I'll pray
for you
Do you pray for me?
I'll pray
for you
Non
ero mai venuto alla stazione prima d’ora; non sono mai dovuto venire fin qui
per accogliere parenti provenienti da lontano, per incontrare amici di penna
distanti chilometri e chilometri, né tantomeno per salire su un treno ed
andarmene. La stazione dei treni non ha niente che possa ricondurmi a qualcosa
che già conosco; non assomiglia a quelle che propongono i film, non ci sono
abbracci appassionati, saluti continui o altro che possa far pensare ad un
nuovo inizio o ad un incontro atteso. La gente è di fretta, si fa spazio con
poca grazia fra le persone e praticamente nessuno di loro apre bocca: temo che
se non fosse per il rumore dei treni, per gli annunci e per il suono delle
scarpe che sfregano sul pavimento, qui, non si sentirebbe nulla.
Mi
fa uno strano effetto pensare che questo è l’ultimo posto che vedrò della città
in cui sono nato e cresciuto, mi agita abbastanza notare che i binari che si
staccano da qui proseguono verso l’orizzonte, infilandosi in un mare di grigio
di cui non si intravede nulla. Sono i miei ultimi minuti in questo posto,
secondo le disposizioni del giudice dalle quindici di questo pomeriggio non
sarò più un cittadino e non mi sarà permesso rientrare in città. La cosa mi
impensierisce un po’, ma non più del dovuto. Ora so dove andare e so anche con
chi andarci. Mark verrà con me, insieme raggiungeremo Jason, avremo una casa e
potremo decidere se fermarci là o considerare tutto solo l’inizio per qualcosa
di nuovo e più grande, l’inizio di un viaggio che fin da bambini ci eravamo prefissati
di intraprendere, ma che era rimasto solo un sogno per me, il mio sogno.
Tuttavia l’idea mi spaventa ancora e continua, davvero, a farmi sentire strano
e insicuro, cosa che il mio amico non è. Non che sia semplice capire il suo
stato d’animo dietro i suoi occhi, che non hanno ancora ripreso la loro vecchia
luce nonostante si siano schiariti, ma si capisce ugualmente attraverso i gesti
del suo corpo che, in fondo, sa esattamente ciò che sta facendo. Non so se ha deciso di venire con me per non
lasciarmi solo o per realizzare davvero il progetto che ci eravamo immaginati
da bambini, ma sono contento che lui abbia deciso di intraprendere questo
viaggio, io non sarei riuscito ad andare molto lontano.
Vincent
si ferma davanti ad un treno, un mezzo provvisto di poche carrozze su cui non
sale quasi nessuno. Si ferma anche Mark, posa il borsone in terra e analizza la
locomotiva che dovrebbe portarci lontano. Istintivamente porto lo sguardo sulla
mia valigia: ventisette anni di vita
stipati in un piccolo trolley mi fanno capire che, in verità, nella mia
esistenza ho vissuto ben poco.
«Sarebbe
questo?» chiede Mark rivolgendosi a Vinny, che annuisce con la testa e sorride.
Oltre
a lui sono venuti anche Gabriel e Jocelyn, solo le amicizie più strette si sono
unite a noi per l’ultimo saluto, per dirci definitivamente addio.
«Non
farti ingannare, è piccolo ma va lontano.» risponde l’uomo al mio amico, che di
rimando alza le spalle come a dire che non ne dubitava poi così tanto.
Il
silenzio cala fra noi, nemmeno lo sbuffare della locomotiva riesce a farlo
sembrare meno spietato di quanto sia, mi sembra quasi di riuscire a percepire i
pensieri dei miei amici, di sentirli mentre cercano le parole giuste per
salutare me e Mark, mentre io ho la
mente annebbiata da frasi che hanno il solo scopo di mascherare la mia
insicurezza.
«Come
vi sentite?» domanda improvvisamente Vinny, rivolgendosi ad entrambi ma
soffermando maggiormente lo sguardo su di me. Sono io quello realmente
preoccupato, lo sa.
