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Autore: Goldenslumber14    31/05/2014    3 recensioni
"-Ma questo è un fottutissimo triangolo, e da entrambi i lati!-
-In che senso?-
-Nel senso dell'eterosessuale e dell'omosessuale!-"
Si sono conosciuti ad Amburgo, erano ancora dei ragazzi e nessuno di loro avrebbe immaginato che, quella città sporca e violenta avrebbe cambiato per sempre la loro vita. Un semplice incontro in uno strip club si rivela essere più significativo di quanto avessero pensato e l'unico ricordo di quell'incredibile storia, è una bambina: Marilyn. Non le hanno mai detto nulla su sua madre, volendo come cancellare ogni ricordo di quel periodo, ma Marilyn vuole sapere, e forse sarà proprio ricordando che John e Paul capiranno che non possono continuare a fingere.
Dal testo (Cap VIII):
"-Paul, non ho più nessuno, se adesso te ne vai anche te- Paul lo zittì. Disse che avrebbe sicuramente trovato un'altra donna e sarebbe stato felice -Si, e poi magari viviamo per sempre felici e contenti? Paul non è come una fiaba, io non sono come te! Hai trovato la donna della tua vita, la mia se n'è andata. So che in passato ho sbagliato, ma non lo rifarei, perché adesso so cosa significhi per me"
•momentaneamente sospesa•
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo VIII:

 

-Londra (Abbey Road studios)- 00:23-

 

Linda era partita. La notizia le era arrivata quella mattina e ne era rimasta colpita. Solitamente era Paul, quello che andava via inaspettatamente, ma questa volta avevano chiamato Linda per un servizio fotografico. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che correre di qua e di là per raccogliere il materiale. Era tutta frenetica.

Aveva portato con se anche Heather e Stella, e visto che passavano lì vicino, le avrebbe lasciate dalla nonna materna che era sempre contenta di vedere le sue nipoti.

Così Paul, dopo ovviamente aver addormentato Mary, aveva trascinato John e Marilyn fino a Londra. Voleva sicuramente ricordare i vecchi tempi, improvvisando qualcosa nello studio.

L'odore di legno pregiato aveva accolto Marilyn fin dal primo istante. Lo ricordava bene, era come casa sua. Ci aveva passato metà della sua vita, per seguire i Beatles nelle loro registrazioni.

Passò una mano sul pianoforte nero. Ricordava quando Paul le aveva insegnato a suonarlo -Quanto tempo è passato- disse John più a se stesso che a lei. Si guardò intorno anche lui, non era cambiato nulla, ma quell'aria di immutabilità gli piaceva.

Paul era rimasto indietro, in verità era andato a prendere delle chitarre che teneva sempre lì. Aveva pensato che John avrebbe sicuramente suonato con lui -Paul, quanto ci metti?- l'uomo dai capelli corvini si riscosse, rischiando di far cadere entrambi gli strumenti -Arrivo, un attimo- John sorrise quando lo vide arrancare con in braccio due chitarre. Aveva voglia di suonare in effetti -Come i vecchi tempi?- Paul sorrise emozionato -Già- Si sedette su una sedia, accordando un pochino la chitarra. Era molto tempo che non andava lì, e i ricordi in quella sala erano tanti, che continuavano a girovagare per la sua mente.

-Io vado a fare un giro- disse Marilyn. Aveva capito che quello era un momento che loro dovevano passare in privato, era così ogni volta, e lei lo ricordava. Quando non c'erano George e Ringo e le capitava di essere nei paraggi mentre John e Paul suonavano, aveva preso l'abitudine di lasciarli in pace. La musica era per loro un momento di intimità, un momento di calma e pace, come se fosse fori dal mondo, solo loro due.

Mentre il suono maestoso della chitarra si espandeva per tutto lo studio, Marilyn salì al piano di sopra, dove si trovava la sala “dai tanti pulsanti”. Era lì che solitamente si fermava con Martin, a sorvegliare le mosse di loro. Quando toccò il ripiano nero, sfiorando appena i mille bottoni, un flashback le illuminò la mente. Era piccola, forse tre anni circa. Sentiva una melodia distante, vide Brian che la prendeva in braccio, dicendole qualcosa che però non riusciva a sentire. Indicava John e Paul, che ridevano all'ennesimo errore. Marilyn si girò al richiamo del suo nome, era una voce femminile.

-Cristo- disse togliendo la mano immediatamente dai pulsanti. Quella era la voce di sua madre, ne era sicura. Si mise una mano sulla fronte, dicendo al suo cuore di calmarsi. Era stato stranissimo quel flashback, era tanto che non sognava Brian. Da quando era morto lo sognava parecchio, era stato una persona importante nella sua vita, ma in quegli ultimi anni sogni e flashback come quello erano spariti.

