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Autore: Lunch    30/05/2014    1 recensioni
Una storia ambientata in un possibile futuro, in cui purtroppo i Bastille non sono più sulla cresta dell'onda. Ma qualcuno che ancora tiene a loro continua ad esserci, motivato a sfruttare un'occasione che il destino gli pone su un piatto d'argento..
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mentre salivamo in ascensore, Dan cercò di riempire il silenzio chiedendoci come ci eravamo conosciute e come mai ci trovavamo lì a Milano. Arrivati allo studio, all’ultimo piano, avevamo quasi dimenticato di star parlando con una celebrità: il ghiaccio era sciolto.

«Spero non vi dispiaccia che ci sia anche Mark con noi...» disse Dan quasi con noncuranza, mentre apriva la porta.
Io mi bloccai.
«Quel Mark... il tecnico del suono?» ribattei quasi balbettando.
«Be’, sì, è proprio quel Mark.» rispose Dan un po’ stupito mentre un cagnolino di razza indefinita lo accolse festoso, seguito poi dal padrone.

«Hallo girls!» fece quindi Mark, presentandosi e poi facendo l’occhiolino. «Chi di voi due è Laura Palmer?»
«Sono Laura» risposi io arrossendo, «ma temo che sia il cognome che la persona potrebbero essere un po’ diversi. E lei è Caterina, che mi sopporta da ormai... quanti, quindici anni?» 
«Sì, sono quindici!» rispose lei sorridendo e stringendo la mano a Mark che la salutò, e poi tornò a rivolgersi a me.
«Peccato comunque che tu non sia come Laura Palmer... con Dan avevamo già immaginato di fare un bel festino in suo onore!» 
Io rimasi spiazzata, mentre Dan cacciava l’amico in una saletta audio. 
«Non fare caso a lui» mi disse, «adora fare battute ad effetto!»
«Ceeeerto» celiò Mark incamminandosi, «e tu sei un santarellino, vero Smith?» 
Dan alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
«Allora, arrivando al vero motivo per cui siamo qui, Laura e Caterina: come vedete là c’è un pianoforte... non sono solo a casa di tua zia!» scherzò lui.
 
Dopo aver indicato a Caterina un divanetto dove poter stare comoda, mi chiese che cosa cantavo di solito e se e come riscaldavo la voce. Non ne sapevo molto, così mi insegnò lui alcuni vocalizzi.
«Oblivion è una canzone impegnativa, che ne dici se cantiamo prima qualcos’altro? Te la ricordi Pompeii?»
Lo guardai sorridendo.
«Be’, è una canzone che raramente potrei dimenticare, considerando anche il fatto che sono originaria di Napoli.»
Ma forse non avrei dovuto dirlo perché passammo mezz'ora a parlare di quella città e, ovviamente di Pompei.
«Hey, guys, Caterina ed io ci stiamo addormentando... volete cantare qualcosa o no?» intervenne Mark dall’interfono. 
«Giusto» rispose Dan battendosi le mani sulle cosce. «Se hai ancora la tastiera lì me la puoi portare, per favore?»
Così finimmo a cantare Pompeii in due, ma mi accorsi che sui cori finali, trascinata dalla magia della canzone, anche Caterina ci aveva accompagnato. Finito l’ultimo coro Dan mi chiese, interessato: «Perché vuoi cantare proprio Oblivion? E’ una delle canzoni più tristi che ho scritto.»
 «Se proprio vuoi saperlo io non la trovo triste, ma profonda. Poi credo che sia una delle canzoni che mi ha legato di più al vostro gruppo... chi l’ha scritta deve avere una grande sensibilità.» conclusi, e Dan parve piacevolmente colpito dal mio pensiero.
«D’accordo, mi hai convinto. Cominciamo allora.»

Trovarmi a cantare davvero quella canzone che mi aveva preso tanto con Dan fu un’emozione che non dimenticherò mai. Paragonato a questo, l’emozione provata ad Assago anni addietro non ci si avvicinava neanche. 

“When you fall asleep, with your head upon my shoulder.
When you’re in my arms, but you’ve gone somewhere deeper.”

È una canzone che parla di amore, di forza nell’affrontare la vita e la morte con essa: e, o almeno per la mia interpretazione, della forza delle donne nella vita.
 
“Are you going to age with grace? Are you you going to leave a path to trace?
Are you going to age with grace? Or only to wake and hide your face?”

Nelle canzoni di Dan ci sono sempre i temi di come vivere al meglio la vita, cercando di lasciare un’impronta di sé per chi viene dopo, o almeno provarci con tutta l’anima. E se poi oblio è scritto che sia, amen.

“When oblivion, is calling out your name, you always take it further! Than I ever can..”

Alla fine della canzone avevo gli occhi lucidi. 
Dan si girò verso di me e mi fece un sorriso timido. Di slancio mi allungai verso di lui e lo abbracciai. «Tutto bene?» mi chiese quasi timoroso. 
«Sto benissimo» gli risposi io, ancora emozionata. «Grazie per aver reso possibile tutto questo.» 
Mi staccai di botto, e chiesi a Caterina un fazzolettino.
Intanto che mi riprendevo, Mark si affacciò alla porta della saletta.
«Hey, complimenti! Per fortuna ci sono dei microfoni ed ho potuto registrare questa versione...» affermò, e poi noncurante della mia espressione stupita guardò verso Dan. «Dovresti incidere qualche canzone con lei, ha stile!»
Io non potevo credere alle mie orecchie.
«Tu-hai-fatto-cosa?!» sbottai quindi. «Avevate progettato di prendermi in giro fin dall’inizio, vero?!»  
Ora ero davvero dispiaciuta.
Stavo trascinando Caterina verso la porta quando Dan mi raggiunse, e mi fermò tenendomi per un braccio.
«Laura, scusa davvero... non è una presa in giro e io non ne sapevo nulla!»
Lui mi fissò negli occhi e capii che era sincero. 
«Ti posso offrire una birra per farmi perdonare?» aggiunse. «Conosco un pub carino da queste parti.»
 Tentennai un attimo ma poi accettai.

*******
Nota dell'autrice:
Quella che avete letto è un'interpretazione personale, personalissima di Oblivion: né giusta né sbagliata. Spero solo vi sia piaciuta, come tutto il capitolo, del resto.
Grazie mille a VanillaVanPelt ed a Shy96 per le recensioni, a tutti quelli che hanno messo questa storia tra le preferite (wow!) o tra le seguite. *-*
A presto!
  
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