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Autore: rebxus    01/06/2014    2 recensioni
"Poi avevo deciso che se i miei genitori avevano abbandonato la città su un treno, io li avrei visti tornare su un treno.
Così avevo passato la mia adolescenza in una stazione di vecchi treni a vapore rumorosi, treni che non andavano a dormire e non ti permettevano a tua volta di farlo.
La vita a quattordici anni mi prese per mano e mi promise che sarei cresciuto di bistecche bruciate, avanzi e libri di Bukowsky; riviste di pesca e saghe di Harry Potter.
Ed io mi fidai di lei."
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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D'inverno capitava che facesse davvero freddo, e che Eemil mi concedesse di dormire nel cappanno degli attrezzi. Il patto era che alle quattro il capanno dovesse essere libero da ogni traccia di diciassettenne maleodorante, e per me non era affatto un problema, finchè la coperta patchwork non si fosse scucita del tutto.
In una stazione di treni come quella, alle quattro del mattino, c'erano talmente tante cose da vedere o da ascoltare che spesso non mi bastava il tempo.
Ciò su cui la mia attenzione si soffermò per giorni fu il fenomeno della condensa del fischio della locomotiva.
Il rumore di quel fischio appariva sordo e assordante nello stesso tempo. Era frutto di meccanismi complessi tali per cui, tirando una corda debole nella cabina del macchinista, uscisse dal primo vagone un rumore senza simili accompagnato da un soffocante fumo nero. Ed ecco la condensa.
Mitico.
La sopravvivenza durante quell'inverno non fu semplice: il freddo pungente penetrava fino dentro le ossa e nemmeno il plaid era capace di compensarne il gelo. Le giornate passarono talmente lentamente che nemmeno i libri dimenticati sulle panche e raccolti da me erano in grado di aiutarmi dall'essere divorato da un frullato di gelo e noia, con aggiunta di ghiaccio.
Quel ghiaccio che incrostò le rotaie della stazione e che impedì ai treni di circolare ogni giorno per circa due mesi; quel ghiaccio che ancora, a distanza di anni, mi capitava di sognare ed era capace di spaventarmi come la prima volta, tre anni prima.
Il primo merlo dell'anno si posò su una carrozza verso aprile inoltrato, e guardandomi in giro potei notare anche qualche fiore nascosto tra la ghiaiache separava le rotaie.
Mi alzai senza fretta dall'angolo nel muro che ormai aveva la mia forma e mi avvicinai alla locomotiva sul binario due.
Salii i gradini della cabina del macchinista e tossii per il fumo presente all'interno.
Il sapore del carbone mi riempì la gola e mi imposi di fare in fretta.
Mi avvicinai alla sirena e il treno emise un fischio lungo: emergenza.
Come tutti gli anni, io, Benjamin Salo, annunciavo la primavera.


La stazione con l'arrivo della bella stagione si popolava di persone e i sentimenti erano all'ordine del giorno. Io, dal mio angolino seduto sul pavimento, amavo riempirmi i polmoni delle storie altrui, mentre ancora cercavo la mia.
«Niente comunità di recupero per te e lui, Benjamin. Trovati un lavoro.» mi avevano detto.
E io l'avevo fatto, per circa dieci minuti.
Poi avevo deciso che se i miei genitori avevano abbandonato la città su un treno, io li avrei visti tornare su un treno.
Così avevo passato la mia adolescenza in una stazione di vecchi treni a vapore rumorosi, treni che non andavano a dormire e non ti permettevano a tua volta di farlo.
La vita a quattordici anni mi prese per mano e mi promise che sarei cresciuto di bistecche bruciate, avanzi e libri di Bukowsky; riviste di pesca e saghe di Harry Potter.
Ed io mi fidai di lei.
   
 
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