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Autore: Delilah Phoinix Blair    01/06/2014    7 recensioni
12 febbraio 2014
Il pianeta deve prepararsi ad una Terza Guerra Mondiale.
Tutti sanno che non è pronto, ma che è necessario.
Sarà una lotta per la libertà contro l'oppressione dell'uguaglianza ridotta ai minimi termini: il comunismo, così come lo conosciamo, non è una soluzione accettabile.
In questo fiume di sangue, un soldato e una ragazza troveranno il loro angolo di paradiso in Abruzzo per tenersi a galla l'un l'altra.
Dal testo:
"《Ti amo, piccola Dea.》 Dopo aver pronunciato quelle parole, accostò la fronte a quella di lei. La sua voce era una carezza.《Non con la consapevolezza che questa potrebbe essere l'ultima volta che i miei occhi incontreranno i tuoi. Non potrei amarti come meriti sapendo che la guerra potrebbe strapparmi a te in qualunque momento.》 Lo disse scandendo le parole lentamente, come a volerle imprimere sul cuore di entrambi. Fece una pausa accarezzando dolcemente quella pelle di porcellana con entrambe le mani ruvide e grandi. 《No, ti amo come se potessi davvero farlo per sempre.》
C'era qualcosa che stonava nelle lacrime amare che le piovvero dagli occhi, simili a frammenti del cielo in estate.
La loro estate."
Genere: Guerra, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Grazie a ki_ra, STELLASASI, Leen Aleksevna, Gofranmalik998, Mizzy, Sha_17, Heaven_Tonight che hanno aggiunto la storia alle seguite.
Grazie a giugiulove15 che ha aggiunto la storia alle ricordate.
Grazie a DarkViolet92, Bijouttina, Lady Angel 2002, Zanna Aleksandrovna (che ringrazio anche per aver segnalato la mia storia su facebook! <3), Aven90, ki_ra, Heaven_Tonight, Soheila (idem come Zanna <3) che hanno recensito.
Grazie anche a Class Of 13 per il sostegno e il fangirling (?) su facebook hahahah





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Younger now than we were before.


 
Por mas que trabajas de tu salario no puedes vivir,
tienes que inventar, todo es ilegal,
eres un extraño en el único lugar
que tu puedes estar, no puedes viajar.
Los hoteles tu no puedes visitar,
eso es pa extranjeros, no pal nacional.
"El poder era pal pueblo", tu prometías
y a la hora de la verdad todo era fantasía.
 
15 giugno 2014
 
Sembrava quasi neve.
Tormento per alcuni, spettacolo per altri, il nulla assoluto per i più.
Quei piccoli, soffici frammenti di luce, nel loro candore, se ne stavano sospesi a mezz'aria quasi come decorazione delle turgide nuvole verdi dei pioppi.
Il cielo dell'ampia strada che costeggiava immediatamente la ferrovia sopraelevata era invaso dal fertile polline di quei maestosi alberi, in un reale quanto a momenti irrealistico acquerello dai tenui e sereni colori di una primavera che ha ormai lasciato il passo all'estate.
A chi si fosse fermato all'inizio del viale, prendendosi qualche istante per fare proprio quello spettacolo, la pace del momento sarebbe apparsa completamente irrazionale, irrispettosa nei confronti delle notizie trasmesse dal telegiornale del mattino.
Ibaguè era stata presa dagli Euro-statunitensi a danno solo ed esclusivamente della popolazione locale: l'esercito locale si era ritirato appena era stato in grado di comprendere appieno le forze avversarie, lasciando ai civili la scelta di difendere o meno la loro città.
Era stato un massacro.
L'unico motivo per il quale i telegiornali erano stati autorizzati a diffondere la notizia non era stata la vittoria conseguita, ma la brutta figura che avevano fatto i comunisti nell'abbandonare a se stesso, proprio nel momento del bisogno, quello che era da essi stessi definito il "loro popolo".
Infatti seppure gli Stati Uniti impedivano la diffusione di notizie a proposito delle nefandezze di cui si rendevano colpevoli, non mancavano di far sapere in che modo il governo Bolivariano obbligasse la popolazione a vivere: era diventato ormai impossibile reperire dei supermercati carta igienica, assorbenti, harina pan, spesso anche la carne; le persone ormai non lavoravano da mesi e lo stato provvedeva a fornire solo lo stretto indispensabile e solo una volta al giorno, tant'è che il braccio di chi aveva già avuto la sua razione veniva segnato; l'esercito  (perlopiù cubano) invadeva le strade, terrorizzando la popolazione; lo stato aveva requisito tutti gli elettrodomestici che non fossero di prima necessità, ora le famiglie avevano diritto a tante stanze e tanti letti quanti fossero i componenti, un frigorifero ed un fornello a gas, il resto era superfluo e se in una casa c'erano più camere di quante ne servissero alla famiglia, il governo aveva la facoltà di ricollocarla o di inserire nelle stanze in più dei senzatetto a sua scelta.
Una volta entrati a Ibaguè, il passo fino a Bogotà, e quindi al controllo della colombia, sarebbe stato breve.
Certo, grondante di sangue, ma pur sempre breve.
Marco non aveva ancora chiamato, Afrodite non aveva notizie di Paolo da troppo tempo. Sentiva di impazzire.
Era completamente assente mentre passeggiava sotto il sole ed il cielo di un limpidissimo celeste acceso del primo vero giorno di vacanze estive.
《Didi, mi stai ascoltando?》 le chiese Silvia, scuotendole una mano davanti al viso.
Erano sul marciapiede adiacente alla ferrovia e si stavano dirigendo verso Pescara sud, al di là del fiume, ovvero Portanuova, per comprare un regalo di compleanno alla madre della mora. Avevano già girato tutti i negozi su corso Umberto e dintorni, ma la ricerca aveva sortito scarsi risultati fino ad allora.
《Sì, certo che ti sto ascoltando》 si affrettò a rispondere Afrodite, riscuotendosi e distogliendo l'attenzione dai batuffoli sospesi in aria e, conseguentemente, anche dai suoi pensieri confusi.
《Comunque solo tu puoi ritrovarti a cercare il regalo per i cinquant'anni di tua madre all'ultimo momento, per di più di domenica!》 esclamò tentanto di mascherare la propria distrazione con una risata il meno possibile forzata.
《Non mi hai più richiamata ieri》 le fece notare l'amica, l'espressione corrucciata, ignorando i tentativi di Afrodite di apparire normale.
Solo in quel momento Afrodite ricordò di aver promesso alla sua amica, il giorno precedente, che l'avrebbe chiamata una volta tornata a casa per spiegarle chi fosse la persona che aveva visto all'uscita da scuola.
Le era passato di mente.
 
