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Autore: __lesbianquinn    31/05/2014    1 recensioni
Dal primo capitolo:
«Mamma! Penso di avere la febbre!» Esclamò la piccola, tornando dentro. Si, doveva avere la febbre, perché era davvero impossibile che avesse sul serio visto una macchina volante.
***
Hermione aveva sospirato, poi aveva riaperto il libro alla pagina di prima ed era tornata a leggere, con la mente e il corpo invaso da una strana sensazione. Sentiva come...come se fosse stata lei.
***
Non era d'accordo con loro, non capiva cosa ci fosse di magico in delle luci appese su fili trasparenti che passavano da un lampione all'altro.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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There's no logic, in the magic.
 

Il cielo era scuro, forse troppo per essere solo all'inizio del pomeriggio. Due occhi grandi, dal dolce colore del caramello, seguivano con attenzione lo spostamento frenetico degli uccelli, mentre la madre le intimava di tornare dentro. Le delicate dita della bambina si stringevano sulla superficie umida e leggermente ruvida del balcone, mettendosi poi sulle punte, in modo da poter guardare meglio. I folti capelli castani si muovevano appena, per colpa di quel vento che soffiava forte, pizzicandole il viso.

Un rumore assordante, improvvisamente, squarciò il silenzio, violentemente, facendo sussultare la piccola, la quale fece per tornare dentro, ma la sua attenzione e il suo sguardo vispo vennero catturati da qualcosa; in mezzo alle nuvole scure, oltre la nebbia, una luce rossa divise a metà quel muro che impediva di vedere e, da quello spiraglio, comparve la cosa più assurda, strana e illogica che avesse mai visto.
La bambina, con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse per lo stupore, portò entrambe le mani, dopo averle chiuse lentamente, sugli occhi, stropicciandoli. Non appena tornò a guardare nel cielo, tutto era come prima, tranne che per quella scia di luce rossa, sempre più fioca, come se stesse sparendo. Piano sbatté le palpebre, dopo di che portò una mano sulla guancia, bollente.

«Mamma! Penso di avere la febbre!» Esclamò la piccola, tornando dentro. Si, doveva avere la febbre, perché era davvero impossibile che avesse sul serio visto una macchina volante.

 

Un sospiro uscì dalle candide labbra della bambina, mentre le mani si scaldavano grazie alla fumante tazza di tè. I suoi occhi erano puntati sulla finestra, curiosi di scorgere qualche evento totalmente illogico. Era passato un anno dal giorno in cui, ne era quasi sicura, aveva visto una macchina volante. Hermione Granger non aveva mai creduto a storielle fantastiche e strani avvistamenti di luci nel cielo, lei credeva solo nella logica e in quello che i poteva spiegare con estrema esattezza. Forse era anche per quello, che non aveva intenzione di credere alla religione, qualsiasi essa fosse.

Lei aveva nove anni e le sembrava ancora pazzesco che un auto volasse, ma in fondo, ultimamente, le stavano accadendo cose molto strane. In classe con lei, per esempio, c'era una bambina, Sarah Buttletorn, che non faceva altro se non prenderla in giro, attirando l'attenzione degli altri bambini, portandoli a ridere su battute e difetti ingigantiti. Non poteva sopportare la vista di quella bambina, anche solo fisicamente. Non era brutta ed era proprio quello a farla infuriare maggiormente: aveva dei lisci capelli color del grano, occhi di un celeste intenso e labbra leggermente carnose, il tutto accompagnato dalla carnagione leggermente abbronzata, non troppo pallida o troppo scura. Sarah era perfetta, non c'era un solo difetto in lei ed era proprio questo che abbatteva maggiormente. Hermione si vedeva sciatta, con capelli che sembravano paglia e le labbra secche, per non parlare della sua carnagione che non la portava ad abbronzarsi più di tanto, ma a scottarsi immediatamente. Su di lei si che c'era da ridire, infatti Sarah lo faceva ogni giorno, coglieva ogni occasione per poterla mettere in ridicolo. Hermione non ci pensava, o meglio ci provava, perché si ripeteva che, almeno lei, aveva un briciolo di cervello, tanto da non farle credere alla storia della fatina del dentino o a Babbo Natale.

