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Autore: nephylim88    01/06/2014    1 recensioni
A volte i luoghi ti chiamano... e non puoi fare altro che seguire il loro richiamo!
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Miriam Leda correva. Un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro. Ormai era abituata. Riusciva a fare qualche km di corsa. Non era certo ai livelli della protagonista di uno dei suoi libri preferiti, “Torno a prenderti”, di Stephen King, ma se la cavava. Di certo, dopo aver passato mesi su internet a cercare i benefici della corsa, senza mai decidersi a correre sul serio, ora era quasi un sollievo vedere quei benefici applicati a lei! Inizialmente era stata dura. La prima volta aveva corso per quattrocento metri. Nonostante la vita sedentaria, aveva una buona muscolatura, ma il fiato faceva davvero pena! Ma, più che il fiato, era il suo modo di correre a bloccarla: rigido, come se avesse un manico di scopa infilato dove non batte il sole. Quindi, oltre a correre pochissimo per la scarsa resistenza, si era ritrovata a bloccarsi per il disagio. Anche se era in una zona isolata, scelta apposta per evitare l’imbarazzo, si era sentita come se anche l’airone lì vicino, che si faceva i fatti suoi e sicuramente se ne fregava del suo modo di correre, si fosse messo a ridere come un matto. Oltretutto, era ben 15 kg di sovrappeso, all’epoca, e le sue cicce traballavano in un modo davvero imbarazzante! Ora di kg ne aveva persi 13. Non le interessava perderne altri 2, ora come ora, anche se le avrebbe fatto piacere ritornare a pesare 58 kg. Ma 60 kg erano un buon risultato. Un ottimo risultato! Le sue cicce traballavano molto meno, anzi, praticamente non aveva più la sensazione di essere un budino gigante! Non sapeva neanche se il suo modo di correre era migliorato, ma aveva imparato a fregarsene. La gente aveva ben altri problemi a cui badare, e se ridevano, beh, cavoli loro! Aveva capito che non temeva tanto le risate, quanto le malelingue. Dopotutto, c’era gente che per molto meno aveva parlato alle sue spalle. Ma, in fondo, si era resa conto che nessuno aveva tempo da perdere a sparlare della gente su come corre. Lei stessa aveva visto scene davvero ridicole di gente che correva, ma al massimo aveva fatto un qualche commento con la sua migliore amica in quel momento, per poi dimenticarsene. Non era affar suo. Aveva sfruttato quelle scene per farsi coraggio quando correva. in fondo pensava se anche corro male, sono in buona compagnia! E comunque, se anche avesse scoperto che qualcuno aveva così tanto buon tempo da parlare male alle sue spalle solo per come correva, riteneva di avere abbastanza palle da andare a dirgli di farsi i fatti suoi!

Ultimamente, comunque, qualcosa non quadrava. Non nel suo fisico, no. I suoi muscoli erano tonici, niente crampi, la milza andava benone, il fiato pure, la ciccia sparita, e blablabla, blablabla, blablabla…

No, il problema era da nella sua testa. Era da un po’ di tempo che si sentiva… strana. Non sapeva neanche spiegare cosa le stesse succedendo. Era come se ci fosse una voce che la chiamava, incessante. In realtà era dalla prima volta che aveva cominciato a correre che si sentiva così, ma, avendo condotto una vita sedentaria, con uno scarso rilascio di endorfine, pensava fosse solo un suo pensiero paranoide. In fondo, ogni volta si girava e non c’era nessuno. A volte, per essere sicura, tornava indietro a controllare dietro un albero, o cose simili. Poi aveva realizzato che, se qualcuno avesse voluto aggredirla, l’avrebbe fatto senza giocare a nascondino prima! Dopotutto, correva spesso in zone isolate, anche per evitare di trovare gente che conosceva. Non le piaceva essere interrotta mentre correva, rovinava il lavoro che era intenzionata a fare. Una volta giunta a determinate conclusioni, sperava che la sensazione sparisse da sola. Invece, con l’andare del tempo, la sensazione si era addirittura acuita, certe volte. No, non erano le endorfine, il problema! Anzi! Il suo umore era migliorato, lo vedeva da quante risate si faceva con le amiche (quelle rare volte in cui le vedeva, ormai), da come riusciva a mantenere la calma anche in momenti che una volta l’avrebbero messa in difficoltà, da come riusciva a evitare le litigate che una volta le erano così necessarie per sfogarsi! Ma allora, che diavolo stava succedendo?