Sospiro
mentre lui si avvicina a me, mi posa entrambe le mani sulle spalle e prende a
guardarmi.
«Nervoso.»
mi esce, quando mi rendo conto che è l’unica parola con cui posso descrivere il
tutto.
Siamo
solo io e lui, ora. Mark prende a parlare con Jocelyn e Gabriel di qualcosa che
non riesco a capire, mentre Vincent si concentra su di me, utilizzando alcune
delle sue parole migliori per darmi forza un’ultima volta:
«Puoi
ancora ripensarci.»
Scuoto
la testa e sorrido:
«Non
credo. Dalle quindici di oggi non sarò più cittadino qui, diventerò un… non lo
so, un ricercato?»
Scoppia
a ridere:
«Non
mi risulta.»
Aspetto
che smetta prima di riprendere a parlare e quando lo faccio sono così serio da
riuscire a convincere anche me:
«Non
voglio tornare indietro, ho deciso. Avete fatto tantissimo per me e ve ne sono
grato, sono grato soprattutto a te, Vinny.»
Sorride:
«Anche
io devo ringraziarti, amico mio.»
«E
per cosa? Non ho fatto niente di speciale, niente di importante.»
«Questo
non è vero. Guarda solo Jocelyn, Mark e Gabriel. Loro sono solo un esempio di
quello che sei riuscito a fare per le persone che erano venute a cercare aiuto
da me. Tu sei stato loro vicino e li hai ascoltati, hai condiviso con loro la
tua storia e le tue speranze. Hai fatto tanto, devi credermi.»
Mi
volto un momento verso i miei tre amici, per vedere se sono in grado di notare
i cambiamenti di cui Vincent parla.
«E
non solo, so che non leggi i giornali, ma ultimamente hanno parlato di te, del
tuo processo.»
«Di
me?» chiedo, realmente sorpreso.
Com’è
possibile? Come sono venuti a sapere del mio processo e di ciò che mi è
successo? Non c’era nessuno a parte i miei amici e quelli del Banco dei Sogni, nessuno che potesse in
alcun modo venire a conoscenza di quello che mi stavano facendo.
Improvvisamente, però, la risposta mi appare chiara; c’erano degli uomini, delle
persone che sono rimaste ai margini per tutto il tempo della seduta, figure che
hanno continuato a scrivere qualcosa. Che siano stati loro a parlare di me? Ma
poi, perché farlo?
Vinny
mi distrae dai miei pensieri, ricordandomi della sua presenza davanti a me:
«Proprio
così. Non chiedermi il motivo, io non lo so, ma è successo. Le persone
cominciano ad avere i primi dubbi sul Banco
dei Sogni, Steve. Cominciano a domandarsi per quale ragione ti sia stato
dedicato un simile trattamento, perché costringere qualcuno a lasciare la città
come è successo a te.»
«Dici
davvero?»
Sorride,
il suo volto si illumina e i suoi occhi brillano di una luce più intensa del
solito:
«Sì.
Se la gente comincia a porsi delle domande inizierà anche a cercare delle
risposte e questa volta le risposte potranno solo aiutarli. Le cose
cambieranno.»
Si
fa serio e mi guarda attentamente:
«Mi
dispiace solo che si sia dovuti arrivare al tuo allontanamento prima di
cominciare a chiedersi cosa ci sia di sbagliato in questa città.»
Dispiace
anche a me, ma non glielo dico. Guardo un momento verso Mark che non sembra
minimamente preoccupato del fatto di doversene andare; al contrario sembra non
vedere l’ora di partire. Avrei avuto bisogno del suo coraggio o della sua
testardaggine parecchio tempo fa per decidermi a compiere il grande passo, per
decidermi ad intraprendere il viaggio che ho sempre voluto fare. Il mio
processo è stato semplicemente ciò che mi serviva per fare questo primo balzo,
per convincermi a cambiare la mia vita. Lasciare i miei nuovi amici è ciò che
mi fa sentire peggio, anzi, doverli lasciare sapendo di non poter essere io a
venire a cercarli. Non potrò più rientrare in città, non potrò più venire qui
per sentire come stanno, per vederli di nuovo: è solo questo che fa male.