Un giorno, quella bambina, l'aveva tanto fatta arrabbiare, parlando male della madre, che a stento riuscì a trattenersi. Il libro si chiuse, giacendo sulle sue gambe, mentre gli occhi di caramello sembravano fondersi, luccicare di una rabbia quasi impossibile, per una bambina tanto tenera; le piccole mani si chiusero attorno alla stoffa dei suoi pantaloni e, improvvisamente, Sarah venne ricoperta da una strana sostanza melmosa, di un buffo colore tra il verde e il giallo canarino. Niente si salvava, né i vestiti e né tanto meno i suoi stupidi capelli lisci. Hermione aveva sospirato, poi aveva riaperto il libro alla pagina di prima ed era tornata a leggere, con la mente e il corpo invaso da una strana sensazione. Sentiva come...come se fosse stata lei.
Scosse la testa, cacciando quel pensiero, poi la sua attenzione venne catturata nuovamente dalla realtà, non più da quei suoi ricordi; il calore della bevanda scaldava le sue mani, donando, lentamente, un calore al resto del corpo. Era Dicembre e fuori nevicava. Hermione amava la neve, ma solo quando la guardava da dietro una finestra. Non sopportava il fatto che dovesse essere tanto fredda e né che quando nevicava e lei stava fuori, automaticamente, le sue guance arrossivano, donandole un colorito degno di una dolce bambina di qualche cartone animato. Chiuse gli occhi, concentrandosi solo sul profumo di biscotti alla vaniglia che la madre stava sfornando in quel preciso istante. Se solo ci fosse stato il profumo perfetto, per Hermione doveva sapere di poche cose, ma essenziali. Una di quella doveva essere l'essenza alla vaniglia che utilizzava sua mamma per i biscotti. Anzi, ancora meglio, doveva essere proprio il profumo di quei biscotti.
«Hermione, hai finito il tè?» Chiese la donna, con quella voce dolce e amorevole di sempre, mentre faceva capolinea dalla cucina, puntando i suoi occhi castani sulla figura della sua unica figlia, la quale si voltò di poco, sorridendole, con le guance leggermente rosse per il calore del tè. Scosse il capo, piano, facendo sorridere la sua interlocutrice.
«Quando finisci porta la tazza in cucina, così la lavo.» Concluse la madre, tornando a lavorare in cucina. Hermione sapeva che aveva sempre così tanto da fare, ma che quando non andava a lavoro non riusciva a stare con le mani in mano, così preferiva dedicarsi alla cucina, alla creazione e preparazione di dolci che avrebbero portato un paio di chili a tutti i componenti di quella famiglia.

Prese un sorso di quel liquido caldo, poi sussultò, non appena notò una forte luce fuori dalla finestra. Si guardò attorno, dopo di che posò la tazza sul tavolino e, piano, aprì la porta finestra, uscendo così sul balcone. Proprio come l'anno prima, portò le mani sul muretto ruvido, portandosi sulle punte, sporgendosi il più possibile per vedere meglio. Luci. Ecco tutto quello che vedeva. Due grosse luci giallastre, come se fossero le luci di un auto. Di nuovo? Hermione strizzò gli occhi, voleva capire cosa stesse accadendo, una volta per tutte. Finalmente riuscì a vedere meglio e ciò che capì la lasciò realmente a bocca aperta. Era un auto. Un auto volante, tra l'altro la stessa dell'anno precedente, Hermione ne era sicura, per quanto non si fosse presa il tempo giusto per memorizzarne i dettagli. Quella volta non pensò di essersi ammalata, anche se, doveva ammetterlo, nella testa le balenò l'idea che stesse sognando. L'auto si avvicinava al palazzo, anche se non troppo, ma la bambina riuscì a scorgere qualcosa, seppure in modo sfocato. Un colore l'aveva colpita molto, forse perché era l'unica cosa che era riuscita a mettere a fuoco: una macchia rossa spuntava dal finestrino dall'auto, prima che essa, improvvisamente, sparisse dalla sua vista, come se fosse diventata invisibile.
La piccola strabuzzò gli occhi, portando la mano tremante d'avanti alle labbra. Doveva pensare in modo razionale, come prima cosa. Non esistevano auto che erano capaci di volare e, soprattutto, non esistevano aerei o qualunque mezzo di trasporto via aria che fosse tanto simile ad un auto. E, per di più, la magia non esisteva. Anche se avrebbe voluto crederci, era un pensiero troppo irrazionale, completamente fuori da ogni logica, per permettersi di sfiorare la sua mente.

