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Autore: Fragolina84    30/05/2014    2 recensioni
Sequel di "I belong to you"
"Non posso smettere di essere Iron Man perché il mio compito è proteggervi"
Il palladio gli sta avvelenando il sangue e l'America è di nuovo sotto attacco terroristico. Iron Man dovrà cercare la Chiave del Domani per salvare se stesso e le persone che ama.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick Fury ha ormai instillato il dubbio nella mente di Victoria
e la donna comincia a notare qualcosa di strano.
Cosa sta succedendo a Tony?
Buona lettura


Al sicuro nel suo nido sulla scogliera di Malibu, Victoria cercò di considerare le cose nell’ottica corretta. A distanza di sicurezza, le cose assumevano tutt’altra sfumatura.
Poteva davvero permettersi di credere a questo Nick Fury, uno sconosciuto che era entrato nel bagno delle donne e le aveva fatto domande impertinenti sulla propria vita privata? Magari era solo un tipo in cerca di gossip sulla famiglia Stark (non sarebbe stato certo il primo). Certo, l’abbigliamento era proprio strano e quasi le venne da ridere all’idea della benda nera sull’occhio, una cosa che le era capitata di vedere solo nei film dei pirati.
Avrebbe potuto chiedere a Tony, ma di certo lui si sarebbe infuriato nel venire a sapere che qualcuno aveva eluso i protocolli di sicurezza ed era arrivato così vicino a lei. In seguito a quanto era successo con Christopher Roberts, Tony era un po’ fissato con la sicurezza e a Victoria quelle attenzioni non dispiacevano poi così tanto.
No, chiedere a Tony non era un’opzione valida. Ma forse…
«Jarvis, mi serve un favore».
«Sì, signora».
«Ho bisogno che controlli l’identità di una persona» disse, sentendosi un po’ una Bond girl. «Nick Fury, Foxtrot-Uniform-Charlie-Yankee» disse, sillabando il nome a beneficio di Jarvis.
In quel momento si trovava in salotto e Jarvis accese il maxischermo per mostrarle le immagini. Apparve una foto dell’uomo che l’aveva fermata nel bagno della biblioteca.
«Nicholas Joseph Fury, detto Nick, è un agente segreto ed eroe pluridecorato dell’esercito degli Stati Uniti d’America» cominciò Jarvis. «Da almeno vent’anni è a capo dell’agenzia denominata S.H.I.E.L.D., organizzazione spionistica e militare internazionale».
Le immagini cambiarono, mostrando il logo dello S.H.I.E.L.D., un’aquila stilizzata nera inscritta in un cerchio bianco.
«Purtroppo» proseguì Jarvis, «non posso recuperare altre informazioni. Il file è secretato» spiegò.
«Difesa nazionale?» chiese la donna e la risposta aumentò ancor di più la sua inquietudine.
«No, signora. Solo il signor Stark ha accesso a queste informazioni».
Quindi Tony conosceva già lo S.H.I.E.L.D. e aveva addirittura fatto ricerche sul suo direttore. Ciò significava che lo conosceva, magari aveva avuto contatti con lui. E non gliene aveva parlato. La lista di cose non dette si allungava ancora.
«C’è altro, signora?» chiese Jarvis.
«No, Jay. A posto, grazie». Poi, per un ripensamento improvviso, aggiunse: «Non dire nulla a Tony».
«Come desidera, signora» rispose Jarvis, spegnendo il maxischermo.
Nelle ore seguenti cercò di non pensarci, ma il tarlo ormai s’era insinuato e non riusciva a fare a meno di chiedersi che cosa stesse pasticciando Tony nel seminterrato. Nel momento in cui si rese conto che da almeno mezz’ora stava fissando senza vederli la pagina bianca e il cursore intermittente del programma di videoscrittura, decise di scendere in laboratorio.
Scese la scala di marmo che portava al laboratorio di Tony ma, quando digitò il proprio codice sul tastierino, Jarvis le negò l’accesso. Pensando di aver digitato male riprovò, ma il sistema diede lo stesso responso.
«Jarvis, che succede? Perché non posso entrare?» domandò.
«Il signor Stark ha chiesto di non essere disturbato»
«Sono sua moglie. Il non essere disturbato può valere per gli altri, non per me» disse, un po’ seccata. Non ce l’aveva con Jarvis, ovviamente: lui eseguiva solo un ordine di Tony. Ce l’aveva piuttosto con lui e con il fatto che ciò che aveva insinuato Fury si stava rivelando vero.