Uscì da quella stanza, che gli aveva dato molti ricordi. Camminò per il lungo corridoio volteggiando a tempo della musica. Anche se non suonava più nulla, lei l'adorava. Era stata la compagna più fedele, l'aveva aiutata sempre nel momento del bisogno. Soprattutto quella di John, aveva una predilezione per le sue canzoni, perché ci metteva l'anima, era sincero. Ci sentiva lui stesso.

 

John smise un momento di suonare la chitarra. Guardava Paul, il suo viso che si rasserenava solo quando prendeva in braccio la chitarra, le sue lunghe ciglia, che facevano sembrare femmineo il suo intero volto. Una volta lo amava, aveva amato quella persona -Ti ricordi quel giorno ad Amburgo?- gli occhi di Paul si illuminarono. Come poteva scordare. Non avrebbe mai dimenticato quel momento.

-Si-

John sorrise abbassando lo sguardo timidamente. Paul sapeva quanto era difficile per lui esternare le proprie emozioni, e quanto quella cosa lo stesse tormentando anche nel presente. Gli mise una mano sulla spalla, rassicurante -Non te ne devi vergognare John- lui appoggiò la chitarra a terra e si alzò, lasciando Paul nella sala di registrazione. Si alzò anche lui, seguendolo velocemente. John sentiva i suoi passi dietro di lui, veloci, decisi.

Si fermò davanti ad una porta. Era lo studio di Brian. Sentì gli occhi che si bagnavano, li chiuse velocemente per impedire alle lacrime di scendere. Brian, certe volte sentiva ancora la sua mancanza. Era sempre stato presente nella sua vita, aiutandolo nel momento del bisogno. Era stato il padre che non aveva mai avuto.

Appoggiò la mano sulla maniglia, era fredda. Nessuno la apriva da moltissimo tempo -Vai se vuoi- disse Paul, che ormai l'aveva raggiunto. John la aprì piano, come se avesse paura di cosa ci avrebbe trovato dentro. Ma lo studio era rimasto lo stesso, nessuno ci aveva più messo mano. C'erano le stesse tende verde scuro, la stessa scrivania in mogano e gli stessi fottutissimi libri.

John compì dei passi lenti, indagatori, davanti alla scrivania. Vide una cornice, appoggiata con cura lì sopra. Non ci aveva mai fatto caso in tutti quegli anni.

La prese in mano. C'erano loro, i Beatles. John era lì nel centro con in braccio Marilyn, che doveva essere nata da pochissimo, tutti la guardavano incuriositi mentre John le sorrideva -Brian adorava quella foto- John si voltò verso il bassista, non sapeva nulla di quella foto -Si vede che non hai fatto attenzione, ma lui vedeva tante cose John. In quel momento ti ha visto veramente felice- John accarezzò la foto, possibile che Brian fosse così attaccato a quel genere di cose?

Appoggiò con cura la foto nuovamente sulla scrivania. Avrebbe voluto ringraziarlo, ringraziarlo di tutto quel che aveva fatto per i Beatles, per lui.

Paul intanto si era seduto su una sedia, contemplando il suo amico pensieroso -Sai John, mi sei mancato in questi anni- John lo guardò, era stupito. Non era più abituato a sentirsi dire certe cose. Ovviamente Yoko, in tutte quelle telefonate, non gli aveva mai detto cose del genere. Forse era per sottolineare il distacco, ma era una cosa tremenda per lui.

Anche John si sedette su una sedia, davanti a Paul -Anche tu Paul- no, non doveva farsi trasportare dal momento. Non voleva, o forse si. Non ce la faceva a stare seduto, così si alzò andando alla finestra che da molti anni era chiusa. La aprì con forza, facendo entrare un'ondata di vento che colpì le tende. John era bellissimo tra quelle tende verdi, o almeno, Paul la pensava così. Sbatté un paio di volte gli occhi per ritornare in se “Ormai mi capita sempre più spesso di pensare a lui, che cosa devo fare?”

-La senti anche tu?- Paul si avvicinò alla finestra. Il suono di una fisarmonica rimbombava per quella strada buia. Paul chiuse gli occhi, assaporando l'aria sul suo viso e quella canzone. La conosceva? Si, l'aveva già sentita -Here, There and Everywhere- esatto, era quella. John sorrise soddisfatto, le indovinava sempre lui le canzoni, era un suo talento -Un tuo capolavoro, devo proprio dirlo- John si sentì morire quando vide la mano di Paul appoggiarsi timidamente sopra la sua. Era rimasta morbida e delicata come un tempo.