«Hermione, tesoro, vieni dentro, fa freddo!» Esclamò la madre, rendendosi conto della momentanea sparizione della figlia. La bambina, ancora con lo sguardo perso nel cielo, indietreggiò, sino a tornare al caldo fra le mure della sua casa. Anche quando la finestra si chiuse, i suoi occhi non avevano abbandonato il punto esatto dove quell'auto era apparsa e poi svanita. Il volto era completamente rosso, mentre le labbra erano rimaste socchiuse. Avrebbe dato una spiegazione, prima o poi, a quello strano fenomeno?

 

Hermione camminava lenta per le strade di Londra, con la mano ben salda a quella del padre, mentre le luci illuminavano il suo cammino. Vedeva altri bambini, probabilmente della sua età, guardare ammirati quelle luci, quelle decorazioni, come se fosse la cosa più bella di sempre, come se fosse pura magia. Sbuffò, alzando gli occhi al cielo, per poi voltarsi verso l'uomo al suo fianco, sorridendogli dolcemente. Non era d'accordo con loro, non capiva cosa ci fosse di magico in delle luci appese su fili trasparenti che passavano da un lampione all'altro. Per lei la magia esisteva soprattutto nelle piccole cose, come poter passare del tempo con il proprio papà, passeggiando mano nella mano, chiacchierando del più o del meno. Hermione aveva appena compiuto dieci anni e, oltre all'età, in lei cresceva anche qualcosa di diverso, una maturità e un intelligenza che non si vedeva in una bambina di quell'età. La curiosità presto si era trasformata in un bisogno di essere a conoscenza di tutto, ma non come si potrebbe pensare, non era una pettegola, non le piaceva sparlare degli altri. Il sapere di cui aveva bisogno, era tutto contenuto dai libri di ogni tipo, da manuali a romanzi, leggeva qualsiasi cosa, basta che, in quel modo, riuscisse a scoprire cose di cui non era al corrente. Quello, purtroppo, non la portava ad avere molti amici – neanche uno, per essere precisi –, ma lei era felice così. Sapeva che aveva bisogno solo dei suoi genitori e dei suoi libri, per poter stare bene, non aveva bisogno di bambini schiamazzanti e immaturi. I libri non erano immaturi, i libri l'aiutavano a crescere e non l'avrebbero mai tradita.
Camminavano ancora, fino ad arrivare nuovamente di fronte al portone di casa. Mentre il padre era impegnato a cercare le chiavi, Hermione venne rapita da un gatto che si trovava poco lontano da loro. Era grigio, dal pelo non molto lungo e aveva due grandi occhi dalle strane sfumature azzurrine, almeno così le sembrò, in fondo non era molto illuminato.