«Mi dispiace, signora. Non posso andare contro un ordine del signor Stark» si scusò Jarvis e la donna non si stupì più di sentire una nota di vero dispiacere nella sua voce.
«Non è colpa tua, Jay» replicò lei, addolcendo il tono.
Victoria cercò di sbirciare attraverso i vetri, ma Tony non era in vista. Chissà cosa stava combinando. Stava pensando di chiedere a Jarvis di chiamarlo, ma lasciò perdere e tornò di sopra.
Quando Tony la raggiunse, lei stava suonando per Elizabeth. La bambina aveva dimostrato di gradire il suono del pianoforte e quando Tony aprì la porta del suo laboratorio sentì le note delicate riverberare nella tromba delle scale.
 
… I’m the lie living for you  /  … Sono la bugia che vive per te
so you can hide…  /  così che tu possa nasconderti…
Don’t cry…  /  Non piangere…
Suddenly I know I’m not sleeping  /  Improvvisamente so che non sto dormendo 
Hello, I’m still here,  /  Ciao, sono ancora qui,
all that’s left of yesterday…  /  tutto ciò che resta di ieri…

Mentre saliva, ascoltò le parole cantate dalla voce cristallina e perfetta di Victoria: era un vecchio successo degli Evanescence e lui si sentì subito in colpa. Sono la bugia che vive per te così che tu possa nasconderti. Anche lui si stava nascondendo dietro alle bugie, ma si diceva che era per il bene di Victoria.
Ascoltò la fine del brano dallo scalino più alto e quando l’ultima nota del pianoforte si spense nel silenzio, si avvicinò a Victoria.
«Una canzone malinconica» mormorò, posandole le mani sulle spalle e baciandole la sommità della testa, aspirando il profumo dei suoi capelli.
«Ad Elizabeth piace» replicò, guardando verso la carrozzina ferma a fianco dello strumento. La bambina era sveglia e stringeva fra le mani il bordo della copertina.
«Anche a me piace sentirti suonare, non lo facevi da un po’» disse lui, sedendosi sulla panchetta imbottita accanto a lei, ma voltando le spalle alla tastiera.
«Prima il pancione mi intralciava, ma da quando è nata la piccola suono tutti i giorni. Solo che tu sei sempre troppo occupato là sotto per accorgertene» replicò e Tony avvertì le prime avvisaglie di mare in burrasca.
«Sono scesa prima, volevo venire a salutarti» disse e, ancor prima che continuasse, Tony immaginò il seguito. «Jarvis però mi ha detto che non ho più l’accesso al tuo laboratorio» finì la donna, cavando dal piano due note dissonanti che infastidirono Elizabeth, facendola piagnucolare.
«Sì, gli ho detto io di non farti entrare» disse Tony, mentre lei si alzava, si chinava sulla culla e metteva il ciuccio in bocca alla bambina per farla stare tranquilla. «Sto lavorando ad un progetto nuovo» proseguì Tony, «e sto maneggiando del materiale diverso dalla solita lega di oro e titanio. Potrebbe essere pericoloso».
Era vero solo in parte. Dentro di sé sapeva che ci doveva essere un elemento chimico che avesse le stesse caratteristiche del palladio senza il suo livello di tossicità. Ma tra gli elementi noti non c’era nulla che facesse al caso suo. Perciò aveva cominciato a fare esperimenti, combinando gli elementi per crearne altri, ma i risultati non erano stati incoraggianti, mentre i nuclei di palladio che facevano funzionare il piccolo reattore Arc si consumavano sempre più in fretta e le tossine nel suo sangue lo indebolivano sempre di più.
«Tony, che sta succedendo?» chiese lei senza guardarlo.
Lui rimase zitto, costringendola ad alzare la testa e a fissarlo negli occhi. Poi sorrise, lanciandole quello che lei chiamava il sorriso assassino: non aveva modo di resistergli quando sorrideva così. Tony si alzò lentamente e si avvicinò a lei. Non la stava toccando eppure lei sentiva il calore del suo corpo e percepiva il leggero sentore del suo profumo.
La sua mano le accarezzò la guancia, sfiorando il collo e scendendo lungo il braccio. Tony non parlava e non sorrideva più, ma la fissava con tale intensità da mandare il suo cuore assolutamente fuori giri. Lo sentiva rimbombare nel petto mentre Tony faceva mezzo passo in avanti, avvicinandosi ancora di più.