-John- Paul sentiva che stava tremando. Voleva dirglielo, voleva aprirsi a lui perché era sempre stato sincero. Ma aveva paura di dirgli quanto fosse importante per lui -Paul, ti senti bene?- probabilmente John si era accorto che stava tremando e si era preoccupato. Vide che Paul stranamente stava sorridendo, un sorriso nascosto -Sai John, c'è una cosa che vorrei dirti- John allora si rimise dritto, trovandosi di fronte a Paul, che lo guardava negli occhi provocandogli strani pensieri “Smettila di pensare cazzate John!” si disse l'uomo mentalmente.

-Beh, quella volta ad Amburgo...non ero ubriaco- trattenne il respiro guardando la reazione di John. Non sapeva assolutamente cosa dire, non si aspettava una rivelazione del genere -Cavolo...ma perché proprio adesso?- chiese John. In verità avrebbe voluto chiedergli per quale fottutissimo motivo in quel momento provava dei sentimenti per lui -Non lo so, mi sembrava il momento più adatto- John abbassò lo sguardo prendendo coraggio, ma no, c'era Yoko “Chi se ne fotte di Yoko, quella non mi vuole più con se e il mio matrimonio andrebbe comunque a monte. Adesso o mai più John” alzò lo sguardo. Deciso, calmo.

-Io Paul, quella volta ero ubriaco, non avevo paura. Adesso invece si- prese il viso di Paul e lo baciò. Il più piccolo non ci pensò due volte e ricambiò all'istante il bacio di John. Era come ritornare in un sogno, un bel sogno.

John lo spinse contro il muro, mentre passava con i baci sul collo di Paul. Lui lo attirò più a se facendo aderire i loro corpi. Rimasero a guardarsi, in attesa che uno dei due si facesse avanti -Come quella volta- sussurrò John. Paul sorrise accarezzandogli la guancia -No, meglio- lo baciò nuovamente, mentre John gli prendeva le mani bloccandole dolcemente al muro.


                                                                            ***
 

-1959- Amburgo- 02:04-

 

Si sedettero tutti in cerchio, ridendo per la troppa birra bevuta. John esortò Jenn a sedersi tra lui e Paul. Le cose per il momento erano andate bene, non avevano ancora litigato e sembrava che la soluzione di John fosse stata la migliore.

-Propongo il gioco della bottiglia!- quello era Ringo. Lo avevano conosciuto da poco, ma già si era rivelato un ottimo amico.

Tutti acconsentirono la proposta del batterista e mandarono Stuart a prendere la bottiglia. Tornò ben presto con in mano un bottiglione di vetro, trovato chissà dove.

Quella sera avevano festeggiato alla grande, senza che Astrid e Jenn si scannassero a vicenda.

Così, dopo tutto il trambusto si erano ritirati nella camera dei Beatles.

-Dai ragazzi cominciamo!- esclamò George facendo girare la bottiglia. Tutti gli occhi dei presenti si posarono emozionati sopra di essa, come se fosse la freccia del loro destino. La bottiglia si fermò davanti a John, che sorrise mentre alzava il pungo con fare ironico -John con- George guardò la bottiglia fermarsi su Jenn, che cominciò a ridere guardando John -Sei pronto?- disse sempre sorridendo mentre gli prendeva il viso tra le mani.

-Mai come oggi- la baciò con foga, scatenando gli urli e le risate dei presenti. Nessuno sapeva del “trio” per cui sembrava strano che si baciassero così naturalmente, ma dopo tutto erano pur sempre ubriachi, chi mai avrebbe sospettato qualcosa?

Il gioco continuò per le lunghe tra risate e baci. Ormai erano tutti stanchissimi, ma nessuno degli 8 voleva farsi prendere dal sonno, quasi fosse una sfida.

Pete ruotò svogliatamente la bottiglia, che si fermò prima su Paul. Lui guardò la bottiglia girare nuovamente, indifferente, ormai tanto non gli importava chi gli avesse riservato il futuro. Ma con sua enorme sorpresa si fermò su John. Gli altri si fecero più attenti, non erano mai capitati due ragazzi e quella cosa la rendeva irresistibilmente proibita. Paul guardò John, imbarazzato. Avrebbe accettato? “Ma no, non lo farà, devo smetterla di pensare a lui in quel modo” guardò il viso di John.
Il ragazzo gli sorrise avvicinandosi -Ci sto McCartney- Paul non fece nemmeno in tempo a dire una parola che John aveva appoggiato le labbra sulle sue. Erano calde, ma sapevano terribilmente di alcool, ma a Paul non importava “Chi se ne frega” si disse rispondendo al bacio. Erano talmente presi che quasi ansimavano e non si erano accorti che si trovavano l'uno sopra l'altro.
Jenn intanto se la rideva, non si era resa conto di nulla, troppo ubriaca per comprendere -Divideteli! Questi fra poco vanno al sodo!- tirò Paul per una spalla, che si ritrovò disteso per terra con uno strambo sorriso dipinto sul volto. John aveva il fiatone, guardò Paul sorpreso, non si aspettava nulla del genere da lui. Avrebbe voluto tornare da Paul, tornare tra le sue braccia.
Aveva sentito uno strano calore, come quando ci si sveglia. Si sente il calore del letto, piacevole e quasi ti riaddormenteresti, ma sai che devi uscire da lì. Dovrai sentire il freddo. Ecco, così si sentiva John, come appena uscito dal letto.

