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Autore: Alexandra e Mac    01/06/2014    5 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo X

Una scoperta



Quel week-end, contrariamente a come si prospettava quando l’assistente di Lady Sinclair aveva spostato di nuovo l’incontro, si stava rivelando molto interessante e il breve soggiorno allo Chateau una fonte d’ispirazione inaspettata.

Era come se in quella casa fossero rimaste le anime degli ultimi due amanti che l’avevano abitata. Ogni cosa parlava di loro: i ritratti appesi nella galleria al secondo piano, il parco fatto rivivere come lo avevano voluto loro, numerosi piccoli oggetti che Pierre e Madeleine gli avevano detto essere appartenuti al duca o alla duchessa, tra i quali un orologio da taschino, un paio d’occhiali, il set da ricamo... perfino un armadio, nella camera da letto che madame Madeleine gli disse essere stata la loro, contenente alcuni abiti da ballo maschili e femminili della seconda metà dell’Ottocento. A quello che gli avevano raccontato a cena Pierre e la moglie, sembrava che la duchessa, quando si erano trasferiti ad abitare lì lasciando l’Inghilterra, avesse voluto portare con sé numerosi ricordi, tra i quali appunto alcuni abiti da sera che la coppia aveva sfoggiato di certo ai balli a corte.

E fino a quel momento non era ancora entrato nella stanza della Torre; si era limitato alla biblioteca, per altro molto fornita, segno evidente di appassionate letture. Aveva sfogliato parecchi testi e in ognuno aveva trovato, qua e là, segni inconfondibili della stessa mano, brevi annotazioni in inchiostro nero in una calligrafia chiara ed elegante. Quasi tutti i libri risalivano al Settecento e all’Ottocento, se non addirittura a prima, e la biblioteca era fornita di moltissime prime edizioni di classici inglesi, francesi e anche italiani. Un settore a parte era dedicato ai testi latini e greci e un altro agli autori tedeschi, in particolare a trattati di filosofia. Infine vi era una zona della biblioteca chiaramente aggiornata di recente, con libri di autori del primo ‘900, da Virginia Woolf a Edith Wharton, da d’Annunzio a Hemingway, da Pirandello alla Von Arnim, oltre a vari autori di fine secolo scorso, tra cui Pennac, Saramago, Eco, Marquez, fino ad arrivare a Follett, Grisham e altri. Solo un piccolo scaffale conteneva romanzi più recenti tra i quali, con un sorriso divertito, riconobbe anche i suoi: a quanto pareva l’attuale proprietario amava i romanzi gialli e i legal-thriller.

Ora si accingeva ad entrare in quella che Pierre e Madeleine chiamavano ‘Le Bureau de le Comte’ , lo Studio del Conte. A cena era stato troppo preso dai racconti dei due coniugi per domandare come mai, nel castello di un duca e di una duchessa inglesi, una delle stanze fosse intitolata ad un conte; aveva saputo che prima della Rivoluzione Francese il castello apparteneva ad una famiglia di conti originari del luogo ed era probabile che, fin dall’inizio battezzata così, aveva mantenuto l’appellativo nel corso dei secoli. Ad ogni modo a lui non importava granché il nome dato ad una stanza; ciò che gli premeva soprattutto era vederne il contenuto.

Aprì la porta in legno massiccio ed entrò.

Erano gli inizi di giugno e la temperatura esterna era tiepida; ciononostante il fuoco ardeva nel grande camino a fianco della porta, nell’unica parete diritta della stanza. Per il resto l’ambiente seguiva il profilo tondo della torre e ne occupava tutta la superficie.

Pierre o Madeleine dovevano aver preparato lo studio per il suo arrivo poiché erano state accese diverse candele disposte un po’ ovunque e persino un’antica lampada ad olio che si trovava sulla grande scrivania posta di fronte al camino, più o meno al centro della stanza, alle spalle della quale si apriva l’unica vetrata, che interrompeva il susseguirsi di scaffali pieni di libri alternato ad antiche carte geografiche posti lungo la parete arrotondata; tuttavia la fonte di luce più spettacolare, che durante la giornata doveva contribuire ad illuminare l’ambiente, proveniva dall’alto soffitto ove, in quel momento, i vari lucernai lasciavano penetrare la luce argentea della luna e permettevano di vedere il cielo trapunto di stelle.

Per un attimo si sentì quasi in soggezione di fronte a quel luogo tanto affascinante, al punto che non riuscì neppure ad entrare e restò ad osservare l’effetto d’insieme sulla porta; poi prevalse la curiosità e l’euforia di mettere piede in una stanza che sembrava provenire direttamente dal passato.

Nei giorni precedenti aveva visitato i luoghi dove avevano vissuto e lavorato due tra i grandi della letteratura eppure, benché entrambi interessanti e suggestivi, nessuno di quei luoghi gli aveva trasmesso una così intensa sensazione di una presenza ancora viva come quella casa ed in particolare quello studio. Forse questo fatto era dovuto alla popolarità delle altre due abitazioni, visitate sempre da molti turisti, in contrasto con la riservatezza di quel luogo tanto privato. Era come se lo spirito di Balzac, o di  Chateaubriand, se ne fosse andato poco alla volta assieme alle molte persone che erano state a rendere omaggio ai luoghi dov’era vissuto; mentre colui che aveva abitato per ultimo quello studio era ancora lì, come se non se ne fosse mai allontanato.

Si chiuse la porta alle spalle e si avviò alla scrivania, guardando per prima cosa fuori dalla vetrata ed era sicuro che vi avrebbe visto ciò che vide: una parte dell’enorme piscina, di certo nel punto in cui, oltre cent’anni prima, c’era stata la vasca per i bambini.

