Capitolo X
Una scoperta
Quel
week-end, contrariamente a come si prospettava quando
l’assistente di Lady Sinclair aveva spostato di nuovo l’incontro, si
stava
rivelando molto interessante e il breve soggiorno allo Chateau
una fonte d’ispirazione inaspettata.
Era come se
in quella casa fossero rimaste le anime degli
ultimi due amanti che l’avevano abitata. Ogni cosa parlava di loro: i
ritratti
appesi nella galleria al secondo piano, il parco fatto rivivere come lo
avevano
voluto loro, numerosi piccoli oggetti che Pierre e Madeleine gli
avevano detto
essere appartenuti al duca o alla duchessa, tra i quali un orologio da
taschino, un paio d’occhiali, il set da ricamo... perfino un armadio,
nella
camera da letto che madame
Madeleine
gli disse essere stata la loro, contenente alcuni abiti da ballo
maschili e
femminili della seconda metà dell’Ottocento. A quello che gli avevano
raccontato a cena Pierre e la moglie, sembrava che la duchessa, quando
si erano
trasferiti ad abitare lì lasciando l’Inghilterra, avesse voluto portare
con sé
numerosi ricordi, tra i quali appunto alcuni abiti da sera che la
coppia aveva
sfoggiato di certo ai balli a corte.
E fino a quel
momento non era ancora entrato nella stanza
della Torre; si era limitato alla biblioteca, per altro molto fornita,
segno
evidente di appassionate letture. Aveva sfogliato parecchi testi e in
ognuno
aveva trovato, qua e là, segni inconfondibili della stessa mano, brevi
annotazioni in inchiostro nero in una calligrafia chiara ed elegante.
Quasi
tutti i libri risalivano al Settecento e all’Ottocento, se non
addirittura a
prima, e la biblioteca era fornita di moltissime prime edizioni di
classici
inglesi, francesi e anche italiani. Un settore a parte era dedicato ai
testi
latini e greci e un altro agli autori tedeschi, in particolare a
trattati di
filosofia. Infine vi era una zona della biblioteca chiaramente
aggiornata di
recente, con libri di autori del primo ‘900, da Virginia Woolf a Edith
Wharton,
da d’Annunzio a Hemingway, da Pirandello alla Von Arnim, oltre
a vari autori di
fine secolo scorso, tra cui Pennac, Saramago, Eco, Marquez, fino ad
arrivare a Follett,
Grisham e altri. Solo un piccolo scaffale conteneva romanzi più recenti
tra i
quali, con un sorriso divertito, riconobbe anche i suoi: a quanto
pareva
l’attuale proprietario amava i romanzi gialli e i legal-thriller.
Ora si
accingeva ad entrare in quella che Pierre e
Madeleine chiamavano ‘Le Bureau de le
Comte’ , lo Studio del Conte. A cena era stato troppo preso
dai racconti
dei due coniugi per domandare come mai, nel castello di un duca e di
una
duchessa inglesi, una delle stanze fosse intitolata ad un conte; aveva
saputo
che prima della Rivoluzione Francese il castello apparteneva ad una
famiglia di
conti originari del luogo ed era probabile che, fin dall’inizio
battezzata
così, aveva mantenuto l’appellativo nel corso dei secoli. Ad ogni modo
a lui
non importava granché il nome dato ad una stanza; ciò che gli premeva
soprattutto era vederne il contenuto.
Aprì la porta
in legno massiccio ed entrò.
Erano gli
inizi di giugno e la temperatura esterna era
tiepida; ciononostante il fuoco ardeva nel grande camino a fianco della
porta,
nell’unica parete diritta della stanza. Per il resto l’ambiente seguiva
il
profilo tondo della torre e ne occupava tutta la superficie.