George diede un'occhiata all'orologio da polso e notò che era tardissimo e che se non si muoveva a mandare via gli ospiti, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a dormire un'ora -Ragazzi su, sloggiare! Noi domani si lavora- disse mentre spingeva fuori Ringo, Jenn e Astrid -Che maniere!- commentò quest'ultima andandosene a testa alta. George sbuffò, quando c'era Jenn si trasformava sempre e diventava odiosa.

Contemplò la confusione che regnava sovrana in quella stanza. Si rassegnò buttandosi nel letto, era meglio per lui se non faceva commenti su quanto accaduto. Anche gli altri lo imitarono, facendo calare il buio nella stanza.

 

John si rigirò nel letto per l'ennesima volta. Non riusciva proprio a dormire, continuava a pensare a Paul. Il contatto con le sue labbra, le sue mani che lo stringevano desiderose. No, quello non era stato solo un bacio “O forse sono io che mi faccio troppe pippe mentali” pensò John arrabbiandosi con se stesso.

Non mi posso comportare come una stupida checca!” si sgridò da solo. Girandosi vide il viso di Paul, ad appena pochi metri da lui. Sentiva che respirava regolarmente, stava dormendo. Sospirò, non ce la faceva più. Lui non poteva negarsi all'istinto e se l'istinto gli diceva di fare una cosa, lui obbediva. Non avrebbe comunque saputo trattenersi a lungo.

Si alzò da letto piano, in modo da non svegliare i suoi compagni. Si diresse in punta di piedi fino al letto di Paul. Lo scosse un pochino sussurrando il suo nome. Il ragazzo più giovane rispose con un mugolio -Cosa c'è?- chiese assonnato strusciandosi gli occhi. John non disse nulla, lo scostò solamente facendosi spazio nel letto. Paul era troppo stanco per ribattere, ma sapeva che John voleva parlare. Parlare di cosa era accaduto prima.

-Paul-

Ecco, appunto -John?-

-Ecco...è stato strano- commentò alla fine “Ma come mi è venuto strano!? Mi sono rincretinito per caso!?” ma ormai l'aveva detto e indietro non poteva tornare.

Paul si sentì tirare verso il corpo di John. Percepì il suo petto contro la sua schiena e le loro gambe, che si sfioravano appena. John appoggiò la testa vicino al collo di Paul, dove ci lasciò un bacio -Però non voglio dimenticare- Paul si sentì avvampare “Non è da John fare così. Cosa gli è preso?” pregò che John non facesse nient'altro. Lui poteva resistere a tutto, ad ogni tipo di attrazione sessuale o quel che vi pare, ma non a John. Lui era il suo punto debole.

-Probabilmente però ti scorderai tutto- sperava sul serio che fosse così, non sarebbe riuscito ad arrivare alla settimana seguente. Deglutì mentre le mani di John gli accarezzavano il petto, provocandogli un brivido che lo scosse per tutta la schiena. John ridacchiò per la reazione di Paul -Cosa succederà domani?-

-Non lo so John, si vedrà se saremo capaci di guidare i nostri destini verso-

-O smettila di dire cazzate e dormi!-

-Va bene-

 

                                                                         ***

 

-Londra (Abbey Road studios)- 00:45-

 

Marilyn voleva tornare a casa. Era stanca e anche se il giorno dopo non avrebbe avuto a scuola, voleva dormire, per regalare finalmente della pace al suo povero corpo stanco. Quella era stata una settimana dura. Chiamò i suoi due padri, ma non rispondevano “Dove si sono cacciati quei due?” ritornò al piano di sopra, sperando di trovarli almeno lì.

Li stava per chiamare quando si bloccò. No, non era vero. Era impossibile, la sua immaginazione aveva giocato ancora un brutto scherzo. Ma lei li stava guardando, si dalla parte vetrata dello studio di Brian. Loro, John e Paul, i suoi unici genitori, si stavano baciando.