«Papà, quanto ci metti?» Chiese, senza distrarsi neanche per un momento, continuando a scrutare quel curioso animale. Apparentemente era un semplice gatto, ma Hermione ne era attratta, come se ci fosse dell'altro, oltre a quel musetto.
«Una strega deve avermele fatte sparire.» Sussurrò lui, sorridendo divertito, guardando la figlia con la coda dell'occhio, come se la stesse provocando. Si divertiva nel vedere l'espressione della bambina, quando, inviperita, iniziava ad elencare le varie ragioni logiche secondo le quali la magia non esistesse. Hermione sbuffò e fece per rispondergli, ma qualcosa la fece fermare. Osservando quel gatto, le sembrò quasi che stesse sorridendo. Scosse il capo, con forza, sospirando subito dopo. I gatti non sono umani, era roba da fantascienza, se lo avesse sul serio visto sorridere.

«Sai che ti dico? Potrebbe essere stato un folletto.» Disse ad un certo punto la bambina, girandosi verso il padre, sorridendo divertita dalla sua espressione stupita, poi attese che riuscisse ad aprire. No, Hermione non aveva cambiato improvvisamente idea, ma era anche vero che, da due anni fino ad allora, le succedeva di vedere cose davvero strane. Chissà, forse prima o poi avrebbe trovato il filo logico che le avrebbe fatto capire di non essere impazzita.

 

Era una semplice giornata come le altre, o quasi. In realtà era domenica mattina e, per Hermione, tutto cambia, di domenica. La cosa più importante, per lei, era che, in quel particolare giorno della settimana, poteva passare del tempo con la sua famiglia. I suoi genitori non andavano a lavoro, la domenica, così anche la colazione diventava più allegra, fra le frittelle della mamma e le battute strane del padre. Per Hermione era quello il giorno più bello, veniva poco prima del lunedì, solo perché poteva godersi quelle scenette assurde fra i propri genitori, le prese in giro e le minacce, da parte di sua madre, ovviamente. Era tutto perfetto, la domenica. Si sedette, sorridendo radiosa, allungandosi per poter prendere la tazza di latte che le stava porgendo la mano curata della donna di fronte a lei, con un dolce sorriso.

La routine della domenica mattina venne interrotta da un due colpetti sicuri alla porta ed Hermione guardò la madre, confusa. Nessuno li andava a trovare di domenica, solitamente era il giorno che veniva utilizzato per stare con la propria famiglia. Il padre si alzò dalla sedia, posando il giornale sul tavolo, proprio vicino alla tazza, ormai vuota, di caffè; si avvicinò con calma alla porta, poi l'aprì. La piccola si sporse, stando seduta al suo posto, curiosa di capire cosa stesse accadendo. Una donna era alla soglia della porta. Era grande ed era vestito in un modo buffo: indossava una specie di tunica nera e verde, mentre in testa adagiava un copricapo alquanto stravagante, per ogni essere umano in un giorno che non fosse Halloween.
«Posso esserle utile?» Chiese l'uomo, guardandola con estrema attenzione. La donna, dal cipiglio serio e lo sguardo fermo, osservò il volto del suo interlocutore, poi diede un veloce sguardo ad Hermione, la quale aggrottò le sopracciglia, osservandola ancora, con la curiosità che trapelava dal suo sguardo, dalla sua espressione.
«Il signor Granger, immagino.» Disse lentamente, a labbra strette, poi tornò a guardarlo e sospirò, come se volesse trovare le parole più giuste per iniziare il suo discorso. «Sono venuta qui per darvi un informazione riguardante vostra figlia, la piccola Hermione.» Disse ancora, piano, per poi voltarsi a guardare la bambina interessata. Solo in quell'istante si lasciò sfuggire un piccolo sorriso; non seppe bene il motivo, ma Hermione si rilassò, sicura che quella donna non le avrebbe fatto del male, che era lì in veste del tutto amichevole.

«Lei chi è?» Chiese il padre della bambina, dubbioso. C'erano così tanti truffatori, in giro per Londra, non si era mai abbastanza sicuri con le persone estranee. Soprattutto se, poi, mettevano in mezzo sua figlia. Doveva essere sicuro della loro affidabilità, non poteva e non voleva che la sua bambina si trovasse in mezzo a qualche strana truffa.