《Spero che tu ti sia divertita oggi.》 Ryan aveva interrotto il silenzio, affatto pesante, che si era venuto a creare nell'abitacolo della macchina.
In realtà non si poteva parlare proprio di abitacolo: la capote era ancora aperta e l'unico soffitto di cui i due disponevano era il cielo indaco della sera già appena, appena spruzzato di timide stelle.
《Abbastanza》 aveva risposto lei, sorridendo all'indirizzo di quel cielo indifferente, nella sua bellezza, al tormento che le faceva battere il cuore ad un ritmo folle e inumano. Quel muscolo furioso, con il suo spasmodico e sconclusionato agitarsi le impediva di respirare correttamente, ostruiva il passaggio all'ossigeno pretendendo l'intera scena, la completa attenzione nel suo esibirsi in quella danza da prima donna della quale l'etere e l'uomo al suo fianco erano pressochè ignari.
《Solo abbastanza?》 le aveva chiesto, stringendo con forza la leva del cambio. 《Dovrò impegnarmi di più allora.》 Un sorriso gli decorava un lato del viso, mentre negli occhi colore dell'oro fuso, a tratti screziato da venature più scure come se fosse stato ossidato, si agitava qualcosa di luminoso, vivo.
 
《Scusami, mi sono completamente dimenticata.》 La risposta di Arodite arrivò leggermente in ritardo, accompagnata da un tono di voce sommesso.
《Beh, raccontami ora, no?》 la incalzò Silvia.
《Non c'è nulla da raccontare.》 Afrodite cercò con tutta se stessa di nascondere l'esitazione che la pervadeva. 《E' solo un vecchio amico di famiglia che è venuto l'altra sera a cena》 si ritrovò a rispondere quasi senza esserne cosciente, come se stesse guardando la scena dal di fuori.
《E ti sta dando fastidio? Tuo padre lo sa?》 Il tono dell'amica si era fatto preoccupato.
《Ma no, che dici? Sarà venuto a riprendere qualcuno, non era lì per me!》 si affrettò ad aggiungere. 《Però è davvero antipatico, non avevo nessunissima voglia di doverci parlare》 concluse con un'alzata di spalle.
L'amica la guardò dubbiosa per qualche istante, poi, vedendola tutto sommato tranquilla, lasciò cadere l'argomento ricominciando a parlare di quello che a suo parere sarebbe stato il perfetto, e probabilmente introvabile, regalo per sua madre.
Una fresca, quanto rara, folata di vento accarezzò la pelle sudata di Afrodite, permettendole di prendere fiato in quell'afosa giornata di metà giugno. La scuola si era chiusa più tardi del solito per ordine della regione a causa delle esondazioni che si erano verificate nel mese di gennaio (non si sapeva bene per quale motivo) lungo il corso del fiume Pescara e addirittura del fiume Saline, che in realtà era piuttosto un ruscello, costringendo gli alunni a casa. Si era chiusa quando ormai l'umidità opprimente si appiccicava già creando quella patina di vapore che trattiene il sudore sulla pelle.
 
