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Autore: MadAka    01/06/2014    1 recensioni
"Chiamano questo posto il Banco dei Sogni, perché è proprio questo che fa, compra sogni.
Le persone qui vendono ciò che hanno di più evanescente, ma anche di più profondo. Racchiudono la loro speranza all’ interno della loro firma, la scrivono su un foglio bianco candido, lo ripongono in una busta e vengono fin qui per farsela valutare, farsi valutare il prezzo della propria anima, come diceva mio padre."
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'll pray for you

Do you pray for me?

I'll pray for you

 

 

 

Non ero mai venuto alla stazione prima d’ora; non sono mai dovuto venire fin qui per accogliere parenti provenienti da lontano, per incontrare amici di penna distanti chilometri e chilometri, né tantomeno per salire su un treno ed andarmene. La stazione dei treni non ha niente che possa ricondurmi a qualcosa che già conosco; non assomiglia a quelle che propongono i film, non ci sono abbracci appassionati, saluti continui o altro che possa far pensare ad un nuovo inizio o ad un incontro atteso. La gente è di fretta, si fa spazio con poca grazia fra le persone e praticamente nessuno di loro apre bocca: temo che se non fosse per il rumore dei treni, per gli annunci e per il suono delle scarpe che sfregano sul pavimento, qui, non si sentirebbe nulla.

Mi fa uno strano effetto pensare che questo è l’ultimo posto che vedrò della città in cui sono nato e cresciuto, mi agita abbastanza notare che i binari che si staccano da qui proseguono verso l’orizzonte, infilandosi in un mare di grigio di cui non si intravede nulla. Sono i miei ultimi minuti in questo posto, secondo le disposizioni del giudice dalle quindici di questo pomeriggio non sarò più un cittadino e non mi sarà permesso rientrare in città. La cosa mi impensierisce un po’, ma non più del dovuto. Ora so dove andare e so anche con chi andarci. Mark verrà con me, insieme raggiungeremo Jason, avremo una casa e potremo decidere se fermarci là o considerare tutto solo l’inizio per qualcosa di nuovo e più grande, l’inizio di un viaggio che fin da bambini ci eravamo prefissati di intraprendere, ma che era rimasto solo un sogno per me, il mio sogno. Tuttavia l’idea mi spaventa ancora e continua, davvero, a farmi sentire strano e insicuro, cosa che il mio amico non è. Non che sia semplice capire il suo stato d’animo dietro i suoi occhi, che non hanno ancora ripreso la loro vecchia luce nonostante si siano schiariti, ma si capisce ugualmente attraverso i gesti del suo corpo che, in fondo, sa esattamente ciò che sta facendo. Non so se ha deciso di venire con me per non lasciarmi solo o per realizzare davvero il progetto che ci eravamo immaginati da bambini, ma sono contento che lui abbia deciso di intraprendere questo viaggio, io non sarei riuscito ad andare molto lontano.

Vincent si ferma davanti ad un treno, un mezzo provvisto di poche carrozze su cui non sale quasi nessuno. Si ferma anche Mark, posa il borsone in terra e analizza la locomotiva che dovrebbe portarci lontano. Istintivamente porto lo sguardo sulla mia valigia: ventisette anni di vita stipati in un piccolo trolley mi fanno capire che, in verità, nella mia esistenza ho vissuto ben poco.

«Sarebbe questo?» chiede Mark rivolgendosi a Vinny, che annuisce con la testa e sorride.

Oltre a lui sono venuti anche Gabriel e Jocelyn, solo le amicizie più strette si sono unite a noi per l’ultimo saluto, per dirci definitivamente addio.

«Non farti ingannare, è piccolo ma va lontano.» risponde l’uomo al mio amico, che di rimando alza le spalle come a dire che non ne dubitava poi così tanto.