Si abbassò in modo da non farsi vedere. Non poteva interromperli, sarebbe stato imbarazzante sia per lei che per loro. Li osservò ancora un momento “Meno male che hanno smesso” ringraziò tutte le divinità esistenti al mondo per averla aiutata in quel momento. Si fece coraggio ed entrò nello studio, cercando di essere più calma possibile -Si va a casa?- chiese fingendosi assonnata. Quella notte non avrebbe di sicuro dormito.

John andò da lei appoggiandole una mano sulla spalla -Ok, andiamo tesoro- la prese per mano e insieme a Paul uscirono dallo studio.

Marilyn osservava gli sguardi che certe volte si lanciavano i due durante il viaggio in macchina. Era imbarazzante essere in mezzo a quella cosa. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dei due che si baciavano. Aveva potuto vedere quanto lo avessero desiderato, quanto avessero aspettato quel momento.

Quando furono a casa Marilyn si fiondò in camera sua, che quella notte non avrebbe condiviso con nessuno. Si mise il pigiama velocemente e si infilò nel letto. Quasi ci sprofondava dentro, da quanto era morbido il materasso.

Io non ho visto niente, io non ho visto niente” continuava a ripetersi cercando di calmarsi. Sentì dei passi, erano loro. Restò col fiato sospeso quando da sotto la porta riuscì a vedere le scarpe dei due. Erano ferme e Marilyn ipotizzo che si stessero fissando, chiedendosi anche loro cosa stesse accadendo. Li sentì darsi la buona notte e ritirarsi in camera.

Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi essendosi calmata. Andava tutto bene, lo sapeva. Probabilmente non sarebbe successo più nulla. Scivolò lentamente sotto l'incantesimo di Morfeo, che la avvolse gentilmente nel suo mantello di sogni, per regalarle finalmente la tranquillità.

 

Aprì gli occhi piano. Aveva sentito qualcosa che scricchiolava. Sentì dei passi passare davanti alla sua porta “Cavolo! Quello è John” pensò riconoscendo il ritmo dei suoi passi. Nascose la testa nel cuscino, incuriosita ma anche spaventata, si forse, da quella situazione. Non le era mai capitato di vedere John e Paul in quel modo.

Aguzzò l'udito quando sentì che poco più in là, John spingeva piano un'altra porta. La porta della stanza di Paul. Quando essa si richiuse Marilyn sgranò gli occhi. Lo avrebbero fatto? No, Paul non lo avrebbe permesso. Ma se invece avesse cambiato idea? Tutte quelle domande giravano per la testa della ragazza, che si nascose completamente sotto le coperte.

Spero almeno che la mia mente perversa non faccia scherzi domani mattina” si promise che non avrebbe avuto cattivi pensieri sui suoi genitori e su quanto era successo quella notte. Se loro si amavano c'era un motivo, non era niente di inesplorato per John e Paul. Marilyn voleva solo che fossero felici.

 

                                                                         ***

 

-Scozia- 10:06-

 

Il nitrito del cavallo svegliò improvvisamente Marilyn dai suoi sogni. Sbuffò, aveva dimenticato di dargli da mangiare quella sera, e quindi era logicamente arrabbiato.

Controvoglia si alzò da letto, trascinando i suoi piedi fuori dalla stanza. La luce del giorno la abbagliò e fu costretta a stropicciarli per abituarcisi.

Sbirciò nella camera accanto, dove Mary dormiva ancora tranquilla. Sorrise e richiuse piano la porta.

Mentre scendeva le scale, un certo sfrigolio insieme ad un buon odore di bacon arrivò a Marilyn. Paul non mangiava carne, essendo vegetariano, ma non era per niente riuscito a convertirla, per cui ogni volta che poteva, lei la mangiava.

Sentì un leggero fischiettio, che proveniva dalla cucina. Si affacciò e non seppe cosa dire a quella scena. John indossava un grembiule a fiori (probabilmente di Linda) e stava cucinando il bacon con l'uovo, mentre Paul, suo fedele compagno, stava preparando delle frittelle. Cos'era tutta quell'attività di prima mattina?

-Buon giorno tesoro!- disse Paul allegro. Marilyn non rispose, si sedette su una sedia, mentre guardava i due all'opera. Erano proprio presi, sembravano una coppia di casalinghi.

John intanto portò un piatto fumante davanti a Marilyn, che sgranò gli occhi quando vide il bacon, cosa che non mangiava da tempo -Bontà divina!- esultò. Paul invece sbuffò, dandole dell'assassina. La ragazza non ci fece caso e continuò a mangiare la sua colazione, preparata con tanto amore da John.