Afrodite era rabbrividita leggermente nella sua camicetta lilla, colpita dall'aria della sera che andava refrigerandosi.
Non c'era stato neanche bisogno di chiederlo che il tetto dell'auto si stava già richiudendo.
In pochi istanti l'ambiente allora chiuso era stato invaso dai corti respiri, dai loro profumi e dall'odore pungente della salsedine che era riuscito ad intrufolarsi mentre se ne stavano seduti sulla sabbia fino a rimanere intrappolato nelle membra.
Erano arrivati davanti al portone del condominio di lei senza quasi accorgersene, sotto lo guardo benevolo e ammiccante della luna.
《Grazie di tutto.》 Afrodite, nel pronunciare quelle parole sorridenti, aveva stretto con una mano la maniglia della portiera dell'auto.
Non riusciva a spiegarsi l'esitazione che la pervadeva, bloccandola in un'indecisione che non capiva.
《Sarebbe troppo da stalker chiedere il tuo numero?》 L'aveva guardata intensamente, sorridendo ironico.
《Immagino di no》 aveva risposto continuando a guardare la mano mollemente poggiata sul grembo, mentre con l'altra stringeva ancora la maniglia.
 
Afrodite percepì la presenza del telefono nella sua tasca come se stesse andando a fuoco.
 
La luna l'aveva seguita fin nella sua stanza e, una volta che si era messa a letto senza nemmeno mangiare nonostante fossero appena le nove, aveva iniziato ad accarezzarle il viso, i capelli scarmigliati ed il corpo avviluppato dal lenzuolo con i suoi raggi pallidi attraverso la finestra.
Afrodite ne scrutava la faccia tonda e rugosa, proprio come quella di una madre, senza riuscire a prendere sonno.
Il rumore che aveva fatto il suo telefono all'arrivo del messaggio quasi l'aveva spaventata, riscuotendola dalle sue meditazioni.
"Buonanotte, piccola Dea." recitava il messaggio.
"Afrodite!" l'aveva richiamata all'ordine la testa.
"Afrodite..." aveva sospirato indulgente il cuore, come trattenendosi dal rivelarle qualcosa di troppo difficile da accettare.
 
Erano arrivate al mare due ore e moltissimi negozi dopo, ma almeno Silvia aveva trovato il regalo perfetto.
Quell'anno Afrodite, Silvia ed altre ragazze della classe avevano deciso di prendere una palma alla Sirenetta, uno stabilimento balneare abbastanza vicino al centro della città. L'ambiente era tranquillo, riuscivano a godersi in tutta tranquillità la spiaggia ed il riposo che essa offriva.
Afrodite ad esempio se ne stava sdraiata con un telo sulla sabbia rovente, leggendo oziosamente un libro e lasciando che i raggi del sole riattivassero la seratonina ben nascosta in letargo nel suo corpo.
L'odore della salsedine e della crema solare; la delicatezza delle onde del mare tra i capelli e della sabbia sotto i piedi; le risate, le partite a beach volley, i tuffi, le uscite con il pattino, le nuotate fino agli scogli; perfino le alghe, le meduse; addirittura la mucillagine... tutto le era mancato dell'estate.
Ciò che le era mancato di più, però, non aveva alcuna possibilità di tornare: la spensieratezza.
Sentiva il bisogno di quella sensazione di onnipotenza che la libertà dagli impegni scolastici riusciva a donare, perchè quell'anno era stata inquinata dalla preoccupazione e dal senso di colpa latenti che non permettevano di viverla appieno.
Così nemmeno la lettura di un buon libro riusciva a cancellare dalla fronte di Afrodite quella ruga di ansia sorda.
I minuti scivolavano come una collana di perle tra le dita.
Durante uno di quei momenti quasi statici, sollevando le iridi meste dalle pagine, si rese conto di tanti piccoli dettagli ai quali non aveva fatto caso: i sorrisi tirati, i campi privi di giocatori, l'acqua intonsa.
Non sarebbe stata un'estate semplice.
 
***
 
We're falling apart
and coming together again and again
We're coming apart
but we pull it together,
pull it together, together again.
 