Il silenzio cala fra noi, nemmeno lo sbuffare della locomotiva riesce a farlo sembrare meno spietato di quanto sia, mi sembra quasi di riuscire a percepire i pensieri dei miei amici, di sentirli mentre cercano le parole giuste per salutare me e Mark, mentre io ho la mente annebbiata da frasi che hanno il solo scopo di mascherare la mia insicurezza.

«Come vi sentite?» domanda improvvisamente Vinny, rivolgendosi ad entrambi ma soffermando maggiormente lo sguardo su di me. Sono io quello realmente preoccupato, lo sa.

Sospiro mentre lui si avvicina a me, mi posa entrambe le mani sulle spalle e prende a guardarmi.

«Nervoso.» mi esce, quando mi rendo conto che è l’unica parola con cui posso descrivere il tutto.

Siamo solo io e lui, ora. Mark prende a parlare con Jocelyn e Gabriel di qualcosa che non riesco a capire, mentre Vincent si concentra su di me, utilizzando alcune delle sue parole migliori per darmi forza un’ultima volta:

«Puoi ancora ripensarci.»

Scuoto la testa e sorrido:

«Non credo. Dalle quindici di oggi non sarò più cittadino qui, diventerò un… non lo so, un ricercato?»

Scoppia a ridere:

«Non mi risulta.»

Aspetto che smetta prima di riprendere a parlare e quando lo faccio sono così serio da riuscire a convincere anche me:

«Non voglio tornare indietro, ho deciso. Avete fatto tantissimo per me e ve ne sono grato, sono grato soprattutto a te, Vinny.»

Sorride:

«Anche io devo ringraziarti, amico mio.»

«E per cosa? Non ho fatto niente di speciale, niente di importante.»

«Questo non è vero. Guarda solo Jocelyn, Mark e Gabriel. Loro sono solo un esempio di quello che sei riuscito a fare per le persone che erano venute a cercare aiuto da me. Tu sei stato loro vicino e li hai ascoltati, hai condiviso con loro la tua storia e le tue speranze. Hai fatto tanto, devi credermi.»

Mi volto un momento verso i miei tre amici, per vedere se sono in grado di notare i cambiamenti di cui Vincent parla.

«E non solo, so che non leggi i giornali, ma ultimamente hanno parlato di te, del tuo processo.»

«Di me?» chiedo, realmente sorpreso.

Com’è possibile? Come sono venuti a sapere del mio processo e di ciò che mi è successo? Non c’era nessuno a parte i miei amici e quelli del Banco dei Sogni, nessuno che potesse in alcun modo venire a conoscenza di quello che mi stavano facendo. Improvvisamente, però, la risposta mi appare chiara; c’erano degli uomini, delle persone che sono rimaste ai margini per tutto il tempo della seduta, figure che hanno continuato a scrivere qualcosa. Che siano stati loro a parlare di me? Ma poi, perché farlo?

Vinny mi distrae dai miei pensieri, ricordandomi della sua presenza davanti a me:

«Proprio così. Non chiedermi il motivo, io non lo so, ma è successo. Le persone cominciano ad avere i primi dubbi sul Banco dei Sogni, Steve. Cominciano a domandarsi per quale ragione ti sia stato dedicato un simile trattamento, perché costringere qualcuno a lasciare la città come è successo a te.»

«Dici davvero?»

Sorride, il suo volto si illumina e i suoi occhi brillano di una luce più intensa del solito:

«Sì. Se la gente comincia a porsi delle domande inizierà anche a cercare delle risposte e questa volta le risposte potranno solo aiutarli. Le cose cambieranno.»

Si fa serio e mi guarda attentamente:

«Mi dispiace solo che si sia dovuti arrivare al tuo allontanamento prima di cominciare a chiedersi cosa ci sia di sbagliato in questa città.»