Pierre o
Madeleine dovevano aver preparato lo studio per
il suo arrivo poiché erano state accese diverse candele disposte un po’
ovunque
e persino un’antica lampada ad olio che si trovava sulla grande
scrivania posta
di fronte al camino, più o meno al centro della stanza, alle spalle
della quale
si apriva l’unica vetrata, che interrompeva il susseguirsi di scaffali
pieni di
libri alternato ad antiche carte geografiche posti lungo la parete
arrotondata;
tuttavia la fonte di luce più spettacolare, che durante la giornata
doveva
contribuire ad illuminare l’ambiente, proveniva dall’alto soffitto ove,
in quel
momento, i vari lucernai lasciavano penetrare la luce argentea della
luna e
permettevano di vedere il cielo trapunto di stelle.
Per un attimo
si sentì quasi in soggezione di fronte a
quel luogo tanto affascinante, al punto che non riuscì neppure ad
entrare e
restò ad osservare l’effetto d’insieme sulla porta; poi prevalse la
curiosità e
l’euforia di mettere piede in una stanza che sembrava provenire
direttamente
dal passato.
Nei giorni
precedenti aveva visitato i luoghi dove avevano
vissuto e lavorato due tra i grandi della letteratura eppure, benché
entrambi
interessanti e suggestivi, nessuno di quei luoghi gli aveva trasmesso
una così
intensa sensazione di una presenza ancora viva come quella casa ed in
particolare quello studio. Forse questo fatto era dovuto alla
popolarità delle
altre due abitazioni, visitate sempre da molti turisti, in contrasto
con la
riservatezza di quel luogo tanto privato. Era come se lo spirito di
Balzac, o
di Chateaubriand,
se ne fosse andato
poco alla volta assieme alle molte persone che erano state a rendere
omaggio ai
luoghi dov’era vissuto; mentre colui che aveva abitato per ultimo
quello studio
era ancora lì, come se non se ne fosse mai allontanato.
Si chiuse la
porta alle spalle e si avviò alla scrivania,
guardando per prima cosa fuori dalla vetrata ed era sicuro che vi
avrebbe visto
ciò che vide: una parte dell’enorme piscina, di certo nel punto in cui,
oltre
cent’anni prima, c’era stata la vasca per i bambini.
Gli sembrò di
non essere solo in quella stanza. Aveva la
sensazione di avere di fianco qualcuno che lo osservava muoversi e
quasi gli
indicava come farlo e dove andare.
Era
un’esperienza stranissima, che non aveva mai vissuto,
paragonabile quasi ad un deja-vu,
ma
neppure del tutto. Faticava persino a descriverla nella propria mente.
Prese
coraggio, spostò la sedia e si sedette allo
scrittoio; sul tavolo, oltre alla lampada ad olio, c’era un antico
calamaio con
la penna d’oca e tutto il materiale per la scrittura di un tempo:
inchiostro,
tampone assorbente, ceralacca e nell’unico
cassetto aperto, fogli in pergamena ingiallita, buste e
alcuni sigilli.
Nessun
computer, nessuna stampante, nessun fax.
Tutto era
rimasto come, con molta probabilità, lo aveva
lasciato l’ultimo proprietario dello studio.
Si domandò
come mai l’attuale erede avesse deciso che
quella stanza dovesse rimanere inutilizzata, ma fu solo un attimo,
poiché
proprio grazie a ciò poteva godere di quella particolare atmosfera
ottocentesca. Avrebbe dato l’intero guadagno delle vendite del suo
ultimo
romanzo per poter scrivere per il resto della sua vita in un luogo
simile...
adorava il suo studio nel loft di New York, ma quel luogo aveva
dell’incredibile.
Tutta quella proprietà era fantastica.
Si rese conto
che avrebbe desiderato poter abitare in un
luogo simile e pensò che forse avrebbe potuto contattare Sua Signoria e
fargli
una proposta d’acquisto. Del resto Pierre e Madeleine non gli avevano
forse
detto che non abitava lì, ma che ci andava solo ogni tanto? Magari
l’offerta
giusta lo avrebbe convinto a vendergliela.