«Sono Minerva McGranitt. Sono professoressa in una scuola speciale, la quale vorrebbe avere, il prossimo anno, vostra figlia come studentessa.» Si presentò la donna, con lo sguardo fisso in quello dell'uomo. Anche la madre di Hermione, in quel momento, si avvicinò all'estranea, confusa, cercando di capire cosa stesse accadendo. Tutto era strano e complicato. La loro bambina andava in una scuola normale, aveva dei bei voti e non dava mai grane agli altri compagni. Cosa significava, ora, che una donna, vestita in quel modo assurdo, arrivasse a casa loro per chiedere di iscrivere la loro piccola in una scuola “speciale”?
«Cosa intende per speciale?» Chiese la madre, con un tono di voce meno duro, rispetto al marito, più morbido e voglioso di spiegazioni razionali.
«Non penso che sia un argomento da trattare a porte aperte.» Disse invece lei, alzando lentamente un sopracciglio. Non voleva auto invitarsi, ma non poteva neanche parlare di certe cose con la porta aperta, era possibile che altre persone sentissero e quello non poteva permetterlo. I due si scambiarono uno sguardo, poi, in silenzio, la fecero accomodare, portandola nel soggiorno, invitandola a sedersi sul comodo divano. Nel frattempo, Hermione, aveva seguito tutta la scena, in un religioso silenzio, combattuta su cosa avrebbe dovuto fare. Restare lì e far finta di nulla, oppure andare da loro e chiedere spiegazioni?
«So che potrà sembrare strano, per voi, ma devo darvi un annuncio importante.» Cominciò la donna matura, con un tono di voce che, per Hermione, era sicuro, ma dolce e consapevole, come se sapesse già che tipo di reazione avrebbero avuto i due di fronte a lei. «Vostra figlia è una strega.» Disse e, in quel momento, tutto si fermò. Hermione non poté vedere le reazioni dei genitori, ma seppe bene quale fu la sua. Si alzò dalla sedia, quasi con uno scatto, poi, velocemente, raggiunse gli altri. Aveva gli occhi sgranati per lo stupore, le guance arrossate e le labbra socchiuse.
«Non sia ridicola!» Esclamò il padre, improvvisamente, alzandosi dalla poltrona, senza rendersi conto che la figlia era proprio dietro di lui.
«Non sia irragionevole, signor Granger. Non si è mai accorto di qualche avvenuto un po' particolare, quasi...illogico?» Chiese la professoressa, la quale, senza scomporsi di una virgola, era rimasta seduta sul divano, osservando quell'uomo di fronte a lei. Qualcosa di fuori dalla norma era successo e non era solo un episodio. Hermione era sempre stata una bambina diversa, particolare, ma da qualche anno faceva cose strane. Soprattutto se si arrabbiava. La madre rimase in silenzio, a pensare a quelle parole, quando un sospiro uscì dalle sue labbra.
«E' sicura di non sbagliarsi?» Una voce fece quella domanda e, in quel momento, i due genitori si accorsero della presenza della figlia, la quale, senza badare molto allo scetticismo del padre, si avvicinava lenta alla donna, la quale si era appena alzata, con gli occhi color caramello puntati nei suoi. Era alta, dalla figura sicura, autorevole. Sembrava quasi una preside, più che una semplice professoressa. Eppure nei suoi occhi riusciva a vedere quella sfumatura di dolcezza che, probabilmente, non tutti riuscivano a cogliere. Minerva si piegò appena, sfiorando la spalla della bambina con le punte delle dita.
«Ne sono più che sicura, signorina Granger.» Disse lentamente, poi uscì, dal suo mantello, un foglietto di pergamena, che mise direttamente nelle mani della più piccola. «So che ti sembra tutto strano, ma non è uno scherzo e posso provartelo. Tornerò domani, faremo una piccola gita.» Continuò a parlare, con un tono di voce morbido, basso, come se le stesse confidando un segreto. Hermione, ancora un po' scettica, annuì con lentezza, mentre la donna si tirava su e raggiungeva la porta. Prima di andarsene, però, si girò verso di loro, con uno sguardo indecifrabile.
«Signori Granger, non avete nulla di cui temere.» Aggiunse, lentamente, accennando un piccolo sorriso, quasi enigmatico, dopo di che si voltò verso la bambina, prendendosi qualche secondo di silenzio, quasi come se volesse trovare le parole giuste. «Non cercare di trovare la logica, signorina. Non c'è logica, nella magia.» Concluse, con quel suo strano sorriso, poi andò via.
Il silenzio aveva inghiottito la loro casa, mentre, ogni membro di quella famiglia, rifletteva su ciò che era appena accaduto. Hermione non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Era impossibile, la magia non esisteva, non poteva credere ad una sciocchezza simile. Sarebbe andata a quella “gita” con la professoressa, solo per essere sicura di quello che la sua mente continuava a ripetere, senza farsi divorare dalla speranza che tutto ciò fosse reale. Allora perché il suo cuore batteva tanto forte e non vedeva l'ora che fosse lunedì?

