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Autore: graciousghost    01/06/2014    10 recensioni
[Prima classificata al contest "Amarsi: non solo a S. Valentino", indetto da Tomoko_chan sul forum di EFP; Vincitrice del Premio Originalità]
Ama fino a che tutto ciò che resta del tuo amore – tutto ciò che resta di te - è solo follia.
[SasuNaruGaa; AU.]
Due ragazzi a un bivio: lasciarsi consumare da un amore che è disperazione o rinunciavi per se stessi?
Una storia che punta dritto al cuore, senza preoccuparsi di passare per il cervello.
Perché l'amore è pura irrazionalità e non conosce freni, nemmeno quelli che noi stessi vorremmo imporgli.
Tematiche delicate appena sfiorate, presenti in maniera velata, ma ci sono.
- Piccoli accenni anche a NaruSaku e SasuHina -
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sabaku no Gaara, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Gaara, Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Nessun contesto
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We are nothing but love 'till Madness





Capitolo 1

 

Gaara, the Sleepless

 

3 Febbraio 1926, ore 03.00

I miei occhi sbarrati illuminavano la camera, avvolta nell'oscurità più totale.

Quel contrasto si stagliava prepotentemente sulle quattro pareti del mio personale inferno, ma non c'erano fiamme in quella prigione.
Non avrei consentito neppure uno spiraglio di luce; volevo che le tenebre mi cullassero, in modo da rendere indistinti i confini della realtà che mi circondava.
Il mio corpo voleva cedere al sonno, ma gli occhi, vigili e implacabili, restavano guardinghi, impedendomi di riposare.
A cosa era servito oscurare ogni fonte di luce, se le mie palpebre si rifiutavano di abbandonarmi all'incoscienza?
Non riuscivo a percepire nulla - a vedere nulla - e questo i miei occhi lo sapevano bene.
Sapevano quanto i miei sogni sarebbero stati molto più nitidi della notte; tentavano di proteggermi, dopotutto, da un crudele mondo onirico che faceva più paura del buio.
Non riuscivo a condannarli, ma Dio, quanto avrei voluto dormire.
Soltanto per una volta, avrei voluto essere graziato dall'atroce tortura che m'infliggevo, avrei voluto assaporare ogni momento della notte.
Il resto del mondo godeva di ogni singolo minuto trascorso nell'ozio, si beava di quel dono prezioso che mi era negato.
Per me, invece, il calar del sole rappresentava una condanna.

Sbattei le palpebre una volta, due, fino a perdere il conto.
Quelle brevi frazioni di secondo, in cui i miei occhi perdevano il loro potere su di me, erano l'unico privilegio che mi concedevo.
In quei brevi istanti, m'ingannavo di perdere coscienza, m'illudevo di potermi addormentare.
Ma le mie già flebili speranze s'infrangevano ogni volta che i miei occhi si riaprivano.
La mia era una notte eterna.

Un battito di ciglia.

Il rosso dei miei capelli e il rosso del suo sangue avevano le stesse sfumature.
Ogni goccia che perdeva avvicinava lei alla morte e me alla vita.
Ad ogni spinta, l'assassinavo; i miei battiti erano ben più udibili dei suoi.
Respirai e lei morì.
Non incrociammo gli sguardi neppure per un secondo, ma i miei capelli erano dipinti dello stesso colore che la uccise.
Quel maledetto colore ci accomunava e mi rendeva suo.

Un battito di ciglia.

Era un colore diverso che rendeva lui simile a me.
Da quel giorno nefasto, entrambi eravamo caratterizzati dal bianco delle lacrime che versavamo: quella trasparenza era identica, rendeva possibile a ognuno dei due scrutare dentro le sofferenze dell'altro.
Ben presto, lui non sopportò più quella nostra vicinanza: temeva di sembrare vulnerabile proprio ai miei occhi, gli occhi dell'assassino.
Si tinse di un bianco opaco, impenetrabile, deridendo la mia fragile limpidezza.
Allora, le lacrime erano solo le mie.

Un battito di ciglia.

Ancora rosso, rosso cupo, rosso sangue: stavolta erano il mio corpo e il mio cuore a sanguinare.
Il dolore che già pativo non gli sembrava sufficiente, ne voleva di più.
Quando mi accorsi che lo scarlatto che fuoriusciva dalle mie ferite alleviava le sue, smisi di piangere.
L'autocommiserazione cominciava a schifarmi, mi rendeva detestabile a me stesso.
Le lacrime rappresentavano la mia debolezza esteriore, ma dovevo eliminarne un'altra, ben più intima, per poter dirmi veramente al sicuro dalla sofferenza.
Il sonno di per sé non aveva colpe, ma ero incapace di dormire senza sognare.
Ed erano quei sogni – sempre gli stessi – la più evidente prova della mia emotività.
Sognavo rosso e bianco, ne ero tormentato.
Sognavo sangue, quello che aveva perso lei e quello che mi faceva perdere lui.
Sognavo il feroce isolamento in cui la mia famiglia mi aveva relegato.
Abbracciai l'insonnia perpetua come un estremo baluardo di difesa.