Non
voglio dirlo a Vincent, non voglio dirlo a nessuno. Voglio che i miei ultimi
ricordi lasciati qui siano felici, sereni.
«Beh, mi fa uno strano effetto sentirlo
dire ma in un certo senso la cosa mi fa piacere, ho fatto un’ultima buona
azione, in fondo. Mi dispiace non poterti più essere d’aiuto.»
«Questo
non è vero, ricordi cosa ti dissi? Credi fortemente nel tuo sogno e aiuterai il
mondo. La distanza non conta, potrai comunque continuare a fare qualcosa.»
Ha
ragione, ricordo ancora queste sue parole, perfettamente. Sono state proprio
loro a darmi la forza di continuare a proteggere il mio sogno, di insistere
imperterrito a credere in lui giorno dopo giorno. Mi piace pensare che sia
stato tutto questo ad aver permesso a quel piccolo filo d’erba, unico
superstite là dov’era sorto il mio iris, a resistere a tutto e continuare a
crescere. E sono state le parole di Vincent a risanare i miei dubbi, le mie
incertezze e tutte le paure che avevo prima di incontrare un’anima come la sua.
Il suo modo di vedere la vita e il futuro, le sue convinzioni e le sue
azzeccate supposizioni lo rendono uno degli uomini migliori che abbia mai
incontrato.
«Vorrei
riuscire ad essere ottimista come te.» gli dico, dopo essermi fermato a
osservare il cielo racchiuso nei suoi occhi.
Lui
sorride e si avvicina a me, abbassa la voce come se quello che sta per dirmi
fosse un segreto:
«Oh, ma io non sono ottimista, sono un
sognatore.»
Sorrido
a quelle parole, dannatamente vere.
«Grazie.»
non serve aggiungere altro e lo sappiamo entrambi.
Vinny
mi abbraccia come se fossi il fratello che deve partire al fronte, sussurra un stammi bene mentre io annuisco, poi,
dopo un ultimo sguardo, si dirige da Mark.
Non
ho neanche il tempo di assimilare il discorso appena concluso che davanti a me
trovo Gabriel, la testa bassa, lo sguardo serio e colpevole. Continua a
sentirsi responsabile di quello che mi è accaduto, io non so neanche più cosa
dirgli per cercare di fargli capire che non è così e che la scelta finale
spettava solo a me:
«Ehi, guarda che so che pensi ancora sia
colpa tua.»
Alza
gli occhi:
«Perché?
Non lo è?» c’è amarezza nella sua voce.
«No.»
rispondo, serio, il tono di chi non ammette repliche.
Non
potrei sopportare di sapere che il
ragazzo si sentirà in colpa per me dopo la mia partenza, la cosa mi farebbe
sentire un peso anche a distanza di chilometri.
«Mi
dispiace, Steve, continuo a sentirmi responsabile.»
Poso
una mano sulla sua spalla:
«E
io continuo a ripeterti che devi smetterla. Tu non c’entri e io non ti reputo
assolutamente il colpevole di quello che sto per fare.»
«Davvero?»
«Davvero.»
Sorride,
ritornando dritto con la schiena, gli occhi verdi e vivi di chi ha ripreso a
credere in qualcosa:
«Mi
mancherai amico. Non credo sarà più lo stesso senza di te, mi sei sempre stato
accanto.»
«Ce
la farai. Non è che ti abbia aiutato poi così tanto.»
Scuote
la testa:
«Questo
non è vero.»
Torna
ad abbassare lo sguardo sulle sue scarpe, presumo non sappia che altro
aggiungere, così riprendo io la parola, devo dirgli un’altra cosa prima di
andare.
«Ti
ricordi quando mi sono seduto accanto a te per la prima volta?»
