Capitolo 4
Si era sempre impegnata a fondo negli
allenamenti e nello studio, eppure per quanto provasse sembrava impossibile
riuscire a superare Vent. Deida non riusciva a perdonarsi per essere così seria
e fredda con gli altri, tuttavia non riusciva a spiccicare un sorriso sincero
neanche sotto tortura. Forse era a causa del blocco della memoria... No. Era
inutile scaricare la colpa su altri fattori.
Vent
era amata e benvoluta da tutti, era considerata la più forte dell’Antimateria,
aveva un sacco di amici e tanti spasimanti.
Il tutto senza sforzo. Forse per il fatto che aveva gli occhi azzurri e
i capelli biondi?
Deida
storse il naso e si portò la coperta fino alla radice del naso. No. Non era
neanche per quello: Vent era gentile e dolce con tutti, ecco perché. Dopotutto,
qualcuno non si sognerebbe neanche di trattare bene una persona che è sempre
sgorbutica e solitaria.
Il
fatto era che stare da sola era molto più facile che stare in compagnia. Gli
amici portano tante rogne; bignogna chiamarli e cercarli sempre, altrimenti si
perdono, bisogna ascoltare i loro problemi... E Deida non era portata per dare
consigli o sentire i guai degli altri. Ne aveva già abbastanza senza che
qualcuno ci mettesse sopra il peso dei propri.
Inoltre
c’era la questione di Yuudai. Lei sembrava l’unica ad aver notato il suo
sguardo perfido e pieno di rancore.
“Io sono l’unica
che può percepire la sua essenza...”, pensò afflitta. Non sapeva il motivo di
tanta rabbia, di tanta solitudine, ma percepiva negli occhi di Yuudai quello
che lei vedeva nei suoi quando si specchiava. E forse per questo detestava
tanto specchiarsi. Aveva sempre paura di scoprirsi diversa da ciò che voleva
essere... Aveva sempre paura di pensare cose malvage, si vergognava quando
sognava di uccidere Vent. Allora rinchiudeva quei pensieri nel cassetto più
recondito della propria mente e li dimenticava, anche se loro rimanevano sempre
lì a martellare la loro gabbia nel tentativo di uscirne.
“Possiamo ancora
essere umani... non credi? D'altronde abbiamo anche noi un cuore...”
Chi
aveva detto quella frase...?
Una
violenta fitta al cuore le strappò un gemito, e lei afferrò con le mani la
proria pelle nel punto dove batteva l’organo vitale, affondandovi le unghie. Le
aveva fatto così male che avrebbe voluto strapparselo dal petto. Respirò affannosamente,
scossa.
-Ei,
stai bene?- domandò Rita, rovesciando la testa indietro. Stava ancora studiando
anche se la voglia era calata ai minimi storici.
Deida
abbassò la coperta e disse:-Sì.-
-Ho
sentito che ti lamentavi.- Ribattè Rita.
-Non
ho niente- ripetè Deida, riprendendo il controllo del suo corpo e della sua
mente.-Qualche ferita mi fa ancora male.-
-Credevo
che Syon le avesse chiuse tutte-
-Magari
ne ha tralasciata qualcuna.- Disse Deida, poi tornò a rilassarsi e si distese
supina sul materasso a fissare il soffitto bianco.
Rita
giocherellò con la matita, imbarazzata, poi domandò:-Quali ricordi mancano?-
Deida
non la guardò. Per un attimo pensò se fosse una buona idea rispondere, poi si
ricordò che Rita, come lei, soffraiva di amnesia e rispose:-Quelli riguardanti
i miei genitori. Ricordo gli studi, gli incantesimi, come si usa la daga... ma
niente che riguardo... i miei genitori.-
-Non
ricordi i tuoi amici?- chiese Rita, con cautela.
-Mai
avuto amici.- Fu la risposta.
-Scusa.-
-Questa
è stata una mia scelta, credo. Purtroppo avendo dei grossi buchi di memoria non
posso ricordare se ciò dipendesse da me o dal volere dei miei genitori. Vedo
solo me stessa avvolta dall’oscurita. Una figurina nel buio.-
Rita
la fissò impietosita, posò la matita, si alzò e, presa la sedia, si trascinò
fino al bordo del letto di Deida. Voleva farle qualche domanda per sapere di
più su di lei e sui suoi sentimenti. Improvvisamente sentiva che tra di loro
era sorto un punto di contatto, una lieve scintilla che si sarebbe potuta
tramutare in fiamma, se ben alimentata.
-All’ospedale
mi hanno detto che c’era stato un incidente, ma nessuno fu in grado di
spiegarmi cosa accadde. Mi dissero soltanto che mio padre aveva assassinato mia
madre e che presto qualche assistente sociale sarebbe venuto a prendermi.-
-Più
o meno è la stessa cosa che hanno detto a me.- Mormorò Rita.