L’unico punto di contatto erano le sue dita sul braccio nudo ma a Tony non bastava: le fece scivolare la mano sul fianco, circondandole la vita con un braccio e tirandola verso di sé. Victoria si ritrovò ad aderire all’uomo, sentendo contro il petto il reattore Arc.
Poi Tony la baciò e tutta l’ansia di quei giorni scomparve, sostituita da un senso di calore che si irradiò in tutto il suo corpo. Aprì le labbra, lasciando che la lingua di Tony si intrecciasse alla sua mentre le mani di lui l’accarezzavano come la prima volta, dolci eppure fameliche, delicate eppure decise.
Victoria si strinse ancor di più a lui, ignorando il dolore che le procurava il bordo esterno del piccolo reattore di Tony premuto contro il seno. Gli infilò una mano fra i capelli, inarcando la schiena per non perdere il contatto, ma lui si scostò.
«Mi dispiace se ti sono sembrato distante» sussurrò.
«Non importa» replicò lei, seguitando a baciarlo con passione.
Tony si abbassò leggermente, circondandola con le braccia e sollevandola, sempre senza interrompere il contatto delle labbra. Ma Elizabeth, stanca di essere fuori dall’attenzione generale, si mise a piangere. Contemporaneamente, il cellulare di Tony gli vibrò nella tasca.
«Che diavolo!» borbottò Tony. «È un attacco su due fronti».
Victoria sciolse l’abbraccio e prese in braccio la bambina, cullandola e vezzeggiandola, mentre Tony rispondeva alla chiamata.
«Ciao, Rhodey» esclamò.
«Ehi, Tony. Ho trovato una chiamata sul cellulare, scusami ma ero in riunione».
«Volevo augurarti buon compleanno, zucca vuota».
Quel giorno era il compleanno di Rhodes e Tony l’aveva cercato circa un’ora prima. «Tanti auguri Jim» si unì Victoria.
«La mia signora ti fa gli auguri, Rhodey. Anche Elizabeth».
«Vi ringrazio, ragazzi. Bacia Victoria e la piccola da parte mia» rispose Rhodes. «Già che siamo al telefono…» cominciò ma Tony lo bloccò subito.
«No, oggi no. Non ho nessuna voglia di indossare l’armatura, oggi sto con mia moglie» dichiarò e la donna sorrise.
«Come al solito, salti alle conclusioni. Volevo chiedervi di venire a bere qualcosa con alcuni amici stasera, per festeggiare».
Tony non ne aveva molta voglia, ma spiegò la cosa a Victoria e lei annuì. Le leggeva negli occhi che aveva voglia di uscire da sola con lui, come prima della gravidanza e Tony cedette.
«D’accordo, io e Victoria ci saremo».
Rhodes gli disse che si sarebbero incontrati al Moonshadows che era ad appena dieci minuti da Malibu Point.
«D’accordo, allora ci vediamo stasera».
 
Happy li accompagnò al pub con la limousine, cercando di parcheggiarla nell’angolo più nascosto del piazzale, in modo da non attirare fans.
Victoria aveva affidato la bambina a Zoey e indossava un paio di jeans slavati e una camicia country a righe azzurre e rosa, con un paio di sandali bassi color denim. Anche Tony aveva messo i jeans e una camicia sportiva bordeaux che teneva chiusa fino al penultimo bottone e con il colletto alzato per nascondere i segni dell’avvelenamento da palladio che ormai stavano risalendo lungo il collo.
Entrarono tenendosi per mano e raggiunsero il patio. La struttura di legno era stata costruita sulla scogliera sicché il panorama era mozzafiato e lo sguardo poteva spaziare senza interruzioni sull’orizzonte, in quel momento tinto dei colori del tramonto.
Rhodey e i suoi amici erano seduti sui divanetti, tranquilli e rilassati. Tony e Victoria fecero gli auguri al festeggiato che offrì loro una birra. L’atmosfera era talmente rilassata e piacevole che entrambi dimenticarono i loro tetri pensieri.
Tony sedeva accanto a Victoria, accarezzandole il braccio o la gamba di tanto in tanto, finché Rhodes non li guardò con un sogghigno.
«Ehi, piccioncini!»
«Scusa» mormorò Victoria, stringendosi nelle spalle. «È da tanto che non usciamo insieme e ne avevamo decisamente bisogno».
Tony le baciò la guancia. «Ho bisogno di uno scotch. Tu vuoi qualcosa, tesoro?»
