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Autore: Alexandra e Mac    30/05/2014    4 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo IX

Al Castello



Da alcuni minuti aveva lasciato la strada principale e, oltrepassato il cancello che delimitava la proprietà, stava percorrendo, seppur lentamente, il viale fiancheggiato da alti cipressi che conduceva al castello. Eppure, dell’antica dimora, ancora non si vedeva neppure una pietra.

Era arrivato nello splendido borgo francese nel cuore della Borgogna in tarda mattinata e come prima cosa aveva visitato i luoghi ove si erigeva un tempo la celebre abbazia benedettina, sede principale dell’ordine cluniacense, fondata nel 910 da Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, e considerata la più grande chiesa della cristianità fino alla costruzione della Basilica di San Pietro a Roma: era partito dal Musee Ochier, dove aveva ammirato antiche sculture romaniche che si trovavano nell’abbazia, e un fedele modello in miniatura, esposto per permettere di rendersi conto delle proporzioni e della disposizione delle varie costruzioni che formavano l’intero complesso; quindi era arrivato sino a place du 11 Aout, da dove aveva potuto ammirare la facciata restaurata del XIII secolo e si era spinto fino alla fila di alberi che si trovano al di là del Clocher da l’Eau Benite, il campanile chiamato Torre dell’Acqua Benedetta, e della Tour de l’Horologe. Aveva evitato invece quelli che un tempo erano il transetto meridionale e l’antico chiostro dell’imponente Eglise Abbatiale, poiché occupati da una scuola di specializzazione per ingegneri civili e meccanici.

Verso metà pomeriggio, dopo un rapido spuntino in un bistrot a base di pane e formaggio accompagnati da un bicchiere di ottimo vino della zona, aveva preferito raggiungere lo Chateau dove avrebbe trascorso la notte e rimandare la visita dello splendido borgo medievale sorto attorno all’abbazia al giorno successivo.

L’appuntamento con Lady Sinclair a Parigi era stato rimandato per l’ennesima volta e a quel punto non era più sicuro che si sarebbe avvalso ancora della consulenza della nobildonna: da una settimana l’impegno era stato spostato di due giorni in due giorni e ancora una volta mademoiselle Valèns si era profusa in mille imbarazzanti scuse, assicurandogli che Milady era estremamente dispiaciuta di essere costretta, sempre per motivi professionali, a cambiare di nuovo la data dell’incontro. Tuttavia lui era piuttosto stufo di aspettare i comodi della “Nobiltà Vostra”, come aveva iniziato a chiamarla tra sé, soprattutto perché era convinto che gli impegni “professionali” altro non fossero che capricci della nobildonna la quale non aveva forse capito con chi aveva a che fare.

Pertanto, non sapendo come trascorrere il week-end in cui aveva sperato di iniziare finalmente con il suo romanzo, aveva dato un’occhiata su internet per scoprire se vi fossero luoghi interessanti da visitare oltre Parigi, che ormai conosceva quasi a memoria, dato che non aveva fatto altro che girovagare per la città in attesa di iniziare a lavorare con la “Nobiltà Vostra”. Oltre ai classici luoghi turistici, per altro già visti durante i suoi precedenti soggiorni nella capitale francese, questa volta si era concesso di visitare Maison Balzac, in rue Raynouard, dove il grande scrittore lavorava, allo scrittoio della stanza d’angolo, 18 ore al giorno alla sua “Comédie humaine”; si era spinto, inoltre, sino all’estrema periferia sud-ovest di Parigi, in luoghi carichi di memorie e reminiscenze della grande letteratura francese, a Chatenay-Malabry dove si trova la Maison Chateaubriand, acquistata dallo scrittore per ventimila franchi frutto dei diritti d’autore e delle vendite di Atala, il romanzo che lo aveva reso famoso, e dove vi passarono anche Anna de Noailles e Saint-Exupery. 

Ovviamente di altri luoghi interessanti, sia a Parigi che altrove, ve n’erano moltissimi, ma lui cercava qualcosa di ben preciso, che potesse tornargli utile per il suo romanzo: aveva saputo di un’antica residenza un tempo appartenuta ad una nobile famiglia francese che talvolta metteva a disposizione una camera del castello per qualche giorno a chi era interessato a visitare la proprietà e a conoscerne la storia, consultando testi della fornita biblioteca e curiosando tra vecchi cimeli.

Aveva telefonato e si era presentato come un professore universitario, uno studioso interessato in particolare alla storia dell’Ottocento; del resto non aveva neppure mentito del tutto: era laureato a pieni voti in legge a Harvard e, da quando era diventato famoso, era stato contattato da più di un’università, americana e non, per tenere delle lezioni.

Aveva così saputo che vi era parecchio materiale risalente al XIX secolo; a quel punto, dopo essersi messo d’accordo per riservare la camera per quel week-end, era partito per la Borgogna.

