ad essere scosso, il ragazzo in quel momento si sentiva profondamente in imbarazzo perché non avrebbe mai e poi mai voluto farsi vedere in quello stato da Georgie, purtroppo però lei era entrata nello studio proprio nel momento peggiore e lui non era stato in grado di trattenersi… Georgie lo guardò allontanarsi affranta, perché – da quella piccola breccia – aveva appena intravisto il tumulto che si agitava nell’animo del ragazzo. Georgie si chiese quante volte Abel, nei mesi precedenti, avesse versato amare lacrime in solitudine e si disse che da allora in poi non lo avrebbe più lasciato solo ad affrontare quell’inferno, così come lui non aveva mai lasciato da sola lei.
  
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