Alza
gli occhi e assume un’espressione confusa, credo non abbia assolutamente idea di
dove voglio arrivare:
«Mi
avevi detto che tua madre e le tue sorelle se ne erano andate, che secondo te
stavano bene ma non potevi saperlo perché non avevano un indirizzo a cui
scrivere.»
Annuisce,
l’espressione sempre più confusa. Gli faccio segno di aprire la mano e lui
esegue, porgendo il palmo verso l’alto, in modo che io possa posarvi sopra le
chiavi del mio appartamento, il mio, ormai, inutile appartamento. Lui le guarda
incerto, senza sapere che cosa dire, apre bocca ma rimane zitto e sono nuovamente
io a parlare:
«Ora
ce l’hanno. Io qui non posso più tornarci, quindi tanto vale dare una casa a
qualcuno a cui possa servire. Le carte le ha tutte Vinny.»
«Steve,
è… è uno scherzo, vero?» chiede, apparendo seriamente in confusione.
Di
tutta risposta scuoto la testa e lui fa lo stesso, con un enorme sorriso
stampato sul volto:
«Io…
davvero, non so come ringraziarti.»
«Non
smettere di suonare, mai. La tua musica mi ha aiutato e non sai quanto.» sono
convinto delle mie parole.
Gabriel
è giovane, ha ancora tutta una vita davanti a sé e non dubito che un giorno
riesca ad ottenere realmente ciò che vuole. Sono certo che la sua musica
riuscirà ad aiutare ancora innumerevoli persone a farsi forza, a continuare, e
lui ha la determinazione giusta per riuscire totalmente in questo intento.
Il
ragazzo stringe nel pugno le chiavi e si fa serio:
«Non
sarà facile se non ci sei tu, voglio dire, con chi altri potrei suonare?»
«Con
Megan, secondo me le piaci.» sorrido.
Lui
alza le spalle:
«Macché,
quella ha un debole per te, credimi.»
«Ne
dubito.»
Entrambi
scoppiamo a ridere e infine il silenzio torna prepotente fra noi. A Gabriel non
piacciono gli addii e nemmeno a me, per questo stiamo facendo più fatica di tanti
altri.
«Mi
mancherai.» azzarda il giovane all’improvviso.
«Non
vado lontano. Puoi venire a trovarci da Jason quando vuoi.»
«Lo
sai che non è carino invitare la gente a casa degli altri?»
Un
sorriso mi esce spontaneo per via del tono ironico usato da lui:
«Fai
come credi, ma sai dove trovarci.»
«E
vi fermerete là per sempre?»
Alzo
le spalle, senza sapere esattamente cosa rispondere, non mi sono ancora deciso,
non ho ancora idea di quello che faremo io e Mark una volta lasciato questo
posto. Credo che decideremo poi, sul momento.
«Chi
può dirlo.» rispondo.
Sorride
nuovamente e ci abbracciamo quando ci rendiamo conto che nessuno dei due non sa
che altro aggiungere.
«Stammi
bene, ok?» gli faccio promettere.
Lui
assume quell’espressione fiduciosa e determinata che ha sempre avuto nei
momenti opportuni:
«Certo.»
dice.
Si
allontana, tornando da Mark, lasciandomi solo; ma so che non lo resterò a
lungo, manca ancora una persona da salutare e lei arriva immediatamente. La
mano di Jocelyn si posa sul mio braccio e io mi volto per vederla in volto.
Sorride dolcemente e i suoi occhi, tornati quelli di un tempo, le donano una
luce meravigliosa.
«Allora
hai deciso?» domanda.
Annuisco
con la testa, cercando la forza che mi serve per separarmi da lei. Non voglio
che soffra perché me ne vado e non è semplice ottenere la determinazione necessaria
per essere forte a sufficienza per entrambi.
«Già,
ho deciso.»
«Mark
è piuttosto eccitato all’idea.» dice e tutti e due ci voltiamo a guardare il
nostro amico.
Scoppio
a ridere ma mi ricompongo in fretta:
«Mark
è pazzo.» le rispondo e anche lei si mette a ridere.