«No, sto bene così, grazie» rispose lei.
«Resta qui, lo ordiniamo al cameriere» replicò Rhodey ma Tony si alzò in piedi.
«Faccio due passi. Torno subito».
Tony si allontanò. Provava una strana sensazione, come di soffocamento e grande stanchezza. Sperava che lo scotch gli avrebbe messo un po’ di fuoco nelle vene, ma la situazione non migliorò. Non voleva interrompere la serata perché Victoria si stava divertendo e non la vedeva così rilassata da parecchio tempo, ma cominciava a sospettare che la piastra di palladio si stesse esaurendo. Di nuovo. Doveva rientrare per cambiarla.
Tornò da Victoria ma, quando fu sulla soglia della portafinestra che dava sul patio, ebbe un capogiro e si aggrappò al telaio d’acciaio. La vide alzare gli occhi, ma il sorriso le morì sulle labbra quando lo vide pallido e smunto. Poi tutto divenne nero e lui crollò a terra, accasciandosi sull’assito di legno.
Victoria lanciò un grido e si gettò su di lui.
«Tony!»
Gli si inginocchiò accanto e lo girò supino. Era mortalmente pallido ma la pelle era calda e quando gli posò la mano sul petto sentì che respirava.
«Che cos’ha?» chiese Rhodes, inginocchiandosi dall’altro lato.
Intorno a loro si formò un capannello di curiosi che avevano visto Tony crollare.
«Non lo so» rispose Victoria, girando lo sguardo intorno. «Per favore, fammi un po’ di spazio e chiama Happy».
Rhodes fece indietreggiare la calca e incaricò un amico di andare a cercare il bodyguard di Tony. Poi tornò da Victoria. La donna sbottonò un paio di bottoni della camicia del marito e inorridì. Il suo petto era percorso da brutte linee bluastre che si dipartivano dal reattore Arc, come geroglifici alieni tatuati sulla pelle. I segni salivano anche sul collo, uscendo di poco dalla camicia.
Come aveva fatto a non accorgersene? Le tornarono in mente le parole di Fury: non ha notato alcun cambiamento in lui? Da quanto Tony non le permette di vederlo senza maglietta?
Erano parole che le erano sembrate stranissime, ma che ora acquistavano senso.
Il reattore, che di solito emanava un’intensa luce azzurrina, sembrava smorto quanto l’incarnato di Tony e, mentre osservavano, la luce tremolò e quasi si spense. Victoria non sapeva cosa voleva dire, ma di una cosa era certa: se il reattore si fosse spento, le schegge che Tony aveva nel petto dopo l’incidente in Afghanistan si sarebbero mosse verso il cuore.
«Che cosa sono?» chiese Rhodes, indicando le linee sulla pelle e, quando Victoria scosse la testa, la guardò incredulo. «Vuoi dire che non ne sapevi nulla?»
«No, si è guardato bene dal dirmelo» sibilò lei.
Happy era appena arrivato e si chinò su di loro.
«Non capisco cosa sia successo di preciso» gli disse Victoria, «ma ci dev’essere un problema con il minireattore. Dobbiamo riportalo a casa, al più presto».
Happy annuì e si chinò su Tony. Lo afferrò per un braccio e se lo caricò in spalla, come un pompiere che porti in salvo qualcuno.
«Mi dispiace, Rhodey» disse, ma lui scosse la testa.
«Non ci pensare, tesoro. Chiamami quando si riprende, ok?»
Victoria seguì Happy e gli tenne aperta la portiera mentre caricava il corpo inerte di Tony sul sedile posteriore. Poi salì anche lei, posandosi in grembo la testa del marito. Gli aprì di nuovo la camicia, tenendo d’occhio il comportamento del reattore mentre, con la sinistra, teneva controllato il polso che le pareva essersi indebolito.
Seguendo i suoi ordini, Happy scese direttamente nel sotterraneo con la Rolls.
«Jarvis, Tony è svenuto. Il reattore non funziona bene, credo» disse.
«Il palladio si è esaurito, deve sostituire la piastra». Il fatto che Jarvis non esprimesse emozioni contribuì a farle mantenere la calma.
Happy riuscì a far scendere Tony e lo coricò sul divano.
«Jarvis, dimmi che devo fare».
«Sulla scrivania del signor Stark c’è una scatola di sigari». Victoria la vide e la portò da Tony, posandola sul tavolino davanti al divano. Dentro era divisa in scomparti, ognuno occupato da una piastrina di qualcosa che sembrava metallo.