16 giugno 2014
 
Aprì gli occhi quando il sole della tarda mattinata rischiarava ormai il cielo, gemello dello sguardo che andò ad infrangervisi. Si alzò lentamente, quasi come se non volesse davvero svegliare il suo corpo con movimenti troppo bruschi. Si diresse in cucina per la colazione distendendo le membra con calma, i piedi scalzi e i capelli in disordine, che si affrettò ad allontanare da fronte e nuca raccogliendoli in un elastico. Si lasciò cadere su una delle sedie del tavolo in cucina, afferrando pigramente la scatola di cereali e la tazza che Silvana aveva lasciato sul tavolo per lei prima di uscire per andare al lavoro di buon mattino. La casa era completamente vuota, fatta eccezione per Afrodite e i caldi raggi del sole che penetravano dalle finestre nonostante le tende chiare: Ferdinando era a scuola per i consigli.
Sabato sera, nonostante fosse arrivata a casa alle otto e mezza senza avvisare, i suoi genitori non l'avevano accolta con stizza, anzi erano stati ben felici di vederla rincasare con un sorriso ebete stampato in faccia, dopo giorni e giorni di angosciosa apatia.
Era difficile per loro mantenere un atteggiamento rilassato nonostante la situazione in cui si trovava non solo la nazione, ma anche la loro famiglia, tuttavia cercavano di mostrarsi sereni per lei, perchè sembrava che quella ragazza sempre così allegra e vivace si stesse spegnendo lentamente, soffocata dalle ingiustizie di cui era spettatrice, come poteva fare una candela coperta da un bicchiere.
E Marco ancora non aveva chiamato.
Ma ciò che i suoi genitori non sapevano era che tutto ciò era ben condito da un sentimento agrodolce che le impediva di respirare.
Il rumore del telefono interruppe i suoi ragionamenti, risvegliandola dal torpore al quale si stava nuovamente abbandonando, come ormai le capitava sempre più spesso.
《Pronto?》 rispose subito, senza controllare chi fosse il mittente.
《Buongiorno, principessa!》
《Citazione davvero infelice, Stalker》 replicò scuotendo il capo con rassegnazione, ma non riuscendo comunque a trattenere del tutto un sorriso.
《Cosa fai oggi?》 La sua voce era calda anche attraverso il filtro metallico della cornetta.
《Pensavo di andare in spiaggia.》 Il cucchiaio che teneva in mano giocherellava con i cereali.
《Pensavo di portarti in un posto.》 D'improvviso, a quelle parole, rizzò la schiena dalla posizione rilassata contro lo schienale, nella quale si trovava poco prima, e abbandonò la posata contro il brodo della tazza.
Il respiro aveva iniziato ad accorciarsi, tanto che si alzò subito per aprire la portafinestra della cucina.
《Afrodite, sei ancora lì?》
Il cuore perse un battito quando sentì Ryan pronunciare quel nome. 《S-si, ci sono!》 balbettò infine, a fatica.
《Allora, ci vieni in un bel posto con me?》
Nessuno scrittore di poesia epica sarebbe riuscito a descrivere esaustivamente la battaglia che le imperversò dentro all'udire quelle parole.
Sembrava essersi risvegliata.
Quel sottotenente aveva il potere di riportarla in questo mondo, di rimettere insieme i cocci in cui il mondo l'aveva ridotta.
《Tra quanto tempo sei qui?》
 
***
 
You are soft. The world is going to chew you, then spit you out.
 