Paul si girò un attimo, mentre girava la frittella. Sorrise timidamente a John, che ricambiò con un cenno del capo. Marilyn aveva notato tutto, ma cercava di non far vedere che stava impazzendo “Cosa hanno fatto qui due ieri notte?” si chiese mentre prendeva la sua tazza di the verde fumante.

Paul andò al cesto della frutta, prendendo qualche cosa per se. Si girò -John, la vuoi una banana?- John bofonchiò qualcosa, visto che aveva la bocca piena di bacon, ma prese lo stesso la banana al volo. Marilyn invece era rimasta alquanto scioccata “Dio santo! Non devi pensare male! Gli ha solamente chiesto se voleva...un frutto” pensò per chiudere mentalmente il discorso.

Paul si sedette finalmente. Cominciò a zuccherare il the, e ad ogni zolletta guardava John. Il mondo in cui lasciava cadere la zolletta e lo sguardo con cui guardava John.

Marilyn era veramente preoccupata, perché vedeva gli sguardi che si lanciavano John e Paul, in più essendo lei una 14enne pensava estremamente male a quei doppi sensi.

Paul sbuffò girando il cucchiaino -Ah, Marilyn, il cavallo sta impazzendo, ma cos'ha?- Marilyn gli raccontò che la sera prima aveva dimenticato di dargli da mangiare -Allora poi vai, perché è da stamattina che nitrisce- Marilyn alzò il pollice affermativamente. Bevve in fretta il suo the per poi andare fuori. Era una bella giornata, strano per quel mese. Aspirò l'aria fresca della campagna, era bello svegliarsi e poter vedere quello spettacolo, non avrebbe desiderato vivere da nessun'altra parte.

Rayblack, la aspettava impaziente nella stalla -Hey bello, non hai mangiato ieri eh?- disse le accarezzandogli il muso. Lui scalpitò. Voleva uscire e lei lo avrebbe accontentato. Lei lo trascinò per le briglie portandolo fuori, all'aria aperta.

Ricordava ancora quando Linda le aveva portato Rayblack, era giovane ma resistente a tutto e velocissimo. Paul, visto che il cavallo era completamente nero, voleva chiamarlo Ray, in onore di Ray Charles. Solo che Marilyn invece voleva Black e così era nato Rayblack.

-Ray, sei pronto?- chiese Marilyn. Il cavallo diede un colpo al terreno con una zampa. Lei gli salì sopra, senza sella quella volta. Neanche aveva dato un colpetto che il cavallo era sfrecciato per la campagna. Marilyn si ritrovò ad urlare, a sentire quanto bello fosse il vento nei capelli. Quello era il sapore della libertà. Rayblack era impazzito, correva da una parte e poi girava e andava dall'altra. Si impennava pericolosamente, ma a Marilyn piaceva. Era sempre stato agitato quel cavallo, amava correre, soprattutto con Marilyn che gli permetteva di tutto.

Lei tirò le briglie e il cavallo si fermò. Marilyn gli accarezzò il collo, morbido e completamente lucido -Oggi sei in gran forma! Ti conviene mangiare adesso, papà non ti lascia tanto fuori- sembrava che Rayblack l'avesse sentita, infatti aveva cominciato a brucare tranquillamente. La ragazza diede uno sguardo a quella fattoria, non voleva tornare là dentro per trovarsi di nuovo con quei due che parlavano coi doppi sensi “Bisogna avere coraggio” si disse. Quando ebbe portato il cavallo nella stalla, ritornò in casa. Doveva vestirsi, tra poco avrebbero pranzato.

Si levò gli stivali ormai sporchi di fango e erba. Annusò l'inconfondibile odore del pollo arrosto “John sta rivoluzionando la mia vita” pensò mentre dava un'occhiatina in cucina.

-Paul tu non sai come si fa! Devi proprio infilarlo bene capito?

-Ok, ma io quel coso non lo tocco.

Ma per sua fortuna, John stava solo illustrando come farcire un pollo. Paul ovviamente non era più abituato ma comunque non voleva toccare l'animale. Essere vegetariano per lui era più che uno stile di vita, era il rispetto verso la natura, che lui amava.

Marilyn scappò al piano superiore a vestirsi.

John guardò Paul, che si era appoggiato leggermente al tavolo. Ripensava ancora alla sera prima, era stato bellissimo poterlo baciare, toccare nuovamente. -Paul, cosa hai intenzione di fare?- chiese John ritornando al suo lavoro. Paul lo osservava, da molto tempo ormai, e conosceva ogni dettaglio delle sue movenze -Non lo so, ma non possiamo continuare- quelle erano parole dure da pronunciare per Paul. John spalancò la bocca solo per qualche istante, non capiva il perché di quelle parole, così dure e secche -Ma Paul..- mise il pollo nel forno togliendosi i guanti -Perchè?

