Capitolo IX
Al Castello
Da alcuni
minuti aveva lasciato la strada principale e,
oltrepassato il cancello che delimitava la proprietà, stava
percorrendo, seppur
lentamente, il viale fiancheggiato da alti cipressi che conduceva al
castello.
Eppure, dell’antica dimora, ancora non si vedeva neppure una pietra.
Era arrivato
nello splendido borgo francese nel cuore
della Borgogna in tarda mattinata e come prima cosa aveva visitato i
luoghi ove
si erigeva un tempo la celebre abbazia benedettina, sede principale
dell’ordine
cluniacense, fondata nel 910 da Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, e
considerata la più grande chiesa della cristianità fino alla
costruzione della
Basilica di San Pietro a Roma: era partito dal Musee
Ochier, dove aveva ammirato antiche sculture romaniche che si
trovavano nell’abbazia, e un fedele modello in miniatura, esposto per
permettere di rendersi conto delle proporzioni e della disposizione
delle varie
costruzioni che formavano l’intero complesso; quindi era arrivato sino
a place du 11 Aout, da dove aveva
potuto
ammirare la facciata restaurata del XIII secolo e si era spinto fino
alla fila
di alberi che si trovano al di là del Clocher
da l’Eau Benite, il campanile chiamato Torre dell’Acqua
Benedetta, e della Tour de l’Horologe.
Aveva evitato invece
quelli che un tempo erano il transetto meridionale e l’antico chiostro
dell’imponente Eglise Abbatiale,
poiché occupati da una scuola di specializzazione per ingegneri civili
e
meccanici.
Verso metà
pomeriggio, dopo un rapido spuntino in un bistrot
a base di pane e formaggio
accompagnati da un bicchiere di ottimo vino della zona, aveva preferito
raggiungere lo Chateau dove
avrebbe
trascorso la notte e rimandare la visita dello splendido borgo
medievale sorto
attorno all’abbazia al giorno successivo.
L’appuntamento
con Lady Sinclair a Parigi era stato
rimandato per l’ennesima volta e a quel punto non era più sicuro che si
sarebbe
avvalso ancora della consulenza della nobildonna: da una settimana
l’impegno
era stato spostato di due giorni in due giorni e ancora una volta mademoiselle Valèns si era profusa in
mille imbarazzanti scuse, assicurandogli che Milady era estremamente
dispiaciuta di essere costretta, sempre per motivi professionali, a
cambiare di
nuovo la data dell’incontro. Tuttavia lui era piuttosto stufo di
aspettare i
comodi della “Nobiltà Vostra”, come
aveva iniziato a chiamarla tra sé, soprattutto perché era convinto che
gli
impegni “professionali” altro non fossero che capricci della nobildonna
la
quale non aveva forse capito con chi aveva a che fare.
Pertanto, non
sapendo come trascorrere il week-end in cui
aveva sperato di iniziare finalmente con il suo romanzo, aveva dato
un’occhiata
su internet per scoprire se vi fossero luoghi interessanti da visitare
oltre
Parigi, che ormai conosceva quasi a memoria, dato che non aveva fatto
altro che
girovagare per la città in attesa di iniziare a lavorare con la “Nobiltà Vostra”. Oltre ai classici
luoghi turistici, per altro già visti durante i suoi precedenti
soggiorni nella
capitale francese, questa volta si era concesso di visitare Maison Balzac, in rue Raynouard, dove il
grande scrittore lavorava, allo scrittoio della stanza d’angolo, 18 ore
al
giorno alla sua “Comédie humaine”;
si
era spinto, inoltre, sino all’estrema periferia sud-ovest di Parigi, in
luoghi
carichi di memorie e reminiscenze della grande letteratura francese, a Chatenay-Malabry dove si trova
Ovviamente di
altri luoghi interessanti, sia a Parigi che
altrove, ve n’erano moltissimi, ma lui cercava qualcosa di ben preciso,
che
potesse tornargli utile per il suo romanzo: aveva saputo di un’antica
residenza
un tempo appartenuta ad una nobile famiglia francese che talvolta
metteva a
disposizione una camera del castello per qualche giorno a chi era
interessato a
visitare la proprietà e a conoscerne la storia, consultando testi della
fornita
biblioteca e curiosando tra vecchi cimeli.
Aveva
telefonato e si era presentato come un professore
universitario, uno studioso interessato in particolare alla storia
dell’Ottocento; del resto non aveva neppure mentito del tutto: era
laureato a
pieni voti in legge a Harvard e, da quando era diventato famoso, era
stato
contattato da più di un’università, americana e non, per tenere delle
lezioni.
Aveva così
saputo che vi era parecchio materiale risalente
al XIX secolo; a quel punto, dopo essersi messo d’accordo per riservare
la
camera per quel week-end, era partito per
Svoltò ad una
curva del viale e, finalmente, il castello
gli apparve in tutta la sua maestosa bellezza. Era un’imponente ma al
tempo
stesso elegante costruzione in pietra grigia, più simile ad una grande
casa che
ad un vero e proprio castello, anche se la massiccia torre rotonda sul
lato
destro conferiva all’insieme un che di regale.