Non sapeva neanche lui cosa l'avesse spinto a sfiorare quella fottuta cornetta verde sullo schermo del suo cellulare per avviare la chiamata.
Forse per il fatto che non era riuscito a togliersela dalla testa per tutto il giorno precedente; sembrava non essere in grado di pensare ad altro, come se la sua mente avesse smesso di appartenergli, di rispondere alla sua volontà.
Sentiva una sottile esultanza scorrere immediatamente al di sotto della sua pelle dall'istante in cui l'aveva udita accettare il suo invito e non riusciva a scacciarla in nessun modo. A dire il vero, semplicemente non lo voleva.
Le aveva detto che sarebbe arrivato sotto casa sua circa in quarantacinque minuti, eppure si era precipitato immediatamente fuori dalla camera. Dai grandi alberghi al limitare di Montesilvano, fino al centro di Pescara aveva impiegato non più di venti minuti, compreso il tempo di trovare parcheggio. Ne aveva trascorsi altrettanti con un braccio mollemente poggiato alla portiera e le dita a tamburellare sul volante, prima di decidersi a mandarle un messaggio.
Era rimasto senza fiato allo scorgerla uscire dal portone del condominio con quell'espressione spaesata di chi cerca, ma teme di trovare.
Non attirò la sua attenzione, si limitò ad uscire dall'auto poggiandosi alla fiancata dal lato del passeggero con le braccia incrociate sul petto e ad aspettare che fosse lei ad accorgersi della sua presenza. Si guardava intorno, nella gonnellina rosa pastello di balze svolazzanti e la canotta bianca. Quando i suoi occhi finalmente si posarono su di lui, la vide sussultare e sbarrarli leggermente.
Ryan non potè evitare di serrare la mandibola in un sorriso a stento trattenuto. Sentì l'esultanza montargli dentro come ogni volta che la scopriva vulnerabile sotto il suo sguardo.
Afrodite si avviò verso la Gran Torino con passo malfermo, senza staccare nemmeno per un momento quegli oceani che le decoravano il viso più di quanto sarebbe stato in grado di fare qualunque gioiello da quell'uomo che l'attendeva e permettendo alle sue labbra di distendersi.
《Sottotenente Martins!》 lo salutò gioviale.
Il militare in questione rispose con un luminoso sorriso, staccando i fianchi dall'auto per aprirle la portiera con una galanteria quasi canzonatoria.
《Prego, signorina.》
Fece il giro dell'auto e Afrodite non potè evitare di rimirarlo con un'attenzione che la fece arrossire e non sfuggì al diretto interessato.
《Dove andiamo?》 chiese deglutendo, per cercare di smorzare la tensione.
《Perchè non provi ad indovinare, visto che dici di conoscere la tua regione così bene?》 la punzecchiò lui, ghignando. Inforcò un paio di occhiali e si immise nel leggero traffico pescarese, puntando dritto verso il fiume.
《Dunque...》 Afrodite si sforzò di riflettere, ma c'erano così tanti bei luoghi a sud del Pescara. 《Non saprei, ce ne sono troppi.》
《Allora immagino che lo vedrai tra poco.》
《Ma come? Ora sono curiosa!》 Il tono lamentoso della ragazza risultò teneramente infantile alle orecchie di Ryan.
《Biondina, non stressarmi. Sto guidando》 la rimbeccò lui, non riuscendo comunque a trattenere completamente una risata.
《Tu però stai stressando me!》 ribattè con foga, ridendo anche lei. 《Infondo la conosco poco, signore. Potrebbe portarmi ovunque.》
《Vorrei davvero portarti ovunque.》 Il tono si fece più serio, smorzando anche l'euforia della ragazza.
Ryan aveva fatto di tutto per pensare che quell'attrazione che provava nei suoi confronti era unicamente dovuta al fatto che lei fosse così fragile. E bella.
Ma in quella dea c'era qualcosa di più. Era pura, così pura che sembrava che tutta la sporcizia del mondo, lui compreso, non potessero nemmeno avvicinarsi. Era come il filo incandescente di una lampadina, che la polvere e le falene tentavano di sfiorare, venendo regolarmente respinte da quell'atmosfera rarefatta racchiusa nel vetro.
E poi era piccola, troppo.
E lui era un soldato americano e presto avrebbe abbandonato Pescara per il fronte e, alla fine della guerra, il fronte per casa sua a Boston.
C'erano una marea di motivi, etici e pratici, per lasciarla in pace.
Eppure erano lì, in quella macchina, diretti verso qualcosa che in realtà nessuno dei due sapeva ancora ben definire.
 