Deida
chiuse gli occhi e rievocò quei ricordi. L’odore sterile dell’ospedale, il
materasso morbido, la confusione nella sua testa e il viso di Syon che le
parlava e la tranquillizzava. Le era sembrato di essere catapultata in un altro
mondo.-Non ci capivo più niente...-
-Eri
sola?- domandò Rita.
-Sì.-
Rispose Deida con amarezza.-Questo fece supporre ai medici che i miei non
vivessero a contatto con la gente, che fossero piuttosto schivi.-
-Deida...-
mormorò Rita, abbassando lo sguardo.-So che ti senti sola. Anche io mi sento
sola. E mi dispiace per tutte quelle cose che ti ho detto... Ti ho giudicato
male.-
-Ti
ho detto che non devi preoccuparti. È naturale. Non ho un carattere facile.-
Rita
sorrise e le posò una mano sul viso.-Lo so che ti chiedo tanto, ma vorrei
essere tua amica.-
-Non
ho mai avuto amici.-
La
ragazzina rimase delusa dalla risposta di Deida, ma poi quest’ultima si esibì un
un sorriso sghembo e le disse:-Sarebbe ora di iniziare ad averne una.-
Gli
occhi di Rita brillarono.-Allora... Forse potresti recuperare la memoria se
solo lo volessi!-
-Non
credo proprio.- Deida si morse il labbro. Aveva paura della verità.
-Ascoltami!-
esclamò Rita, sporgendosi verso di lei con aria cospiratoria.-Io vorrei davvero
ricordare qualcosa... Certo, adesso non soffro per il fatto che la mia famiglia
non ci sia più, visto che non la ricordo nemmeno... Però scoprire qualcosa su
di me, su chi sono realmente, quali erano i miei amici, i miei hobby, la mia
casa... Questo è il mio desiderio più grande.-
Deida
strinse convulsamente la coperta tra le dita e il suo viso si fece ancora più imbronciato.-Lo
so. Anche io vorrei sapere qualcosa sui miei genitori... Anche io vorrei capire
chi sono. Ma...-
-Quindi
dov’è il problema?-
Rita
sorrise e le prese le mani tra le proprie per farle forza. Si rispecchiava in
quella ragazza... Era come guardarsi dentro. La malinconia, la solitudine,
l’amarezza che Deida esprimeva così chiaramente, Rita le aveva soffocate da una
parte mascherandole di falsa spensieratezza. Tutte le volte che aveva voglia di
combinare un guaio era perché quella malinconia la spingeva a fare qualcosa che
la facesse sentire ancora vera e unica, non uno spirito sperduto nel mondo. La
sua attuale famiglia era così cara, dolce e gentile che si sentiva sempre in
colpa quando pensava certe cose, ma non poteva neanche ignorarle. C’era una
parte di lei che nessuno ancora aveva visto: la parte fragile e piena di
rancore verso qualcosa che non poteva ricordare.
“Dodici
anni di vita”, si ripeteva una vocina, nascosta nel buio della mente, “mi hanno
rubato dodici anni di vita.”
Deida
si perse negli occhi di Rita e ritrasse le mani.-Ti prego, lasciami riposare.-
-Ma...-
-Lasciami
riposare.- Ripetè Deida scandendo bene le parole.-Adesso lasciami dormire, poi
ne riparleremo. Sono stanca.-
Rita
la fissò, indecisa sul da farsi. Infine si alzò, prese la sedia e tornò a
sedersi alla scrivania, mentre con la mente tracciava il proprio piano per far
recuperare a Deida la propria memoria.
***
Il
capo della fazione innovatrice che si era distaccata dall’ordine delle creature
magiche era un vecchietto con la pelle scura e rugosa, alto un metro e un
pugno. Non stava mai fermo e si vantava sempre per il fatto che alla sua
veneranda età fosse molto più energico di alcuni giovanotti del suo seguito.
Aveva pochi capelli in testa e la barba di un grigio chiaro che si sposava con
il colore della tunica, in tutto e per tutto identica a quella che indossava
anche Syon. Questo perché il vecchio Roh, come Syon, era un mago bianco, oltre
che un tecnico molto stimato. In gioventù era stato membro del consiglio
presidenziale ma poi, in disaccordo con il presidente, aveva lasciato la
politica e aveva costruito, in mezzo ad un bosco tra le montagne, un castello
bianco che si arrampicava verso il cielo con guglie affilate.
La
struttura, in stile gotico, la cui costruzione aveva coinvolto tutti gli
elementi dell’organizzazione, era stata eretta in un anno e mezzo grazie
all’uso della magia, ed era stata resa invisibile dalla potente magia di Roh.