Ma,
proprio come me, si ricompone subito:
«Mi
mancherai moltissimo, ma questo già lo sai.»
«Anche
tu.»
«Mi
piacerebbe molto poter venire con voi, ma non posso lasciare Vinny, sono ancora
in debito con lui.»
Abbassa
un momento il suo sguardo sulla mano che tiene ancora appoggiata al mio
braccio, la voce si abbassa leggermente sull’ultima parte della sua ammissione.
Vorrei
anche io che venisse insieme a me, ma posso capire cosa prova. Proprio come lei
mi sento ancora debitore verso Vincent e vorrei poter continuare ad aiutarlo.
Lui non sarebbe d’accordo, non si considera creditore di niente nei confronti
di nessuno, ma parliamo di Jocelyn e lei farà il possibile per sentirsi in pace
con se stessa. Quindi so cosa la ferma e nonostante vorrei che lasciasse ogni
cosa, so già perché non lo può fare.
«Ti
capisco, rimanigli accanto. E rimani vicino anche a Gabriel, per favore.»
Lei
annuisce:
«Te
lo prometto.»
Raggiunge
le mie mani con le sue; mi sento leggermente a disagio, ma il calore che esse
emanano mi tranquillizza subito.
Ci
guardiamo per un momento che pare non finire più:
«I
tuoi occhi… sono davvero bellissimi.» mi esce, in modo spontaneo quando mi
rendo conto di essermi perso nuovamente in quel suo sguardo.
Lei
sorride:
«Dico,
ma ti sei mai fermato ad osservare i tuoi? Quei riflessi, quei riflessi verdi
che hanno paiono fatti di smeraldo.»
Sono
io a sorridere, stavolta:
«Non
ci ho mai badato.»
Adagia
una mano sul mio viso, per colpa della barba folta che ho ora percepisco a
stento il suo tatto delicato:
«Tieniti
stretto il tuo sogno, ok? Hanno già cercato troppe volte di portartelo via.»
«Sto
andando a viverlo il mio sogno. Questa volta sei tu che devi tenerti stretto il
tuo, ora che finalmente è tornato.»
«Io
lo sto già vivendo.» mormora, allontanando entrambe le sue mani.
Abbassa
un solo istante il suo sguardo per poi puntarlo nuovamente su di me:
«Vuoi
sapere qual è?» mi chiede, apparendo una ragazzina viva e frizzante.
«Meglio
di no, porta male raccontare i propri sogni.» le rispondo con un sorriso.
Lei
si mette a ridere:
«Quello
vale solo per quelli che si fanno di notte, non è la stessa cosa.»
«È
uguale, secondo me. Allora continua a viverlo, fino in fondo.»
«Tu
farai lo stesso?»
Faccio
segno di sì con la testa e lei si fa seria. Non è rimasto più tempo, la voce di
Mark mi raggiunge ricordandomi che perso il treno non ne avremo altri e che
quindi mi conviene muovermi a salire. Guardo Jocelyn un’ultima volta e
l’abbraccio: ora sono io ad abbracciare lei. La sento stringersi al mio corpo
senza dire niente e quando ci separiamo il nostro ultimo saluto è fatto con un
sorriso.
Raggiungo
Mark che lancia un cenno agli altri e sale sulla carrozza, cerco di imitarlo
anche io ma non sono altrettanto bravo nell’intento, forse perché non so come
sentirmi. Sto lasciando un posto per raggiungerne uno totalmente nuovo, per
ricominciare daccapo insieme al mio migliore amico, il mio fratello acquisito.
Dovrei essere felice di tutto questo, finalmente posso fare ciò che ho sempre
voluto fare, eppure lasciare i miei nuovi amici è complicato, molto più del
previsto.
Per
questo quando la porta del mezzo si chiude proprio dietro di me e mi volto per
guardare tutti loro negli occhi un’ultima volta prima che il treno parta, il
nodo che ho alla gola è più stretto che mai.