Gli sembrò di non essere solo in quella stanza. Aveva la sensazione di avere di fianco qualcuno che lo osservava muoversi e quasi gli indicava come farlo e dove andare.

Era un’esperienza stranissima, che non aveva mai vissuto, paragonabile quasi ad un deja-vu, ma neppure del tutto. Faticava persino a descriverla nella propria mente.

Prese coraggio, spostò la sedia e si sedette allo scrittoio; sul tavolo, oltre alla lampada ad olio, c’era un antico calamaio con la penna d’oca e tutto il materiale per la scrittura di un tempo: inchiostro, tampone assorbente, ceralacca e nell’unico  cassetto aperto, fogli in pergamena ingiallita, buste e alcuni sigilli.

Nessun computer, nessuna stampante, nessun fax.

Tutto era rimasto come, con molta probabilità, lo aveva lasciato l’ultimo proprietario dello studio.

Si domandò come mai l’attuale erede avesse deciso che quella stanza dovesse rimanere inutilizzata, ma fu solo un attimo, poiché proprio grazie a ciò poteva godere di quella particolare atmosfera ottocentesca. Avrebbe dato l’intero guadagno delle vendite del suo ultimo romanzo per poter scrivere per il resto della sua vita in un luogo simile... adorava il suo studio nel loft di New York, ma quel luogo aveva dell’incredibile. Tutta quella proprietà era fantastica.

Si rese conto che avrebbe desiderato poter abitare in un luogo simile e pensò che forse avrebbe potuto contattare Sua Signoria e fargli una proposta d’acquisto. Del resto Pierre e Madeleine non gli avevano forse detto che non abitava lì, ma che ci andava solo ogni tanto? Magari l’offerta giusta lo avrebbe convinto a vendergliela.

Nel frattempo si era alzato ad osservare i libri negli scaffali, attratto dalla libreria alla destra dello scrittoio che seguiva il profilo arrotondato della parete alla quale si appoggiava; ad un tratto notò due ripiani che non contenevano volumi stampati, ma una serie di volumetti che potevano essere dei quaderni rilegati.

Incuriosito ne prese uno e lo sfogliò: riconoscendo la medesima calligrafia chiara ed elegante che aveva notato in alcuni libri nella biblioteca, iniziò a leggere. Comprese subito che si trattava di un diario; allora ne tirò fuori un paio d’altri e li guardò, scoprendo che anche quelli erano dei diari.

Poiché lui stesso aveva l’abitudine di segnare, sulla prima pagina di ogni quaderno, la data di inizio e quella di fine relativa al lasso di tempo che il diario comprendeva, andò alla pagina iniziale e, sorridendo, osservò che a distanza di quasi duecento anni gli uomini non erano poi cambiati così tanto. O che forse aveva in comune con l’autore di quegli scritti più di quanto si aspettasse.

Ne controllò alcuni e si rese conto che erano stati sistemati in ordine cronologico, dal primo all’ultimo. Ne contò quasi una cinquantina, il primo era datato 18 luglio 1834 – 8 maggio 1836 ed era scritto in una grafia infantile. L’ultimo, in prima pagina, aveva solo la data iniziale: 17 giugno 1914; andò alle ultime poche pagine scritte e lesse la data, 14 luglio 1914. Se la memoria non lo ingannava esattamente due settimane prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale.

La tentazione fu troppo forte: accomodatosi sulla poltrona di fronte al camino, incominciò a leggerli, partendo dal primo. Scorse rapidamente i primi due, quelli infantili, osservando con curiosità che erano scritti in francese e che denotavano, già allora, un acuto spirito d’osservazione e una discreta capacità espressiva. Raccontavano di giochi con piccoli amici e di avventure immaginarie; brevi resoconti sugli studi con un precettore che il fanciullo, a quanto scriveva divertito, metteva sempre in crisi con domande azzardate, e appassionanti descrizioni delle lezioni di equitazione e del pony bianco che gli aveva regalato il padre.

Dal terzo in poi il tono cambiava e diventava evidente che il fanciullo si stava trasformando in ragazzo: le prime ribellioni all’autorità paterna, alle piccole ingiustizie che vedeva attorno a sé e che gli sembravano indegne dell’Uomo; i primi turbamenti per il cambiamento del proprio corpo e un susseguirsi di domande, molte delle quali senza risposta, altre con descritto il proprio pensiero in merito, sugli argomenti più disparati, dal senso della vita alla morte, e altre più complesse, che derivavano di certo da testi filosofici che il ragazzo aveva con ogni evidenza già cominciato a leggere.

Ad un certo punto, alternati alla lingua francese, trovò brevi pezzi in un inglese stentato, chiari tentativi di imparare il nuovo idioma. Trovò la cosa alquanto strana, perché avrebbe pensato semmai il contrario.

Dopo il quinto quaderno sollevò la testa e guardò l’orologio: erano le due di notte. Ricordando all’improvviso che Pierre gli aveva detto che lo avrebbe atteso alzato per spegnere le luci e chiudere lo studio, ripose con rimpianto i quaderni al loro posto sullo scaffale ma si ripromise di proseguire nella lettura il giorno successivo.

Purtroppo non sarebbe riuscito a leggerli tutti; aveva previsto per l’indomani una visita al borgo medievale, e due giorni dopo aveva l’appuntamento a Parigi con Lady Sinclair... ora, tuttavia, era più interessato a restare al castello per leggere quei vecchi diari.

In quel momento decise che avrebbe fatto a meno di un’esperta che sembrava non interessata ad incontrarlo: quei diari gli stavano facendo venire l’ispirazione molto più dell’eccentrica nobildonna.

 

 

  
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