Quel pomeriggio aveva deciso di prolungare il giro di qualche chilometro. Forse non sarebbe riuscita a farselo tutto di corsa, ma non gliene importava. Anzi, meglio! Ci avrebbe impiegato più tempo, così non sarebbe stata costretta a tornare a casa a occuparsi di quell’arpia di sua madre, una donna mezza pazza, che aveva deciso di farle un dispetto enorme esaurendo tutti i suoi soldi, per poi stabilirsi in casa sua ad avanzare pretese. Ma è ovvio, quando una viziatissima donna ricca sfondata si fuma tutti i soldi del defunto marito, e si brucia tutte le amicizie a causa del suo pessimo carattere, su chi può rivalersi, se non sulla sua unica figlia? Poco contava che la sua unica figlia abitasse in un appartamento dall'altra parte della città, e non si parlassero da anni!

A Miriam dispiaceva per la situazione che si era creata. Non tanto per sua madre, quanto per suo padre. Lo adorava, e litigando con quella pazza lo aveva messo in una situazione molto spiacevole, combattuto tra la moglie, che amava tantissimo nonostante le sue carognate, e lei, “la sua principessa”, come spesso la chiamava. Quando se n’era andata, quattro anni prima, aveva passato parecchi mesi davvero duri, tentando di arrivare a fine mese in un monolocale che cadeva a pezzi e le prosciugava quasi tutto lo stipendio solo per l'affitto (ovviamente in nero!). Figurarsi il resto delle spese… la sua sorpresa era stata enorme quando suo padre era andato a trovarla dicendole che, dopo tante discussioni con gli zii, era riuscito a fare in modo che lei potesse andare a vivere nel vecchio appartamento del nonno. “certo, non è il massimo, non si trova nella zona di lusso della città, ma è più grande di questo buco, e molto ben messo. E non dovrai pagare l'affitto, così non avrai più problemi ad arrivare a fine mese.” Le aveva detto, con quel suo sguardo sereno che la faceva sempre sentire tranquilla. “Ma papà… lo sai che non era necessario che ti dessi tanta pena!”, aveva risposto con voce un pochino tremante. “certo che lo so. Ma finché ho l’opportunità di aiutarti, intendo farlo. Non hai neanche idea dello sguardo che ti eri ritrovata ad avere, negli ultimi tempi! Come se non ne potessi davvero più! Come potevi pretendere che permettessi una cosa simile?” “ma avrai faticato parecchio per convincere lo zio Anselmo e la zia Ida!”. Lui aveva risposto con un’alzata di spalle. E lei, felice, gli era piombata addosso per abbracciarlo. Oltre agli zii, capiva perfettamente che inferno doveva aver passato quel pover'uomo, anche con sua madre, che praticamente dettava legge, in casa. Quando lei se ne era andata, Viviana Losi aveva fatto di tutto perché a sua figlia non restasse neanche un soldo bucato. E suo padre aveva ceduto. Tanti lo avevano definito un mollaccione, per questo motivo, ma Miriam sapeva cosa voleva dire vivere sotto lo stesso tetto di sua madre. O ti sottomettevi, come aveva fatto suo padre, o scappavi, come aveva fatto lei.