Impiegarono mezz'ora per raggiungere San Vito Chietino.
Afrodite conosceva il paese abbastanza bene da sapere che si arrivava alla spiaggia tramite una stradina che partiva dall'unica piazza (con tanto di gelateria!) e andava a inabissarsi in un sottopassaggio della ferrovia. Una volta arrivato lì però, Ryan tirò dritto lungo la Statale che correva parallelamente al litorale.
《Non ci fermiamo nemmeno qui? Ma dove mi stai portando?》
Avevano superato Francavilla e Ortona, ed un'innumerevole quantità di paesini nel mezzo, senza degnarle nemmeno di uno sguardo, ma una volte giunti a San Vito Afrodite era stata certa che fosse quella la loro destinazione.
《E' l'una! Ho così tanta fame che potrei mangiare anche te!》 rispose ridendo, passandosi una mano tra i capelli spettinati dal vento che li sferzava grazie alla capote abbassata.
Afrodite scosse la testa, controllando l'ora sullo schermo del cellulare e notando così che le era arrivato un messaggio.
"Didi, non ci raggiungi al mare?" Era Silvia.
"Non mi sento molto bene... Forse il ciclo in arrivo..." rispose in fretta. Una fitta di senso di colpa le strozzo la gola, ma si costrinse a a deglutire e tornare a guardare il mare alla sua sinistra.
Non stava facendo nulla di male.
E allora perchè ancora non aveva detto nulla a nessuno a proposito di Ryan?
Preferì non indugiare in quei pensieri che le facevano solo male.
《E dove mangiamo?》
《Qui》 disse semplicemente Ryan accostando e togliendosi gli occhiali per poi agganciarli all'orlo della T-shirt.
Si trovavano davanti all'entrata dell'hotel Garden, rinomato per la bravura dei cuochi nel preparare il pesce.
《Non ho mai mangiato qui》 esclamò Afrodite in un soffio, guardandosi intorno.
《E tu saresti abruzzese?》 Ryan la prese in giro, concludendo la domanda con uno sbuffo ironico e superandola in direzione dell'ingresso dell'hotel.
Afrodite gli tenne dietro, dopo un piccolo istante di esitazione.
Si sedettero ad un tavolo in terrazza, beandosi dei caldi raggi del sole e dell'ambiente elegante e raffinato.
《Avete già deciso cosa ordinare?》 Si avvicinò a loro un cameriere dai colori molto mediterranei: capelli, occhi e barba scuri, spalle relativamente strette e statura quasi scarsa. Si soffermò un attimo di troppo sul viso della straordinaria ragazza che si ritrovò davanti.
《Ma che vuole?》 chiese in inglese Ryan, ridendo.
《Ancora un minuto》 rispose lei al cameriere, alzando gli occhi al cielo in direzione dell'uomo seduto di fronte a lei.
《Bene, direi che questa volta decido io, è meglio》 iniziò Ryan, una volta che il ragazzo se ne fu andato.
《Non ti è piaciuto quello che ho ordinato l'altra volta?》 chiese mortificata.
《Certo che mi è piaciuto!》 si affrettò a correggiersi. 《Ma, andiamo... Si tratta di pesce》 aggiunse poi, grattandosi la nuca con un sorriso.
《E questo cosa significa?》 Il tono era orgogliosamente impettito.
Ryan si chinò sul tavolo per avvicinarsi a lei, come se dovesse rivelarle chissà quale segreto, portandola a fare altrettanto quasi inconsiamente. 《Tu pozzanghera.》 Puntò alla ragazza con l'indice. 《Io oceano.》 Passò a indicare se stesso.
Afrodite lo guardò per un istante, poi scoppiò in una sonora risata. Di quelle spontanee, sincere, liberatorie, che mostri solo a pochi, nelle quali viene fuori la vera te stessa.
《Tu straniero.》 lo corresse, la voce rotta dagli ultimi strascichi della risata di poco prima. 《Io abruzzese.》
《Oh, avanti! Cosa c'entra?》 esclamò lui, aprendo le braccia.
《Facciamo una cosa.》
《Vai, spara.》 Ryan si dispose all'ascolto, cercando di tornare serio e unendo gli indici davanti alle labbra dopo aver poggiato i gomiti sul tavolo.
Quel movimento catturò l'attenzione di Afrodite, portandola a posare lo sguardo su quella bocca. Mai decisione fu più sbagliata, se ne accorse quando vide quelle labbra modellarsi in un sorriso malizioso.
Tossicchiò e tornò a piantare gli occhi in quelli di lui, poi si accorse che anche quelli la destabilizzavano e optò per voltare il viso verso il panorama che si apriva al di là della balconata alla sua destra.
《Allora?》 la incalzò lui, vedendola in difficoltà, con quel sorriso strafottente.
《Io ordino il pranzo per te e tu lo ordini per me》 concluse.
《Ma così tu mangerai bene e io no!》 si lamentò lui, schernendola con una risata allegra.
《Ma quanto sei carino!》 sibillò sarcastica, assottigliando gli occhi.
Alla fine lui accolse la sua idea e richiamarono il cameriere.
Quando iniziarono ad arrivare le pietanze, Afrodite decise di cominciare le lezioni di italiano.
《Ok, questa si chiama "forchetta"》 esordì, prendendo in mano l'oggetto in questione.
Ryan rimase per un momento con quello stesso oggetto sospeso in aria nel percorso piatto-bocca.
《Che stai facendo?》 le chiese, anche se la risposta era piuttosto ovvia.
《Ti insegno l'italiano》 rispose con semplicità, scrollando le spalle. 《Avanti ripeti: "forchetta".》
《Mangia, altrimenti si raffredda》 le intimò, indicando il piatto con la sua forchetta e portandola poi finalmente alle labbra. 《In spiaggia potrai insegnarmi tutto quello che vuoi》 aggiunse, una volta che ebbe deglutito, vedendo il suo viso adorabilmente corrucciato distendersi lentamente in un sorriso.
Iniziò a mangiare di gusto, scansando i capelli dalle spalle in un fluido movimento di onde dorate.
 