 

La signora Granger passeggiava velocemente per la cucina, con uno straccio fra le mani, stringendolo e tirandolo, in modo quasi distratto, mentre il marito cercava di leggere il suo giornale. Era lunedì, perché non erano a lavoro? Avevano preso entrambi un giorno libero, per poter stare vicini alla loro bambina. Non l'avrebbero mai lasciata da sola con un'estranea che sosteneva l'esistenza della magia. Poteva anche essere una tossico dipendente, un'alcolizzata. O semplicemente una malata di mente, loro non potevano saperlo. Per quello erano sicuri che la cosa migliore da fare era accompagnarla, senza perderla di vista neanche per un singolo istante.

Nel frattempo Hermione era in camera sua, intenta a distrarsi leggendo uno dei suoi libri preferiti. Neanche lei era uscita di casa quel giorno, un'assenza scolastica non l'avrebbe di certo uccisa, o peggio bocciata. Era troppo emozionata, per quanto continuasse a ripetersi che doveva stare tranquilla, che tutto sarebbe andato per il meglio. Le gambe tremavano velocemente, mentre le dita picchiettavano sulla pagina del suo libro; gli occhi si muovevano da una parola all'altra e il cervello assimilava, come sempre. Leggere poteva essere anche uno svago, un modo per distrarsi e per sentirsi più rilassati, peccato che solo lei la pensasse in quel modo.

Le ore passavano ed Hermione era pronta già da un pezzo. Pronta a cosa, poi? A scoprire che tutto quello era uno scherzo o un frutto dell'immaginazione di quella donna che, come aveva sentito dire da suo padre, probabilmente aveva bisogno di uno strizzacervelli. Sospirò, chiudendo il libro appena finito, poi si alzò e si mise sulle punte, allungandosi per metterlo al suo posto. In quell'istante la porta si aprì e sua madre, con la preoccupazione sul volto, fece capolinea, guardandola in modo amorevole, come solo una mamma poteva fare.
«Amore, la signora McGranitt è di sotto, non facciamola aspettare.» Disse lentamente, sorridendole piano. Hermione si perse ad osservare l'espressione della madre, rendendosi conto che, oltre ad essere preoccupata, era incuriosita, quasi ansiosa, almeno quanto lei, probabilmente. La piccola aveva preso molto, da sua mamma, così come quel suo bisogno di dare una spiegazione logica ad ogni cosa che accadeva nella sua vita. Sospirò, sorridendo alla donna e avvicinandosi a lei, prendendo la sua mano e raggiungendo il padre in soggiorno.

Non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva neanche cosa voleva che accadesse. Sapeva soltanto che, dopo quel giorno, la sua vita non sarebbe più stata la stessa.