Già quella stessa sera, aveva trasferito la sua roba nella sua nuova casa. In verità, l’appartamento era messo peggio di quanto le avesse detto papà. In fondo, era da dieci anni che nessuno ci metteva piede. Il denaro aveva fatto montare la testa ai suoi parenti, e quella casa era considerata una sorta di stanza della vergogna: nessuno avrebbe mai ammesso in una normale conversazione che l’appartamento disabitato nella zona “povera” della città apparteneva alla famiglia Leda. Ma, vergogna o meno, l’importante era che nessuno la occupasse finché era ancora proprietà dei tre figli del “vecchio pazzo”, come amava definire il nonno la zia Ida. Miriam l’aveva trovata una cosa molto triste. E molto ingiusta. Nessuno si curava della casa, come nessuno si era mai curato del nonno negli ultimi mesi di vita, ma al momento giusto, erano tutti pronti ad avanzare pretese. Per questo motivo, quando Miriam se n’era andata di casa, non aveva neanche lontanamente considerato l’idea di stabilirsi lì. Quell’isterica della zia l’avrebbe linciata. La ragazza non sapeva che cosa aveva spinto gli zii a mollare l’osso, ma era felice che l’avessero fatto. Nel corso degli anni, con tanta pazienza, Miriam era riuscita a risistemare e riarredare l’appartamento secondo il suo gusto personale. Poteva dirsi soddisfatta del suo lavoro. Adorava quei cento metri quadri tutti suoi. La sua stanza da letto, la stanza degli ospiti, la sua cucina, il suo enorme soggiorno con una nicchia che le fungeva da studio, il suo bagno bianco e viola… Miriam sorrise, pensando a come i suoi amici avevano reagito vedendo il colore del bagno. “è un pugno in un occhio, cavolo!”. Anche papà aveva riso, a sentirli. Vederlo ridere le aveva scaldato il cuore, ormai era così raro…

E poi era morto. Un anno e mezzo prima, mentre sistemava alcune carte in ufficio, stroncato da un infarto. Per Miriam era stato un colpo durissimo. Al funerale era rimasta in un angolo della chiesa, pur di non andare a sedersi vicino a sua madre. Non che lei fosse andata a cercarla! Meglio così, probabilmente se ne sarebbe uscita con una qualche frase snob sull’appartamento di Miriam, o un’uscita sgradevolissima sull’eredità di papà e su cosa avesse fatto Miriam per accaparrarsi tutto quel denaro… al momento della sua morte Miriam non lo sapeva, ma diversi mesi prima di morire, papà aveva investito un po’ di soldi in un’assicurazione sulla vita che aveva intestato a lei. Alla sua morte, in pratica, si era ritrovata di nuovo ricca sfondata come lo era prima di lasciare la casa dei genitori. In verità, non sarebbe stato affatto necessario intestarle un'assicurazione, visto che, in quanto figlia, avrebbe comunque ereditato parecchi soldi, in teoria, ma a quanto sembrava, suo padre aveva previsto le mosse della moglie. Una volta aperto il testamento del defunto, Viviana aveva fatto in modo che i suoi avvocati trovassero un cavillo per prendersi anche la quota di Miriam. Probabilmente, se a Miriam fosse interessato qualcosa di quel testamento, avrebbe spedito sua madre a casa con la coda tra le gambe, ma alla ragazza non interessavano i soldi. Per lei, l'importante era che sua madre la lasciasse in pace e non la cacciasse via dall'appartamento del nonno, forte del fatto che avrebbe ereditato anche una parte di quello. Ma Lorenzo Leda era di parecchi passi avanti a sua moglie... e anche a sua figlia, che, scoprì, si era ritrovata intestataria della casa in cui viveva. A quanto pareva, suo padre aveva avviato (e concluso) una trattativa relativa alla casa in cui viveva la figlia. Aveva venduto loro la sua quota della casa ad un prezzo irrisorio, con una richiesta: Miriam doveva restare lì, senza pagare nessun affitto. Si sarebbe giustamente arrangiata per le bollette e per le tasse, ma non doveva pagare nulla di più. E in caso di sua morte, le avrebbero donato la casa. In cambio, stando ai documenti che avevano presentato i due fratelli Leda rimasti, avrebbero ricevuto i soldi dell'appartamento per il doppio del suo valore. Infatti, suo padre aveva investito un po' di denaro in altre assicurazioni che poi aveva intestato a loro, in modo tale che avessero la parte pattuita. Miriam non avrebbe mai fatto affidamento sulla buona fede dei suoi zii, ma finora quello stratagemma aveva funzionato. Nessuno dei parenti di suo padre si era fatto vivo a reclamare quell'appartamento. E poi c'era stato quel colpaccio dell'assicurazione sulla vita intestata a Miriam. Chapeau! Si erano ritrovato a pensare... beh, tutti, Miriam compresa! Che colpo quando aveva scoperto di quei soldi! Aveva deciso di lasciarli in banca, facendo comunque in modo di avere accesso solo lei al suo conto. Conosceva fin troppo bene sua madre. Fino a quel momento non li aveva comunque toccati più di tanto, perché il suo stipendio le era sufficiente, e non aveva nessuna intenzione di muoversi da casa sua per trasferirsi in un castello in Scozia o roba simile. Non che fosse particolarmente semplice cercare di non toccare il conto, in quel periodo. Da quando sua madre si era trasferita da lei, non faceva altro che chiederle soldi per andare in questo o quel negozio.