«Ora deve far uscire il reattore dal suo alloggiamento. Quando l’avrà fatto, esso si aprirà e potrà sostituire la piastra di palladio» spiegò Jarvis.
Victoria si inginocchiò davanti al divano. Ruotò il reattore in senso antiorario, finché non sentì un leggero scatto. Lo prese delicatamente e lo sollevò. Girò la mano e il reattore si aprì come la corolla di un fiore, mentre la piastrina di palladio veniva espulsa insieme ad un sottile filo di fumo
La donna la prese con due dita e la estrasse. La piastra di palladio era consumata e bucherellata. Victoria la sostituì con una presa dalla scatola. Il reattore accettò il nuovo nucleo e si richiuse, tornando a brillare nel modo consueto. Lo rimise a posto, infilandolo nella cavità sul petto di Tony.
Gli controllò di nuovo il polso: ora lo sentiva battere con più forza rispetto a prima, ma Tony continuava ad essere incosciente. Gli prese il viso fra le mani, girandogli la testa verso di sé.
«Tony! Mi senti, Tony?»
Tony non rispondeva, anche se le sembrava che avesse ripreso un po’ di colore sulle guance.
«Jarvis?» chiamò Victoria.
«Il signor Stark sta bene, signora. La pressione è tornata ai livelli consueti e anche il battito cardiaco si sta stabilizzando» chiarì.
«E quei segni sul petto? Cosa sono?»
«Mi dispiace, i miei protocolli di sicurezza non mi autorizzano a divulgare informazioni».
A volte Jarvis sapeva essere così irritante. Victoria si rivolse a Happy, che stazionava ancora accanto a Tony.
«Happy, puoi andare, grazie. Ci penso io qui» disse e l’uomo annuì e si dileguò.
«Jay, Tony è privo di conoscenza. È piombato giù alla festa del suo migliore amico. Io devo sapere cosa sta succedendo».
Jarvis tacque, come se stesse valutando la risposta.
«Vada al cassetto destro della scrivania del signor Stark». Victoria eseguì. «C’è un piccolo apparecchio argentato».
Victoria lo prese e tornò da Tony.
«Deve pungergli il dito con l’ago, signora».
La donna lo fece e sul display apparve la scritta “tossicità sangue: 62%”.
«Che significa, Jarvis?»
«Significa che il palladio che alimenta il reattore lo sta avvelenando» spiegò Jarvis con calma.
«Perché non me l’ha detto?» mormorò Victoria a se stessa.
«Perché non voleva preoccuparla» rispose Jarvis. «Il signor Stark combatte con questo problema da prima dell’inaugurazione della Expo e non voleva dirle nulla per via della gravidanza».
Chissà quanto aveva sofferto, e lei non si era accorta di nulla. Certo, era arrabbiata con lui perché non aveva condiviso i suoi problemi, ma capiva. Tony era un uomo complicato: con lei si era aperto molto, ma c’erano ancora lati oscuri del suo carattere. E l’aveva fatto per lei, per proteggerla, come tendeva sempre a fare.
Mi chiami, quando avrà bisogno di me. Fury non aveva detto se, aveva detto quando, come se avesse saputo perfettamente che quel momento sarebbe arrivato. Senza pensare, raccolse la borsetta e recuperò il biglietto da visita che le aveva lasciato Fury. Compose il numero sul cellulare e attese.
«Mi dica, signora Stark» disse Fury senza preamboli.
Lei rimase spiazzata: non si era aspettata che lui la riconoscesse subito. Poi pensò che non era così strano che il direttore di un’agenzia di intelligence conoscesse in anticipo il suo numero.
«Si tratta di Tony. Il palladio da cui è alimentato il reattore lo sta avvelenando. È svenuto e non riesco a farlo tornare in sé». Parlava velocemente e non era sicura che Fury capisse.
«Stia tranquilla. Sarò lì in dieci minuti».
Victoria rimase a fissare il cellulare muto. Sarà qui in dieci minuti? Cos’è, vola come Batman? si chiese. Non sapeva se aveva fatto bene a chiamare Fury, ma era impaurita e Tony non si svegliava.
Proprio in quel momento, Tony si mosse lentamente. Victoria si precipitò al suo fianco.
«Tony! Tony, stai bene?»
L’uomo aprì gli occhi e la mise a fuoco.
«Che è successo?» chiese con un filo di voce.
Victoria scoppiò a piangere e lo abbracciò.