 

Niente. Hermione non vedeva niente, oltre ad un semplice camino. La donna li aveva condotti sino ad una casa abbandonata, stupendoli e non poco. Quella era una semplice casa, come tutte le altre, e la bambina fu quasi delusa nell'appurarlo, ma il suo viaggio non era ancora iniziato, era questo quello che non sapeva. La professoressa si sporse, prendendo da un mobile un sacchetto di velluto rosso, aprendolo, snodando le piccole corde che lo legavano. All'interno si trovava una strana polvere. Spiegò quello che avrebbero dovuto fare e tutti, non solo Hermione, lo trovarono alquanto strano. Entrare in un camino e scandire il nome del luogo, senza dimenticarsi di buttare quella cenere, era una cosa da libri di fantascienza. Eppure lo fecero, tutti. Diagon Alley, aveva detto la donna e Diagon Alley dissero gli altri. Quello che accadde fu stupefacente, fuori da ogni logica, da ogni spiegazione scientifica.
Come per magia si trovarono al centro di una grossa strada, ai lati c'erano tanti di quei negozi che confondevano. Hermione non parlava, aveva il cuore in gola per l'emozione e gli occhi sbarrati per lo stupore. Com'era possibile? Non aveva mai creduto nella magia, era sempre riuscita a trovare quella spiegazione intelligente e sensata. A quello, però, non riusciva a dare nessuna spiegazione.
C'era un via vai di persone con strani vestiti, mantelli che venivano spostati dal vento, bambini che passeggiavano con una civetta sulla spalla, ragazzi che stringevano una scopa nelle mani. Era tutto così strano, ma, in cuor suo, Hermione sapeva che era proprio quello, di cui aveva bisogno. La certezza che non fosse diventata pazza. Se si poteva viaggiare attraverso un camino, allora era possibile anche far volare una macchina.
«Allora, signorina Granger, cosa ne pensa?» Chiese la donna, rivolgendosi direttamente alla bambina, la quale, con gli occhi che le brillavano come un bambino ad un enorme parco giochi, si guardava attorno. Avrebbe potuto volare, dall'emozione, se solo fosse stato possibile.
«Ho bisogno di libri.» Sussurrò, rapita, senza rendersi conto del luccichio che aveva attraversato gli occhi della professoressa, la quale stava pensando che, con molte probabilità, quella piccola bambina sarebbe diventata la studentessa più brillante che Hogwarts avesse mai ospitato.

 



Un saluto a tutti voi, lettori delle fan fiction di Harry Potter. Non sono solita scrivere storie in questo "settore", ma ho avuto l'ispirazione e ho iniziato a scrivere.
Inizio precisando che la protagonista non è solo Hermione, ma si vedranno anche pezzi di storia di altri personaggi e il contesto cambierà piano piano, senza fare sbalzi improvvisi, ovviamente. Spero di non uscire fuori dal vero carattere dei personaggi, perché preferisco che ognuno tenga quella particolarità che lo evidenzia, senza che venga tolto nella mia storia, senza un motivo preciso.
La storia inizia con un rating giallo, perché non so neanche io cosa farò, andando avanti, ma sono sicura che lo cambierò, con il passare dei capitoli. Per chi solitamente legge le storie solo per leggere sulla propria coppia preferita, posso dire che mi dispiace, perché sono ancora molto indecisa su che coppia porterò avanti. Posso, comunque, già ammettere che non ci sono molte probabilità che Hermione la metta con Ron, né con Harry. 
Spero che questo primo capitolo vi abbia suscitato dell'interesse. Non mi aspetto nulla, ma spero di trovare almeno un commento, giusto per capire se sto andando bene o se la storia fa vomitare.

Ho detto tutto. Per qualsiasi spiegazione, in caso non abbiate capito qualcosa nel capitolo, o nei capitoli che verranno, potrete chiedere a me, tranquillamente.

Distinti saluti.

LesbianQuinn.
   
 
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