Un battito di ciglia.

Il suo nero mi accolse, una volta finite le lacrime.
Gli fui grato per essere il capro espiatorio di quello che ero diventato, ma non riuscivo ad accettare la sua presenza ingombrante.
Gli avevo dato un nome - o forse se l'era dato da sé – e, sebbene non sia un nome a definirci, il suo lo rendeva un essere vivo, reale.
Si chiamava Shukaku e lui ero io, e lui era me.
La mancanza di sonno rendeva la mia psiche ancora più instabile del solito, facendomi confondere il confine tra realtà e fantasia; questo sostenevano tutti.
Ma Shukaku esisteva per davvero, non me l'ero inventato di sana pianta.
Shukaku viveva nei recessi della mia mente, rubava i miei respiri e i miei battiti, ma i gesti che compiva e le parole che pronunciava erano solo suoi.
Adoravo il suo modo di essere indipendente e spietato, ma l'odiavo perché mi rendeva un folle agli occhi di tutti.
La sua pazzia mi costringeva a un'ulteriore, immensa, solitudine.
Allora, il nero da cui ero circondato non stava soltanto nelle mie occhiaie, ma anche nella sua – nostra – follia.

Un battito di ciglia.

Ancora con queste storie, ragazzo?

«Risparmiamelo».

Davvero troppo facile, addossarmi la colpa di tutto.

«Lasciami in pace».

Non sei stato tu a picchiare quel ragazzo oggi?

 

«Tu l'hai picchiato».

Eppure, guardati: è il tuo occhio a essere gonfio.

«Sta' zitto».

Sono le tue labbra ad essere livide, non le mie.

«Ti prego».

E non è forse la tua guancia a sfoggiare le ferite?

«Tu mi hai detto di farlo, tu hai guidato la mia mano!»
Scattai in piedi, scrutandolo torvo; il mio sguardo traboccava di rabbia.
Lui sogghignò nel vedermi furente in quel modo, adorava stuzzicarmi per poi godere dei frutti della sua perversione.
Cadevo sempre nella sua trappola, ma quella notte non avrei subito senza reagire.
Mi scagliai contro di lui, ingaggiando una lotta violenta, senza esclusione di colpi.
Il mio pugno destro s'infranse sulla sua pelle ripetute volte, mentre con la sinistra lo tenevo fermo al pavimento, impedendogli di muoversi.
Lui non oppose resistenza; neppure il sangue bastava a levargli quel sorriso arrogante dal volto.

Un battito di ciglia.

 

Perso nel limbo tra sogno e realtà, vivevo la mia notte eterna.

* * *


Quando mi trovarono, il mattino seguente, ero accovacciato tra i frantumi dello specchio.
Quei pezzi irregolari continuavano a riflettere la mia immagine frammentata: lì un occhio, più giù il labbro e a destra una mano.
Posavo le dita su quelle piccoli parti di me; ad ogni tocco mi tagliavo col vetro, aggiungendo sangue ad altro sangue.
La mia follia si allargava a macchio d'olio sulla purezza dello specchio.

Rosso e bianco, ne ero tormentato.



***
Note Autrice:
Salve a tutti, sono tornata con una nuova storia un po' insolita, ma che spero vi piacerà.
So che è presto per annoiarvi con le note a fondo pagine, ma mi sembra doverosa una precisazione.
La malattia di cui soffre Gaara è liberamente ispirata a quella sofferta da Edward Norton in Fight Club: la mancanza di sonno porta entrambi a “inventarsi” una seconda metà di sé, più irrazionale, senza pudore e violenta. Ho trovato che il disturbo si adattasse perfettamente alla psiche di Gaara (del manga), costretto a condividere la sua essenza con un demone, Shukaku (che, per inciso, prende la parola nel corsivo a sinistra, come spero sia chiaro). 
Gli episodi del “rosso” e del “bianco” sono un adattamento della storia di Gaara: la morte della madre e la sofferenza che gli infligge il padre.
Che dire, spero che il primo capitolo vi abbia colpito, a presto!

 

   
 
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