Dispiace anche a me, ma non glielo dico. Guardo un momento verso Mark che non sembra minimamente preoccupato del fatto di doversene andare; al contrario sembra non vedere l’ora di partire. Avrei avuto bisogno del suo coraggio o della sua testardaggine parecchio tempo fa per decidermi a compiere il grande passo, per decidermi ad intraprendere il viaggio che ho sempre voluto fare. Il mio processo è stato semplicemente ciò che mi serviva per fare questo primo balzo, per convincermi a cambiare la mia vita. Lasciare i miei nuovi amici è ciò che mi fa sentire peggio, anzi, doverli lasciare sapendo di non poter essere io a venire a cercarli. Non potrò più rientrare in città, non potrò più venire qui per sentire come stanno, per vederli di nuovo: è solo questo che fa male.

Non voglio dirlo a Vincent, non voglio dirlo a nessuno. Voglio che i miei ultimi ricordi lasciati qui siano felici, sereni.

«Beh, mi fa uno strano effetto sentirlo dire ma in un certo senso la cosa mi fa piacere, ho fatto un’ultima buona azione, in fondo. Mi dispiace non poterti più essere d’aiuto.»

«Questo non è vero, ricordi cosa ti dissi? Credi fortemente nel tuo sogno e aiuterai il mondo. La distanza non conta, potrai comunque continuare a fare qualcosa.»

Ha ragione, ricordo ancora queste sue parole, perfettamente. Sono state proprio loro a darmi la forza di continuare a proteggere il mio sogno, di insistere imperterrito a credere in lui giorno dopo giorno. Mi piace pensare che sia stato tutto questo ad aver permesso a quel piccolo filo d’erba, unico superstite là dov’era sorto il mio iris, a resistere a tutto e continuare a crescere. E sono state le parole di Vincent a risanare i miei dubbi, le mie incertezze e tutte le paure che avevo prima di incontrare un’anima come la sua. Il suo modo di vedere la vita e il futuro, le sue convinzioni e le sue azzeccate supposizioni lo rendono uno degli uomini migliori che abbia mai incontrato.

«Vorrei riuscire ad essere ottimista come te.» gli dico, dopo essermi fermato a osservare il cielo racchiuso nei suoi occhi.

Lui sorride e si avvicina a me, abbassa la voce come se quello che sta per dirmi fosse un segreto:

«Oh, ma io non sono ottimista, sono un sognatore.»

Sorrido a quelle parole, dannatamente vere.

«Grazie.» non serve aggiungere altro e lo sappiamo entrambi.

Vinny mi abbraccia come se fossi il fratello che deve partire al fronte, sussurra un stammi bene mentre io annuisco, poi, dopo un ultimo sguardo, si dirige da Mark.

Non ho neanche il tempo di assimilare il discorso appena concluso che davanti a me trovo Gabriel, la testa bassa, lo sguardo serio e colpevole. Continua a sentirsi responsabile di quello che mi è accaduto, io non so neanche più cosa dirgli per cercare di fargli capire che non è così e che la scelta finale spettava solo a me:

«Ehi, guarda che so che pensi ancora sia colpa tua.»

Alza gli occhi:

«Perché? Non lo è?» c’è amarezza nella sua voce.

«No.» rispondo, serio, il tono di chi non ammette repliche.

Non potrei sopportare di sapere che il ragazzo si sentirà in colpa per me dopo la mia partenza, la cosa mi farebbe sentire un peso anche a distanza di chilometri.

«Mi dispiace, Steve, continuo a sentirmi responsabile.»

Poso una mano sulla sua spalla:

«E io continuo a ripeterti che devi smetterla. Tu non c’entri e io non ti reputo assolutamente il colpevole di quello che sto per fare.»

«Davvero?»

«Davvero.»

Sorride, ritornando dritto con la schiena, gli occhi verdi e vivi di chi ha ripreso a credere in qualcosa:

«Mi mancherai amico. Non credo sarà più lo stesso senza di te, mi sei sempre stato accanto.»

«Ce la farai. Non è che ti abbia aiutato poi così tanto.»

Scuote la testa:

«Questo non è vero.»

Torna ad abbassare lo sguardo sulle sue scarpe, presumo non sappia che altro aggiungere, così riprendo io la parola, devo dirgli un’altra cosa prima di andare.