《Andiamo?》 Ryan si pulì le labbra con il tovagliolo che aveva posato sulle gambe, facendo per alzarsi.
Aveva insistito per pagare il conto anche quella volta, non c'era stato nulla che Afrodite avesse potuto dire per evitarlo, tanto più visto che non l'aveva avvisata di quel pranzo dispendioso ed era uscita di casa con una scarsa manciata di euro.
Una volta usciti dall'hotel, si diressero di nuovo verso l'auto per raggiungere la spiaggia. Ryan si esibì in un'azzardata inversione a U sulla statale e tornarono sui loro passi.
Faticarono a trovare parcheggio, si erano fatte le tre di pomeriggio e quasi tutti i posti-macchina erano occupati.
Quando finalmente riuscirono a parcheggiare in piazza , Ryan scaricò dalla macchina un ombrellone ed un telo e insieme si incamminarono verso la spiaggia libera. Il litorale era roccioso e il suo bianco splendente formava con il turchese dell'acqua dai riflessi argentei un contrasto bellissimo.
《Mi piace l'idea di fare qui il primo bagno della stagione》 esordì Afrodite, guardando con desiderio le onde spumose che si infrangevano sul bagnasciuga.
《Mi stai dicendo che ancora non hai fatto nemmeno un bagno?》 le chiese con scherno.
《No》 rispose semplicemente, scrollando le spalle.
Per tutta risposta l'uomo al suo fianco lasciò cadere tutto ciò che aveva in mano e la guardò con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
Vide quegli specchi celesti, che erano gli occhi della ragazza, farsi improvvisamente più grandi nel comprendere le sue intenzioni e anche lei abbandonò la borsa, voltandosi per scappare.
Ryan le lasciò l'illusione di avere qualche possibilità, regalandole un po' di vantaggio, poi la rincorse e l'acciuffò da dietro, stringendosela al petto come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza quasi accorgersene.
《Illusa!》 esclamò giocoso.
Tutta la spiaggia li stava guardando con divertita perplessità, mentre il soldato voltava la ragazza verso di se e la prendeva in baccio, costringendola ad attorcigliare le gambe attorno al suo busto, poco sotto il diaframma. Lei colse l'occasione che le forniva quella posizione per ricoprire di inutili pugni la sua schiena.
Ora che poteva tenersela vicina, la risata che aveva accompagnato la sua fuga gli risuonava forte e chiara tutt'attorno.
Si diresse con andatura ondeggiante verso l'acqua, con quella piccola Dea aggrappata a lui come un koala, e insieme fecero il primo bagno della stagione tra schizzi, risate, urletti, tuffi e tanti 《Ti prendo!》 seguiti da altrettanti 《Ryan!》.
Quando finalmente uscirono dall'acqua, i vestiti zuppi e i volti sorridenti, Ryan si apprestò a piantare l'ombrellone e Afrodite mise gli indumenti ad asciugare. Rimasero entrambi in costume ed ebbero la possibilità di scrutarsi per la prima volta. Le loro risate si spensero gradualmente mentre venivano a patti con quella realtà e fu lei ad arrossire per prima, distogliendo lo sguardo e cercando disperatamente qualcosa da fare per uscire da quella situazione. Trovò la sua salvezza nel telo che si trovava nella sua borsa e si impegnò a stenderlo all'ombra con grande attenzione. Ryan la imitò per poi sdraiarsi al suo fianco.
Sembravano due ragazzini impacciati e, difatti, lei lo era, ma lui non aveva mai avuto quel tipo di atteggiamento con una ragazza, non se la ragazza in questione lo attraeva più di quanto gli piacesse ammettere.
Afrodite era adagiata sulla schiena, con il viso voltato verso il soldato, che prese oziosamente un pietra al sole e la posò con cautela e precisione sulla sua nuca, strappandole un gridolino per il calore che emanava. Continuò così finchè non ebbe ripercorso tutta la sua colonna vertebrale con tanti sassi lisci e bianchi. La ragazza lo guardava sorridendo mentre portava a termine quell'operazione con il massimo della concentrazione. La osservava estasiato, sembrava quasi che la stesse venerando.
Quegli occhi su di se la facevano impazzire.
Quelle mani che le sfioravano casualmente la schiena le procuravano una scarica di piccoli brividi che si irradiava per tutto il corpo, rendendolo consapevole della presenza dell'uomo, come se la vista non bastasse a mandarla in confusione.
 