Era facile
immaginare un aristocratico gentiluomo di
campagna, proprietario dei vigneti che circondavano per ettari la
proprietà,
percorrere a cavallo lo stesso viale che lui aveva appena percorso
sulla
decappottabile argento e arrivare, proprio come stava facendo lui in
quel
preciso istante, nell’ampio spiazzo prospiciente l’ingresso, che dal
lato
opposto dava sull’immenso parco fino a quel momento nascosto dagli
alberi che
costeggiavano il viale; lo immaginava smontare da cavallo, accolto
dallo
stalliere, che si sarebbe occupato dell’animale, e dai suoi cani, che
l’avrebbero
accompagnato all’interno dello chateau.
Non appena fu
sceso dall’auto, apparve
un distinto signore sulla sessantina
che, in un perfetto inglese, si presentò come Pierre; mentre l’uomo si
avviava
verso l’ingresso con il suo borsone da viaggio, egli si guardò attorno,
affascinato dallo spettacolare paesaggio che si presentava ai suoi
occhi: il
parco era davvero fantastico, con un tappeto verde di prato all’inglese
curato
alla perfezione; cespugli di ortensie, disposti quasi fossero stati
disegnati
in un quadro nei punti strategici per far risaltare al meglio il
dipinto e il
cui colore andava dal viola intenso, al lilla, all’azzurro tenue, si
alternavano a selvaggi mazzi di lavanda profumata e ad altre varietà di
fiori
dalle varie tonalità, sempre nelle gradazioni del viola e del lilla,
quasi a
richiamare, in quell’accostamento di verde e viola, i colori storici di
Wimbledon.
Dal lato
della torre, la fila di piante che costeggiava il
viale d’accesso alla proprietà sembrava dilatarsi all’infinito in un
bosco che
dava anch’esso l’impressione di essere perfettamente curato; infine,
sul terzo
lato della costruzione, vi era un patio con tavolo e sedie in ferro
battuto e,
poco più in là, si intravedeva l’inizio di quella che di certo doveva
essere
una piscina che si estendeva verso il retro della casa dove, con ogni
evidenza,
il parco proseguiva fino a circondarla completamente.
Da quello
stesso lato, ma più appartata rispetto alla
struttura principale, si ergeva un’altra costruzione in pietra, quelle
che un tempo
dovevano essere state le scuderie o che forse, con un po’ di fortuna
–si disse-
lo erano tutt’ora, e di lato ad essa un porticato chiuso, usato come
rimessa
per ritirare le carrozze e trasformato in garage, visto che vi era una
jeep
parcheggiata sotto.
Senza il
rumore dell’auto il silenzio era totale,
interrotto solo dal cinguettio degli uccelli che popolavano il bosco.
“Vi piace, monsieur?”.
La voce di Pierre, che si era fermato ad attenderlo, lo distolse dalla
contemplazione.
“E’
meraviglioso”.
“Sua Signoria
ci tiene davvero molto che lo Chateau,
e soprattutto il parco,
rimangano esattamente come li avevano voluti i suoi antenati...”.
“Deve essere
bellissimo abitare qui”.
“Sua Signoria
non vive qui, anche se ci viene spesso,
appena possibile... ma venga, l’accompagno a vedere il castello”.
L’interno
della costruzione lo sorprese: si immaginava
stanze ridondanti di mobili antichi e preziose suppellettili, ad
ostentare la
ricchezza e la nobiltà della famiglia; invece l’arredamento, pur
formato da pezzi
di evidente valore, era semplice e di grande gusto e, benché non più
abitato,
lo Chateau dava l’impressione di
una
casa accogliente e vissuta.
“Mi pare
sorpreso, monsieur...”
“Lo sono,
infatti. Mi aspettavo un genere diverso”.
“Molto più
appariscente?”
“Esatto.
Invece è così... non so come dire... si respira
l’aria di una casa vissuta, in cui le persone che la abitano non
possono che
essere felici”.
“Ha molto
intuito, monsieur.
A quanto ne so è sempre stato un luogo ove chi vi ha vissuto è stato
molto felice.
La proprietà è sempre stata mantenuta in discrete condizioni, la nostra
famiglia l’ha sempre curata per conto degli eredi, tuttavia sono più di
cento
anni che non è abitata... Sua Signoria n’è entrata in possesso da poco
e ha
voluto riportarla all’antico splendore, soprattutto il parco, che era
stato
abbandonato. Ha trovato tra i vecchi documenti il progetto originale e
ha fatto
in modo che i giardinieri si attenessero a quello, per sistemarlo: ogni
fiore è
della specie voluta in origine ed è disposto come disegnato
nell’acquerello che
accompagnava il progetto. I
mobili,
invece, sono quelli originali; sua Signoria si è limitata a farne
restaurare
alcuni che erano molto rovinati. Noi speriamo che, prima o poi, decida
di
venire ad abitare qui... forse quando si sposerà...”