«Ti ricordi quando mi sono seduto accanto a te per la prima volta?»

Alza gli occhi e assume un’espressione confusa, credo non abbia assolutamente idea di dove voglio arrivare:

«Mi avevi detto che tua madre e le tue sorelle se ne erano andate, che secondo te stavano bene ma non potevi saperlo perché non avevano un indirizzo a cui scrivere.»

Annuisce, l’espressione sempre più confusa. Gli faccio segno di aprire la mano e lui esegue, porgendo il palmo verso l’alto, in modo che io possa posarvi sopra le chiavi del mio appartamento, il mio, ormai, inutile appartamento. Lui le guarda incerto, senza sapere che cosa dire, apre bocca ma rimane zitto e sono nuovamente io a parlare:

«Ora ce l’hanno. Io qui non posso più tornarci, quindi tanto vale dare una casa a qualcuno a cui possa servire. Le carte le ha tutte Vinny.»

«Steve, è… è uno scherzo, vero?» chiede, apparendo seriamente in confusione.

Di tutta risposta scuoto la testa e lui fa lo stesso, con un enorme sorriso stampato sul volto:

«Io… davvero, non so come ringraziarti.»

«Non smettere di suonare, mai. La tua musica mi ha aiutato e non sai quanto.» sono convinto delle mie parole.

Gabriel è giovane, ha ancora tutta una vita davanti a sé e non dubito che un giorno riesca ad ottenere realmente ciò che vuole. Sono certo che la sua musica riuscirà ad aiutare ancora innumerevoli persone a farsi forza, a continuare, e lui ha la determinazione giusta per riuscire totalmente in questo intento.

Il ragazzo stringe nel pugno le chiavi e si fa serio:

«Non sarà facile se non ci sei tu, voglio dire, con chi altri potrei suonare?»

«Con Megan, secondo me le piaci.» sorrido.

Lui alza le spalle:

«Macché, quella ha un debole per te, credimi.»

«Ne dubito.»

Entrambi scoppiamo a ridere e infine il silenzio torna prepotente fra noi. A Gabriel non piacciono gli addii e nemmeno a me, per questo stiamo facendo più fatica di tanti altri.

«Mi mancherai.» azzarda il giovane all’improvviso.

«Non vado lontano. Puoi venire a trovarci da Jason quando vuoi.»

«Lo sai che non è carino invitare la gente a casa degli altri?»

Un sorriso mi esce spontaneo per via del tono ironico usato da lui:

«Fai come credi, ma sai dove trovarci.»

«E vi fermerete là per sempre?»

Alzo le spalle, senza sapere esattamente cosa rispondere, non mi sono ancora deciso, non ho ancora idea di quello che faremo io e Mark una volta lasciato questo posto. Credo che decideremo poi, sul momento.

«Chi può dirlo.» rispondo.

Sorride nuovamente e ci abbracciamo quando ci rendiamo conto che nessuno dei due non sa che altro aggiungere.

«Stammi bene, ok?» gli faccio promettere.

Lui assume quell’espressione fiduciosa e determinata che ha sempre avuto nei momenti opportuni:

«Certo.» dice.

Si allontana, tornando da Mark, lasciandomi solo; ma so che non lo resterò a lungo, manca ancora una persona da salutare e lei arriva immediatamente. La mano di Jocelyn si posa sul mio braccio e io mi volto per vederla in volto. Sorride dolcemente e i suoi occhi, tornati quelli di un tempo, le donano una luce meravigliosa.

«Allora hai deciso?» domanda.

Annuisco con la testa, cercando la forza che mi serve per separarmi da lei. Non voglio che soffra perché me ne vado e non è semplice ottenere la determinazione necessaria per essere forte a sufficienza per entrambi.

«Già, ho deciso.»

«Mark è piuttosto eccitato all’idea.» dice e tutti e due ci voltiamo a guardare il nostro amico.