Idiota” borbottò tra sé, saltellando nell’attesa che un semaforo pedonale diventasse verde. Già, era stata un’idiota completa a farsi impietosire da quell’arpia! Quasi adorava definirla pazza, forse perché era un insulto che le piaceva (pesante senza essere volgare), o forse perché le era più semplice accettare l’idea che sua madre avesse qualche problema psichiatrico che la rendeva così sgradevole, anche se la verità era un’altra, ed era la più dura, oltre che la meno complicata: sua madre era semplicemente una persona meschina. Era andata da lei a piangere calde lacrime per via di quei problemi economici, e dei suoi amici che “avevano scelto la via facile”, a detta di sua madre, “perché una donna sofferente è una persona difficile con cui stare!”. Miriam si era morsa la lingua molto forte per non dirle che in realtà, sofferente o meno, era una persona impossibile con cui avere a che fare, punto. Ormai giustificava ben poco le sue uscite sulle cliniche di lusso dove andare a farsi ritocchini o su tutti gli oggetti che doveva comprare per consolarsi. Questo rendeva semplice il non provare così tanta pietà per lei. Sarebbe finita in rovina, altrimenti! Aveva già pensato di prenderle un appartamento e affibbiarle un po' di soldi per tenersela distante. Ma si rifiutava di fare quello che aveva fatto suo padre. Non voleva abituare quella donna a ricevere soldi semplicemente aprendo i rubinetti. Ma neanche voleva tenersela in casa. Purtroppo, però, la sola idea di buttarla fuori la faceva sentire tremendamente in colpa. Cosa avrebbe pensato suo padre, vedendo la sua unica figlia che buttava fuori sua madre in quel modo? E poi, anche se le si ribaltava lo stomaco al solo pensiero, su una cosa aveva ragione: era pur sempre sua madre. Morale della favola: fra il suo senso della decenza e del dovere verso la sua “famiglia” e il caratteraccio di quella donna, era fregata su tutta la linea!

E non era solo sua madre a farla sentire male. Le cose non marciavano neanche col suo ragazzo. Da quando le aveva chiesto di sposarlo, tre mesi prima, le cose fra loro erano peggiorate. Amava Davide, lo amava davvero. Era il classico bravo ragazzo, quello che ogni donna sognerebbe di sposare: belloccio, con un lavoro stabile, con i piedi per terra, voglia di mettere su famiglia. Era molto parsimonioso e aveva sempre le risposte giuste per qualsiasi situazione. Dovevano sposarsi? Anche se Miriam aveva soldi sufficienti a organizzare almeno tre matrimoni principeschi e gliene sarebbero comunque avanzati, non si doveva spendere più del necessario. Aveva deciso lui aveva deciso, teniamo conto di questa cosa! di stabilirsi in casa di Miriam, visto che non c'erano mutui o affitti da pagare. A quel punto Miriam aveva tirato fuori una religiosità che non sospettava neanche di avere e aveva bloccato, o meglio, rimandato, la convivenza fino a dopo le nozze, inventandosi una balla sul fatto che se avessero convissuto prima del matrimonio, lei non si sarebbe sentita a posto con la coscienza e con Dio. Lui si era dimostrato estremamente comprensivo, nonostante quella scusa palesemente non stesse in piedi. Avevano già 'consumato' il matrimonio prima ancora di decidere di sposarsi, perché all'improvviso la futura sposa aveva tirato fuori quella scusa? Neanche Miriam avrebbe saputo cosa rispondere, qualora fosse venuto in mente a qualcuno di farle quella domanda.

Come se cotanta perfezione non bastasse, Davide aveva anche conquistato le simpatie di sua madre, insistendo con Miriam perché la accogliesse in casa. Il classico bravo ragazzo... che, però, era il caso che imparasse a farsi i fatti suoi! Ma aveva accettato, perché, e lo sapeva anche lei, era giusto così.