Svoltò ad una curva del viale e, finalmente, il castello gli apparve in tutta la sua maestosa bellezza. Era un’imponente ma al tempo stesso elegante costruzione in pietra grigia, più simile ad una grande casa che ad un vero e proprio castello, anche se la massiccia torre rotonda sul lato destro conferiva all’insieme un che di regale.

Era facile immaginare un aristocratico gentiluomo di campagna, proprietario dei vigneti che circondavano per ettari la proprietà, percorrere a cavallo lo stesso viale che lui aveva appena percorso sulla decappottabile argento e arrivare, proprio come stava facendo lui in quel preciso istante, nell’ampio spiazzo prospiciente l’ingresso, che dal lato opposto dava sull’immenso parco fino a quel momento nascosto dagli alberi che costeggiavano il viale; lo immaginava smontare da cavallo, accolto dallo stalliere, che si sarebbe occupato dell’animale, e dai suoi cani, che l’avrebbero accompagnato all’interno dello chateau.  

Non appena fu sceso dall’auto,  apparve un distinto signore sulla sessantina che, in un perfetto inglese, si presentò come Pierre; mentre l’uomo si avviava verso l’ingresso con il suo borsone da viaggio, egli si guardò attorno, affascinato dallo spettacolare paesaggio che si presentava ai suoi occhi: il parco era davvero fantastico, con un tappeto verde di prato all’inglese curato alla perfezione; cespugli di ortensie, disposti quasi fossero stati disegnati in un quadro nei punti strategici per far risaltare al meglio il dipinto e il cui colore andava dal viola intenso, al lilla, all’azzurro tenue, si alternavano a selvaggi mazzi di lavanda profumata e ad altre varietà di fiori dalle varie tonalità, sempre nelle gradazioni del viola e del lilla, quasi a richiamare, in quell’accostamento di verde e viola, i colori storici di Wimbledon.

Dal lato della torre, la fila di piante che costeggiava il viale d’accesso alla proprietà sembrava dilatarsi all’infinito in un bosco che dava anch’esso l’impressione di essere perfettamente curato; infine, sul terzo lato della costruzione, vi era un patio con tavolo e sedie in ferro battuto e, poco più in là, si intravedeva l’inizio di quella che di certo doveva essere una piscina che si estendeva verso il retro della casa dove, con ogni evidenza, il parco proseguiva fino a circondarla completamente.

Da quello stesso lato, ma più appartata rispetto alla struttura principale, si ergeva un’altra costruzione in pietra, quelle che un tempo dovevano essere state le scuderie o che forse, con un po’ di fortuna –si disse- lo erano tutt’ora, e di lato ad essa un porticato chiuso, usato come rimessa per ritirare le carrozze e trasformato in garage, visto che vi era una jeep parcheggiata sotto.   

Senza il rumore dell’auto il silenzio era totale, interrotto solo dal cinguettio degli uccelli che popolavano il bosco.

“Vi piace, monsieur?”. La voce di Pierre, che si era fermato ad attenderlo, lo distolse dalla contemplazione.

“E’ meraviglioso”.

“Sua Signoria ci tiene davvero molto che lo Chateau, e soprattutto il parco, rimangano esattamente come li avevano voluti i suoi antenati...”.

“Deve essere bellissimo abitare qui”.

“Sua Signoria non vive qui, anche se ci viene spesso, appena possibile... ma venga, l’accompagno a vedere il castello”.

L’interno della costruzione lo sorprese: si immaginava stanze ridondanti di mobili antichi e preziose suppellettili, ad ostentare la ricchezza e la nobiltà della famiglia; invece l’arredamento, pur formato da pezzi di evidente valore, era semplice e di grande gusto e, benché non più abitato, lo Chateau dava l’impressione di una casa accogliente e vissuta.

“Mi pare sorpreso, monsieur...”

“Lo sono, infatti. Mi aspettavo un genere diverso”.

“Molto più appariscente?”

“Esatto. Invece è così... non so come dire... si respira l’aria di una casa vissuta, in cui le persone che la abitano non possono che essere felici”.

“Ha molto intuito, monsieur. A quanto ne so è sempre stato un luogo ove chi vi ha vissuto è stato molto felice. La proprietà è sempre stata mantenuta in discrete condizioni, la nostra famiglia l’ha sempre curata per conto degli eredi, tuttavia sono più di cento anni che non è abitata... Sua Signoria n’è entrata in possesso da poco e ha voluto riportarla all’antico splendore, soprattutto il parco, che era stato abbandonato. Ha trovato tra i vecchi documenti il progetto originale e ha fatto in modo che i giardinieri si attenessero a quello, per sistemarlo: ogni fiore è della specie voluta in origine ed è disposto come disegnato nell’acquerello che accompagnava il progetto.  I mobili, invece, sono quelli originali; sua Signoria si è limitata a farne restaurare alcuni che erano molto rovinati. Noi speriamo che, prima o poi, decida di venire ad abitare qui... forse quando si sposerà...”