Scoppio a ridere ma mi ricompongo in fretta:

«Mark è pazzo.» le rispondo e anche lei si mette a ridere.

Ma, proprio come me, si ricompone subito:

«Mi mancherai moltissimo, ma questo già lo sai.»

«Anche tu.»

«Mi piacerebbe molto poter venire con voi, ma non posso lasciare Vinny, sono ancora in debito con lui.»

Abbassa un momento il suo sguardo sulla mano che tiene ancora appoggiata al mio braccio, la voce si abbassa leggermente sull’ultima parte della sua ammissione.

Vorrei anche io che venisse insieme a me, ma posso capire cosa prova. Proprio come lei mi sento ancora debitore verso Vincent e vorrei poter continuare ad aiutarlo. Lui non sarebbe d’accordo, non si considera creditore di niente nei confronti di nessuno, ma parliamo di Jocelyn e lei farà il possibile per sentirsi in pace con se stessa. Quindi so cosa la ferma e nonostante vorrei che lasciasse ogni cosa, so già perché non lo può fare.

«Ti capisco, rimanigli accanto. E rimani vicino anche a Gabriel, per favore.»

Lei annuisce:

«Te lo prometto.»

Raggiunge le mie mani con le sue; mi sento leggermente a disagio, ma il calore che esse emanano mi tranquillizza subito.

Ci guardiamo per un momento che pare non finire più:

«I tuoi occhi… sono davvero bellissimi.» mi esce, in modo spontaneo quando mi rendo conto di essermi perso nuovamente in quel suo sguardo.

Lei sorride:

«Dico, ma ti sei mai fermato ad osservare i tuoi? Quei riflessi, quei riflessi verdi che hanno paiono fatti di smeraldo.»

Sono io a sorridere, stavolta:

«Non ci ho mai badato.»

Adagia una mano sul mio viso, per colpa della barba folta che ho ora percepisco a stento il suo tatto delicato:

«Tieniti stretto il tuo sogno, ok? Hanno già cercato troppe volte di portartelo via.»

«Sto andando a viverlo il mio sogno. Questa volta sei tu che devi tenerti stretto il tuo, ora che finalmente è tornato.»

«Io lo sto già vivendo.» mormora, allontanando entrambe le sue mani.

Abbassa un solo istante il suo sguardo per poi puntarlo nuovamente su di me:

«Vuoi sapere qual è?» mi chiede, apparendo una ragazzina viva e frizzante.

«Meglio di no, porta male raccontare i propri sogni.» le rispondo con un sorriso.

Lei si mette a ridere:

«Quello vale solo per quelli che si fanno di notte, non è la stessa cosa.»

«È uguale, secondo me. Allora continua a viverlo, fino in fondo.»

«Tu farai lo stesso?»

Faccio segno di sì con la testa e lei si fa seria. Non è rimasto più tempo, la voce di Mark mi raggiunge ricordandomi che perso il treno non ne avremo altri e che quindi mi conviene muovermi a salire. Guardo Jocelyn un’ultima volta e l’abbraccio: ora sono io ad abbracciare lei. La sento stringersi al mio corpo senza dire niente e quando ci separiamo il nostro ultimo saluto è fatto con un sorriso.

Raggiungo Mark che lancia un cenno agli altri e sale sulla carrozza, cerco di imitarlo anche io ma non sono altrettanto bravo nell’intento, forse perché non so come sentirmi. Sto lasciando un posto per raggiungerne uno totalmente nuovo, per ricominciare daccapo insieme al mio migliore amico, il mio fratello acquisito. Dovrei essere felice di tutto questo, finalmente posso fare ciò che ho sempre voluto fare, eppure lasciare i miei nuovi amici è complicato, molto più del previsto.

Per questo quando la porta del mezzo si chiude proprio dietro di me e mi volto per guardare tutti loro negli occhi un’ultima volta prima che il treno parta, il nodo che ho alla gola è più stretto che mai.

  
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