Solo le persone che portavano il tatuaggio dell’organizzione sulla pelle, una
piccola colomba bianca, potevano vederla.
Era così alta che sembrava toccare il cielo, e nel vederla dal basso si
provava un certo timore, soprattutto perché le statue Gargouille che la
decoravano sembravano guardare tutte nella direzione dell’osservatore,
intimandogli un certo rispetto. Sulla facciata principale si affacciava un
rosone raffinato e, sotto di esso, incorniciata archi rampanti, si ergeva un
grosso portone di legno massello.
Il
palazzo era di una bellezza mozzafiato, tanto che, guardandolo, si rimaneva
storditi da tanta grandezza. Era per questo che Roh amava quel posto, lo
rendeva a sua volta grande e importante.
A
una cert’ora del tramonto, il sole si nascondeva dietro le montagne e
illuminava il castello di una luce arancione, e dal terrazzo della pinnacolo
più alto si poteva godere di un’ottima vista del panorama.
Proprio
in cima alla torre più alta del castello, cui si accedeva attraverso
un’interminabile scala a chicciola, c’era una stanzetta privata che il vecchio
Roh frequentava tutti i giorni all’ora del tramonto. Lì, in piedi su una sedia
di legno, si affacciava dalla finestra e guardava il panorama, ricordando a se
stesso quanto si fosse spinto lontano con la sua lotta rivoluzionaria. Guardando
da quell’altezza, tutto appariva piccolo e insignificante.
Quel
giorno di marzo, con la primavera alle porte e l’aria fresca che lo
accarezzava, se ne stava in piedi sulla sua sedia, con le spalle rivolte alla
finestra.
Syon
era pallido. Soffriva di vertigini.
Vent
aveva eseguito un inchino aggraziato e si era apprestata a parlare delle ultime
vicende accadute in città, senza tralasciare stavolta la comparsa di Yuudai.
Roh
sembrò preoccupato:-Per tutte le cerbottane del mondo- sbottò.-Magia oscura hai
detto?-
-Sì-
fece Syon, con un sorriso che lasciava intendere tutta la sua agitazione.
Vent
gli fece segno di non preoccuparsi e gli fece capire che avrebbe parlato lei,
poi disse:-Mi spiace non averlo detto subito. Con la mia imprudenza ho messo in
pericolo la vita di Deida... Mi spiace.-
Roh
la fissò con i pugni sui fianchi e un’aria severa in volto.-Non è con me che
devi scusarti, Vent.-
-Lo
so- mormorò la giovane.
-Comunque
quello che mi avete riferito è preoccupante. Lasciatemi dire che è solo colpa di
qualcuno che tre anni fa ha deciso di fare lo spiritoso, se oggi ci troviamo a
dover vivere da esiliati. Per fortuna possiamo stare in pace grazie alla
segretezza del nostro nascondiglio, e da qui possiamo vigilare sugli uomini non
magici... Tuttavia... Non ho idea di cosa stia facendo la fazione di Frost.-
-Frost...
Possibile che stia macchinando qualcosa con la magia oscura?- Mormorò Syon.
Roh
emise un borbottio confuso, poi brontolò:-Conoscevo Frost. Era un uomo
integerrimo.-
-Però
ha ucciso la moglie.- Replicò Vent, tentando di non essere glaciale.
-Non
voglio giudicare le sue azioni- fece Roh, in tono deciso.-Ci siamo persi di
vista dopo l’emanazione del decreto di tre anni fa e le voci che circolano su
di lui potrebbero essere infondate. Ragazzi miei, prendete sempre sul serio le
parole degli altri? Imparate a ragionare con la vostra testa!-
Vent
arrossì e abbassò lo sguardo, ma Syon non si dimostrò così remissivo:-Non
parlate così, a qualcosa si dovrà pur credere!-
-Frost
si è reso invisibile per tre anni.- Spiegò Roh, fissando Syon come se avesse
voluto penetrargli l’anima.-Finchè non l’avrò saputo con certezza, non gli
addebiterò alcuna accusa.-
-E
Yuudai?- domandò Vent, con voce tremante.
-A
questo punto abbiamo bisogno di prove.- Disse Roh, balzando giù dalla sedia.
I
due giovani dovettero abbassare lo sguardo per
poterlo guardare negli occhi.
-Fatevi
dire dal vostro informatore dove abita e andate ad indagare. Voglio scoprire se
davvero è stato Frost a insegnargli la magia oscura, o se l’ha imparata da solo.