“Io abiterei
qui da subito. Questa
è una casa che farebbe innamorare
qualunque donna... sua Signoria non dovrebbe faticare a trovare una
moglie
disposta ad abitare in un luogo tanto bello”.
“Oh, no, monsieur...
“ disse Pierre con un sorriso, ma fu interrotto dall’arrivo di una
signora,
anche lei sulla sessantina, con tanto di grembiule inamidato sopra
l’abito nero
e cuffietta bianca a trattenerle i capelli argentati.
“Pierre, non
accompagni il signore nella sua camera?”
“Certo,
Madeleine... stavo solo raccontando a monsieur
ciò che ha fatto sua Signoria
per riportare lo Chateau al suo
antico splendore “.
“Oh, oui! E’
stata una gioia per noi veder tornare alla vita questa bellissima
proprietà...”
disse la donna, “la bisnonna di mia nonna ha lavorato per la famiglia e
mia
nonna mi raccontava dei ricordi di sua madre che, a sua volta, le
tramandava i
racconti della nonna, la quale aveva servito gli ultimi proprietari che
vissero
qui: fu la cameriera personale della duchessa fino alla sua morte,
avvenuta
poco dopo quella del marito. Da principio la famiglia abitava nello Chateau solo in estate, quando il duca
veniva una volta all’anno ad occuparsi delle sue proprietà in
Francia... allora
la casa si riempiva delle voci gioiose dei bambini, che giocavano nel
prato e
nella vasca che già allora sua Signoria aveva voluto per i figli. La
piscina
ora è nuova, ma si trova nel punto esatto dove il duca aveva voluto la
vasca
per i bambini. Avevano
quattro figli,
due maschi e due femmine e, a quanto raccontava la mia trisavola, si
amavano
moltissimo. Quando i figli furono grandi e si fecero una vita propria,
il duca
e la moglie si trasferirono a vivere qui e la mia trisavola si trasferì
con
loro. Lui morì all’età di ottantaquattro anni, ne avrebbe compiuti
ottantacinque dopo pochi giorni e lei è sopravvissuta solo poche
settimane
senza di lui. Vissero qui, insieme solo loro due, per quasi vent’anni,
ma i
figli venivano a trovarli spesso. Il duca è stato sepolto qui per
volontà della
moglie; quando è morta anche la duchessa, i figli, che vivevano ormai
tutti in
Inghilterra, se si esclude la figlia che si fece suora e che viveva in
Francia,
decisero di seppellirla accanto al marito. Sul retro del castello, in
fondo al
parco, se lo desidera potrà trovare le loro tombe. Ma ora venga,
l’accompagno
in camera. Pierre, porta la borsa di monsieur...
Pierre è mio marito e da anni siamo noi i custodi della
proprietà; ci
occupiamo del castello e del parco, mentre dei vigneti e della
produzione del
vino se ne occupa nostro figlio, per conto di Sua Signoria...” .
Senza
smettere di parlare un istante, la donna gli fece
strada al piano superiore fino ad una camera in un’ala del castello
riservata
agli ospiti.
“Se lo
desidera servirò la cena nella sala da pranzo per
voi, monsieur” gli disse madame
Madeleine.
“Oh, no, non
si disturbi per me, madame. Mangerò
con voi. Oppure posso uscire e trovare una locanda…”.
“Non lo dica
neppure. E’ un piacere preparare per un bel
giovane come siete voi” gli disse la signora, ammiccando, “allora
ceneremo
assieme, così avremo compagnia. Anche Sua Signoria, quando viene qui,
preferisce mangiare con noi e chiacchierare un po’. Bene, la cena sarà
pronta
alle 20; fino ad allora potrà fare ciò per cui è venuto. Troverà la
biblioteca
al piano terra, prima de ‘Le Bureau de le
Comte’, che si trova nella torre, monsieur
le professeur” aggiunse la donna.
Sentendosi
appellare in maniera tanto altisonante, ma
preferendo continuare a passare in incognito, la invitò a chiamarlo per
nome.
“La prego, madame
Madeleine, mi chiami Andrew... e anche lei, Pierre.”
“Andrew? E’
questo il vostro nome, monsieur?”
domandò la donna.
“Andrew
Alexander, per la precisione. Ma mia madre mi
chiama Andy“.
Vide Pierre e
Madeleine scambiarsi un’occhiata strana.
“Qualcosa non
va nel mio nome?” domandò, tra il divertito
e il perplesso. Quella coppia gli piaceva, lo faceva sentire quasi a
casa e al
tempo stesso catapultato indietro nel tempo di almeno due secoli.
“Oh, no, monsieur le
prof... ” iniziò a dire Madeleine, ma visto lo sguardo che il
giovane le
rivolgeva, si corresse immediatamente: “
Monsieur
Andrew, d’accordo. E’ solo che... oh, nulla, nulla. Il vostro
è un nome
molto bello, si adatta ad un bel ragazzo come siete voi. Bene, ci
vediamo più
tardi, a cena. Pierre vi accompagnerà in biblioteca, se lo desiderate”
e così
dicendo marito e moglie si congedarono.