«Mi hai fatta spaventare a morte» singhiozzò. «Ti ho visto cadere… e non rispondevi… e il reattore non funzionava bene… e poi ho visto quei segni sulla pelle… e…»
Tony si sollevò e la strinse a sé, accarezzandole i capelli e mormorandole parole dolci finché non si calmò e smise di piangere. Poi le mise una mano sotto il mento, facendole sollevare il viso: i suoi bellissimi occhi erano arrossati e traboccavano ancora di lacrime. Tony le asciugò con il pollice e le baciò le labbra con delicatezza, sentendo il sapore salato del suo pianto.
«Va tutto bene ora, è tutto a posto» mormorò, ma lei scosse il capo.
«Non è tutto a posto» disse, sfiorandogli il petto con la mano. «Jarvis mi ha spiegato che cosa sono questi segni. Che sta succedendo di preciso, Tony?»
«Avrei dovuto dirtelo, ma non sapevo come fare. Non volevo farti agitare mentre eri in attesa di Elizabeth. Poi lei è nata, tu eri così felice, io ero felice e non volevo rovinare quei momenti. Ho pensato di poterla gestire da solo, non credevo che trovare una soluzione sarebbe stato così complicato».
«È stato molto peggio venirne a conoscenza in questo modo» mormorò lei, abbassando lo sguardo.
«Lo so. A conti fatti, è evidente che ho sbagliato. Ma tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto in buona fede. Volevo solo proteggerti»
«E chi ha protetto te, in questi mesi? Non credo sia stata una passeggiata portare questo peso».
«No, non è stato facile» ammise Tony.
Victoria si tese e prese lo scanner dal tavolino: il display mostrava ancora l’ultima schermata.
«Mentre eri privo di conoscenza, Jarvis mi ha detto di usare questo. Che cosa significa quella scritta?»
Lui emise un lungo sospiro. «Il palladio che alimenta il mio reattore è tossico. La sua tossicità si sta progressivamente trasferendo nel mio sangue, creando questi segni sul petto. Inoltre, si consuma sempre più in fretta, arrivando a cogliermi impreparato, com’è successo alla festa di Rhodey. L’uso dell’armatura sta peggiorando le cose» spiegò.
«E allora smetti di usarla» disse lei.
Tony si alzò in piedi: sembrava completamente ristabilito. «Non è così semplice. Non posso smettere».
«Perché?» esplose Victoria. «Perché non puoi? La Mark V è più importante di me e di Elizabeth?»
Tony si voltò verso di lei. «Certo che no! Ci sono cose che non sai».
«Sì, molte cose che non so. Principalmente perché tu non me ne parli».
«Dio del cielo, Vicky! Tutto ciò che faccio, lo faccio per te e la bambina. Non posso smettere di essere Ironman perché il mio compito è proteggervi».
«Non a costo della tua vita, Tony. Non così».
Era così vicino a raccontarle tutto che dovette fare a violenza a se stesso per non proseguire. Lei non sapeva che il terrorismo internazionale si stava risvegliando, mostrando gli artigli all’America. Lei non sapeva che lui aveva già sventato due attentati e che stava lavorando in sinergia con Rhodes per cercare di arginare quella nuova ondata di terrore. Lei non sapeva che stava cercando di collaborare per creare un mondo più sicuro per lei ed Elizabeth.
Victoria si avvicinò, gli occhi di nuovo traboccanti di lacrime. Gli prese il viso tra le mani.
«Tony, cosa succederà quando la tossicità arriverà al cento percento?»
Lui cercò di girare la testa per non doverla guardare, ma lei glielo impedì. «Cosa succederà?» ripeté.
«Non accadrà. Troverò una soluzione»
«Cosa accadrebbe, Tony?» insisté Victoria.
«Non devi preoccuparti, Vicky. Se le cose dovessero mettersi al peggio, cosa che non accadrà» aggiunse frettolosamente «tu e Lizzy sarete al sicuro. Ho già pensato a tutto».
«Mi credi davvero così meschina da preoccuparmi di questo? Ho paura di perdere te, non mi importa altro»
Fu Jarvis a spezzare la tensione di quegli istanti.
«Signore, un elicottero dello S.H.I.E.L.D. chiede il permesso di usare il nostro eliporto»
«Lo S.H.I.E.L.D.?» domandò Tony incredulo. «Se non hanno un’avaria che rischia di farli precipitare nell’oceano, il permesso è negato».
«Li ho chiamati io» disse Victoria.
  
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