Ecco cos'era diventata negli ultimi tre mesi: una brava figlia e una brava fidanzata. A volte, però, aveva voglia di mandare a fanculo tutto e tutti. Guardava Davide e sua madre, e si chiedeva se davvero volesse mettere su famiglia. Davvero la vita era tutta lì?

Aaah!” una fitta al polpaccio la fece fermare di colpo. “Accidenti!” come diavolo aveva fatto a non sentire che le stava venendo un crampo?

Mise il piede sul muretto lì vicino e cominciò ad allungare e massaggiare il muscolo. Mentre eseguiva le manovre necessarie a sciogliere quel nodo fastidioso, eccola lì. La strana sensazione. Come se qualcuno la chiamasse. Ma non era propriamente una voce. Era come un richiamo sonoro. No, neanche. Come se una calamita la stesse attirando. Senza terminare la manovra, si rialzò lentamente, per evitare una fitta di mal di schiena, e si avviò cautamente verso la fonte di quella sensazione. Perché era lì vicino, se lo sentiva fin dentro le ossa. Camminò zoppicando lungo il muretto per una cinquantina di metri, il marsupio che sbatteva leggermente su un fianco. Il muretto terminò di colpo sull’apertura di un cancello. Come in trance, entrò e si ritrovò nel cortile asfaltato di un palazzo. Nel cortile c’erano parecchi oggetti di vario genere: tavolini, sedie, lampade, persino un’armatura. Non era un’esperta in materia, ma capiva perfettamente che l’armatura era finta. Alla sua sinistra c’era una porta, sopra la quale campeggiava una vecchia insegna: “Negozio d’antiquariato”. In circostanze normali, avrebbe fatto un commento acido sulla fantasia dei proprietari, ma in quel momento sentiva solo che doveva entrare. Esitò un attimo, poi, con un gesto deciso, mise la mano sul pomolo d’ottone della porta ed entrò.

Nonostante la confusione che c’era fuori e la fama dei negozi di antiquariato di essere alquanto tetri, Miriam rimase molto sorpresa. Il negozio era stracolmo di oggetti di ogni genere, ma era molto più grande di quanto sembrasse da fuori, e molto luminoso. Sembrava quasi allegro. La ragazza si guardò in giro, un po’ disorientata. C’era davvero di tutto: lampadari, mobili (anche piuttosto recenti), libri, vestiti…

Posso aiutarla?” una voce la fece sobbalzare. Si voltò, quasi spaventata. Rimase sorpresa una volta di più dalla persona che l'aveva chiamata. Era un uomo molto giovane, sui trent'anni. Era alto, con capelli castani. Indossava dei semplici jeans e una maglietta color salmone, piuttosto larga, a dire il vero, ma che lasciava comunque intuire un fisico ben allenato. Miriam era senza parole. Nella sua mente, erano solo i vecchi che gestivano un negozio di antiquariato. Oppure belle ragazze che vedevano fantasmi devo piantarla di sfondarmi di Ghost Whisperer! Invece, aveva davanti un ragazzo poco più grande di lei. E pure figo! Pensò una parte folle di lei, repressa immediatamente.

    Quasi preoccupato, l'uomo le si avvicinò. “Sta bene?” le chiese.

Miriam ci mise qualche secondo più del necessario a rispondere “Certo! Sto benissimo! Stavo solo dando un'occhiata!”. Si sentiva le guance friggere. Dio, no! Perché devo pure arrossire?

Ha bisogno di qualcosa in particolare?” la incalzò lui, continuando a scrutarla, un po' sospettoso. Solo in quel momento, Miriam notò i suoi occhi, castani con qualche pagliuzza dorata.

Oh, beh... ioioioioioio... beh, io... no! Volevo solo guardarmi in giro!” e possibilmente sotterrarmi...

Signora, ma è proprio sicura di stare bene?” ora sembrava più preoccupato che altro.

Oh, al diavolo! Figura di merda per figura di merda... “mi chiedevo se per caso vende una macchina del tempo, così potrei tornare indietro e cambiare gli ultimi minuti!” rispose, tutto d'un fiato.

Lui la guardò, sorpreso, poi scoppiò a ridere. “Questa è veramente buona, signora! Davvero!”

Signorina, veramente. Non sono sposata.” non ancora, almeno...

Ah. E potrei sapere il nome di questa signorina?”