-Perchè finirebbe come l'ultima volta. John, ci siamo dovuti nascondere, negare il nostro amore. Non potrei rifarlo, così rovinerei tutto- John sbuffò andandosene dalla cucina. Paul era sempre il solito, si preoccupava sempre per tutti. Non poteva una fottutissima volta farsi guidare dal cuore?

-John fermati- Paul lo prese per un braccio. Lo sguardo di John era confuso, triste, arrabbiato. Sembrava non avere una sola emozione -Paul, non ho più nessuno, se adesso te ne vai anche te- Paul lo zittì. Disse che avrebbe sicuramente trovato un'altra donna e sarebbe stato felice -Si, e poi magari viviamo per sempre felici e contenti? Paul non è come una fiaba, io non sono come te! Hai trovato la donna della tua vita, la mia se n'è andata. So che in passato ho sbagliato, ma non lo rifarei, perché adesso so cosa significhi per me- una lacrima passò sul viso di John, che abbassò gli occhi per cercare di nasconderla. Paul abbracciò quell'uomo, l'uomo che aveva bisogno di lui, l'uomo che molto tempo fa aveva desiderato ardentemente, ma che adesso non poteva più ricambiare -Su, non ti abbattere, andrà tutto bene- John appoggiò il mento sulla sua spalla, lasciandosi accarezzare la schiena dal bassista.

John chiuse gli occhi, godendo di quel momento con Paul. Quello dell'altra sera era forse stato un momento di debolezza di entrambi. Ma l'amore non è mai debole.

Il campanello del forno suonò e John fu costretto ad andare per non bruciare il pranzo. Paul sentì le sue mani, vuote, senza più niente. Si morse il labbro ripensando alla notte scorsa. John era andato da lui e avevano dormito insieme, così, tra baci e carezze. Ma quello era un sogno, e i sogni svaniscono quando ti svegli “Devi resistere Paul, ne va della famiglia” chiamò le sue due figlie, che corsero giù per le scale.

Durante il pranzo Marilyn si accorse che qualcosa tra i due era cambiato. Non si lanciano più gli stessi sguardi, complici, ma adesso era John che sembrava guardare Paul come se lo stesse implorando. Comunque continuò a mangiare normalmente.

Finito il pranzo, Mary rimase a giocare con Paul, mentre lei si ritirò in camera per svolgere i compiti. Molto probabilmente la professoressa di lettere l'avrebbe interrogata, era sempre lei la prima della lista.

Aprì il suo enorme libro di letteratura, era contenta di essere passata all'Hig School. Quando si era trasferita aveva dovuto abbandonare tutti i suoi amici di Londra, ma non aveva mai faticato a farsene di nuovi. All'inizio nessuno aveva mai badato al suo cognome, mai poi tutti ne erano venuti al corrente. Si era fata subito dei nemici, Frost e la sua ridicola banda di idioti. Ridacchiò mentre ripensava a quanto aveva goduto nel prenderlo a botte, era da tempo che lo aspettava.

Nella camera irruppe John, che si sedette accanto a Marilyn -Che studi?- chiese. Non aveva mai avuto modo di fare la lezione con lei, di solito ci pensava Paul, visto che era più intelligente.

-Ah, poesie di gentiluomini inglesi- John prese il libro sfogliandolo, tra meno di una settimana circa avrebbero letto i racconti di Oscar Wilde -Beh, siete a un buon punto- commentò ridandole il libro. La figlia rise, le piaceva l'aspetto paterno che John aveva in quel momento. Era strano averlo lì, in un momento così quotidiano -È strano vederti interessato- disse ridendo. A lui non era mai piaciuta la scuola e diceva sempre a Marilyn che se l'avessero espulsa, lui le avrebbe trovato sicuramente qualche lavoro.

La ragazza tornò a studiare. John la guardava, ogni particolare del suo viso, ancora in formazione ormai era a lui familiare. Le era sempre piaciuto il carattere della figlia, era simile al suo, con la sola differenza che lei non si nascondeva dietro a nessuna maschera. Era semplicemente fatta così.

Guardò come impugnava il lapis, un impugnatura perfetta, avrebbe detto il suo ex professore d'arte. Le aveva detto che poteva scegliere una scuola privata, ma lei aveva scelto di frequentare quella scuola da gente normale.

Si alzò e le diede una pacca sulla spalla per augurarle buona fortuna. Quando scese di sotto vide dalla finestra che Paul stava portando Mary a cavallo. Sorrise vedendolo ridere. Adorava i bambini e lui era adatto a fare il padre. Severo quando ce n'era bisogno, ma anche dolce. Lo osservò mentre la appoggiava delicatamente sul cavallo pezzato. Sospirò. Ora capiva perché non voleva amarlo, per non rovinare tutto questo. La famiglia, la sua vita. Aveva ragione, non potevano ricascarci nuovamente.