“Io abiterei qui da subito.  Questa è una casa che farebbe innamorare qualunque donna... sua Signoria non dovrebbe faticare a trovare una moglie disposta ad abitare in un luogo tanto bello”.

“Oh, no, monsieur... “ disse Pierre con un sorriso, ma fu interrotto dall’arrivo di una signora, anche lei sulla sessantina, con tanto di grembiule inamidato sopra l’abito nero e cuffietta bianca a trattenerle i capelli argentati.

“Pierre, non accompagni il signore nella sua camera?”

“Certo, Madeleine... stavo solo raccontando a monsieur ciò che ha fatto sua Signoria per riportare lo Chateau al suo antico splendore “.

Oh, oui! E’ stata una gioia per noi veder tornare alla vita questa bellissima proprietà...” disse la donna, “la bisnonna di mia nonna ha lavorato per la famiglia e mia nonna mi raccontava dei ricordi di sua madre che, a sua volta, le tramandava i racconti della nonna, la quale aveva servito gli ultimi proprietari che vissero qui: fu la cameriera personale della duchessa fino alla sua morte, avvenuta poco dopo quella del marito. Da principio la famiglia abitava nello Chateau solo in estate, quando il duca veniva una volta all’anno ad occuparsi delle sue proprietà in Francia... allora la casa si riempiva delle voci gioiose dei bambini, che giocavano nel prato e nella vasca che già allora sua Signoria aveva voluto per i figli. La piscina ora è nuova, ma si trova nel punto esatto dove il duca aveva voluto la vasca per i bambini.  Avevano quattro figli, due maschi e due femmine e, a quanto raccontava la mia trisavola, si amavano moltissimo. Quando i figli furono grandi e si fecero una vita propria, il duca e la moglie si trasferirono a vivere qui e la mia trisavola si trasferì con loro. Lui morì all’età di ottantaquattro anni, ne avrebbe compiuti ottantacinque dopo pochi giorni e lei è sopravvissuta solo poche settimane senza di lui. Vissero qui, insieme solo loro due, per quasi vent’anni, ma i figli venivano a trovarli spesso. Il duca è stato sepolto qui per volontà della moglie; quando è morta anche la duchessa, i figli, che vivevano ormai tutti in Inghilterra, se si esclude la figlia che si fece suora e che viveva in Francia, decisero di seppellirla accanto al marito. Sul retro del castello, in fondo al parco, se lo desidera potrà trovare le loro tombe. Ma ora venga, l’accompagno in camera. Pierre, porta la borsa di monsieur... Pierre è mio marito e da anni siamo noi i custodi della proprietà; ci occupiamo del castello e del parco, mentre dei vigneti e della produzione del vino se ne occupa nostro figlio, per conto di Sua Signoria...” .

Senza smettere di parlare un istante, la donna gli fece strada al piano superiore fino ad una camera in un’ala del castello riservata agli ospiti.

“Se lo desidera servirò la cena nella sala da pranzo per voi, monsieur” gli disse madame Madeleine.

“Oh, no, non si disturbi per me, madame. Mangerò con voi. Oppure posso uscire e trovare una locanda…”.

“Non lo dica neppure. E’ un piacere preparare per un bel giovane come siete voi” gli disse la signora, ammiccando, “allora ceneremo assieme, così avremo compagnia. Anche Sua Signoria, quando viene qui, preferisce mangiare con noi e chiacchierare un po’. Bene, la cena sarà pronta alle 20; fino ad allora potrà fare ciò per cui è venuto. Troverà la biblioteca al piano terra, prima de ‘Le Bureau de le Comte’, che si trova nella torre, monsieur le professeur” aggiunse la donna.

Sentendosi appellare in maniera tanto altisonante, ma preferendo continuare a passare in incognito, la invitò a chiamarlo per nome.

“La prego, madame Madeleine, mi chiami Andrew... e anche lei, Pierre.”

“Andrew? E’ questo il vostro nome, monsieur?” domandò la donna.

“Andrew Alexander, per la precisione. Ma mia madre mi chiama Andy“.

Vide Pierre e Madeleine scambiarsi un’occhiata strana.

“Qualcosa non va nel mio nome?” domandò, tra il divertito e il perplesso. Quella coppia gli piaceva, lo faceva sentire quasi a casa e al tempo stesso catapultato indietro nel tempo di almeno due secoli.

“Oh, no, monsieur le prof... ” iniziò a dire Madeleine, ma visto lo sguardo che il giovane le rivolgeva, si corresse immediatamente: “ Monsieur Andrew, d’accordo. E’ solo che... oh, nulla, nulla. Il vostro è un nome molto bello, si adatta ad un bel ragazzo come siete voi. Bene, ci vediamo più tardi, a cena. Pierre vi accompagnerà in biblioteca, se lo desiderate” e così dicendo marito e moglie si congedarono.

 

  
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