Miriam. E il suo?”

Galahad.”

Calò il silenzio. Miriam lo squadrò per bene. “Mi sta prendendo in giro.” sentenziò.

Direi proprio di no.”

Galahad? Scusi, è anche un bel nome, ma è sicuro sicuro che i suoi genitori fossero sobri, quando gliel'hanno dato?”

Lui rise ancora, prima di rispondere con un “in effetti erano un po' eccentrici...” quasi soffocato.

Ah, mi pareva.”

Comunque, Miriam, come mai è venuta nel mio umile negozio?”

Beh, a dir la verità non lo so. Non l'avevo mai visto prima. Stavo solo facendo una corsa, e sono capitata qui.”

Ed è voluta entrare comunque? Mi perdoni, sa, ma non ha l'aria di essere un'amante dell'antiquariato.”

Infatti non lo sono. Ma... non so come spiegarmi... ha mai avuto la sensazione che ci fosse un posto che la chiama? Un richiamo incessante, che deve ascoltare?” si può sapere che cavolo stai dicendo, Miriam? Hai mica niente di meglio da blaterare?

Galahad la guardò con interesse.

E che cosa la starebbe chiamando, mi scusi?”

Io... veramente non saprei...” complimenti! Adesso ti prenderà per pazza!

D'accordo, allora. Dia pure un'occhiata in giro. Se ha bisogno mi faccia un fischio!”

Miriam annuì. Galahad si voltò e tornò dietro al banco della cassa.

La ragazza si guardò intorno. Continuava a sentire quel richiamo in testa, proprio non riusciva a farlo smettere. Si mise addirittura a canticchiare un motivetto stupido dentro la sua testa, ma neanche quello riuscì a distrarle la mente.

Cominciò a girare per il negozio, guardando un oggetto, prendendone in mano un altro, esaminandone un terzo.

Trova qualcosa di suo gradimento?” la voce di Galahad riecheggiò nelle sue orecchie come uno sparo.

Come, scus...” Miriam urtò qualcosa e sentì un gran fracasso “Oh, cielo! Mi scusi tanto!”

Ai suoi piedi giacevano diversi pezzi di vari metalli: ottone, acciaio, bronzo. Niente di fragile, fortunatamente.

Mortificata, cominciò a raccogliere i pezzi e a rimetterli a posto, seguita a ruota da Galahad.

La sua mano sfiorò la mano del ragazzo. La cosa la agitò al punto tale che quasi non si accorse che il richiamo nella sua testa era cessato del tutto.

Quando se ne rese conto, per un attimo pensò che fosse stato lui l'oggetto del richiamo. Ma poi si accorse che l'altra sua mano stava stringendo qualcosa. La guardò, un po' sorpresa. Aveva in mano un calice. Non era esperta neanche di metalli, ma a occhio e croce doveva essere di bronzo con degli intarsi in argento. Sembrava un ostensorio.

Fece per rimetterlo giù, ma, per qualche motivo non ce la faceva proprio. Tuttavia doveva farlo. Non amava quel genere di cose, e poi, cosa se ne sarebbe fatta di un vecchio ostensorio?

Quanto costa, questo?” si ritrovò a chiedere, suo malgrado.

Mi lasci dare un'occhiata... dodici euro!” rispose Galahad.

Chiaramente era paccottiglia. Altrimenti non sarebbe costato così poco! Era decisamente da lasciare lì!

Lo compro!” eccheccavolo!

Galahad le sorrise. Mannaggia la miseria, ha pure le fossette sulle guance!

Venne battuto il prezzo alla cassa.

E' fidanzata?” chiese il ragazzo all'improvviso.

Come?”

Vedo il suo dito...”

Miriam guardò la mano sinistra, dove sul suo anulare troneggiava una fascia più bianca del resto del dito, proprio lì, dove di solito aveva l'anello di fidanzamento.

Annuì.

Il suo ragazzo è fortunato.” rispose lui, recisamente, consegnandole il sacchetto con dentro l'ostensorio.

Non sapendo cosa rispondere, la ragazza azzardò un mezzo sorriso, poi fece per uscire.

Torni pure quando vuole! Io sono sempre qui!” si sentì dire.

Uscì fuori senza neanche voltarsi, e tornò a casa.

  
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