Nel frattempo
si era alzato ad osservare i libri negli
scaffali, attratto dalla libreria alla destra dello scrittoio che
seguiva il
profilo arrotondato della parete alla quale si appoggiava; ad un tratto
notò
due ripiani che non contenevano volumi stampati, ma una serie di
volumetti che
potevano essere dei quaderni rilegati.
Incuriosito
ne prese uno e lo sfogliò: riconoscendo la
medesima calligrafia chiara ed elegante che aveva notato in alcuni
libri nella
biblioteca, iniziò a leggere. Comprese subito che si trattava di un
diario;
allora ne tirò fuori un paio d’altri e li guardò, scoprendo che anche
quelli
erano dei diari.
Poiché lui
stesso aveva l’abitudine di segnare, sulla
prima pagina di ogni quaderno, la data di inizio e quella di fine
relativa al
lasso di tempo che il diario comprendeva, andò alla pagina iniziale e,
sorridendo, osservò che a distanza di quasi duecento anni gli uomini
non erano
poi cambiati così tanto. O che forse aveva in comune con l’autore di
quegli
scritti più di quanto si aspettasse.
Ne controllò
alcuni e si rese conto che erano stati
sistemati in ordine cronologico, dal primo all’ultimo. Ne contò quasi
una cinquantina,
il primo era datato 18 luglio 1834 – 8 maggio 1836 ed era scritto in
una grafia
infantile. L’ultimo, in prima pagina, aveva solo la data iniziale: 17
giugno
1914; andò alle ultime poche pagine scritte e lesse la data, 14 luglio
1914. Se
la memoria non lo ingannava esattamente due settimane prima dell’inizio
della
Prima Guerra Mondiale.
La tentazione
fu troppo forte: accomodatosi sulla poltrona
di fronte al camino, incominciò a leggerli, partendo dal primo. Scorse
rapidamente i primi due, quelli infantili, osservando con curiosità che
erano
scritti in francese e che denotavano, già allora, un acuto spirito
d’osservazione e una discreta capacità espressiva. Raccontavano di
giochi con
piccoli amici e di avventure immaginarie; brevi resoconti sugli studi
con un
precettore che il fanciullo, a quanto scriveva divertito, metteva
sempre in
crisi con domande azzardate, e appassionanti descrizioni delle lezioni
di
equitazione e del pony bianco che gli aveva regalato il padre.
Dal terzo in
poi il tono cambiava e diventava evidente che
il fanciullo si stava trasformando in ragazzo: le prime ribellioni
all’autorità
paterna, alle piccole ingiustizie che vedeva attorno a sé e che gli
sembravano
indegne dell’Uomo; i primi turbamenti per il cambiamento del proprio
corpo e un
susseguirsi di domande, molte delle quali senza risposta, altre con
descritto
il proprio pensiero in merito, sugli argomenti più disparati, dal senso
della
vita alla morte, e altre più complesse, che derivavano di certo da
testi
filosofici che il ragazzo aveva con ogni evidenza già cominciato a
leggere.
Ad un certo
punto, alternati alla lingua francese, trovò
brevi pezzi in un inglese stentato, chiari tentativi di imparare il
nuovo
idioma. Trovò la cosa alquanto strana, perché avrebbe pensato semmai il
contrario.
Dopo il
quinto quaderno sollevò la testa e guardò
l’orologio: erano le due di notte. Ricordando all’improvviso che Pierre
gli
aveva detto che lo avrebbe atteso alzato per spegnere le luci e
chiudere lo
studio, ripose con rimpianto i quaderni al loro posto sullo scaffale ma
si
ripromise di proseguire nella lettura il giorno successivo.
Purtroppo non
sarebbe riuscito a leggerli tutti; aveva
previsto per l’indomani una visita al borgo medievale, e due giorni
dopo aveva
l’appuntamento a Parigi con Lady Sinclair... ora, tuttavia, era più
interessato
a restare al castello per leggere quei vecchi diari.
In quel
momento decise che avrebbe fatto a meno di
un’esperta che sembrava non interessata ad incontrarlo: quei diari gli
stavano
facendo venire l’ispirazione molto più dell’eccentrica nobildonna.