Si mise le mani in tasca e si avviò verso la stanza dove Paul aveva messo il pianoforte. Di solito lì componeva canzoni, lo vedeva dai fogli sparsi da tutte le parti. Tipico di Paul la confusione artistica. Prese dei fogli a caso leggendo alcuni appunti per possibili canzoni. Aveva l'abitudine di metterci la data. Molti erano vecchi di mesi, anni, mentre altri risalivano a qualche settimana fa. Un foglietti cadde dal piano, attirando così l'attenzione di John. Lo prese, era accartocciato, ma le parole erano ben leggibili -I'm scared to say I love you- lesse quasi sussurrando. Guardò la data rimanendo fermo, immobile. Non poteva crederci, ci doveva per forza essere qualche errore. La frase risaliva al giorno prima.

Voltò lo sguardo su Paul, che fuori stava cavalcando insieme alla figlia. Strinse quel foglietto, riducendolo ad una pallottola. Gli aveva mentito “Quello stronzo!” John imprecò più volte contro l'amico. Almeno poteva dirgli che lo faceva per la famiglia, no, aveva dovuto mentire.
Chiuse gli occhi cercando di trattenere la rabbia “Non posso continuare a stare qui, ormai non ha più senso” John si alzò tornandosene nella sua stanza.
Prese i vestiti mettendoli disordinatamente nella valigia. Non badava a ciò che faceva, vedeva soltanto Paul che gli mentiva.
Perchè l'aveva fatto?
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta. Girandosi vide Marilyn, che lo guardava preoccupata -Te ne vai?- chiese entrando. Il padre non sapeva cosa risponderle, non poteva dirle la verità. Come al solito doveva sempre nascondere i suoi veri sentimenti -Vado via stasera, sono stato anche troppo insieme a voi- Marilyn si sedette sul letto. Non voleva che se ne andasse di nuovo, ogni volta che John spariva era perché era accaduto qualcosa. Lo guardò tristemente sapendo comunque che non poteva fare niente per fermarlo -Sicuro?- John annuì grave.

Marilyn lo lasciò solo, nella sua stanza, a chiedersi per quale motivo si fosse nuovamente innamorato di Paul. Erano passati anni dall'ultima volta, cosa era successo? “È sempre colpa tua Jenn se mi ritrovo sempre a pensare a Paul”. John ci parlava spesso con lei, gli dava forza e certe volte sembrava che lei in qualche modo gli rispondesse, con qualche piccolo segno del destino.

Si prese la testa tra le mani, cercando di trattenere le lacrime.

 

-Scozia- 23:00-

 

John trascinò la sua valigia fino all'ingresso. Guardò ancora una volta quella casa, probabilmente non ci sarebbe tornato spesso. Vide Paul arrivare davanti a lui. Lo guardò serio -Davvero vuoi andare?- era difficile anche per lui lasciarlo andare, soprattutto dopo quel che era successo.

John gli mise una mano sulla spalla sorridendo -Sono a Londra, semmai volessi vedermi, sarò lì- Paul gli diede le chiavi della macchina e lo guardò uscire. Sentì gli occhi pizzicare, non doveva piangere, non in quel momento. Sentì delle braccia che lo stringevano da dietro -Hey Paul, da vieni, non potrai stare tutto il tempo qua davanti- Paul socchiuse gli occhi. Si girò per guardare il viso di sua moglie.
Era tornata da poco e non aveva ancora finito di raccontargli tutto su quel servizio. Lei era una donna in gamba, felice della sua vita. Ma Paul non poteva esserlo altrettanto, non in quel momento.
Comunque, prese la mano di Linda facendosi guidare sul divano. Lei cominciò a raccontargli del viaggio, ma Paul non riusciva ad ascoltarla. La sua mente restava ferma sull'immagine di John che se ne andava. Lasciandolo, di nuovo.



Angolo Autrice:
Hello everybody :D
Sono finalmente tornata e scusatemi per il ritardo, ma lo studio mi prende un sacco di tempo, e trovarne per scrivere diventa sempre più difficile. Ma fortunatamente ecco il nuovo capitolo.
Pensate che il fatto che Marilyn pensi male ad ogni cosa che dicono i padri sia un po' surreale? Beh, dopo quel che aveva visto, ho pensato bene di farla atteggiare così, ma poi mi direte voi ^^
E beh, quando finalmente arrivava il McLennon....John se ne va. Scusatemi, scusatemi *si inginocchia chiedendo pietà*
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, grazie davvero :)
With Love

Goldenslumber14

 
  
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