Si riavviarono verso le sei e mezza di sera perchè Afrodite non voleva far preoccupare di nuovo i suoi genitori tornando tardi.
Arrivati in piazza, Ryan vide la gelateria e decisero di approfittarne.
《Tiramisù e cioccolato?》 chiese, sentendo la ragazza fare la sua ordinazione.
《Si, prendo sempre questi》 replicò con naturalezza.
《Solitamente le ragazze preferiscono i gelati alla frutta.》
《E chi l'ha detto?》
《Boh, esperienza personale. Avete questo pallino fisso della linea e prendere gelati alla frutta vi fa sentire meno in colpa, immagino》 replicò sghignazzando.
《Sottotenente, mi sta dicendo che sono grassa?》 lo prese in giro.
《No, no!》 si affrettò a rispondere, negando anche con il capo. 《Sei perfetta》 concluse in un sospiro.
Lei non fece altro che arrossire e chinare il volto verso il suo gelato.
Si riavviò verso l'auto che era ancora rossa in viso.
《Credi davvero di poter entrare nella mia macchina con quello?》 le chiese ironico, alludendo al cono.
《Eddai, faremo tardi!》Erano ormai arrivati quasi alla Gran Torino.
Ryan sbuffò, trattenendo a stento un sorriso.
《Se ne fai cadere anche solo una goccia ti faccio scendere》 le intimò, indicandola con l'indice in uno scherzoso fare minaccioso.
《Signorsì signore.》 Afrodite si portò la mano alla fronte in una mal riuscita imitazione del saluto militare ed entrambi scoppiarono in una sonora risata, salendo in auto.
 
《Parlami dell'Iraq.》
La ragazza se ne uscì in quel modo dopo un quarto d'ora di viaggio.
Lo vide serrare la mandibola e profonde rughe di stanchezza andarono ad aggrinzarsi attorno ai suoi occhi. Sembrava che fosse invecchiato di dieci anni nel tempo necessario per pronunciare quella frase.
《Non sono cose per te》 disse con veemenza. 《Afrodite, tieniti fuori da tutto questo. Non farti inquinare da ciò che abbiamo fatto.》
Lei non seppe cosa rispondere, se non un timido 《Scusa.》
Ryan si passò una mano sul viso, esausto. 《Non volevo essere così brusco...》 Fece una pausa e Afrodite gli lasciò il tempo per riordinare le idee. 《E' che abbiamo commesso tutti, dall'una e dall'altra parte, delle azioni terribili. Tu... non saresti in grado nemmeno di sentirle, probabilmente.》
Lei lo guardò con dolcezza, ma tutto ciò a cui lui riusciva a pensare era che voleva proteggerla, voleva tenerla lontana da quel marciume che altrimenti avrebbe finito con il macchiare quella candida Dea che gli sedeva affianco, rimirandolo con i suoi occhioni limpidi.
《Fai tutto ciò di cui sei capace per impedire al mondo nè alla guerra di distruggerti. Perchè, credimi, ne sarebbero in grado.》
 
 




NDA
Allora!
Il titolo è un verso di Never say never dei The Fray; la citazione all'inizio del capitolo è un altro brano della canzone "Hasta cuando" di Rey el Vikingo (la traduzione è questa: "Anche con tutto quello che lavori non riesci a vivere del tuo stipendio, devi inventare, tutto è illegale, sei un estraneo nell'unico luogo dove puoi stare, non puoi viaggiare. Non puoi visitare gli hotel, sono per i turisti, non per i cubani. "Il potere è del popolo", promettevi e all'ora della verità era tutta fantasia"); poi abbiamo un pezzo sempre di Never say never dei The Fray; infine una citazione da The big bang theory, pronunciata da Sheldon Cooper. Non so se l'avete notato, ma ho un'ossessione per gli originali, cioè: le citazioni le scrivo solo in lingua originale xD non so se questo sia positivo o negativo, ma preferisco inserire la traduzione nelle note, spero non vi dispiaccia :) l'inglese tendo a non tradurlo a meno che non sia assolutamente incomprensibile.
Le strada adiacente alla ferrovia sopraelevata esiste e ci sono davvero i pioppi xD ci passo tutte le mattine per andare a scuola quindi la descrizione a inizio capitolo è nata così ahhaha
Il Pescara ed il Saline delimitano Pescara nord e Montesilvano, dividendole da Città Sant'Angelo e Pescara sud e hanno davvero esondato a gennaio tant'è che le scuole sono rimaste chiuse perchè le strade erano impraticabili e alcune famiglie erano sfollate.
Mi sono permessa di usare il termine pattino perchè sinceramente non so quale sia quello corretto in italiano, ad ogni modo intendevo il pedalò o come più vi piace xD
Le notizie relative alla vita in Venezuela sono tutte corrispondenti al vero (l'harina pan è una farina tipica che loro utilizzano, o meglio utilizzavano, praticamente tutti i giorni).
L'Hotel Garden esiste davvero e si trova sulla statale che attraversa San Vito Chietino :)
Mi scuso immensamente per il ritardo clamoroso, so di essere una persona orribile, ma la scuola mi ha davvero tolto la vita in questi giorni e non so dove ho trovato il tempo per scrivere questo capitolo... Ad ogni modo ora dovrebbe andare meglio! :D
Vi lascio con una foto dei nostri due protagonisti al mare *-*
 
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Alla prossima, vi mando un abbraccio fortissimo! :*
Delilah <3
  
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