D’altronde, sua madre era un Tecnico molto abile e suo padre un vampiro.-
Vent
si scambiò uno sguardo con Syon, il quale si voltò e uscì dalla stanza. Lei lo
seguì, ma quando fece per varvare la soglia della piccola porta, Roh la chiamò
e le disse:-Yuudai. Sei sicura di non sapere niente su di lui? Sono tre anni
che è scomparso. E tutto dopo quell’incidente.-
Vent
impallidì. Era in difficoltà ogni volta che l’uomo che amava veniva tirato in
ballo, così rispose:-Lo stesso vale per Frost.-
-Capisco.-
Mormorò Roh, socchiudendo gli occhi.-Spero per te allora che Yuudai sfugga dall’oscurità
di cui è stato fatto preda.-
Vent
annuì e se ne andò, pensando che avrebbe fatto di tutto pur di aiutare Yuudai.
Lo amava troppo per lasciarlo andare così, senza una ragione. Il suo
cambiamento era stato così radicale che forse si poteva sperare nel processo
inverso. Se si sentiva solo, Vent l’avrebbe reso di nuovo felice, perché lo
amava dal profondo del cuore.
Scese
per la scaletta a chiocciola silenziosamente, ignorando i borbottii di Syon sui
suoi capogiri. Di tanto in tanto faceva esclamazioni del tipo:-Forza,
arriveremo presto alla fine...- o -Un po’ di coraggio...- sorrise in modo
confortante, tuttavia pensava ai fatti suoi. Pensava al viso di Yuudai e a come
era cambiato da quando erano bambini. Era diventato bello, i suoi lineamenti
sembravano essere stati scolpiti da un artista, e quell’aria di malinconia gli
donava un fascino che non aveva mai avuto.
Chissà...
Chissà se pensava ancora a lei qualche volta... Chissà se ricordava i momenti
felici passati a studiare o anche solo a bere qualcosa insieme. Lei era tanto
contenta quando si trattava di andare a trovarlo, e anche lui sembrava felice.
Non poteva aver dimenticato, erano passati soltanto tre anni. Possibile che il
suo affetto per lei fosse cambiato?
Dopo
lungo tempo arrivarono alla fine della scala a chiocciola e si ritrovarono in
un pianerottolo circolare, completamente vuoto.
Syon
tirò un sospiro:-Finalmente!-
-Però...-
disse Vent, guardando in alto.-Ne abbiamo fatta di strada.-
-Mi
chiedo come faccia quel vecchiaccio a venir quassù tutti i giorni- borbottò
l’uomo, appoggiando le mani sulle ginocchia.
-Ci
avrà fatto l’abitudine in questi tre anni!- rise Vent.
Syon
cambiò argomento: -Allora, visto che dobbiamo indagare su Yuudai, da dove
cominciamo?-
-Non
ne ho idea...- fece Vent, arrossendo lievemente.-Compare sempre dal nulla...-
-Forse
Vespasiano ne sa qualcosa...-
-Non
ci dirà nulla, è troppo fifone- commentò Vent, sconsolata.
Syon
ripensò alle parole di Vespasiano. Vent poteva vedere il suo cervello lavorare
freneticamente sotto quella massa argentata di capelli, poi lui incrociò le
braccia sul petto e disse:-Vespasiano ha detto che ci sono strane sparizioni di
umani e di vampiri in questi ultimi giorni. Guarda caso Yuudai è sempre in
mezzo ai piedi da un po’ di tempo a questa parte, e non dimentichiamoci che ha
tentato di rapire Rita...-
Vent
si agitò.-Credi che sia lui il responsabile?!-
-Non
lo escludo.- Rispose Syon scuotendo la testa.
-Non
lo farebbe mai!- esclamò Vent, con voce stridula.
-Forse
il vecchio Yuudai non l’avrebbe fatto, ma l’uomo che ha quasi ucciso sia te sia
Deida non esiterebbe a...- non completò la frase perché Vent gli aveva tirato
uno schiaffo.
-Tu
non lo conosci! Niente ti da il diritto di parlare così di un mio amico!-
-Lo
consideri ancora tuo amico dopo tutto quello che ti ha fatto?!- urlò Syon,
arrabbiato e ferito per il colpo ricevuto. Non se lo aspettava da una come
Vent.
Lei
abbassò la testa, poi si spazientì e raggiuse la porticina metallica che le
avrebbe permesso di andarsene da quella stanza così angusta. Le pareti la
soffocavano: aveva bisogno di stare all’aria aperta e calmarsi.
Aprì
la porta, la quale scricchiolò e oppose una discreta resistenza a causa della
scarsa presenza di olio sui cardini.
Syon
seguì la giovane con lo sguardo pieno d’astio perché si sentiva messo da parte.
E lui? Lui non era suo amico? E se non era suo amico, che cos’era precisamente?